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Il ‘ricorso ad una generalizzazione infondata’

4. Patologie dell’accertamento

4.1. Il ‘ricorso ad una generalizzazione infondata’

Esempi delle prime due patologie sono forniti da un noto miscarriage of justice statunitense, il Kelly Michaels case44, parte di quella inquietante pagina socio-giudiziaria che è stata nominata day care sex abuse hysteria45.

42 Ibidem.

43 Anche se il thema probandum dell’inferenza errata è un thema intermedio, l’esito finale è pur sempre un gap tra il fatto effettivamente provato e l’imputazione.

44 State v. Michaels, 642 A.2d 1372 (N. J. 1994). Per un’appassionata narrazione del caso si leggano R. ROSENTHAL, State of New Jersey v. Margaret Kelly Michaels: An Overview, 1 Psychology, Public Policy and Law 246, 1995 e D. RABINOWITZ, No crueler tyrannies. Accusation, false witness, and

other terrors of our times, Free Press, New York, 2003, p. 10 ss. Nell’opera da ultimo citata, il premio

Pulitzer Dorothy Rabinowitz racconta i più importanti errori giudiziari degli anni ottanta e novanta in materia di child abuse, mettendo in luce il pericoloso accanimento con cui gli accusatori, animati dalle incontrollate fobie dell’opinione pubblica, hanno dato seguito a (e talvolta pervicacemente stimolato) notizie di reato infondate e costruite, mettendo in piedi processi che hanno sconvolto la vita di singoli individui e di famiglie intere.

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una giuria del New Jersey a 47 anni di reclusione per aver abusato sessualmente di venti bambini a lei affidati. La Corte d’Appello e poi la Corte Suprema statali cassano la decisione perché basata su evidence inattendibile che non avrebbe dovuto essere ammessa al processo. Kelley Michaels, tuttavia, ha già scontato cinque anni di pena.

Gli elementi critici del materiale probatorio introdotto dall’accusa nel jury trial sono, da un lato, la correlazione tra taluni comportamenti dei bambini e un eventuale abuso sessuale da essi subito, dall’altro, la credibilità delle testimonianze dei bambini stessi. Il primo evidenzia un problema di ricorso ad una generalizzazione infondata; il secondo, invece, un problema di insufficienza della probabilità. Di quest’ultimo ci si occuperà nel prossimo paragrafo.

Un pilastro della evidence introdotta dall’accusa era costituito da una lista di trentadue ‘sintomi dell’abuso sessuale’, stilata dal perito Eileen Treacy, esperta in materia. Fra di essi erano indicati l’incontinenza notturna, il ricorrere di incubi e i cambiamenti di comportamento. Nel corso del processo la lista venne arricchita da ulteriori indici, ritenuti particolarmente probanti, consistenti nella mancanza di appetito dei bambini per alcuni alimenti. Tra questi ultimi vi era il burro d’arachide, che apparentemente sarebbe stato usato durante gli abusi, al punto da produrre la successiva inappetenza. Inoltre il rifiuto di mangiare il tonno veniva interpretato come indicatore delle violenze, argomentando che l’odore dell’alimento è simile a quello delle secrezioni vaginali46. L’individuazione di questi lack-of-appetite item aveva prodotto la preoccupata attenzione dei genitori per le abitudini alimentari dei figli e le conseguenti inevitabili segnalazioni di ogni sospetta inappetenza.

Ancora, basandosi sulla discussa child abuse accommodation syndrome47, il perito riteneva che la negazione degli abusi da parte dei bambini fosse in realtà prova degli

45 Si tratta di una vera e propria ondata di panico, relativa alla tutela dei bambini da abusi, che ha avuto luogo negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, principalmente negli Stati Uniti. Essa, stimolata da viscerali bisogni di protezione dei bambini e poi alimentata dall’effetto catartico prodotto nel tessuto sociale dall’invocazione simbolica del valore dell’infanzia, è degenerata al punto da provocare numerosi errori giudiziali ai danni di maestri di asili nido, accusati di abusare sessualmente dei bambini o di praticare con questi dei riti satanici.

46 Id., p. 15.

47 Si tratta di una sindrome teorizzata per la prima volta in R. C. SUMMIT, The child sexual abuse

accommodation syndrome, 7 Child Abuse and Neglect 177, 1983. L’Autore individua i cinque sintomi

stessi, poiché tipica della ‘fase di soppressione’ dell’accaduto. Anche il dispiacere manifestato dai bambini per la rimozione della loro maestra dal suo incarico era inteso come indizio dell’abuso: si trattava infatti di comportamento tipico della ‘fase di complicità’ tra vittima e autore.

Ora, tutte le generalizzazioni indicate appaiono irrimediabilmente infondate. Se quelle relative al rapporto tra abuso e appetito per un dato alimento (in particolare, il tonno) fanno sorridere per la loro ingenuità, le generalizzazioni basate sulla child abuse accommodation syndrome sono senz’altro più insidiose. Il problema è che queste ultime sono così scarsamente corroborate da non permettere di stabilire, una volta verificati i comportamenti citati, se vi sia stato o non vi sia stato abuso. Poiché l’atto di negare l’abuso e l’atto di mostrare affetto per il presunto autore sono comportamenti generalmente intesi come indicatori dell’assenza di violenze, se la teoria esposta dal perito non dimostra di essere in grado di confutare pienamente il senso comune non è dato considerare questi atti come indizi univoci delle violenze stesse.

Treacy ha proposto generalizzazioni espressive di frequenze molto elevate, ritenendo di poterle ricavare dalla teoria relativa alla child abuse accommodation syndrome. Il principale rivelatore della loro infondatezza è che in realtà questa teoria non permette neanche di individuare la possibile frequenza con cui operano le generalizzazioni relative al rapporto tra l’abuso e il comportamento della presunta vittima. Essa non fornisce strumenti per scegliere tra l’ipotesi accusatoria e quella innocentista in base ai comportamenti evidenziati dal perito; non dà attendibili e univoche chiavi di lettura della realtà, ma si limita ad asserire una controintuitiva compatibilità tra accadimenti, ovvero a sostenere che le affermazioni di affetto e la negazione dell’abuso non significano che quest’ultimo non ci sia stato. Può ben essere vero che “la sindrome rappresenta il common denominator dei comportamenti più frequentemente osservati nelle vittime di abusi”48, ma il senso comune porta a ritenere che tali comportamenti, e in particolare quelli evidenziati da Treacy, siano frequenti, se non predominanti, anche in soggetti che non hanno subito violenze.

vulnerabilità emotiva; l’adattamento alla situazione di abuso e la ‘complicità’ dovuta alla consapevolezza di non poter sfuggire alla violenza; una rivelazione tardiva, contraddittoria e non convincente; una successiva ritrattazione quando la sua rivelazione minaccia di distruggere il nucleo familiare.

181 una generalizzazione del tipo ‘la presenza di certi sintomi non implica l’assenza di abuso’, ma non una del tipo ‘la presenza di certi sintomi implica l’abuso’. Quest’ultima, proposta dal perito, appare dunque infondata. Ed infatti è importante notare che la sindrome stessa non sembra essere stata originariamente teorizzata al fine di permettere un’univoca interpretazione di taluni comportamenti, bensì al solo fine di promuovere una migliore comprensione del fenomeno dell’abuso su minori, affrontando criticamente alcuni luoghi comuni in merito all’incompatibilità tra quei comportamenti e le violenze49.