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Certo, un dubbio viene: c’è il rischio che la montagna (di da-

Nel documento Silenzi contigui e lezione di Spagna (pagine 134-139)

Silenzi contigui e lezione di Spagna

IV. Certo, un dubbio viene: c’è il rischio che la montagna (di da-

ti) partorisca un topolino? Per il momento non si può che ten- tare una verifica esplorativa, almeno per il primo livello di anali- si, su un testo campione: esaminare una traduzione in maniera impressionistica, ragionando su quale contributo potrebbe forni- re alla sua valutazione un metodo di analisi come quello che si è sin qui ipotizzato. L’edizione di Hombre y Dios, raccolta di Dá- maso Alonso37 tradotta nel 1962 da Oreste Macrì per Vanni

Scheiwiller con il titolo di Uomo e Dio38, fornisce in tal senso più

di uno spunto.

Il volume, viene ricordato sin dalla copertina, si presenta come una «versione metrica»39, nella quale Macrì mostra tutta la propria

perizia innanzitutto nella gestione dell’endecasillabo. Straordina- ria in particolare la resa dei sonetti, com’è esemplarmente mani- festo sin dalla lirica d’apertura:

Mi tierna miopía (p. 38) La mia tenera miopia (p. 39)

Disuélveme, mi tierna miopía, Dissolvimi, mia tenera miopia,

con tu neblina suave, de este mundo con la tua dolce nebbia qui del mondo

la dura traza, y lábrame un segundo la dura tela, e tessimi un secondo

mundo de deshilada fantasía, mondo di sfilacciata fantasia,

tierno más, y más dulce; y todavía più tenero e soave; e tuttavia

adénsame la noche en que me hundo addensami la notte dove affondo

en vuelo hacia el tercer mundo profundo: il volo verso il terzo orbe profondo: exacta luz y clara poesía. esatta luce e nitida poesia.

Dios a mí (como a niño que a horcajadas Dio (come bimbo il padre suo trastulla alza un padre, lo aúpa sólo al pecho a cavalluccio, e prima solo al petto

antes, porque el gran ímpetu no tema) l’alza, che il balzo d’impeto non tema)

me veló la estructura de estas nadas, la trama mi velò di questi nulla,

para – a través de lo real, deshecho – per – stemperato il naturale oggetto –

auparme a su verdad, a su poema. innalzarmi ai suoi veri, al suo poema.

Altrettanto mirabile appare la riproduzione metrica del verso alessandrino, così come di tutti gli altri componimenti che pre- sentino una struttura strofica regolare o marcata. Si nota, invece, una minore aderenza nel caso delle liriche fondate su una libera alternanza di versi dispari40o di versículos molto lunghi ma inter-

38 Dámaso Alonso, Uomo e dio, a cura di Oreste Macrì, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1962. Di seguito, per le citazioni da questa edizione, ci si limi- terà a fornire tra parentesi il numero di pagina.

39 Subito sotto al titolo, infatti, sulla copertina si legge: «Studio introduttivo e versione metrica di Oreste Macrì».

40 Non mi riferisco in questo caso, evidentemente, a una coincidenza metrica ver- so per verso, bensì alla riproposizione di un modulo compositivo analogo.

namente scomponibili, sistematicamente, in segmenti formati da settenari, novenari ed endecasillabi: soluzioni che non si possono certo imputare a imperizia o scarsa coscienza, per un metricista del calibro di Macrì (basti pensare alla sua «teoria dell’endecasilla- bo» inserita nel saggio sul Foscolo41), a maggior ragione conside-

rando che si tratta di una resa metrica non certo ardua, in quan- to poco vincolante per il traduttore. Si potrà allora ipotizzare un qualche influsso della poesia italiana: si notano per esempio, nei versi più brevi, spezzature dal sapore ungarettiano o cadenze che ricordano Alfonso Gatto. Di converso, sono poco attestati nella nostra poesia, perlomeno fino ai primi anni ’50, versi lunghi co- me i versículos che Alonso propone in alcuni componimenti di

Hombre y Dios, così come si fatica a trovare un modello ‘autocto-

no’ analogo anche per la libera composizione su versi dispari. Può essere questa una spiegazione della scelta traduttiva di Macrì? Dif- ficile stabilirlo, ma di certo un raffronto complessivo con le forme metriche della poesia italiana del periodo preso in esame potreb- be dirci di più al riguardo.

Passando ad altri aspetti testuali, nella versione di Macrì appa- re molto ridotta la presenza dell’apocope. Due o tre casi appena nell’intero volume, con un tasso che mi pare del tutto congruen- te con gli usi della lingua poetica italiana coeva. Molto più mar- cato risulta invece il ricorso al troncamento, non solo a fini me- trici, negli altri tre traduttori del nostro corpus, con un effetto ar- caizzante che si protrae lungo tutti gli anni ’60, quando il feno- meno si può considerare ormai sostanzialmente assente nella poe- sia italiana. Interessante, e analogo, il discorso sugli articoli: Macrì ripropone con fedeltà assoluta le scelte dell’originale, e la corri- spondenza puntuale non è pedissequa ma linguisticamente e se- manticamente motivata. Di nuovo, altri traduttori palesano ten- denze distinte: si pensi a La destrucción o el amor di Aleixandre tra- dotto da Tentori come La distruzione o Amore, con slittamento an- che semantico non indifferente.

41 Cfr. Oreste Macrì, Semantica e metrica dei “Sepolcri” del Foscolo. Con una teoria dell’endecasillabo, Roma, Bulzoni, 1978.

Diverso è il quadro per quanto riguarda le inversioni, che ap- paiono numerose nella versione di Macrì, non sempre in relazio- ne diretta con l’originale, né strettamente motivate da vincoli me- trico-ritmici. Un tasso che, mi sento di ipotizzare, risulta ben più elevato rispetto a quello riscontrabile nella poesia italiana del no- stro corpus. Forse Macrì è in questo aspetto più assimilabile alla poesia italiana degli anni ’30 e primi ’40, che non a quella suc- cessiva? Può darsi. In particolare, si nota il ricorso frequente a una collocazione del possessivo tra l’aggettivo qualificativo e il sostan- tivo. Ecco qualche esempio (di nuovo, senza obblighi metrici a condizionare le scelte):

en tus orillas grises > sulle grigie tue rive (pp. 70-71);

en mis hondas retinas > nelle profonde mie retine (pp. 82-83); la ebriedad de mi sangre > l’ebbro mio sangue (pp. 86-87). È questo un tratto distintivo dell’idioletto del traduttore? Se ne trovano riscontri in qualche poeta italiano in particolare, di cui si possa perciò individuare un’eco? Si ravvisa un fenomeno simile anche nel Guillén e nel Lorca di Macrì? È una tendenza che ri- conosciamo anche negli altri tre traduttori? Solo il completa- mento dello spoglio e un raffronto con il corpus della poesia ita- liana potrebbe dare risposta a questa serie di domande.

Per quanto concerne il registro, a prevalere è un lessico colto, dai richiami preziosi. È il registro dell’originale o c’è da segnala- re un innalzamento intervenuto nel passaggio interlinguistico? A giudicare da alcuni esempi, mi pare che di una certa tendenza ascendente si possa parlare:

líneas testarudas > linee pervicaci (pp. 44-45); el injusto > l’iniquo (pp. 50-51);

en mi insomnio > in me desto (pp. 58-59); yo guardaba > io serbavo (pp. 72-73); aburrido > tediato (pp. 74-75);

luego chacal, pantera de tu hombría > poi iena, lonza alla tua valen-

tia (pp. 96-97);

In tutti questi casi, vocaboli dello spagnolo standard, di amplis- simo uso, vengono resi con corrispettivi più colti, impressione raf- forzata se si considera anche la traduzione, sistematica, di «donde» con «ove» e di «en él» con «ivi». Per passare dall’impressione alla certezza, occorrerebbe uno spoglio complessivo. E per valutare a pieno l’effetto di tali scelte sul lettore, un raffronto con il lessico della poesia italiana appare irrinunciabile: con quale frequenza e in quali contesti voci come ‘serbare’, ‘desto’, ‘tediato’ appaiono nella nostra lirica delle decadi centrali del Novecento? Ferman- dosi a un livello impressionistico, intanto, si possono segnalare quelle che paiono alcune risonanze dantesche, come nelle ultime due tra le occorrenze appena segnalate. Oltre alla «lonza» e all’«aspra tanto», anche la prima terzina del sonetto mostrato in precedenza richiama cadenze da terza rima:

Dios a mí (como a niño que a horcajadas Dio (come bimbo il padre suo trastulla alza un padre, lo aúpa sólo al pecho a cavalluccio, e prima solo al petto antes, porque el gran ímpetu no tema) l’alza, che il balzo d’impeto non tema)

Per concludere, un cenno sulle ricorsività. Per i veri e propri parallelismi, la resa di Macrì è sempre estremamente attenta e puntuale (nonché davvero pregevole). Diverso il discorso per le riprese lessicali da un componimento all’altro, come nel caso del- la ripetizione del pronome soggetto, «yo», utilizzata da Alonso co- me forma di capcaudatio nella successione tra il finale di una lirica e l’incipit della successiva:

Yo, límite de Dios, voluntad libre Me, limite di Dio, volontà libera por su divina voluntad. per sua divina volontà.

Yo ribera de Dios, junto a sus olas grandes. Me, riva di Dio, presso i suoi grandi flutti. (Segundo comentario, 5, pp. 68-69)

No, Dios mío, tú, todo: la ola y la ribera. No, Dio mio, tu, tutto: il flutto e la riva. Yo, sólo, el junco verde que los vientos agitan Io, soltanto, il giunco verde agitato dai venti en tus orillas grises. sulle grigie tue rive.

Yo, afirmación delgada […] Io affermazione delicata […] (Segundo comentario, 6, pp. 70-71)

La variatio introdotta in questo caso da Macrì (yo > me; yo > io) parrebbe coincidere con un’impressione di minore sensibilità, da parte dei traduttori dell’epoca, nei confronti di alcuni fenome- ni ricorsivi e di sistematismi lessicali, impressione altrove già se- gnalata riguardo alle versioni di Vittorio Bodini della poesia di Pe- dro Salinas42. Si tratta di una sensazione corretta o infondata? Nel

caso non si rivelasse infondata, tale tendenza traduttiva potrebbe derivare da qualche caratteristica della nostra produzione lirica nazionale?, potrebbe corrispondere a quella refrattarietà alla ripe- tizione segnalata anche da Mengaldo? Anche in quest’ultimo ca- so è più prudente lasciare aperta la questione, in attesa di una con- troprova sui testi.

Nel documento Silenzi contigui e lezione di Spagna (pagine 134-139)