4.11 M ERCOLEDÌ DELLE CENERI
1 Cfr Appendice iconografica Vol, 2, p 290.
2 B. Balàzs, L’uomo visibile, cit., p. 138. 3 Cfr. Filmografia, p. 249.
4 Roberto Sanesi (a cura di) [V edizione], Thomas Stearns Eliot, Poesie, Bompiani, 2000.
5 «Bisognerà aspettare gli anni Ottanta perché in Italia la RAI istituisca un settore dedicato alla “Ricerca e sperimentazione programmi” aperto al contributo di registi cinematografici, televisivi e teatrali, drammaturghi, scrittori, e specificamente dedicato all’esplorazione di una nuova
Mercoledì delle ceneri6, girato nel 1986, è l’ottavo film realizzato da Rosaleva nel corso degli anni torinesi7. Il lavoro, come si evince dal titolo, è tratto dalla poesia Ash Wednesday di T.S. Eliot, e viene presentato al Bellaria Film Festival, dove vince il Gabbiano d’argento, ex aequo con altri cinque (Gianfranco Barbieri e Gianni di Castro per il video Now I know snow, Gianni Castagnoli per Variation, Gianfranco Gianni per Giallo e nero, Maurizio Bubboli e William Molducci per Change e La donna luna in azzurro di Fernanda Moneta8).
Anche in questo caso, la proposta arriva a Rosaleva da Cesare Dapino9, funzionario RAI che già due anni prima le aveva offerto di realizzare Sonata a Kreutzer. Non si tratta però dell’unica analogia tra le due pellicole: i due lavori infatti sono accomunati dal desiderio di mantenere una precisa corrispondenza con il testo di partenza. Come già ampiamente dimostrato, tale proposito in Sonata10 si è realizzato solo in parte, a causa delle peculiarità
proprie del romanzo, che intreccia dialoghi, descrizioni e forme di scrittura differenti, adattati da Rosaleva per la messa in scena del film. Nel caso di Mercoledì, invece, il testo non è stato in alcun modo modificato, e agli attori è stato affidato il compito di recitare pronunciando le esatte parole di Eliot. Ma se il romanzo di Tolstoj fornisce delle chiare ambientazioni in cui far avanzare la narrazione e incuriosire il lettore, quello di Eliot è un
“narratività” ispirata alle risorse dell’immagine elettronica, insomma della tecnologia e dei linguaggi della televisione […] [Gianni Toti] realizzò innanzitutto delle “videopoesie” e dei “videopoemetti” che, con l’uso di grafie in movimento, coloriture accese e non naturalistiche, astrazioni e combinazioni voce-immagini, intendevano interrompere la routine del palinsesto TV». Sandra Lischi, Il linguaggio del video, Carocci editore, Roma, 2015, p. 57. Sulle produzioni sperimentali televisive, si veda anche Sandra Lischi, Elettronica, videoarte e poetronica, in Vito Zagarrio (a cura di) Storia del cinema italiano 1977/1985 – Vol. XIII, Marsilio Edizioni di Bianco & Nero, Roma, 2005, p. 457.
6 Cfr. Filmografia, p. 249.
7 Rosaleva non ha mai vissuto a Torino. Con l’espressione “anni torinesi” faccio riferimento a quei film realizzati tra il 1983 e il 1986, anni nei quali la regista si è sentita fortemente ispirata dalla città pur continuando a vivere a Milano. Cfr.. Biografia, p. 8.
8 Archivio storico del Bellaria Film Festival visitabile alla pagina web http://www.bellariafilmfestival.org/it/about-us.html
9 Cfr. Introduzione, p. 3. 10 Cfr. Scheda di analisi, p. 93.
testo poetico, basato sulla fascinazione e sulla suggestione. Così le immagini proposte da Rosaleva si dispongono come una sua personale lettura sia del testo sia dell’autore.
Come sappiamo, Eliot si converte alla religione anglicana nel 1927 e scrive Ash Wednesday tra il 1927 e il 1930: tra le varie stesure e le aggiunte nel corso della scrittura si è arrivati alle sei sezioni che conosciamo oggi. Il tema portante di tutta l’opera è il purgatorio inteso come tentativo di espiare le proprie colpe per raggiungere Dio11.
L’intento di Rosaleva è quello di restituire per immagini il contesto in cui la poesia si è sviluppata e lo stato d’animo del poeta. Il film ha una durata complessiva di 27 minuti12.
Cinque persone aprono la scena: due uomini, due donne e un ragazzo, ripresi dal basso in piano americano, che osservano qualcosa nel fuori campo. Indossano tutti sciarpa e cappotto, sono davanti a un luogo con due ingressi ancora difficile da decifrare. Una schermata nera con il titolo del film interrompe l’inquadratura. Dopo vediamo nuovamente le stesse persone però riprese in piano medio, di fronte; anche questa inquadratura viene interrotta da un’altra schermata, che contiene le informazioni sul soggetto. I titoli di testa proseguono alla stessa maniera, alternando le immagini delle persone - ferme e sempre nella stessa posizione - a quadri neri coi titoli. Solo nelle ultime due inquadrature, i personaggi salutano qualcuno con la mano. Al termine dei titoli di testa, vediamo un treno allontanarsi. Un uomo, dal finestrino, saluta e con un’espressione malinconica guarda il panorama innevato che si dipana fuori dal suo vagone. Non sappiamo chi sia o dove sia diretto. La scena di apertura è accompagnata dalle note del VI movimento della Suite lirica del compositore austriaco Alan Berg.
Quando la musica si interrompe, la scena cambia. Una voce maschile, in voice over, pronuncia le seguenti parole «Ricorda, oh uomo, che sei polvere e polvere ritornerai» mentre un prete - di cui non vediamo il volto - mette della cenere sul capo di un bambina.
11 «Il tema centrale di Ash Wednesday è naturalmente quello della penitenza e della purgazione
dal peccato, poiché sembra seguire passo per passo i diversi momenti indicati dalla teologia morale».
R. Sanesi, Poesie, cit., p. 83.
Per lo stesso argomento si veda anche Renzo S. Crivelli, T.S. Eliot, Salerno Editrice, Roma, 2015, p. 199.
12 La durata dei lavori torinesi prodotti dalla RAI non supera mai i 30 minuti. La vocazione ha una durata di 27 minuti; Cercando Bill 28 minuti; Egizi - Uomini del passato futuro dura appena 26 minuti; I luoghi del rito: tre chiese a Torino ha una durata di 29 minuti; infine, Spartaco dura 26 minuti.
Fa il segno della croce e la scena si conclude. Questo gesto, tipico del rito del mercoledì delle ceneri, è l’interpretazione in immagine del titolo della poesia.
Perch’i’ non spero più di ritornare Perch’i’ non spero
Perch’i’ non spero più di ritornare
Desiderando di questo il talento e dell’altro lo scopo Non posso più sforzarmi di raggiungere
Simili cose (perché l’aquila antica Dovrebbe spalancare le sue ali?)
Perché dovreí rimpiangere La svanita potenza del regno consueto?
Poi che non spero più di conoscere La gloria incerta dell’ora positiva
Poi che non penso più
Poi che ormai so di non poter conoscere L’unica vera potenza transitoria
Poi che non posso bere
Là dove gli alberi fioriscono e le sorgenti sgorgano, perché non c’è più nulla
Il poema è suddiviso in sei parti. Rosaleva però non tiene conto di questa suddivisione per costruire il suo film. Per questa ragione, la prima sequenza copre le prime due strofe: Eliot è partito con il treno, è seduto nel suo scompartimento e osserva il paesaggio che corre fuori dal finestrino. Sono immagini che sottolineano il desiderio di allontanamento del poeta, ma alludono anche a un esilio forzato, alla ricerca della purificazione. Le immagini del viaggio si alternano al primo piano della bambina che, dopo aver ricevuto la cenere sul capo, beve dal calice dell’eucarestia e la sequenza si conclude.
Poi che ora so che il tempo è sempre il tempo E che lo spazio è sempre ed è soltanto spazio
E che ciò che è reale lo è solo per un tempo E per un solo spazio
Godo che quelle cose siano come sono E rinuncio a quel viso benedetto
E rinuncio alla voce
Poi che non posso sperare di tornare ancora Di conseguenza godo, dovendo costruire qualche cosa
Di cui allietarmi
E prego Dio che abbia pietà di noi E prego di poter dimenticare
Queste cose che troppo
Discuto con me stesso e troppo spiego Poi che non spero più di ritornare Queste parole possano rispondere
Verso di noi il giudizio non sia troppo severo
La seconda sequenza si apre su un tavolo da biliardo. Vediamo in dettaglio le palle sul tavolo verde, alternate alle mani dei giocatori. Poi finalmente, appaiono i giocatori, ossia Eliot e il prete. La bambina siede nella stanza. La partita prosegue per tutta la durata delle due strofe. Il poeta non ha certezza che la sua decisione lo porterà alla remissione dei peccati, e in lui speranza e disperazione si mescolano13.
E poi che queste ali più non sono ali Atte a volare ma soltanto piume
Che battono nell’aria L’aria che ora è limitata e secca Più limitata e secca della volontà Insegnaci a aver cura e a non curare
Insegnaci a starcene quieti.
Prega per noi peccatori ora e nell’ora della nostra morte Prega per noi ora e nell’ora della nostra morte.
La penultima strofa della prima sezione del poema non appare per intero all’interno della pellicola: è infatti suddivisa in due parti. Nel corso dei primi cinque versi, vediamo Eliot e la bambina all’aperto, sulla neve, con lo sguardo rivolto verso il cielo, mentre in sottofondo si ode il rumore di un elicottero. La bambina a un certo punto indica qualcosa nel cielo, poi Eliot, in primo piano, abbassa lentamente la mano che teneva sul cappello lasciando trasparire preoccupazione dal viso. I due personaggi vengono ripresi frontalmente, poi dal basso.
La sequenza successiva si apre in una casa; vediamo Eliot di profilo, una signora di fianco a lui e dallo specchio sul muro si scorge un uomo. Il poeta pronuncia gli ultimi quattro versi - che di fatto sono una preghiera - mentre estrae gli occhiali da vista dalla giacca e li indossa. In primo piano ci vengono mostrate tutte le persone dentro la stanza: stanno in piedi, disposte intorno a una tavola apparecchiata, e ascoltano con attenzione le parole di del poema. Un’inquadratura più larga, leggermente dall’alto, dal lato opposto rispetto a Eliot, riprende la tavola intera. Il poeta ha in mano un libro da cui legge: si tratta della bibbia dal momento che la seconda sezione della poesia è ricca di riferimenti biblici14.
13 R. Sanesi, Poesie, cit., p.83. 14 Ivi, p.84.
Signora, tre leopardi bianchi sedevano sotto un ginepro Nella frescura del giorno, nutriti a sazietà
Delle mie braccia e del mio cuore e del mio fegato e di quanto Era stato contenuto nel foro rotondo del mio cranio. E Dio disse
Vivranno queste ossa? vivranno
Queste ossa? E tutto quanto era stato contenuto Nelle ossa (che già erano aride) disse stridendo:
Per la bontà di questa Signora E per la sua grazia, e perché Ella onora la Vergine in meditazione,
Noi risplendiamo con tanta lucentezza. E io che sono Qui dismembrato offro all’oblìo le mie gesta, e il mio amore
Alla posterità del deserto e al frutto della zucca. È questo che ristora
Le mie viscere le fibre dei miei occhi e le porzioni indigeste Che i leopardi rifiutano. La Signora si è ritirata
In una bianca veste, alla contemplazione, in una bianca veste. Che la bianchezza dell’ossa espii fino all’oblìo.
In esse non c’è vita. E come io sono dimenticato e vorrei essere. Dimenticato, così vorrei dimenticare
Consacrato in tal modo, ben saldo nel proposito. E Dio disse Profetizza al vento, al vento solo perché
Il vento solo darà ascolto. E le ossa cantarono stridendo Col ritornello della cavalletta, dicendo
La prima parte della seconda sezione viene letta da Eliot insieme alla giovane donna, alla bambina e al giovane uomo. Prima della litania, la scena cambia.
La successiva inquadratura si apre con una carrellata su un pavimento; la macchina da presa si avvicina a Eliot, seduto alla sua scrivania, compie un mezzo in giro intorno a lui mentre legge una lettera e si odono le sue parole in voice over. Il poeta viene ripreso da varie posizioni, scrutato da dietro le pile di libri poggiati sul ripiano; questo punto di vista si alterna a uno più frontale in cui è possibile scorgere Eliot, i libri e i fogli davanti a lui e un mazzo di rose rosse, sul lato sinistro del quadro, che fanno da cornice e richiamano la rosa citata nella litania. La stessa rosa che, nella prima stesura del poema, simboleggiava la Chiesa15. La lettura degli ultimi tre versi e parte della strofa successiva è invece
15 Scrive Sanesi: «Che il simbolo della rosa nella paradossale riconciliazione degli opposti espressa nella litania delle ossa possa essere anche quello della Chiesa, e della sua passata grandezza e della sua presente corruzione, può essere indicato da un verso presente nella prima stesura, nella quale si leggeva, dopo “La Rosa unica”, “Petali mangiati dal verme”, con un possibile riferimento alla poesia Church-Rents and Schism di George Herbert. Ma il significato generale di tutta la litania mi pare da ricercare nell’affermazione che l’amore, futile quando mal diretto, è il mezzo dell’uomo per ottenere la grazia ed essere condotto nel Giardino nel quale la Rosa, qualunque sia il simbolo, ha le sue radici». Ivi, p.85.
nuovamente in campo. Per quanto riguarda il testo, tre versi della litania sono stati omessi e nel film non vengono pronunciati.
Il punto di ripresa rimane invariato: un po’ defilato, accanto al mazzo di rose rosse. Signora dei silenzi
Quieta e affranta Consunta e più integra
Rosa della memoria Rosa della dimenticanza
Esausta e feconda Stanca che dai riposo
La Rosa unica Ora è il giardino Dove ogni amore finisce
Finito il tormento Dell'amore insoddisfatto
Il più grande tormento Dell'amore soddisfatto
Fine dell'infinito Viaggio verso il nulla Conclusione di tutto ciò Che non può essere concluso
Linguaggio senza parola E parola di nessun linguaggio
Grazia alla Madre Per il Giardino Dove tutto l'amore finisce.
Sotto un ginepro le ossa cantarono, disperse e rilucenti Noi siamo liete d'essere disperse, poco bene facemmo l'una all'altra, Nella frescura del giorno sotto un albero, con la benedizione della sabbia,
Dimenticando noi stesse e l'un l'altra, unite Nella serenità del deserto. Questa è la terra che voi
Spartirete. E né divisione né unione
Hanno importanza. Questa è la terra. Ecco, abbiamo la nostra eredità.
Qui strofa e sequenza si chiudono nello stesso momento. Dalla stanza nella quale era presente solo Eliot alla sua scrivania, torniamo alla sala da pranzo dove i commensali ancora ascoltano il poeta, che pronuncia gli ultimi versi, chiude il libro e si toglie di dosso gli occhiali.
Fino a questo momento, gli attori in scena hanno “dialogato” esclusivamente utilizzando il testo intatto del poema. La sequenza successiva, invece, si apre con un’espressione estranea alla poesia: due voci bianche chiamano per due volte «zio Thomas» mentre vediamo Eliot sdraiato su un divanetto. Al richiamo dei fanciulli il poeta si alza e, con indosso una vestaglia rossa, comincia a passeggiare per le stanze del palazzo. Le note di Mahler risuonano, e il protagonista viene ripreso dal basso mentre cammina. Questa
inquadratura ci permette di ammirare anche il soffitto del palazzo e di carpirne la maestosità. Non è un caso che la sua camminata termini proprio su una scalinata: la terza sezione della poesia, infatti, è interamente dedicata alla scala che il peccatore pentito deve percorrere per accedere alla redenzione16.
Là dalla prima rampa della seconda scala Mi volsi e vidi in basso
La stessa forma avvinta alla ringhiera Sotto la nebbia nell'aria fetida In lotta col demonio delle scale
Dall'ingannevole volto della speranza e della disperazione. Alla seconda rampa della seconda scala
li lasciai avvinghiati, volti in basso; non v'erano più volti e la scala era oscura, scheggiata e umida, come la bocca guasta
e bavosa di un vecchio, o la gola dentata di un antico squalo. Là sulla prima rampa della terza scala
Una finestra a inferriata con il ventre gonfio Come quello di un fico e al di là
Del biancospino in fiore e della scena agreste Quella figura dalle spalle ampie vestita in verde e azzurro
Affascinava il maggio con un flauto antico.
Sono dolci le chiome arruffate, le chiome brune arruffate sulla bocca, Lillà e chiome brune;
L’ansia, la musica del flauto, le pause e i passi della mente sulla terza scala, Svaniscono, svaniscono; al di là della speranza e al di là della disperazione
La forza sale sulla terza scala. Signore, non son degno Signore, non son degno Ma di' una sola parola.
Le tre rampe di scale corrispondono ai tre momenti della penitenza: esame di se stessi, contrizione e volontà di ammenda. Eliot in questa sezione parte direttamente dalla seconda rampa di scale, quella della contrizione. Dimostra quindi di aver già condotto un esame di coscienza e di aver perciò già superato la prima scalinata. Se però con la lettura della poesia stavamo immaginando un Eliot pronto ad affrontare i gradini necessari per la redenzione, resteremo sorpresi nel constatare che l’azione è invece affidata alla giovane donna e alla bambina. Quando, nel film, il poeta arriva sulla rampa, la giovane donna, che ora scopriamo essere incinta, sale la scalinata, si ferma a metà e comincia a parlare. La camera le si avvicina ulteriormente e, attraverso un primissimo piano, ne restituisce il viso
angelico e contrito. La seconda strofa della sezione, poi, è lasciata alla bambina, anche lei ripresa in primo piano, ma decentrata17. L’inquadratura è quasi a filo del volto, l’orecchio è tagliato fuori; lo sguardo, duro, è rivolto oltre la macchina da presa. Al termine della strofa, dopo qualche attimo di silenzio, la bambina abbozza un ghigno. La terza strofa, nella quale ormai si è giunti alla scala dell’ammenda, è affidata ad ambedue le donne. La macchina da presa le riprende dall’alto, sono una di fianco all’altra: la più grande guarda dritta davanti a sé, mentre la bambina guarda in camera.
Gli ultimi versi della strofa vengono pronunciati dallo stesso Eliot in voice over; inizialmente guarda il vuoto, ha un’aria preoccupata. Poi improvvisamente volge lo sguardo verso la macchina da presa. Qui si nota la già ricordata piccola discrepanza, che si configura evidentemente come una svista, rispetto al testo: il verso del poema recita «La forza sale sulla terza scala» mentre nel film Eliot dice «La forza sale sulla seconda scala».
Colei che camminò fra viola e viola Che camminò
Fra i diversi filari del variato verde
In bianco e azzurro procedendo, colori di Maria, Parlando di cose banali
In ignoranza e scienza del dolore eterno
Che mosse in mezzo agli altri che già stavano andando Che allora fece forti le fontane e fresche le sorgenti
Sempre alla stessa scrivania, l’Eliot del film legge la prima strofa della sezione successiva, della quale il quarto verso non viene pronunciato; durante la seconda strofa, la scena cambia e ha inizio una nuova sequenza.
Rese fredda la roccia inaridita e solida la sabbia In blu di speronella, blu del colore di Maria,
Sovegna vos
17 L’inquadratura decentrata, meglio nota come décadrage, è un procedimento che crea un vuoto al centro dell’immagine, nella quale il centro perde la sua funzione di punto di equilibrio. Il protagonista e l’azione sono relegati nella periferia dell’inquadratura, in aree marginali, e sono sovente tagliati dai bordi del quadro. In questo caso specifico, il volto della bambina in primo piano si trova tutto sulla destra del quadro e parte della testa è tagliata dal bordo dell’inquadratura. Maurizio Ambrosini, Lucia Cardone, Lorenzo Cuccu, Introduzione al linguaggio del film, Carocci editore, Roma, 2014, p. 33.
Ecco gli anni che passano in mezzo, portando Lontano i violini e i flauti, ravvivando
Una che muove nel tempo fra il sonno e la veglia, che indossa Luce bianca ravvolta, di cui si riveste, ravvolta.
Passano gli anni nuovi, ravvivano
Con una splendida nube di lacrime, gli anni, ravvivano La rima antica con un verso nuovo. Redimi
Il tempo. Redimi
La visione non letta nel sogno più alto
Mentre unicorni ingioiellati traggono il catafalco d’oro. La silenziosa sorella velata in bianco e azzurro
Fra gli alberi di tasso, dietro il dio del giardino,
Il cui flauto tace, piegò la testa e fece un cenno ma non parlò parola Ma la sorgente zampillò e l'uccello cantò verso la terra