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Cfr Ju M Lotman, La struttura del testo poetico, trad it., Mursia, Milano 1976 (ed.

Un’altra invenzione sprecata

dal tea tro italiano

Anna Barsotti

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sopportare. Ma allora sono come un papà che conduce il ragazzo […] irragionevole […], lo faccio illudere un po’ […]. Ma io so da principio che a quella donna non telegraferò più mai» (I, 7) – non dobbiamo dimenticare la priorità di Rosso rispetto a Pirandello. La mobilità invece della Signora dalla volpe azzurra e del Signore a lutto, tentata nel primo atto, si ripropone nel terzo, nell’ebrezza d’una utopia as- surda che coinvolge l’intero trio; ma anche questa s’arresta, con l’incursione dell’amante-padrone.

C’è soprattutto nel primo atto una convergenza di clima (anche atmosferico) e di ritmo drammaturgico, grazie pro- prio alle dettagliatissime ed eloquenti didascalie: il disegno dei tre caratteri/non più “caratteri” (è una delle invenzioni di Rosso) punta a simulare tre diversi stadi della Passione che suggeriscono mimica, gestica e intonazione ai rispettivi interpreti. L’attitudine ipnotica della Signora dalla volpe azzurra prospetta la prima fase d’un tormento provocato da un amore tradito, la fissità inebetita che segue immedia- tamente a una frattura («ha un tremito […] e risponde quasi automaticamente […] ripete il gesto», did., I, 3). Nella frenesia verbale-gestuale del Signore a lutto, invece, si manifesta l’ac- censione esasperata della sensibilità, che per reagire al fal- limento della passata esperienza ne inventa un’altra («piano, con voce tremante e una fissità da pazzo», did., Ibid.). Nei modi del Signore in grigio si scopre l’ultima fase del progredire del male – l’amore senza scampo –, una condizione di luci- dità artificiosa, simile alla miglioria della morte («ha cenni e moti, scrollate di spalle di uno che discorre con se stesso», did., I, 1).

Perfettamente sincopata la scena della proposta «piano sem- pre, ma angosciosamente», del Signore a lutto alla Signora: fra i due «Proviamo?» un «silenzio» (did., I, 7) occupato dall’an- dirivieni della Guardia e dal Grigio che finge di scrivere. La prossemica esprime lo stato sia dell’uno sia dell’altra: «Il Signore a lutto […] solleva [la donna] mettendole un braccio sotto l’ascella» (did., Ibid.). Anche la confessione-predica del Grigio è scandita prima da un «silenzio» e poi da una «breve pausa»; secondo Benjamin il tea tro epico «procede a scossoni»24, per-

ciò i processi osservati tendono a produrre quell’elemento di interruzione che, generando intervalli, tende a limitare l’illu- 24. W. Benjamin, Che cos’è il tea tro epico?, in Id., L’opera d’arte nell’epoca della sua riproduci- bilità tecnica, trad. it., Einaudi, Torino 1966, pp. 131-132 (ed. orig. 1955).

La grande trasformazione. Il teatro italiano fra il 1914 e il 1924 80

sione del pubblico. La perfettamente calibrata drammaturgia di quest’atto trova un punto d’appoggio nel personaggio mi- nore della Guardia, specie di anonimo e ironico raisonneur, che infine sintetizza: «Il telegrafo, di domenica: ecco: tele- grammi di Stato, nascite, morti, nozze e poi… pasticci» (I, 9). Marionette, che passione! oltre a essere un capolavoro drammaturgico è un’opera scenica tipica di Rosso: creatu- re ridotte a segni vestimentali sono colte quando dramma o farsa sono già consumati; quindi tutta l’azione si rivela esplicita finzione. Testo non facile, anzi difficile per la mes- sinscena; il rebus da risolvere è in quella Avvertenza per gli attori inserita dall’autore «in prima pagina del copione», che non a caso Talli avrebbe voluto pubblicare sul manifesto25:

Pur soffrendo […] pene profondamente umane, i tre protagonisti del dramma, specialmente, sono come ma- rionette, e il loro filo è la passione. Sono tuttavia uomini: uomini ridotti a marionette. E, dunque, profondamente pietosi! (p. 88).

Talli poi la fece scrivere sul programma di sala della prima milanese temendo la difficoltà di «non far ridere, recitando Marionette». Di fatto, parte del pubblico prese a ridere a metà del secondo atto, e rifiutò il terzo; perciò il direttore a Roma ne variò il finale: dopo l’uscita risolutoria del Signore in grigio, vediamo l’altro «restato solo […] nascondersi la testa tra le mani mentre cala il sipario»26. Tutto sommato

più convenzionale quest’esito – che comunque non convin- se il pubblico – dell’altro che con la rinnovata proposta del Signore a lutto alla Cantante, e il rimpianto di lei per colui che avrebbe potuto amare, andava nella direzione “aperta” di un “girotondo”.

D’altra parte, se «pura sintesi lirica» è definita da Piran- dello Marionette…27, il lirismo d’un linguaggio che è colore

25. Cfr. S. Lopez, Dal carteggio di Virgilio Talli, Treves, Milano 1931, pp. 146-147. 26. V. Cardarelli, Marionette, che passione! di Rosso di San Secondo all’Argentina, «Il Tempo»,

27 novembre 1918; ora in Id., La poltrona vuota, Rizzoli, Milano 1969, p. 148. In occasio- ne della prima romana, il critico legò il nome di Rosso a quello di Maeterlinck, trovando inadeguata la compagnia che, a suo avviso, non era riuscita a dare vita a personaggi, in fondo allegorici e irreali. Il problema di non far ridere il pubblico «più che non dovreb- be» si ripropose, del resto, per la compagnia Borelli-Beltramo (s.i.a., Teatri di Firenze,

Teatro Niccolini. Marionette, che passione!, «La Nazione», a. LX, n. 117, 27 aprile 1918).

27. L. Pirandello, Marionette, che passione!, «Il Messaggero», 1° aprile 1918; ora in Id., Saggi, Poesie, Scritti varii, Mondadori, Milano 1960, pp. 1007-1009. È il primo Pirandello,

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e ritmo musicale caratterizza (senza sintetismi) la ‘parabo- la’ di La bella addormentata, rappresentata con una prima ancor più divisiva al Teatro Olympia di Milano nel 1919, dalla compagnia diretta da Virgilio Talli con la stessa Ma- ria Melato cui Rosso la dedica. Di fatto i migliori drammi sansecondiani sono divisivi e ciò conferma la loro portata innovativa, che sconcerta gli spettatori coevi. Motivi-chiave: il destino, la prostituzione femminile come maschera alie- nante, l’esistenza come “avventura colorata” (specialmente) dalla Maternità. Quest’ultimo mitologema costituisce un’al- ternativa agli altri due, per la sua radicalità mediterranea, che nell’opera precedente è sottesa, e qui esplode nello stile fantasioso del linguaggio, dilagando dall’apparente dialogo negli Intermezzi e nel Preludio e rompendo virtualmen- te la quarta parete. Nel Leitmotiv del Destino si coniugano fatalismo verghiano-isolano e «feticismo delle forze socia- li potenziate dal capitalismo»28, da cui «la servitù umana

non trova modo di liberarsi» (I, 5). Il motivo della «merce amore»29 riguarda Carmelina – nome anagrafico della Bel-

la –, stuprata dal «Notaro tremulo» quand’era servetta della sua ‘notabile’ famiglia; ma ciò appartiene all’antefatto, che emerge a sprazzi dal qui e ora dello spettacolo. Qui e ora, nel pittoresco bordello del primo atto, è appunto la Bella Addormentata, bambola venduta per le fiere di paese dai magnaccia «Guanceblu» e «Nasoviola». Fin dall’inizio, an- cor prima nel Preludio, si distingue e si isola dalle squallide contrattazioni del suo corpo; mascherata e immobile, ripete formule di cortesia come caricata a molla, ma traspare della sua sonnambolica gestualità ed enigmatica espressione già un barlume di coscienza («Certo è che quando con qualcu- no si è avuto a che fare, vai e torni, sempre lì finisci», I, 3). L’autore mostra con la stilizzazione o l’esasperazione di tinte e di toni di avere sentito come il male di vivere contem- poraneo fosse conseguenza di una situazione storico-sociale disumanizzante. Dall’opposizione semantica binaria fra la

ancora legato nel 1918 alla visione autoriale dell’opera tea trale, la cui messinscena è solo «la traduzione che ne hanno avuto e ne avranno davanti gli spettatori. […] Questa dura una sera, più sere, una stagione, e passa; il libro resta».

28. Cfr. C. Cases, Introduzione a P. SzOndi, Teoria del dramma moderno cit., p. xxv.