DEL TERZO SETTORE
2 cfr Agenzia per le onlus, Linee Guida per la Raccolta dei Fondi, maggio 010.
2. LA RIFORMA DEL TERZO SETTORE
Ne consegue, quale regola generale, l’assenza di scopo di lucro soggettivo. Dunque, è pacificamente ammessa la possibilità di realizzare risultati di esercizio positivi (il c.d. lucro oggettivo) mentre ne è esplicitamente vietata la distribuzione, diretta o indiretta.
Il legislatore individua alcuni divieti assoluti di distribuzione indiretta, le quali trovano evidenza e possono essere verificate partendo dalle scritture contabili e dal bilancio d’esercizio:
• la corresponsione ad amministratori, sindaci e a chiunque ri- vesta cariche sociali di compensi individuali non proporziona- ti all’attività svolta, alle responsabilità assunte e alle specifiche competenze o comunque superiori a quelli previsti in enti che operano nei medesimi o analoghi settori e condizioni;
• la corresponsione a lavoratori subordinati o autonomi di retri- buzioni o compensi superiori del quaranta per cento rispetto a quelli previsti, per le medesime qualifiche, dai contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, salvo comprovate esigenze attinenti alla necessità di acquisire specifiche competenze ai fini dello svolgimento delle attività di interesse generale di cui all’articolo 5, comma 1, lettere b), g) o h);
• l’acquisto di beni o servizi per corrispettivi che, senza valide ra- gioni economiche, siano superiori al loro valore normale;
• le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, a condizioni più fa- vorevoli di quelle di mercato, a soci, associati o partecipanti, ai fondatori, ai componenti gli organi amministrativi e di controllo, a coloro che a qualsiasi titolo operino per l’organizzazione o ne facciano parte, ai soggetti che effettuano erogazioni liberali a favore dell’organizzazione, ai loro parenti entro il terzo grado ed ai loro affini entro il secondo grado, nonché alle società da questi direttamente o indirettamente controllate o collegate, esclusi- vamente in ragione della loro qualità, salvo che tali cessioni o prestazioni non costituiscano l’oggetto dell’attività di interesse generale di cui all’articolo 5;
• la corresponsione a soggetti diversi dalle banche e dagli inter- mediari finanziari autorizzati, di interessi passivi, in dipendenza di prestiti di ogni specie, superiori di quattro punti al tasso annuo di riferimento.
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Eventuali utili e avanzi di gestione sono amministrativamente destinati a incrementare il patrimonio netto e conseguentemente ad essere re-investiti, direttamente o indirettamente, nell’attività dell’ente.
In caso di estinzione o scioglimento il patrimonio netto residuo è devoluto, raccolto il parere positivo dell’Ufficio regionale (provinciale) del Registro unico del Terzo settore, ad altri enti in base alle indicazioni dello statuto o dell’organo di governo (art. 9).
2.2.3. LA FISCALITÀ
Si considerano non commerciali gli enti del Terzo settore che svolgono in via esclusiva o prevalente le attività di interesse generale (art. 5, d.lgs. 117/2017) svolte secondo i criteri indicati per le attività non commerciali (art. 79 co. 5 del d.lgs. 117/2017).
In particolare, le suddette attività di interesse generale si considerano di natura non commerciale quando sono svolte:
• a titolo gratuito;
• dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effet- tivi, tenendo conto anche degli apporti economici delle pubbli- che amministrazioni in caso di attività convenzionata con queste ultime.
Le attività di intesse generale si considerano non commerciali anche qualora i ricavi non superino di oltre il 5% i relativi costi per ciascun periodo d’imposta e per non oltre due periodi d’imposta consecutivi.
Possono essere svolte anche attività diverse (art. 6 d.lgs. 117/2017) da quelle di cui all’articolo 5, a condizione che l’atto costitutivo o lo statuto lo consentano e siano secondarie e strumentali rispetto alle attività di interesse generale, secondo criteri e limiti definiti con decreto ministeriale.
In merito, secondo le bozze di decreto attualmente in circolazione le condizioni di secondarietà e strumentalità delle attività diverse da quelle di interesse generale ricorrono in presenza delle seguenti condizioni:
• per un ente di Terzo settore sono strumentali le attività diverse che, indipendentemente dal loro oggetto, sono esercitate per la realizzazione in via esclusiva delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale perseguite. Devono essere finalizzate a suppor- tare, sostenere, promuovere o agevolare il perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente;
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• tali attività diverse si considerano secondarie qualora, in ciascun esercizio, alternativamente, i ricavi derivanti dalla vendita di beni e servizi ceduti:
• non siano superiori al 30% delle entrate complessive dell’ente (importo che include, oltre i ricavi, anche quote e contributi associativi, erogazioni liberali, lasciti testamen- tari, raccolta fondi, contributi pubblici, ecc.);
• non siano superiori al 66% dei costi complessivi dell’ente. Nei suddetti costi complessivi rientrano anche i costi figurativi relativi all’impiego di risorse gratuite quali volontari iscritti nell’apposito registro (valorizzando le ore di volontariato in base alla retribuzione oraria lorda prevista dal contratto collettivo per analoga mansione), le erogazioni gratuite di denaro e le cessioni o erogazioni gratuite di beni o servizi per il loro valore normale, etc.
Indipendentemente dalle previsioni statutarie, gli enti del Terzo settore assumono fiscalmente la qualifica di enti commerciali qualora i proventi delle attività di interesse generale, svolte in forma d’impresa non in conformità ai criteri indicati per le attività non commerciali, nonché le attività diverse (escluse le attività di sponsorizzazione), superino, nel medesimo periodo d’imposta, le entrate derivanti da attività non commerciali.
Per entrate derivanti da attività non commerciali si intendono: i contributi; le sovvenzioni; le liberalità; le quote associative dell’ente; ogni altra entrata assimilabile alle precedenti; il valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attività svolte con modalità non commerciali.
Il modello di rendicontazione per un Ente del Terzo settore risulta influenzato in modo significativo dagli adempimenti tributari previsti dal d.lgs. 117. Pertanto ne appare opportuna una sintetica trattazione in questa sede.
Gli Enti del Terzo settore non commerciali ai fini tributari e a pena di decadenza dai benefici fiscali previsti sono chiamati ad assolvere a una serie ben definita di obblighi contabili (art. 87, comma 1):
• in relazione all’attività complessivamente svolta, devono redige- re scritture contabili cronologiche e sistematiche atte ad espri- mere con compiutezza e analiticità le operazioni poste in essere in ogni periodo di gestione;
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tamente le attività diverse (art. 6) dalle attività di interesse ge- nerale (art. 5). La suddetta distinzione influenzerà le modalità di rendicontazione, anche se al momento manca una indicazione puntuale della natura di tale distinzione – economica, finanzia- ria, patrimoniale - e conseguentemente l’individuazione del o dei documenti deputati a ciò;
• infine, le scritture e la relativa documentazione vanno conser- vate per un periodo non inferiore quello indicato dall’articolo 22 D.P.R. 600/1973.
Per il legislatore una contabilità formata da libro giornale e libro degli inventari tenuti secondo le disposizioni di cui agli articoli 2216 e 2217 del codice civile permette di assolvere ai su citati obblighi (art. 87 comma 2).
In relazione alle attività (di cui all’art 5 e all’art. 6) svolte con modalità commerciali, gli Enti nel Terzo settore non commerciali devono tenere le scritture contabili previste dalle disposizioni di cui all’articolo 18 D.P.R. 600/1973, anche al di fuori dei limiti quantitativi previsti al comma 1 del medesimo articolo.
Inoltre, in relazione all’attività commerciale esercitata, tali enti hanno l’obbligo di tenere la contabilità separata.
Gli Enti del Terzo settore non commerciali:
• che sono associazioni di promozione sociale o organizzazioni di volontariato;
• e che non superano 130 mila euro di ricavi su base annua;
possono optare ai fini tributari per il regime forfetario di cui all’art. 86. A fronte di questa determinazione forfetaria del reddito imponibile tali enti sono esonerati dalla tenuta delle scritture contabili ai fini tributari, fermo restando l’obbligo di conservazione della documentazione emessa e ricevuta.
Infine, gli Enti del Terzo settore che svolgono le loro attività con modalità commerciali sono tenuti a seguire gli adempimenti contabili di natura tributaria delle imprese commerciali.
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2.2.4. I CONTROLLI SU MODELLO DI RENDICONTAZIONE E SISTEMA DI BILANCIO
La riforma concede ampio spazio alla previsione di un organo di controllo nonché alla revisione legale dei conti.
In linea generale, l’organo di controllo vigila:
• sull’osservanza della legge e dello statuto;
• sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, anche con riferimento alle disposizioni del D. Lgs. 231/2001;
• sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile e sul suo concreto funzionamento.
All’organo di controllo è poi attribuito il compito di monitorare l’osservanza delle finalità costitutive di cui all’art. 4, comma 1, laddove si parla di enti […] <<costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale>>.
La revisione legale, obbligatoria al superamento di determinati limiti dimensionali o in presenza di patrimoni destinati, può essere esercitata dall’organo di controllo, qualora formato da revisori legali, o da un revisore o una società di revisione nominati ad hoc.
2.3 La prospettiva sociale della Riforma
La riflessione sui quadri sociologici entro i quali sia possibile interpretare la Riforma del Terzo settore si soffermerà essenzialmente su due punti.
Nel primo (A) si porterà all’evidenza la circostanza per la quale la Riforma si inserisce in un percorso ormai decennale di inclusione del Terzo settore all’interno della struttura delle istituzioni di welfare, e se ne discuteranno le implicazioni per gli enti di Terzo settore (ETS) e per il Terzo settore (TS) tut- to. Qui si discuteranno inoltre gli effetti di “auto-selezione” che potrebbero verificarsi in questa fase di transizione verso la situazione prefigurata dalla Riforma, nonché i meccanismi di partecipazione individuale nelle organizza- zioni di Terzo settore e si porrà a tema la questione dell’azione pro-sociale di
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Il Terzo settore all’interno dello
spazio di definizione del Welfare locale
Nel secondo (B) , ci si interroga su un aspetto legato ai caratteri generali del Terzo settore all’interno della più generale crisi dei meccanismi della rappre- sentanza socio-politica.
Si tratta di due punti che, senza ambizione di esaustività, costituiscono alcune delle criticità più interessanti che si innestano nei processi sociali e organizzativi e che necessitano di una messa a tema specifica, soprattutto per comprendere con maggiore efficacia l’impatto della Riforma nel vasto universo del Terzo settore.