• Non ci sono risultati.

L’individuazione della regola cautelare nella colpa generica

3. I casi ‘di confine’

3.1. L’individuazione della regola cautelare nella colpa generica

Si dice regola cautelare una regola di condotta che suggerisce che in una determinata situazione si agisca in un determinato modo al fine di evitare la concretizzazione di un determinato pericolo70. Detta regola può essere positivizzata o non esserlo. Nel primo caso essa fonda la c.d. colpa specifica, nel secondo caso la c.d. colpa generica. L’individuazione della regola cautelare scritta è senz’altro divenuta più difficoltosa in ragione del crescente fenomeno di positivizzazione delle

70 Per una definizione analoga si veda F. BASILE, Fisionomia e ruolo dell’agente-modello ai fini

dell’accertamento processuale della colpa generica, in Studi in onore di Mario Pisani, Giuffrè,

cautele, a sua volta dovuto alla sempre maggior specializzazione delle attività socialmente utili e all’esigenza di contemperare gli interessi che tali attività realizzano con quelli che esse pongono in pericolo71. Tuttavia, l’individuazione della regola cautelare non scritta è ben più problematica, poiché non consiste principalmente nel reperimento di fonti documentali, ma richiede un’indagine assai più complessa.

E’ corretto affermare che ogni regola cautelare deriva da due generalizzazioni: la prima relativa al rapporto di implicazione tra una data situazione inerente ad un’attività socialmente utile e l’aumento o la concretizzazione di un pericolo da essa prodotto; la seconda relativa al rapporto di implicazione tra un comportamento tenuto in detta situazione e la neutralizzazione del menzionato pericolo. La prima esprime la prevedibilità del pericolo, la seconda l’evitabilità della sua creazione o concretizzazione. Ciò spiega perché in dottrina si affermi che la regola cautelare cristallizza un ‘giudizio’ di prevedibilità e di evitabilità basato sulle suddette generalizzazioni72. Questa affermazione va tuttavia precisata.

Innanzitutto, e si tratta di un dato importante, la regola cautelare non ha un contenuto meramente descrittivo, ma è, appunto, una regola, in quanto tale dotata di contenuto deontico73: essa non riproduce le generalizzazioni menzionate, ma se ne serve per elaborare un comando, ovvero l’imposizione di un determinato comportamento (che la seconda generalizzazione mostra essere efficace) in una determinata situazione (che la prima generalizzazione mostra essere delicata). L’input alla produzione della regola è dato da una terza generalizzazione che esprime il rapporto di implicazione tra l’aumento o la concretizzazione del pericolo e il disvalore. E’ quest’ultima a stimolare una risposta ordinamentale, sotto forma di comando, che trae dall’esperienza gli strumenti per arginare quei pericoli che la stessa esperienza mostra essere in agguato. Inoltre, in virtù di quanto visto nei paragrafi precedenti, si ritiene più pregnante concepire la componente fattuale della regola come astrazione di un caso paradigmatico dalle generalizzazioni: se il riferimento al ‘giudizio’ (di prevedibilità ed evitabilità) rischia di spostare

71 Sul fenomeno della positivizzazione si veda F. PALAZZO, Causalità e colpa nella responsabilità

medica (categorie dogmatiche ed evoluzione sociale), in Cass. Pen., 2010, n. 3, p. 1234 ss.

72 Così FIANDACA, MUSCO, Diritto penale. Parte generale, op. cit., p. 538.

73 Sul punto si vedano le chiare riflessioni svolte in F. GIUNTA, La legalità della colpa, in Criminalia,

149

l’attenzione sugli esiti interpretativi, distogliendola dalle proprietà tipiche della situazione e del comportamento, il riferimento al caso paradigmatico è senz’altro più preciso ed esauriente. Per quanto poi attiene alle regole scritte va detto che esse, lungi dal cristallizzare il caso paradigmatico nella sua interezza, si presentano solitamente come una sintesi dello stesso in cui sono lasciati impliciti, perché presupposti, il pericolo e il disvalore ad esso associato. In altri termini la regola cautelare scritta non assume la forma “poiché la situazione x comporta il pericolo y oggetto di disvalore d e poiché il comportamento z adottato in x neutralizza y, allora l’agente deve porre in essere z”, ma piuttosto la formula “data la situazione x, l’agente deve porre in essere z”. Y e la sua neutralizzazione devono dunque essere ricavati dalle generalizzazioni sottostanti74.

L’individuazione di regole cautelari scritte non si esaurisce in una mera (e comunque talvolta difficoltosa) ricerca documentale, ma impone di portare in superficie le generalizzazioni su cui esse si basano. Solo in tal modo è dato di svelare il pericolo tipico e il rispettivo disvalore, completando così il caso paradigmatico e permettendo, come si vedrà, la qualificazione del caso concreto. Tuttavia nel caso di regole non scritte anche le proprietà tipiche della situazione e del comportamento da porre in essere devono essere svelate. Le tre generalizzazioni vanno dunque completamente ricostruite per addivenire all’individuazione della regola cautelare non scritta. Ciò spiega perchè tale operazione si caratterizzi per un prevalente momento di ricostruzione fattuale. Quest’ultima richiede inoltre la soluzione di un problema preliminare (che nel caso delle regole scritte è risolto con la loro posizione): quale standard di conoscenza deve essere adottato nel ricavare le generalizzazioni che esprimono la prevedibilità e l’evitabilità e dunque il caso paradigmatico da esse astratto? In dottrina si domanda se bisogna rifarsi alle conoscenze dell’agente concreto, dell’uomo medio (bonus pater familias), di un agente modello eiusdem professionis ac condicionis o di un agente espertissimo

74 Si parla qui di ‘neutralizzazione’ e non di ‘riduzione’ di un pericolo perché mentre il primo concetto denota un accadimento reale il secondo è meramente probabilistico. Ora le generalizzazioni studiate esprimono un rapporto tra l’adozione di un comportamento e la neutralizzazione di un pericolo. E’ pur vero che questo rapporto costituisce sempre una probabilità di neutralizzazione, ovvero una riduzione del pericolo. Quest’ultima tuttavia non è un polo del rapporto, bensì un modo di manifestarsi dello stesso.

depositario della miglior scienza ed esperienza75. Orbene si può comprendere che l’ultima opzione indicata è l’unica coerente con quanto sin qui detto sulla natura della regola cautelare e, prima ancora, della norma penale76. Come visto, la regola è stimolata dal disvalore associato ad un accadimento e impone che in una data situazione si adotti un comportamento atto ad evitare lo stesso. Pertanto che senso avrebbe costruire la regola soltanto sulla base di alcune selezionate esperienze che, ad esempio, suggeriscono l’adozione di un comportamento meno efficace di altri mostrati dalle esperienze scartate77? Ancora, avrebbe senso ritenere la regola addirittura inesistente perché le esperienze selezionate, a differenza di quelle scartate, rivelano l’imprevedibilità dell’accadimento o l’assenza di comportamenti atti ad evitarlo? Queste operazioni sarebbero del tutto insensate. Esse non sono infatti funzionali al perseguimento dei fini ordinamentali, ovvero ad evitare l’offesa a beni protetti, poiché svolgono sciattamente il ruolo di orientamento culturale, non fornendo incentivi ad adeguarsi agli standard migliori.

Risultato altrettanto scadente si avrebbe se, nel formulare norme incriminatici, il legislatore ignorasse una serie di esperienze rilevanti poichè estranee al patrimonio conoscitivo comune: alcuni reati di pericolo, ad esempio, non esisterebbero perché le sole esperienze selezionate non permetterebbero di esprimere alcun rapporto di implicazione tra un comportamento e un pericolo. Sarebbe ragionevole giustificare un tale legislatore? Si ha la presunzione di ritenere che nessuno risponderebbe affermativamente. Ebbene, il caso delle regole cautelari non è per nulla diverso da quello delle norme incriminatici, atteso che le prime, come le seconde, servono a delineare il fatto tipico o caso paradigmatico. Ora, se il diritto penale vuole essere un serio strumento di tutela e di progresso, esso non può ignorare alcuna realtà fattuale, o meglio, non può basarsi su generalizzazioni inattendibili, perché deliberatamente fondate su evidence insufficiente: si tratterebbe di un diritto manifestamente

75 Per un chiaro riepilogo delle diverse posizioni si veda BASILE, Fisionomia e ruolo

dell’agente-modello ai fini dell’accertamento processuale della colpa generica, op. cit., p. 10 ss. del manoscritto.

Si considerino, inoltre, PULITANÒ, Diritto penale, op. cit., p. 352 ss., FIANDACA, MUSCO, Diritto

penale. Parte generale, op. cit., p. 546, 547 e MARINUCCI, DOLCINI, Manuale di diritto penale. Parte

generale, op. cit., p. 201 ss.

76 Si tratta di posizione seguita, fra gli altri, da Ferrando Mantovani. Cfr. F. MANTOVANI, Diritto

penale. Parte generale, CEDAM, Padova, 2007, p. 329 ss.

77 Ovviamente non si considerano qui eventuali regole che invitino ad astenersi del tutto da attività utili, ma pericolose (qual è, ad esempio, la circolazione stradale). Esse sarebbero senz’altro le più efficaci nella neutralizzazione dei pericoli, ma non risponderebbero alle esigenze sociali.

151

irragionevole, foriero di un inutile e controproducente paternalismo. Così si comprende inoltre per quale ragione sia errato qualsiasi accostamento tra la regola cautelare non scritta e la consuetudine78: la prima non deriva dalla ripetizione generalizzata di una condotta; non può essere appiattita sul comportamento della maggioranza e neppure della quasi totalità dei consociati. Essa deriva soltanto dalle prassi migliori poiché “il metro normativo della colpa ha la funzione di controllare e regolare gli usi sociali, invalidando le prassi scorrette”79, anche se dominanti.

Peraltro l’adozione dei migliori standard di conoscenza non produrrebbe alcun chilling effect, o paralisi, di attività socialmente utili80, né si porrebbe in contrasto con l’istanza di certezza (meglio si direbbe ragionevole prevedibilità) che deve improntare il diritto penale81. Da un lato, infatti, gli standard menzionati sono pur sempre costruiti sulla (miglior) prassi inerente ad una certa attività: ciò parla a favore di una possibilità di conoscenza degli stessi e di adeguamento ad essi da parte di chiunque svolga detta attività. Inoltre sarebbe semmai la ‘volgarizzazione’ dello standard a produrre nel lungo periodo la paralisi dell’attività socialmente utile: l’agente, disincentivato a migliorare la sua prestazione, finirebbe per sedersi su una prassi insoddisfacente, i pericoli non verrebbero neutralizzati e l’attività diventerebbe alla lunga insopportabile. Infine, la violazione della regola cautelare così costruita non comporta automaticamente il rimprovero per colpa, ma integra soltanto la c. d. misura oggettiva della colpa. Il rimprovero dipende infatti anche da un imprescindibile giudizio di esigibilità del comportamento doveroso da parte del soggetto agente, che coinvolge il profilo della conoscenza o conoscibilità della regola, nonché quello della possibilità di adeguamento alla stessa. Non vi è dunque alcun rischio che l’agente possa trovarsi a rispondere penalmente anche se impossibilitato ad orientare le proprie azioni in modo conforme alla regola. La

78 Per un tale accostamento si veda GIUNTA, La legalità della colpa, op. cit., p. 166. Per un approfondimento sulla consuetudine giuridica si rimanda al recente S. ZORZETTO (a cura di), La

consuetudine giuridica. Teoria, storia, ambiti disciplinari, Edizioni ETS, Pisa, 2008.

79 Così PULITANÒ, Diritto penale, op. cit., p. 352.

80 Evenienza paventata da Basile in Fisionomia e ruolo dell’agente-modello ai fini dell’accertamento

processuale della colpa generica, op. cit., p. 14 del manoscritto.

81 Nel senso di un possibile contrasto tra l’imposizione di standard di condotta elevati da un lato e “certezza e riconoscibilità della regola cautelare” dall’altro si veda GIUNTA, La legalità della colpa, op. cit., p. 165, 166.

‘volgarizzazione’ delle regole cautelari è inutile perché l’ordinamento è già dotato di sufficienti anticorpi. Essa è inoltre dannosa in quanto ostacola il progresso sociale.

La rilevanza del problema ricostruttivo nell’individuazione della regola cautelare non scritta è acuita dalla numerosità e dall’importanza delle attività socialmente utili in cui non vi è stata, né può esservi una positivizzazione delle cautele. Si pensi, fra le altre, all’attività medico-chirurgica, rispetto alla quale la fissazione di regole cautelari sarebbe indesiderabile perché, da un lato, disconoscerebbe il continuo progresso delle misure diagnostiche e terapeutiche82, dall’altro, forzerebbe l’estrema variabilità casistica in casi paradigmatici necessariamente scarsi e, dunque, imprecisi83.

Proprio la presenza di attività di carattere tecnico-scientifico interessate dalla colpa generica impone al giudice di ricorrere al mezzo della perizia per l’individuazione della regola cautelare84: è il perito a rendere il giudice edotto sulle generalizzazioni prodotte dalla miglior prassi medica. Ciò costituisce un ulteriore fattore di avvicinamento alla quaestio facti.

Il notevole problema ricostruttivo posto dall’individuazione della regola cautelare non scritta, specialmente nel contesto tecnico-scientifico, invita ad aprire una breve parentesi per riflettere sul fenomeno del cambiamento in corso di processo, o nella sentenza, della regola ritenuta violata. Nonostante il silenzio degli articoli del codice di procedura relativi alle nuove contestazioni (artt. 516 ss.) si ritiene che, quando il problema dell’individuazione è consistente, il cambiamento della regola cautelare debba sempre comportare una nuova contestazione da parte del pubblico ministero e, così, un’opportunità di difesa dell’imputato proprio sugli aspetti fattuali della quaestio iuris85: ciò in virtù di una concezione dialettica di quest’ultima secondo cui il concorso di più ragioni (sia esso diretto a risolvere un problema epistemologico relativo al presupposto fattuale della decisione, sia esso diretto a risolvere il giudizio di valore) porta ad una scelta d’azione più giusta (più ragionevole). A ben vedere,

82 Così MARINUCCI, DOLCINI, Manuale di diritto penale. Parte generale, op. cit., p. 202.

83 Per questa tesi cfr. PALAZZO, Causalità e colpa nella responsabilità medica (categorie dogmatiche

ed evoluzione sociale), op. cit., p. 1235 ss., il quale rileva che sia i giudici che i medici “sono entrambi

inclini alle regole aperte in vista di una migliore tutela della salute dei pazienti. Ma il carattere aperto delle regole dell’arte medica, mentre mira a ridurre il rischio terapeutico per i pazienti, comporta per i professionisti il rischio aggiuntivo di una dilatazione della responsabilità per colpa professionale.”

84 Cfr. D. CASTRONUOVO, La contestazione del fatto colposo: discrasie tra formule prasseologiche

d’imputazione e concezioni teoriche della colpa, in Cass. Pen., 2002, p. 3841.

153

però, proprio tale concezione invita a ritenere che anche se l’individuazione della regola non pone particolari problemi ricostruttivi vi dev’essere comunque una nuova contestazione in caso di cambiamento della stessa. Infatti si tratta pur sempre di un problema interpretativo (nella specie qualificativo) e dunque aperto alla dialettica che detta concezione propugna86. Infine, qualora il cambiamento della regola cautelare ritenuta violata derivi da una diversa ricostruzione del caso concreto si potranno invece applicare agevolmente gli articoli che disciplinano in via generale questa ipotesi (in particolare l’art. 516, comma 1, c. p. p. e l’art. 521, comma 2, c. p. p.).

La significatività del momento ricostruttivo insito nel procedimento di individuazione della regola cautelare non scritta induce la dottrina a parlare in proposito di ‘accertamento della colpa’ o di ‘accertamento della regola cautelare’87. Ebbene, questa terminologia, seppur rispondente a talune operazioni coinvolte nel procedimento studiato, rischia di essere fuorviante. L’individuazione della regola cautelare non scritta è un’operazione normativa e non meramente ricostruttiva. Attenzione dunque a non confondere il piano della quaestio iuris con quello della quaestio facti: a non affermare che l’esistenza della regola cautelare vada provata ‘al di là di ogni ragionevole dubbio’; a non ritenere che sia preclusa alla Cassazione l’indagine sull’individuazione della regola88. Ma soprattutto si ricordi che le regole cautelari (a differenza delle generalizzazioni usate nella ricostruzione fattuale) devono seguire la disciplina della successione delle leggi penali nel tempo89. Pertanto, se è pur vero che le generalizzazioni da cui deriva la regola si basano sulla miglior prassi disponibile, non bisogna dimenticare che per prassi si intende

86 Si rimanda alle considerazioni generali svolte in ORLANDI, L’attività argomentativa delle parti nel

dibattimento penale, op. cit., p. 62 ss.

87 Esemplare è Fausto Giunta il quale scrive “nell’accertamento della colpa (rectius: della regola cautelare)”. Così GIUNTA, La legalità della colpa, op. cit., p. 162.

88 Sul punto va peraltro ricordato che ormai la dicotomia tra le quaestiones non è più considerata rilevante per la delimitazione dello spazio cognitivo del giudizio di Cassazione, mentre invece viene valorizzata la distinzione tra giudizio ex actis e capacità di istruzione probatoria: solo il primo compete alla Suprema Corte. Cfr. UBERTIS, La ricostruzione giudiziale del fatto tra diritto e storia, op. cit. e F. M. IACOVIELLO, Motivazione della sentenza penale (controllo della), voce in Enc. Dir., Giuffrè, Milano, 2000, aggiornamento, vol. IV, p. 781 ss.

89 Sull’importanza di preservare il ‘limite del tempo’ nell’individuazione della regola cautelare si vedano C. PIERGALLINI, Il paradigma della colpa nell’età del rischio: prove di resistenza del tipo, In Riv. It. Dir. e Proc. Pen., 2005, in particolare p. 1686, 1694, 1697 e F. VIGANÒ, Riflessioni sulla c. d.

l’esperienza antecedente al fatto e non quella antecedente al giudizio90. Se così non fosse (e sempre che vi sia un’evoluzione della miglior prassi) la regola cautelare sarebbe per costituzione inconoscibile e la condanna manifestamente irragionevole. Peraltro considerare la prassi successiva al fatto produrrebbe davvero un chilling effect, in quanto i soggetti agenti, non potendosi in alcun modo confrontare con il parametro con cui rischiano di essere giudicati (perché esso non è ancora esistente), preferirebbero l’inazione. In definitiva, la regola cautelare va individuata e interpretata secondo l’ipotesi più ragionevole, tenendo conto che tra le ragioni rilevanti rientrano anche quelle fornite dal principio di colpevolezza da ultimo considerate.

3.2. Brevemente sul c. d. nesso tra colpa ed evento: un tentativo di chiarimento Pur non trattandosi di un caso ‘di confine’, secondo la definizione sopra fornita, il c. d. nesso tra colpa ed evento solleva alcuni problemi interpretativi che si ritiene utile affrontare in questa sede aprendo una breve parentesi (queste considerazioni torneranno peraltro utili nel capitolo quinto quando ci si occuperà della causalità omissiva). Le riflessioni svolte nei paragrafi precedenti in merito all’interpretazione penalistica e al ruolo delle generalizzazioni nella creazione delle regole cautelari forniscono infatti importanti spunti per alcuni opportuni chiarimenti sul tema.

L’articolo 43, comma 1, c. p. afferma che un reato è colposo “quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”. Da questa disposizione si è argomentata la necessità che nei reati colposi d’evento si accerti la c. d. ‘causalità della colpa’, o meglio, il nesso tra la colpa e l’evento. Più precisamente si tratta di accertare un duplice nesso: in primo luogo, che l’evento concreto è la realizzazione del pericolo che la regola cautelare mirava a

90 Diversamente, nella ricostruzione del fatto, seppur sussistano notevoli limiti di natura giuridica (si pensi, ad esempio, al divieto di utilizzare “metodi o tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione” della persona o “ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti” sancito dall’art. 188 c. p. p.), il fine è stabilire che cosa sia esistito e non rispondere giustamente ad un comportamento: se dunque nuove generalizzazioni divengono disponibili dopo il fatto esse devono essere utilizzate.

155

prevenire; in secondo luogo che la condotta rispettosa della regola cautelare avrebbe evitato l’evento concreto91 (il secondo nesso consiste dunque nell’escludere il c. d. comportamento alternativo lecito).

Si ritiene che non sia epistemologicamente preciso parlare di un nesso di causalità tra la colpa (o la negligenza, l’imprudenza, l’imperizia) e un evento, per la semplice ragione che il termine ‘colpa’ non è descrittivo, bensì normativo. Esso non denota un fatto, ma esprime un giudizio di valore su di esso, lo qualifica. Parimenti impreciso sarebbe parlare di un nesso di casualità tra l’azione colposa e l’evento. Fintantoché non si conoscono i criteri del giudizio di colpa non è possibile individuare un referente paradigmatico o concreto dell’azione colposa.

In realtà parlare di nesso tra colpa ed evento è anche logicamente impreciso. Chi scrive sostiene infatti che è dalla sussistenza del nesso (o dei nessi) che dipende il carattere colposo della condotta concreta. Ciò significa che non può parlarsi di colpa in assenza del nesso: quest’ultimo è infatti un fondamentale elemento costitutivo della prima. In altri termini, e contrariamente a quanto comunemente sostenuto, senza il nesso non può esservi violazione della regola cautelare92.

Per comprendere queste affermazioni è necessario richiamare quanto detto in precedenza riguardo alla nascita della regola cautelare. Si è detto che essa origina da tre generalizzazioni. La prima esprime un rapporto di implicazione tra una situazione e la concretizzazione di un pericolo; la seconda esprime un rapporto di implicazione tra un comportamento e la neutralizzazione del pericolo; la terza esprime un rapporto di implicazione tra la concretizzazione o l’aumento del pericolo e il disvalore. Più precisamente la regola cautelare ricalca un caso paradigmatico tratto per astrazione dalle generalizzazioni richiamate e, se scritta, si presenta come una sintesi del caso stesso. Ora, qualificare un caso concreto come violazione della regola cautelare significa stabilire un rapporto di analogia tra questo e il caso paradigmatico (o meglio, ricondurlo all’interno della reference class contraddistinta dal caso paradigmatico), intendendo con quest’ultimo una situazione x che implica la

91 Sul punto cfr.: MARINUCCI, DOLCINI, Manuale di diritto penale. Parte generale, op. cit., pp. 208, 209; PULITANÒ, Diritto penale, op. cit., p. 362 ss.; FIANDACA, MUSCO, Diritto penale. Parte generale,