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Illegittime presunzioni e illegittime inversioni dell’onere probatorio

Prima di addentrarsi nell’esame di alcuni esempi che evidenzino lo scolorimento della legalità sostanziale a causa delle patologie dell’accertamento, è bene soffermarsi su due fenomeni epistemologicamente meno insidiosi, ma più gravi giuridicamente. Si tratta dei casi, fortunatamente rari, di illegittime presunzioni legali e di illegittime inversioni dell’onere probatorio.

L’imprescindibile punto di partenza per le rifessioni che seguono è dato dalle considerazioni svolte nel primo e nel secondo capitolo del lavoro in merito alla base applicativa dello standard ‘al di là di ogni ragionevole dubbio’20. In quella sede, a seguito di dovute argomentazioni, si è abbracciata una ‘visione olistica’ del reato, ovvero una concezione delle norme penali come comprehensive rules21, secondo la quale tutti i fatti che incidono sulla determinazione della responsabilità sono parte di una struttura unitaria, siano essi tipizzati dalle norme in termini positivi o in termini negativi, abbiano essi l’effetto di costituire, aggravare, attenuare o escludere la responsabilità stessa22. Da ciò si è ricavato che ciascuno di tali fatti deve essere soggetto al medesimo regime probatorio (ovvero deve essere provato al di là di ogni ragionevole dubbio dall’accusa), ammettendo però che con riferimento ad alcuni di essi (scriminanti e scusanti) sia legittimo stabilire un’onere di allegazione a carico dell’imputato23.

20 Si veda supra capitolo primo, par. 4.1 e capitolo secondo, par. 3.3.

21 Cfr. G. P. FLETCHER, Two kinds of legal rules: a comparative study of burden-of-persuasion

practices in criminal cases, 77 Yale Law Journal 880, 1968, p. 892. Ma si ricordino anche la nozione

di ‘fattispecie’ in F. CORDERO, Il giudizio d’onore, Giuffrè, Milano, 1959, p. 67 e la nozione di ‘fatto in senso lato’ in M. ROMANO, Commentario sistematico al codice penale, Giuffrè, Milano, 1995, seconda edizione, Vol. I, p. 311.

22 Cfr. id., p. 893.

23 Si veda supra capitolo primo, par. 4.2. Si ricorda, peraltro, che quanto alle cause di non punibilità in senso stretto (ad esempio le immunità o le cause di estinzione del reato) si è detto che anche uno

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sono interessati da insostenibili meccanismi presuntivi o da spostamenti del rispettivo onere probatorio. L’illegittimità di queste operazioni è duplice.

In primo luogo esse violano il criterio di ragionevole prevedibilità della risposta ordinamentale. Infatti le norme che le realizzano, pur producendo un esito sostanziale, sono di natura tecnico-procedurale e, dunque, sono meno accessibili e intelligibili da parte dei consociati di quanto non sia il precetto penale. Come già si è detto24 esse, modificando surrettiziamente la fattispecie, creano il rischio che un soggetto, affidandosi al contenuto del precetto penale, ponga in essere un comportamento senza poter prevedere la conseguente risposta dell’ordinamento e, in particolare, un’eventuale condanna per un reato non commesso. In secondo luogo stabilire per taluni fatti penalmente rilevanti la deviazione dal regime probatorio imposto dall’art. 533, comma 1, c. p. p. non può non violare la dignità dell’imputato25. In terzo luogo tale atteggiamento rischia anche di violarne la libertà, nonché di compromettere il principio di proporzionalità, atteso che questi fatti, per definizione, influiscono sulla misura della pena26.

Noti casi di illegittima inversione dell’onere probatorio sono i reati c. d. ‘di sospetto’ di cui agli artt. 707, 708 c. p.27 e 12-quinquies, comma 2, della legge di conversione n. 356/199228.

spostamento dell’onere probatorio sarebbe legittimo proprio perché esse non influiscono sulla responsabilità penale.

24 Si veda supra capitolo primo, par. 4.1.

25 Ibidem.

26 Ibidem.

27 L’art. 707 c. p. recita: “chiunque, essendo stato condannato per delitti determinati da motivi di lucro, o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio, o per mendicità, o essendo ammonito o sottoposto a una misura di sicurezza personale o a cauzione di buona condotta, è colto in possesso di chiavi alterate o contraffatte, ovvero di chiavi genuine o di strumenti atti ad aprire o a sforzare serrature, dei quali non giustifichi l'attuale destinazione è punito con l'arresto da sei mesi a due anni”. L’art. 708 c. p. recita: “chiunque, trovandosi nelle condizioni personali indicate nell'articolo precedente, è colto in possesso di denaro o di oggetti di valore, o di altre cose non confacenti al suo stato, e dei quali non giustifichi la provenienza, è punito con l'arresto da tre mesi a un anno”. Il secondo è stato dichiarato incostituzionale con sentenza n. 370 del 2 novembre 1996 seppur per motivi diversi da quelli che sono qui strumento di critica. La Corte Costituzionale ha ritenuto il reato “del tutto inadeguato a contrastare le nuove dimensioni della criminalità, non più rapportabile, necessariamente, a uno ‘stato’ o a una ‘condizione personale’” e, più in particolare, ha dichiarato irragionevole “la discriminazione nei confronti d'una categoria di soggetti composta da pregiudicati per reati di varia natura o entità contro il patrimonio”.

28 La norma recita: “(…) coloro (…) i quali, anche per interposta persona fisica o giuridica, risultano essere titolari o avere la disponibilità a qualsiasi titolo di denaro, beni o altre utilità di valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica, e dei quali non possano giustificare la legittima provenienza, sono puniti con la reclusione

Sarebbe scorretto parlare in questi casi di una presunzione legale (relativa), intesa come schema inferenziale già stabilito dal legislatore, dal momento che, come correttamente rileva Franco Cordero, si tratta invece di una vera e propria relevatio ab onere probandi29. Né si può ritenere che la locuzione ‘dei quali non giustifichi’ (o ‘non possano giustificare’) stia soltanto ad indicare che la reticenza o l’equivocità dell’autore siano un elemento costitutivo del reato. Se così fosse, infatti, si avrebbe il risultato paradossale per cui una successiva prova della legittima origine o destinazione sarebbe penalmente irrilevante30, in grave contrasto con il principio di necessaria lesività. In definitiva, la legittima origine o destinazione costituisce un “fatto genuinamente impeditivo”31, il rischio della cui mancata prova ricade sull’imputato. In ragione della concezione olistica del reato di cui sopra, è corretto definire lo strumento approntato dal legislatore un’illegittima inversione dell’onere della prova. Non viene peraltro chiarito dalla norma quale standard dovrebbe essere soddisfatto dall’imputato: si tratta di un ragionevole dubbio o di un quid pluris?

Per spiegare il funzionamento di questi evidentiary devices Cordero suggerisce di concepire la norma penale come l’unione di due schemi: il primo è la “fattispecie in senso lato, includente tutti gli estremi, positivi e negativi, necessari e sufficienti a determinare il sorgere del dovere di punire”; il secondo è uno “schema minore” che ripartisce gli oneri relativi ai singoli elementi del reato32. Secondo Cordero, dal momento che questi schemi coesistono fin dalla previsione legislativa, è ragionevole ritenere che entrambi abbiano natura sostanziale33.

Contrariamente a quest’ultimo punto si ritiene che, se è innegabile che tutti e due gli schemi producano effetti sostanziali (poiché influiscono sul contenuto effettivo della tipicità), il secondo conserva senz’altro una natura tecnico-procedurale che, come visto, può avere importanti ricadute sulla prevedibilità della risposta ordinamentale da parte dei consociati. Si segnala, peraltro, che Cordero utilizza la teoria del ‘doppio schema’ anche per spiegare i casi di allocazione a carico

da due a cinque anni e il denaro, beni o altre utilità sono confiscati”. Il reato in questione, dapprima modificato con la legge di conversione n. 461/1993, è stato dichiarato incostituzionale con la sentenza n. 48/1994.

29 CORDERO, Il giudizio d’onore, op. cit., p. 160.

30 Id., p. 159.

31 Id., p. 157.

32 Id., p. 150.

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le scusanti). Si ha però l’impressione che l’appeal descrittivo del costrutto sia limitato al solo studio, qui svolto, dei casi patologici di inversione dell’onere probatorio. Quando invece si tratta solo del legittimo spostamento dell’onere di allegazione, che non è peculiare del singolo reato, ma riguarda in generale le scriminanti e le scusanti, la teoria, pur corretta, sembra costituire un’inneccessaria complicazione.

Passando adesso all’esame delle presunzioni illegittime34 vanno menzionate le presunzioni di pericolosità un tempo previste dalla normativa sulle misure di sicurezza ai sensi dell’art. 204, comma 2, c. p., ora abrogato35. Si tratta di un esempio esterno ai confini della norma incriminatrice. Ciononostante, alla luce di quanto si è affermato nel secondo capitolo in materia di standard da applicarsi all’accertamento della pericolosità sociale36, si può correttamente ritenere che tale esempio presenti i medesimi caratteri patologici degli illegittimi evidentiary devices incidenti sul regime probatorio degli elementi del reato.

Fra le presunzioni citate si ricordano la presunzione che riguardava i prosciolti per infermità psichica, per intossicazione cronica e per sordomutismo (art. 222, comma

34 In tema di illegittime presunzioni sono interessanti le riflessioni di Franco Bricola contenute in

Dolus in re ipsa, Giuffrè, Milano, 1960. Dapprima l’Autore chiarisce che la formula dolus in re ipsa

può essere riferita a due fenomeni legittimi. In primo luogo essa può indicare la semplificazione probatoria che si ha in caso di fattispecie concrete soggettivamente pregnanti in cui la prova di un elemento oggettivo reca in sé la prova del dolo (si pensi ad un’ingiuria o ad una diffamazione dal contenuto oggettivamente offensivo, cfr. Id., p. 156). In secondo luogo essa può indicare il fenomeno delle fattispecie astratte soggettivamente pregnanti, la cui formulazione è tale per cui, pur non essendo esplicitamente richiesto un dolo specifico, esso è direttamente ricavabile dalla presenza degli elementi oggettivi e, pertanto, viene da taluni inteso come elemento costitutivo (id., p. 163. Si pensi al dolo di frode nella bancarotta fraudolenta). Inoltre la formula dolus in re ipsa può essere riferita ad un fenomeno illegittimo: si tratta della presunzione di dolo (più correttamente dovrebbe parlarsi di una vera e propria eliminazione dell’elemento costitutivo) nei reati c. d. formali (tra cui i reati omissivi propri), giustificata dal fatto che in tali reati la prova della coscienza e della volizione della condotta si tradurrebbe nell’accertamento della consapevolezza della sua illiceità, impedito dall’art. 5 c. p. (si veda il Capitolo II dell’opera). Peraltro l’Autore rileva che se nei reati formali si ritiene oggetto dell’elemento psichico anche l’offesa al bene tutelato viene meno la sovrapposizione tra il dolo del fatto e il dolo dell’illiceità e si risolve l’impasse menzionata. Inoltre va ricordato che gli arresti della Corte Costituzionale (si pensi alla sentenza n. 364/1988) hanno finalmente negato l’irrilevanza dell’ignorantia legis suggerendo peraltro un suo riscontro proprio nel caso dei reati formali. Per una riflessione sulla ‘fruibilità processuale’ e sull’accertamento degli elementi soggettivi del reato si consideri anche C. PEDRAZZI, Il fine dell’azione delittuosa, in C. PEDRAZZI, Diritto penale, Giuffrè, Milano, 2008, in particolare p. 218 ss.

35 Secondo il quale “nei casi espressamente determinati la qualità di persona socialmente pericolosa è presunta dalla legge”. L’articolo è stato abrogato dall’art 31 della legge 10 ottobre 1986, n. 663 (c. d. legge Gozzini) che ha statuito che “tutte le misure di sicurezza personali sono ordinate previo accertamento che colui il quale ha commesso il fatto è persona socialmente pericolosa”.

1, c. p.) e quella che riguardava i prosciolti per minore età, qualora avessero commesso un delitto non colposo punibile con l'ergastolo o la reclusione superiore nel massimo edittale a due anni (art. 224, comma 2, c. p.). Entrambe sono state dichiarate parzialmente incostituzionali prima del definitivo intervento abrogativo da parte della c. d. legge Gozzini (n. 663/1986).

In un primo momento, con sentenza 20 gennaio 1971 n. 1 la Corte Costituzionale, ritenendo arbitrario presumere che il minore di anni quattordici sia pericoloso, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 224, comma 2, c. p. “nella parte in cui rende obbligatorio ed automatico per i minori degli anni quattordici il ricovero per almeno tre anni in riformatorio giudiziario”. Successivamente, con sentenza 27 luglio 1982 n. 139, la Corte ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 222, comma 1, c. p. nella parte in cui non subordina l’applicazione della misura di sicurezza “al previo accertamento da parte del giudice della persistente pericolosità sociale derivante dall’infermità (…) al tempo dell’applicazione della misura”37. Il giudice delle leggi ha rilevato (con particolare chiarezza nella seconda sentenza citata) che la presunzione di pericolosità si pone in contrasto con il principio di uguaglianza poiché, non essendo fondata sull’id quod plerumque accidit, essa ha “per conseguenza la indiscriminata applicazione delle misure di sicurezza in situazioni che differiscono fra loro proprio negli aspetti cui la misura ragionevolmente può riferirsi”38. In altri termini, secondo la Corte la probabilità espressa dalla generalizzazione relativa alla pericolosità sociale degli individui considerati dagli articoli censurati è troppo debole perché si possa fare a meno di un controllo puntuale. A tale affermazione si dovrebbe aggiungere che la reference class costituita dalle categorie dei soggetti interessati (quella degli infermi, dei minori etc.) è troppo generica per potersene trarre una probabilità soddisfacente con riferimento al caso concreto. Ciò rende pertanto necessario un esame delle proprietà dell’individuo prosciolto al fine di identificare una classe più specifica e, dunque, più idonea a fornire informazioni riferibili alla pericolosità dell’individuo stesso. La presunzione posta dal legislatore non può dunque bastare.

37 Per alcune veloci riflessioni sulle due sentenze si veda D. PULITANÒ, Giudizi di fatto nel controllo

di costituzionalità di norme penali, in Riv. It., Dir e Proc. Pen., 2008, p. 1013 ss.

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Corte e non soddisfatto dalle presunzioni in esame, non è comunque sufficiente per il giudizio di pericolosità. Considerati infatti sia la natura afflittiva delle misure di sicurezza personali, sia il rischio di violazione della dignità e della libertà individuali comportato dal giudizio, si è già correttamente sostenuto che la prognosi di pericolosità debba soddisfare lo standard ‘al di là di ogni ragionevole dubbio’39. Si è altresì ricordato che lo stesso principio di legalità (artt. 25, comma 3, Cost. e 199 c. p.,) finirebbe per essere scolorito se si permettesse un accertamento debole del presupposto della pericolosità sociale, tale da alterarne il concetto e da rendere così arbitraria l’applicazione delle misure stesse. Queste considerazioni, peraltro, stimolano immediatamente la spinosa domanda già sollevata nel capitolo secondo: è possibile che la prognosi suddetta soddisfi lo standard previsto all’art. 533, comma 1, c. p. p.? Ad essa si tenterà di dare risposta nel prossimo capitolo.