4. A NALISI DEI FILM
4.1 I P RIMI C ORTOMETRAGG
4.1.1 U NA M ARIA DEL ’
Girato da Gabriella Rosaleva nel 1979, il film racconta la storia di Maria, una giovane morta «ingenuamente» nell’estate del ’41. Riprendo le parole del soggetto originale, conservato fra le carte di Rosaleva, per fornire maggiori dettagli sulla trama:
Il film inizia sull’immagine di Maria che dice: sono morta ingenuamente in una sola estate del ’41 - Maria ci appare come un santino, una bambina cresciuta in uno spazio troppo stretto che quando smette di ricamare va all’oratorio e ci invita a seguirla in uno scorrere di immagini in cui le cose e le persone appaiono e scompaiono assecondando la sua memoria. “La mia memoria è dietro una tendina, basta schiacciare un bottone e io…”
Un angelo custode affascinante ed ironico segue Maria durante questo viaggio fantastico a cui partecipano le amiche; la madre che Maria non ha mai conosciuto a cui rivela la sua morte, con il vestito e il volto imbrattato di sangue; l’Incontro con la maestra, che ha creduto ed insegnato in nome di Dio e del Duce, che siede a un tavolo apparecchiato e pranza con un uomo in camicia rossa, un intellettuale, uno scrittore che dice di essere lì per scrivere un libro su Maria.
Questo incontro evoca fantasmi, voci minacciose già sentite in passato e tutto si aggroviglia e sembra la fine, la fine della rappresentazione, la fine del gioco3.
1 Adriana Cavarero, Tu che mi guardi, tu che mi racconti. Filosofia della narrazione, Elementi Feltrinelli, Milano, 1997, p. 51.
2 M. Calamia, Il cinema di Gabriella Rosaleva, cit., pp. 31-111.
La storia è costretta attorno a temi che torneranno con decisione nelle opere successive. La memoria, in modo particolare, e la connessione tra il passato e il presente sono argomenti cari alla regista e accompagnano gran parte della sua filmografia, come confermano del resto i titoli della Trilogia, realizzata poco più tardi.
Maria comincia un percorso a ritroso attraverso la memoria e il presente. Accompagnata da una bambina, suo angelo custode, rievoca la sua morte e percorre i meandri del passato. Sono ricordi turbolenti, caratterizzati da violenza: la maestra richiama il tempo della scuola e sul grigiore di questo ricordo se ne sovrappone un altro, ancora più cupo, dove la giovane Maria incontra un uomo che mentre le parla tira fuori un coltellino dalla tasca. Successivamente la protagonista vede la sua morte, segnata dal vestito candido sporco di sangue.
La maestra e l’intellettuale, seduti intorno a un tavolo, continuano a chiacchierare; la donna «non ama il gioco, l’illusione, il sogno», ossia tutti gli elementi che permettono a Maria di continuare a esistere.
Ma, in questo viaggio a ritroso, a lei non interessano né la maestra né lo scrittore. Ferma sulla terrazza, dalla quale aveva visto il suo corpo senza vita riversato su grigie rocce, lascia libera la gallina che tiene in braccio. L’animale comincia a beccare sul tavolo ormai abbandonato, dentro i piatti con gli avanzi del pasto; sono gli avanzi del dialogo tra quei due personaggi bizzarri, la maestra e l’intellettuale, che la gallina becca senza interesse. Maria, a quel punto, scende dal terrazzo e se ne va.
Da questa breve analisi emergono comunque con decisione alcuni aspetti che troveranno ampio spazio nel corso della filmografia della regista. Non solo le strategie narrative della connessione tra il passato e il presente, e la memoria come luogo di indagine e comprensione del proprio vissuto, ma compaiono anche aspetti tematici ed elementi figurativi a Rosaleva molto cari. Si pensi ad esempio, alla gallina, animale spesso utilizzato nelle sue opere4 o alla condivisione di un pasto tra i personaggi del film5.
4 La gallina trova spazio, ad esempio, in Processo a Caterina Ross, Spartaco e Sulle strade di
Coppi. Rimando alle schede d’analisi alle pp. 47, 106, 140.
5 Il pasto come momento di condivisione trova ampio spazio nella filmografia della regista. Rimando al capitolo conclusivo a p. 235.
In conclusione, fin dalle origini del suo cinema Rosaleva ha avuto ben chiari argomenti e strategie narrative che, da quel momento in poi, avrebbe utilizzato per raccontare le sue storie.
4.1.2T
RILOGIALa Trilogia6 in Super8 sta molto a cuore a Rosaleva poiché ha sancito l’inizio della sua carriera da regista. I film che la compongono, Cornelia, L’isola Virginia e La borsetta scarlatta, sono stati girati tra il 1980 e il 1981, sono interpretati da Daniela Morelli, e definiscono il cominciamento di un percorso artistico e di un’amicizia tra le due donne destinata a durare fino ad oggi7.
In un articolo apparso su «La Stampa», Gianni Rondolino scrive:
I tre film da lei realizzati in Super8 nel 1981 – Cornelia, L'isola Virginia e La borsetta
scarlatta –, che compongono, più che una trilogia, una sorta di trittico sul tema della
femminilità, sono al tempo stesso tre ritratti di donna e tre diversi modi di rappresentare l'angoscia del vivere. Le tre protagoniste, l'una chiusa nella bianca e disadorna stanza d'una grande casa, l'altra smarrita nel vuoto di un'isola fantomatica, la terza vagante su una spiaggia deserta, vanno alla ricerca del proprio passato e delle ragioni del proprio presente. Lungo il filo dei ricordi, della nostalgia, d'un profondo disagio esistenziale, esse osservano gli oggetti, le persone, la natura, nella speranza, forse, di trovare una risposta plausibile. Ma ogni cosa pare sfuggire al loro sguardo intenso, mostrandosi nella sua semplice fattualità8.
In effetti sono tre cortometraggi in cui l’attenzione maggiore non è tanto sulle storie raccontate ma, piuttosto, sugli stati stati d’animo e sull’ambiguità tra ciò che è reale e ciò che non lo è, mettendo a tema l’interesse verso «l’insoddisfazione e la solitudine, il bisogno di ritrovare una parte del proprio passato, l’intrecciarsi di sogni e ricordi nella mente di una donna “tranquillamente assassina” »9. Inoltre, a ben vedere, sono accomunati da un dato importante: la menzogna.
6 Cfr. Filmografia, p. 249.
7 Per un maggiore approfondimento sul rapporto artistico e personale tra le due donne, mi permetto di rimandare al mio articolo Trasformiste ed eclettiche. Il percorso artistico di Gabriella
Rosaleva e Daniela Morelli, in «Arabeschi», 8, luglio-dicembre 2016.
8 Gianni Rondolino, Rosaleva il cinema dello sguardo, in «La Stampa», 9 novembre 1982, p. 20. 9 M. Calamia, Il cinema di Gabriella Rosaleva, cit., p. 44.
Cornelia racconta la storia di una giovane donna che una mattina decide di scrivere una lettera a sua sorella. Il film, in base al soggetto e al trattamento10, è strutturato su una serie di immagini che mostrano la vita di Cornelia ma che si presentano in totale discordanza con le sue parole: se da un lato la voce rievoca il passato e racconta un presente sereno, la colonna visiva mostra tutt’altro. Una casa vuota, asettica dove lei, unica abitante di quello spazio sgombro, si muove con lentezza e precisione. Quanto termina la lettera, la madre sta arrivando a casa sua. Nell’unico momento in cui la macchina da presa smette di seguire i gesti di Cornelia e inquadra la madre, qualcosa muta: al rientro nella stanza, la protagonista non è più presente, rimane solo una finestra aperta a raccontarci la conclusione di quella vita piena di menzogne.
Ne L’isola Virginia, la protagonista rivive i suoi ricordi d’infanzia prestando il proprio volto alla madre (Daniela Morelli interpreta entrambi i ruoli) o rubandole le parole. Il personaggio intraprende un viaggio di riscoperta della madre-scrittrice, cercando e ritrovando «le parole da lei sussurrate o da me immaginate». E la memoria spesso confonde le figure delle due donne, sottolineando la labilità dei ricordi e la loro capacità di restituire versioni distorte o confuse del passato.
La borsetta scarlatta, infine, è la storia di «una donna borghese colta [che] viene interrogata da un commissario di polizia perché sospettata di avere ucciso il marito trovato cadavere sulla spiaggia11», come scrive Rosaleva nel soggetto del film. Il testo prosegue: «Alla donna viene richiesta la ricostruzione delle ultime ore passate con lui. Mentre il commissario svolge l’interrogatorio in senso classico (indagine verbale dei fatti) lo spettatore accede a una “visione” dei fatti in senso più intimo e privato della donna. L’estraneità delle cose da lei evocate (ma forse solo in apparenza) provocano nello spettatore la perdita di “suspence” tipica del giallo. Ma gli elementi del giallo ci sono: il morto c’è e qualcuno l’ha visto».
Anche in questo caso, la discrepanza tra storia narrata dalla protagonista e storia mostrata dalle immagini crea ambiguità e mette in luce il tema della menzogna, prima evidenziato.
10 Cfr. Appendice sceneggiature Vol. 2, p. 375. Il soggetto e il trattamento presentano un andamento simile; secondo quanto riportato da Calamia, il film, invece, reca alcuni cambiamenti di contenuto e di stile. Spicca, in particolare, il finale che se inizialmente prevedeva Cornelia affacciata alla finestra, nel film, con il motivo della finestra vuota, si trasforma in un suicidio.
In definitiva, guardando ai tre capitoli della Trilogia, emergono diverse similitudini: sono tre film caratterizzati dalla presenza di una protagonista femminile che indaga sul suo passato, muovendosi nel presente, variandone alcuni aspetti e, probabilmente, mutandone il senso generale. Dalle descrizioni di Calamia, come dalle parole di Rosaleva12, a unire questi film è anche l’aspetto stilistico: ambienti scarni, tipici del cinema della regista, segnati da una scelta cromatica ben precisa come il bianco per Cornelia e una luce azzurra per Virginia e La borsetta. In questi spazi asettici e in questa vaghezza temporale, le protagoniste si muovono lentamente e la macchina da presa le scruta con attenzione. Fin dalla Trilogia, dunque, come nei film che seguiranno, il passato il presente e i sogni si intrecciano tanto da coincidere con una cronologia misteriosa, nella quale la dilatazione dei tempi è scandita dalla pazienza e dalla lentezza della macchina da presa.
12 Nell’intervista a «Cinema Nuovo», Rosaleva dichiara: «Sono una razionalista: amo l’essenzialità, le case grandi, vuote, bianche, con grandi finestre che guardano fuori. E fuori ci deve essere il deserto o il mare», p. 31.