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5.1 I FILM NON REALIZZAT

La filmografia di Gabriella Rosaleva, a prima vista, può apparire scarna, delineando un percorso apparentemente breve, scandito da periodi più densi - come gli anni torinesi - e altri caratterizzati da lunghe pause tra un’opera e l’altra.

Sotto questa coltre di lavori che hanno visto la luce e da parola scritta sono divenuti oggetto filmato, è presente un numero, seppure esiguo, di idee che per una ragione o per l’altra non sono andate oltre la sceneggiatura, ed alcune si sono fermate addirittura al soggetto, o al trattamento.

Ancorché nella forma embrionale della scrittura, la raccolta e l’analisi di questi lavori - portato alla luce ed esaminati qui per la prima volta - si è dimostrata di forte interesse per molteplici ragioni. Innanzi tutto l’insieme delle scritture cinematografiche dell’autrice ne restituisce l’instancabile laboriosità e l’attività frenetica intercorsa, invisibilmente, tra un film e l’altro; inoltre il censimento e la lettura di questi testi inediti consente di comprendere a pieno la versatilità artistica di Rosaleva, la sua inesausta curiosità intellettuale e culturale. Le idee cinematografiche rinvenute durante i nostri incontri e sopravvissute al deterioramento del tempo sono sei: Lo spadaccino (1986), Relazioni di naufragio del galeone grande S. Giovanni (1989), La zia d’America (1992), Una Scampagnata (1992), Una sera dopo cena (1993)e Il violoncello di Ester (1993).

Come accennato, non tutti i testi sono arrivati allo stadio della sceneggiatura; de Lo spadaccino, di Una scampagnata e de La zia d’America esistono solo, rispettivamente, il trattamento e i soggetti.

Il mio intento, in questo capitolo, è quello di mettere a confronto queste tracce scritte con i film realizzati, per verificare anzi tutto le somiglianze e le eventuali differenze con i lavori

1 Roland Barthes, Le grain de la voix, Éditions du Seuil, Paris, 1981; trad. it. Lidia Lonzi, La grana

girati, e, soprattutto, per capire quanto e come le “visioni” di Rosaleva siano ravvisabili già in fase di scrittura.

5.2-L

O SPADACCINO

Lo spadaccino è un testo «liberamente tratto da un racconto di Turghèniev» come lo definisce Rosaleva sulla prima pagina del documento. A ben vedere, però, di “libero” c’è ben poco: il soggetto, infatti, ricalca in più di un’occasione la storia, la struttura e finanche le parole esatte dall’autore russo. Rosaleva scrive il soggetto nel 1986, subito dopo aver realizzato Sonata a Kreutzer. Lo spadaccino, infatti, sarebbe dovuto essere il secondo film di una trilogia tratta da altrettanti autori russi. Diversamente da Tolstoj che vede la luce nel 1985, Turghèniev rimane nell’ombra e la terza ipotesi di racconto - probabilmente basata su Dostojevski2 - non vedrà mai la luce.

Lo spadaccino, ambientato nel 1829,racconta la storia di alcuni militari residenti nel villaggio di Kirìlovo, nella provincia di K. Tra loro, Avdjèj Ivànovic Luckòv ha la fama di essere un abilissimo spadaccino. Nel maggio dello stesso anno, giunge al reggimento un giovane alfiere, Fjòdor Fjòdorovic Kìster. I due non tardano a diventare amici, nonostante il carattere difficile di Luckòv. Non lontano dal villaggio di Kìrilovo, abita il signor Perekàtov, padrone di quattrocento contadini e di una casa molto spaziosa; ha una moglie, Nenìla Makàrjevna, e una figlia, Màscegnka. I coniugi Perekàtov sono soliti organizzare feste da ballo presso la loro casa, e tra gli invitati figurano anche i corazzieri del reggimento. All’ultima festa, partecipano anche Luckòv e Kìster. Maša, la figlia, è molto curiosa di conoscere il famoso spadaccino, giacché è affascinata dalla sua fama e non rifugge del tutto l’idea di potersi innamorare di lui. Durante le serata, Maša e Kìster ballano, chiacchierano e si divertono, mentre Luckov rimane sempre defilato.

Nei giorni seguenti, Kìster torna spesso a far visita alla famiglia Perekàtov stringendo un forte rapporto d’amicizia con la loro giovane figlia; il sentimento dell’alfiere però, muta ben presto natura, rafforzandosi sempre più. Maša, dal canto suo, continua a parlare di Luckòv e desidera poter conoscere meglio anche lui. Kìster, fortemente combattuto, decide di convincere lo spadaccino a unirsi a lui durante la prossima visita a casa dei Perekatov.

2 In un articolo apparso su La Stampa sera in occasione dell’uscita di Sonata a Kreutzer, Rosaleva dichiara: «È il primo autore russo che affronto, ma ho già in mente una trilogia, Tolstoj, Turghèniev e Dostoevskij. Amo molto gli scrittori russi, che secondo me sono classici proprio perché universali, futuribili, con temi che seguono una costante: la passione, l'amore spirituale e l'amore carnale sino all'estremo possesso dell'altro, cioè a dire l'omicidio: una sorta di cannibalismo». Donata Gianeri,Dirige «Sonata a Kreutzer», cit.

Luckov accetta e i tre trascorrono un pomeriggio insieme; Maša rimane ancor più folgorata dai modi dello spadaccino che durante la passeggiata le dona un fiore bianco, lo stesso su cui, la sera, la giovane poggia le sue labbra.

Da quel giorno, i due amici frequentano assiduamente i Perekàtov; Kìster è sempre più innamorato di Maša, ma anche Luckòv sembra ormai avere un debole per la giovane tanto da chiederle un appuntamento. I due si incontrano, Maša è agitata, non sa cosa aspettarsi; Luckòv invece ha ben chiaro in mente cosa vorrebbe fare con la giovane. Alle avance dello spadaccino, la giovane risponde ritraendosi con fastidio e una volta rincasata spedisce un messaggio a Kìster comunicandogli che ha urgente bisogno di parlargli. All’arrivo del giovane, Maša lo conduce fino al punto in cui si era svolto l’incontro con lo spadaccino; una volta lì, i due discutono animatamente: Kìster confessa che era a conoscenza delle intenzioni di Luckòv ma di non aver parlato per non impicciarsi nella loro relazione. Quando la situazione sembra ormai risolta e la loro amicizia salva, Kìster dichiara il suo amore per la giovane e le chiede la mano. Tre settimane dopo l’incontro, l’uomo, seduto in camera sua, scrive una lettera indirizzata alla madre illustrandole tutte le novità; scrive poi una lettera all’amico, ma proprio mentre firma la missiva, lo spadaccino si presenta alla sua porta. I due litigano: Luckòv, sentendosi usato da colui che credeva essergli amico per riuscire a conquistare la fiducia di Maša, lo sfida a duello. L’indomani, alle 11 del mattino, i due, accompagnati dai rispettivi padrini, si incontrano nel bosco: Luckòv, scaltro - o semplicemente infuriato e poco onesto - gli spara alle spalle e lo uccide3.

Come accennato all’inizio, la dicitura «liberamente tratto» potrebbe trarre in inganno e lasciar presagire sostanziali differenze tra il romanzo di partenza e lo sviluppo possibile del film. Procedendo con la lettura si può notare, invece, un rispetto assoluto da parte di Rosaleva, quasi alla lettera, del romanzo: sono sono infatti pochissimi gli elementi di distacco e su alcuni di essi vale la pena soffermarsi4.

3 La trama qui riportata è basata sul romanzo di Ivàn Turghèniev, trad. it. M. Karklina, Lo

spadaccino [1847], Sellerio Editore, Palermo, 1992.

4 Un primo elemento da sottolineare è la data in cui la storia è ambientata: se nel romanzo siamo nel 1829, Rosaleva sceglie invece di anticiparlo di appena tre anni e spostare il racconto al 1826. Metto l’accento su questo aspetto che appare in realtà più come una svista che come scelta narrativa particolare.

Il tipo di lavoro che l’autrice svolge richiama quello di Sonata a Kreutzer5: invero si tratta di un approccio molto simile, che prevede di distanziarsi il meno possibile dall’opera di partenza e quindi, soprattutto nei dialoghi, di utilizzare le parole esatte dei romanzi. Di conseguenza, il trattamento6 si presenta più come un riassunto accurato di Turghèniev, con l’aggiunta di alcuni accorgimenti cinematografici, che di un soggetto vero e proprio. Ciò emerge sin dall’incipit, dove leggiamo:

Aperta campagna, verde, ampia, primaverile. In primo piano il volto di una bambina russa di origine contadina, dietro di lei (è un lungo camera car) la campagna scorre e ondeggia sotto il vento. La bambina è rivolta allo spettatore e dice «nell’anno 1826 un reggimento di corazzieri era di stanza nel villaggio di Kirilovo nella provincia di K. Fra di loro un certo Andrei Ivanovic Luckov godeva della fama di spadaccino. Nel maggio del 1826 giunse al reggimento il giovane alfiere Fiodor Fiodorovic Kister, gentiluomo russo di origine tedesca, molto biondo, istruito alla francese». La bambina si volta verso la campagna, guarda verso l’orizzonte e poi si rivolta verso lo spettatore e fa un cenno a seguirla con lo sguardo verso la campagna.

La bambina, che ci introduce al film, crea una cornice esterna al racconto che però non troverà altro riscontro in seguito. Al principio di appare come una narratrice alla quale è stato affidato il compito di raccontare la storia ma che, di fatto, non incontreremo più7. Un altro aspetto interessante di questo incipit è il camera car: anche in questo caso, non è la prima volta che Rosaleva sceglie di aprire un suo film con questo movimento di macchina; al contrario è una strategia di apertura che spesso ripropone come se, con questo avanzare, ci accompagnasse verso la scaturigine della storia che verrà narrata8. Al termine dell’incipit, il trattamento riprende l’andamento del romanzo, presentandoci i personaggi principali e il contesto in cui accadranno gli eventi. Un nuovo piccolo cambiamento arriva a pagina 4, con la scena dedicata al ballo in casa dei Perekàtov: mentre Luckòv e Kìster parlano della giovane Maša, Rosaleva inserisce «una giovane donna esile [che] si fa avanti tra i ballerini e canta una struggente canzone russa». Nel

5 Cfr. Scheda d’analisi di Sonata a Kreutzer, p. 93.

6 Per struttura e contenuto, il documento di Rosaleva è meglio definibile come soggetto.

7 In altre due occasioni, Rosaleva affida a personaggi esterni al racconto il compito di narrare alcuni momenti della storia. Ricordiamo ad esempio i contadini in Processo a Caterina Ross e alcune anziane persone interpellate in Sulle strade di Coppi. Cfr. le schede di analisi a p. 47 e 140. 8 Come per i per i personaggi narranti, anche il camera car è frequentemente presente nelle pellicole analizzate. Crf. la nota precedente.

libro non accade, la musica da ballo non cessa. I due testi tornano in sintonia con il rimbombo delle note della mazurca.

Un inserto tipico del cinema di Rosaleva trova spazio a pagina 5 del trattamento (che corrisponde al terzo capitolo del libro dell’autore russo): mi riferisco ad un ampio momento conviviale. Difatti Kìster è divenuto ormai frequentatore assiduo della famiglia Perekàtov, fermandosi spesso a pranzo da loro. Uno di questi pasti, che nel romanzo viene liquidato velocemente, trova spazio nell’ideale trasposizione cinematografica. Si legge:

Sala da pranzo, una tavola apparecchiata di bianco semplice e indimenticabile nello stesso tempo, dalla finestra uno scorcio di panorama sulla campagna (anzi su un pezzo di prato verde che ondeggia al vento, il vento sull’erba o negli alberi è un po’ la costante dell’ambiente). Maša e Kister siedono l’uno di fronte all’altra e Nenila e il marito lo stesso; si capisce dalla familiarità con cui trattano il giovane che Kister da qualche tempo frequenta con assiduità la famiglia. Parlano molto in francese e Kister descrive un quadro che è nella sala da pranzo della sua casa e dice che a lato del quadro c’è una luce che è la stessa che entra in quel momento dalla finestra.

Il pasto tra i personaggi del film è un’immagine che ricorre spesso nei lavori di Gabriella Rosaleva. È un momento di condivisione nel quale i commensali si possono confrontare, lasciando emergere alcuni elementi a noi utili per comprendere il prosieguo della storia, ed offre inoltre sovente l’occasione di indugiare in composizioni potentemente pittoriche dell’inquadratura9. In questo caso, la scena del pranzo ci aiuta a comprendere innanzitutto la naturalezza con cui Kìster si comporta a casa della famiglia Perekàtov; in secondo luogo, introduce il discorso della luce, dettaglio che diviene particolarmente rilevante poco prima della conclusione, e promette un forte innesco figurativo in fase di ripresa.

Poco più avanti, a pagina 8, Kìster torna nel suo alloggio dove Luckov lo raggiunge per parlargli. In questo momento, Kìster gli dice che vorrebbe aiutarlo a riconciliarsi con la vita, portandolo a casa della famiglia Perekàtov. «È un momento di commozione per entrambi ma una commozione rigida sostenuta da una latente ambiguità», scrive Rosaleva. La tensione tra i due uomini, che si vena forse di un afflato erotico, sembra richiamare la postura di Sonata a Kreutzer, dove una velata omosessualità aleggia su tutta la pellicola, ammantando i due protagonisti. In un contesto di rimandi forti al film su Tolstoj, anche la «latente ambiguità» evocata dal soggetto di Lo spadaccino può essere letta con la stessa valenza.

Trattamento e romanzo proseguono di pari passo: la storia si sviluppa con le stesse dinamiche, fino al momento dell’incontro tra Maša e Luckòv; nel romanzo avviene nel corso dell’ottavo capitolo e nel trattamento, il capitolo precedente, quello in cui Kìster consiglia alla giovane di «stare in guardia»10, non è presente. Un’altra assenza da sottolineare è quella del personaggio di Tanjusa: nel romanzo appare durante l’incontro nel bosco tra lo spadaccino e Maša, interrompendo bruscamente il tentativo di Luckòv di avere un rapporto con la giovane. Durante l’incontro tra i due, Rosaleva, che non lascia nulla al caso ma dimostra di conoscere perfettamente il testo di partenza, pur omettendo il personaggio, utilizza le medesime parole («stare in guardia») per respingere l’ennesimo tentativo di approccio amoroso.

Come abbiamo visto nella breve descrizione della trama, in seguito Maša invia una lettera a Kìster e lo esorta a correre da lei per un incontro: è in questo momento che Rosaleva fa entrare in scena Tanjusa, sottolinenando, oltretutto, che la giovane cameriera altro non è - forse - che la stessa bambina apparsa in apertura.

A questo punto, non è astruso pensare che l’intera storia possa essere concepita come una sorta di flashback della cameriera.

Nel prosieguo è possibile ravvisare un’ultima sottrazione dal romanzo al trattamento: si tratta della lettera che Kìster indirizza a Luckov; nel film si passa direttamente dalla lettera per la madre all’arrivo in stanza di Luckov. Probabilmente inserire la lettura in voice over di una seconda lettera sarebbe stato narrativamente eccessivo, e di non facile fruizione da parte del pubblico. Durante l’incontro, come sappiamo, lo spadaccino sfida Kìster a duello, fissando lo scontro per l’indomani. Nel romanzo le ore che anticipano il confronto fra i due passano serene, «Kìster fu allegro, forse troppo allegro»11; nel trattamento, nonostante permanga la stessa serenità, aleggia un presagio di morte che viene evidenziato da due elementi. Difatti il giovane si reca a casa della promessa sposa, e mentre sono tutti a tavola per il pranzo Nenila chiede al futuro genero se riconosce ancora nel quadro la luce di ogni giorno; la sua risposta è negativa ed enigmatica: «gli oggetti cambiano [perché] anche loro hanno una vita propria indipendentemente dal nostro giudizio»12. Risuona in

queste parole un fatalismo che preannuncia un evento destinato a cambiare completamene il corso delle cose, a rompere del tutto le abitudini di una quotidianità

10 I. Turghèniev, Lo spadaccino, cit., p. 56. 11 Ivi, p. 83.

confortevole. Terminato il dialogo tra i presenti, è sempre Nenila a rincarare la dose e lo fa recitando a memoria un breve passo tratto da La nausea di Sartre:

Ebbene, oggi, le cose della casa non fissavano proprio niente: sembrava che la loro esistenza fosse discutibile e che facessero una gran fatica a passare da un istante all’altro, niente pareva reale, mi sentivo circondato da uno scenario di cartone che poteva essere smontato da un momento all’altro13.

Inserire questo breve estratto appare come una scelta interessante e quanto mai bizzarra. Interessante perché restituisce maggiormente l’idea di un mondo in procinto di essere “distrutto”; bizzarra se ci fermiamo a pensare che in un film ambientato nel 1826 appare il frammento di un romanzo pubblicato nel 1938. È opportuno constatare come un testo scritto per raccontare il sentimento di una nazione all’alba della Seconda Guerra Mondiale trovi spazio in una storia di vita antecedente di oltre un secolo, il cui destino è comunque segnato da un tragico mutamento. Questa incongruenza cronologica ben si innesta nella poetica di Rosaleva che, come più volte osservato, si sostanzia di senso nel continuo scambio tra il passato e il presente.

E infatti, l’indomani mattina, il giovane Kìster si reca all’incontro con Luckov per affrontare il duello e perde la vita. Lo spadaccino si avvicina al corpo dell’amico e, dopo averne constatato il decesso, si dirige verso l’appartamento del colonnello. Il film termina così a differenza del romanzo che lancia un’ultima ambigua suggestione «Maša è ancora viva…»14.

13 «Ebbene, oggi, non fissavano proprio più niente: sembrava che la loro stessa esistenza fosse discutibile e che facessero la più gran fatica a passare da un istante all’altro. Stringevo con forza, tra le mani, il volume che stavo leggendo: ma anche le sensazioni più violente erano come smussate. Niente pareva reale; mi sentivo circondato da uno scenario di cartone che poteva essere smontato da un momento all’altro». Jean Paul Sartre, La nausea [1938], Einaudi, Torino, 1999, p. 80