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Interpretazione e ragionevole prevedibilità

2. Alcuni spunti sull’interpretazione penalistica

2.2. Interpretazione e ragionevole prevedibilità

Tornando ora alla questione dei confini, ovvero della qualificazione dei c.d. ‘casi difficili’, va riconosciuto che si tratta dell’aspetto più problematico dell’interpretazione. Peraltro si ritiene che la soluzione di tale questione permetta di individuare un realistico e adeguato contenuto per il divieto di analogia in materia penale29, la cui tradizionale concezione ‘alla lettera’ appare difficilmente accettabile.

28 Si ponga mente alle definizioni che Giorgio Marinucci ed Emilio Dolcini danno dei criteri della specialità e della sussidiarietà: “una norma è (…) speciale rispetto ad un’altra quando descrive un fatto che presenta tutti gli elementi del fatto contemplato dall’altra – la norma generale – e inoltre uno o più elementi ‘specializzanti’” (si pensi al rapporto tra omicidio doloso comune e infanticidio); “una norma è (…) sussidiaria rispetto ad un’altra (norma principale), quando quest’ultima tutela, accanto al bene giuridico protetto dalla prima norma, uno o più beni ulteriori ovvero reprime un grado di

offesa più grave allo stesso bene” (si pensi al rapporto tra favoreggiamento reale e ricettazione.

Affinché un reato offenda beni ulteriori o realizzi un grado di offesa più grave esso deve necessariamente avere proprietà rilevanti aggiuntive rispetto al caso paradigmatico della norma sussidiaria). Così G. MARINUCCI, E. DOLCINI, Manuale di diritto penale. Parte generale, Giuffrè, Milano, 2004, pp. 293, 296, 297 (corsivo aggiunto in parte). Per una ricognizione generale sue questi criteri cfr. anche D. PULITANÒ, Diritto penale, Giappichelli, Torino, 2007, p. 499 ss. e G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Zanichelli, Bologna, 2007, p. 669 ss. Quanto al criterio di consunzione si consideri l’art. 84 c.p (si pensi al rapporto tra furto in abitazione e violazione di domicilio). E’ tuttavia evidente che laddove si ritenesse valida la teoria del ‘reato eventualmente complesso’ (secondo la quale, anche in assenza di una figura astratta di reato complesso, quando la commissione di un reato è in concreto funzionale alla commissione di un altro e più grave reato deve applicarsi la sola norma che sanziona quest’ultimo) per un approfondimento si veda MARINUCCI, DOLCINI, Manuale di diritto penale, op. cit., p. 301) non sarebbe più possibile ricondurre quest’ultimo criterio alla logica generale/particolare atteso che non si potrebbe ravvisare un rapporto di continenza tra le norme in questione, nè dunque tra le relative classi.

29 Sancito dall’art. 14 delle Preleggi, nonché dagli artt. 25, comma 2 e 13, comma 2, Cost. e, infine, dall’art. 1 del codice penale. Per un approfondimento su tale divieto si rinvia a G. VASSALLI, Analogia

nel diritto penale (voce), in Digesto delle discipline penalistiche, UTET, Torino, 1987, Vol. I, p. 158

ss. L’Autore pone l’accento sul concetto di ‘integrazione’ che esprime la funzione propria dell’analogia: “quella di rimediare (…) alla impossibilità di ‘decidere sulla base di una precisa disposizione’, quella di colmare una lacuna colmabile, quella di trovare soccorso nello stesso sistema del diritto positivo vigente” (p. 159). Tale integrazione (o meglio ‘autointegrazione) consiste in “una

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Come si è visto, infatti, l’interpretazione è intimamente analogica, constatazione che viene peraltro confermata dalla dottrina penalistica più attenta al problema30. Con tale consapevolezza quest’ultima rileva che “il divieto di analogia non può che trovare la sua plausibilità nell’individuazione di un limite all’interpretazione che non sia – ovviamente – il suo carattere analogico o meno, ma che risieda in un dato coerente con la ratio di questo tradizionale limite all’attività applicativa del giudice penale”31. Così taluno32 ha ritenuto di rintracciare detto limite nell’omogeneità valutativa, asserendo che casi concreti, pur interni all’area semantica dell’enunciato normativo, ma caratterizzati da un disvalore insufficiente a giustificare la pena comminata, non possono essere ricondotti alla norma33. Vice versa, qualora sia linguisticamente impossibile riferire l’enunciato normativo ad un caso determinato, tale qualificazione è pur sempre permessa se il secondo è omogeneo quanto a disvalore rispetto ai casi riconducibili al primo. Infatti – si afferma – “posto che in definitiva è la bontà argomentativa di una soluzione (…) ad accreditare un certo risultato interpretativo, (…) anche la certezza linguistica negativa” può “non rappresentare un limite assoluto”34.

via di mezzo (…) tra la ricognizione del contenuto d’una norma esistente e la creazione d’una norma nuova” (ibidem). Però, così definita l’integrazione (e di conseguenza l’analogia), ogni interpretazione è da ritenersi integratrice (ed analogica), atteso che essa muove da una norma esistente per rinnovarla.

30 Il riferimento è, in particolare, a: F. PALAZZO, Testo, contesto e sistema nell’interpretazione

penalistica, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, Giuffrè, Milano, 2006, p. 528 ss; F. PALAZZO,

Regole e prassi dell’interpretazione penalistica nell’attuale momento storico, in Diritto privato, L’interpretazione e il giurista, CEDAM, 2001-2002, VII-VIII, p. 520 ss.; F. PALAZZO, Legalità

penale: considerazioni su trasformazione e complessità di un principio ‘fondamentale’, in Quaderni

Fiorentini, Giuffrè, Milano, 2007, n.36, tomo II; DI GIOVINE, L’interpretazione nel diritto penale, op. cit., p. 265 ss.; G. FIANDACA, Ermeneutica e applicazione giudiziale del diritto penale, in Riv. It. Dir. e Proc. Pen., 2001, pp. 356, 357.

31 Così PALAZZO, Regole e prassi dell’interpretazione penalistica nell’attuale momento storico, op. cit., p. 522.

32 Il riferimento è a Palazzo.

33 In altri termini per Palazzo l’offensività opera come un criterio dell’interpretazione teleologica. Cfr.

Id., p. 543, 544. Così, poiché la falsificazione grossolana di un documento, pur realizzando la immutatio veri, è un fatto inoffensivo in quanto privo di idoneità ingannatoria, è possibile escluderne

la rilevanza penale interpretando la fattispecie “in chiave di offesa” (Ibidem).

34 Così Id., pp. 526, 527. A sostegno di quest’ultima affermazione l’Autore cita il noto caso tedesco in cui a fronte di una legge che “prevedeva il furto forestale aggravato se commesso con bestie da soma, barche e carri da traino (…) la corte, ragionando sul senso giuridico del caso, cioè sulla sua completa omogeneità di disvalore, concluse che l’automobile potesse essere qualificata come un ‘carro da traino’”. Un altro esempio fornito dall’Autore è quello dell’evoluzione giurisprudenziale italiana sul termine ‘violenza’, che ha portato ad un’applicazione dello stesso oltre i suoi confini semantici (corrispondenti all’energia fisica corporis corpori data) fino a comprendere l’uso di qualunque mezzo idoneo ad incidere sull’altrui volontà (Id., p. 524). Un ulteriore esempio potrebbe essere quello fornito

Altri studiosi, invece, ritengono che il limite interpretativo sia costituito dall’area semantica delle parole, cosicché deve considerarsi vietata l’analogia esterna alla stessa35. Se nel primo approccio l’aspetto valutativo sovrasta quello semantico, nel secondo si nota la relazione opposta.

Chi scrive crede che nell’individuare il contenuto del normativizzato divieto di analogia, ai concetti di ‘omogeneità valutativa’ e di ‘area semantica’ debba preferirsi quello di ‘ragionevole prevedibilità’ della scelta interpretativa. Esso, infatti, pone il divieto nella corretta prospettiva, rappresentando un imprescindibile strumento di specificazione delle due rationes dello stesso, la certezza del diritto e la separazione dei poteri. Da un lato la ragionevole prevedibilità fornisce una rilettura in termini realistici della prima ratio. Dall’altro, e si tratta di un punto importante, essa costituisce il criterio per la delimitazione dell’area d’azione del giudice rispetto a quella del legislatore: si può efficacemente ritenere che il primo violi le attribuzioni del secondo se l’interpretazione da lui adottata non è ragionevolmente prevedibile. Per queste ragioni e per quelle che si esporranno di seguito si ritiene, dunque, che il parametro in esame possa essere un buon candidato per l’operazione di adeguamento contenutistico del divieto di analogia, di cui la dottrina si è preoccupata di recente36.

Il giudizio sulla ragionevole prevedibilità è complesso perchè consegue alla mediazione “tra l’orizzonte del passato (la legge e le altre positivizzazioni giuridiche – tra cui si ricordi il precedente –) e l’orizzonte del presente (le esigenze e i valori della comunità al momento dell’applicazione)”37. In altri termini esso impone di prendere in considerazione fattori di natura diversa ovvero, in particolare, il dato

dal recente film Parla con lei (trad. it.) di Pedro Almodovar. Ecco il caso in una battuta: un infermiere ha un rapporto sessuale con una ragazza in coma. Per quanto ci si possa sforzare di ricondurre questa condotta all’enunciato dell’art. 609-bis del codice penale (Violenza sessuale) ci si accorgerà che l’infermiere non “costringe” né “induce” la vittima a subire alcun abuso. Secondo la tesi studiata, questo ostacolo creato dal testo potrebbe tuttavia essere superato laddove si ritenesse che la condotta dell’infermiere sia caratterizzata da un’ ‘omogeneità valutativa’ rispetto al caso paradigmatico di violenza sessuale.

35 Così DI GIOVINE, L’interpretazione nel diritto penale, op. cit., p. 276 ss. Così, suggerisce l’Autrice, una fattispecie che tuteli il sentimento religioso (si pensi, ad esempio, all’art. 405 c.p., Turbamento di

funzioni religiose del culto di una confessione religiosa) non potrà applicarsi a protezione di una setta

satanica. La stessa Autrice riconosce tuttavia le gravi difficoltà di delimitazione dell’area semantica.

36 Ad avviso di chi scrive lo stesso principio di determinatezza deve essere costruito in base all’esigenza di ragionevole prevedibilità della risposta ordinamentale. ‘Determinata’ potrà così dirsi la disposizione formulata in modo tale da permettere al cittadino di prevedere con ragionevole sicurezza gli esiti dell’interpretazione giudiziale. Per un approfondimento sul fondamento e sulla funzione del principio di determinatezza non si può che rinviare a PALAZZO, Il principio di determinatezza nel

diritto penale, op. cit.

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semantico e quello valutativo, senza peraltro suggerire una necessaria gerarchia tra gli stessi. Questi acquistano dunque una valenza meramente strumentale e non costituiscono, come la dottrina di cui sopra sembra invece ritenere, il contenuto definitivo del divieto.

Nella concettualizzazione del problema interpretativo proposta nel precedente paragrafo il criterio semantico e quello valutativo (che si possono dunque definire come gli indicatori della ‘tipicità’) sono veicolati rispettivamente dall’elemento della proprietà38 e dall’attributo della sua rilevanza. Ai confini della reference class, ovvero vicino alla circonferenza, il ragionamento analogico è assai problematico. L’istanza è distante dal core meaning (o concetto) espresso dal caso paradigmatico, vuoi perché vi è una disomogeneità della rispettiva rilevanza (nel senso di un minore disvalore dell’istanza rispetto a quello del caso paradigmatico), vuoi perché vi è un’incongruenza semantica. E’ dalla combinazione di queste due variabili (semantica e valutativa) che dipende la ragionevole prevedibilità della scelta di qualificare il caso concreto servendosi della norma cui la classe di riferisce. Infatti la capacità di prevedere una determinata risposta da parte dell’ordinamento dipende non solo dalla vicinanza semantica dell’enunciato fattuale del caso concreto ad una norma incriminatrice, ma anche dal disvalore sociale che il caso stesso catalizza39.

38 Si ricordi quanto affermato supra in nota n. 19 in merito alla classificazione semantica.

39 In questa prospettiva può, ad esempio, dirsi adeguata la scelta della Cassazione (cfr. Cass, sez. III, 22 aprile 2004, n. 25464 e Cass., sez. III, 21 marzo 2006, n. 15158) di ricondurre alla nozione di ‘prostituzione’ la c.d. ‘prostituzione telematica’ nell’applicazione della norma che punisce lo sfruttamento della prostituzione (art. 3, l. 20 febbraio 1958, n. 75). Infatti, sia l’aspetto semantico (si tratta sempre di prestazioni sessuali a pagamento direttamente percepibili dall’utente) che quello valutativo (lo sfruttamento di tali prestazioni comporta la disdicevole reificazione della persona che le compie, che diviene strumento del guadagno altrui) del caso controverso sono tali da garantire una ragionevole prevedibilità della risposta ordinamentale. Si può peraltro argomentare che in questa occasione non vi sia stata una mera ridefinizione dei confini della reference class, ma una modifica del concetto stesso di prostituzione (passando dal valorizzare il contatto fisico al valorizzare qualsivoglia percezione diretta da parte dell’utente). Si ritiene che non solo la qualificazione, ma anche la modificazione del concetto deve essere controllata attraverso il ‘rinnovato’ ‘divieto di analogia’. La seconda operazione (che pure è funzionale all’evoluzione del diritto) pone infatti un grosso rischio di violazione della ragionevole prevedibilità. Per un approccio critico a questo filone giurisprudenziale si veda PALAZZO, Testo, contesto, op. cit., p. 530 ss. Parimenti potrebbe ritenersi adeguata la ‘superata’ scelta giurisprudenziale di applicare la vecchia fattispecie di false comunicazioni sociali (art. 2621 c.c.) anche al caso in cui il falso riguardava il bilancio consolidato di un gruppo di società, sebbene la disposizione non menzionasse né il gruppo, né il bilancio consolidato. E ancora può ritenersi adeguata l’attribuzione di rilevanza penale al bacio ai fini dell’applicazione dell’art. 609 bis, quando le proprietà del caso concreto siano tali da compensare l’apparente distanza semantica dal caso paradigmatico (contatto fisico con una zona la cui stimolazione è connessa al piacere sessuale) e da catalizzare sufficiente disvalore. Per una lettura critica dei due esempi da ultimo

Si badi peraltro, laddove non fosse già chiarito da quanto scritto sopra, che il giudizio di ragionevole prevedibilità non riguarda il singolo, ma la comunità nel suo complesso, atteso che esso non è finalizzato a stabilire la conoscenza o conoscibilità di una norma penale predefinita e già ritenuta applicabile al caso concreto, bensì a interpretare la disposizione penale individuando i confini della rispettiva reference class: esso è dunque prodromico ad una scelta di criminalizzazione, non ad un giudizio di colpevolezza.

La valorizzazione del concetto di ‘ragionevole prevedibilità’ come compasso che disegna la circonferenza della reference class riduce, senza tuttavia eliminarlo, il problema della sovra- e della sotto-inclusività delle norme incriminatici40. Tuttavia la traccia del compasso è sempre provvisoria perché la ‘trama’ della norma è e deve restare aperta all’evoluzione del linguaggio, della società e del suo sentire. Infatti “non solo si verificano casi nuovi, ma la gente vuole il cambiamento. Le categorie normative devono pertanto restare ambigue per poter accogliere nuove idee”41.