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Sul passaggio dei grandi maestri in Italia rimando al Dossier L’anticipo italiano Fatti, documenti, interpretazioni e testimonianze sul passaggio e sulla ricezione della grande regia in Ita-

lia tra il 1911 e il 1934, a cura di M. Schino, C. Arduini, R. De Amicis, E. Egizi, F. Pompei, F. Ponzetti, N. Tiberio, «Teatro e Storia», n. 29, pp. 27-355.

Cambiar pelle. Genesi

di una trasformazione

Mirella Schino

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Tutto questo, le novità che venivano dall’estero, le novità della drammaturgia, le proposte nuove sembrava aggiun- gersi all’esistente, non scalzare la priorità del tea tro d’atto- re, ancora eccellente, nonostante qualche appannamento notato dai più critici.

Bisognerebbe esplorare a fondo anche un altro fenome- no, uno dei più interessanti di questo periodo: le riviste. Spesso pensate dai e per i letterari (per pubblicare i loro drammi, per offrire spazio alle loro recensioni e idee di tea tro), si muovevano anch’esse all’interno del tea tro così come era. Soprattutto verso la metà degli anni Venti, in con- comitanza con il breve ma significativo episodio dei tea trini d’arte, ne nacquero e morirono rapidamente parecchie: espressione di irrequietezza, desideri, aspettative, propo- ste. Nessuna, per quanto bella o interessante, mi sembra avere avuto la forza innovativa e la volontà di essere uno strumento di cambiamento completo che saranno proprie ai primi anni di «Scenario».

Molte personalità o novità di questo periodo saranno forzatamente arruolate in futuro nel campo dei “preceden- ti” della trasformazione – come è il caso dell’attività di Vir- gilio Talli e, in parte, anche di Tatiana Pavlova. Si tratta di acquisizioni a posteriori, sempre un po’ rischiose. In parte interna a questa categoria di “precedenti” può essere messo perfino il primo finanziamento pubblico al tea tro, nel ’21. Sicuramente importantissimo, non è però certamente il pri- mo passo della storia futura. È un episodio isolato, ancora poco definito. Alla fine, si configurò come il contributo ad una compagnia ottima e nella tradizione, diretta da Talli.

C’è stato poi un avvenimento simbolico: il trasferimento a Roma nel ’25 di quello che era stato l’organo di battaglia e di associazione degli autori, la SIA, la società italiana de- gli autori. Oltre a trasferirsi, la SIA cambiò nome e inten- ti. Cambiò radicalmente anche il modo di coalizzarsi degli autori, di far fronte comune, di costituirsi in categoria. Il mondo che si era sedimentato a partire dalla gestione di Marco Praga scomparve.

Una digressione sui “maestri”

Dobbiamo ancora fare i conti sul modo in cui si è realmen- te conclusa la lunga tradizione del tea tro d’attore italiano, quella a cui la “grande trasformazione” ha messo fine.

La grande trasformazione. Il teatro italiano fra il 1914 e il 1924 18

Molti studiosi, in questi ultimi anni, se ne sono occupati, talvolta è stata individuata la debolezza della nascente regia italiana nella incapacità di giungere a un compromesso o a una collaborazione con l’arte degli ultimi grandi attori del passato, da Ruggeri alle sorelle Gramatica.

Il problema, mi sembra, riguarda però più un atteggia- mento storiografico che la pratica più o meno impetuosa, rivoluzionaria o arrogante dei giovani registi. Il pensiero sul tea tro italiano dei primi decenni del Novecento forse non ha fatto abbastanza i conti con la grande questione ita- liana: che non è quella di essere arrivati “in ritardo” a que- sta trasformazione, ma di esserci arrivati senza che ci fosse, da parte della gente di tea tro e poi di noi studiosi, quella riflessione sugli elementi di continuità tra tea tro d’attore e tea tro di regia che era stata invece di tanta importanza per i più rivoluzionari maestri di tea tro novecenteschi.

Apro quindi una digressione, breve e necessaria. Riguar- da i grandi maestri: da Stanislavskij a Craig, da Mejerchol’d a Reinhardt o a Copeau. Ne conosciamo bene la portata rivoluzionaria, i cambiamenti che hanno operato, l’estetica rinnovata, la imposizione di un “autore” anche allo spet- tacolo, imposizione che ha permesso finalmente di omolo- garlo alle altre arti, la forza teorica. Coniugati a una serie di cambiamenti istituzionali – primo tra tutti finanziamenti statali al tea tro – sono alle basi della trasformazione nove- centesca europea.

Più raramente teniamo conto di due altri loro aspetti: il primo è una riflessione sul tea tro del passato – in un certo senso possiamo pensare a loro come ai primi veri storici del tea tro19. Di questa riflessione sul tea tro del passato fa spesso

parte l’analisi anche dei Grandi Attori. Sono le figure che dominano quello stesso spazio a cui i maestri ambiscono, ma non per questo sono osservati con minor cura e rispetto. C’è un desiderio di capire, non di giudicare. Forse anche un desiderio di riprendere, trasformandoli, alcuni aspetti salienti. Molte di queste analisi sono famose, come quella 19. Rimando per questo aspetto di Craig a un saggio di Lorenzo Mango, In dialogo con la storia. Craig, il documento e la cultura materiale del tea tro, di imminente pubblicazione nel n. 40 di «Teatro e Storia» all’interno del Dossier «The Mask». Strategie, battaglie e tecniche

della «migliore rivista di tea tro al mondo», a cura di M. Casari, M. Cristini, S. Marenzi, G. So- fia.

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dell’arte di Salvini che fece Stanislavskij e poi, sulla sua on- da, Vachtangov; il modo in cui Copeau e Mejerchol’d e di nuovo Stanislavskij e Craig parlano della Duse; le riflessioni sempre di Craig su Ellen Terry e su Irving; le sue collabo- razioni o progetti di collaborazione con la Duse e con altre grandissime attrici, da Ellen Terry a Sarah Bernhardt20.

Tendiamo a guardare queste collaborazioni come a falli- menti esemplari, ma andrebbero forse considerate anche diversamente – anche i lavori più tormentati, come le colla- borazioni tra Mejerchol’d e Vera Komissarževskaja, e quella tra Craig e la Duse.

Il secondo aspetto che tende a sfuggire nell’opera dei ma- estri è la presenza, all’interno delle più estreme innovazioni di alcuni di loro, di prassi che potrebbero essere considerate degli equivalenti, per quanto radicalmente trasformati, di caratteri propri al precedente tea tro d’attore. Scuole, labo- ratori, Studi, furono anche questo, vennero – anche – dal desiderio di riformulare e ricreare quella separatezza, ri- spetto alla vita normale, che era tanto caratteristica, e tanto pesante, per il tea tro degli attori. I maestri ricrearono una differenza tra la vita nel tea tro e quella fuori, che era voluta e ricercata, e non subita, come era stato in passato. Per farlo, svilupparono, tra le altre cose, prassi di lavoro durature nel tempo (prove sterminate e forme peculiari di pedagogia) e anche, talvolta, una tendenza a costruire tea tri in cui gli attori condividevano una lunga durata nel tempo, e non so- lo una attività comune per un singolo spettacolo – proprio come aveva fatto il “vecchio” tea tro21. Con questi equivalenti

i maestri, a modo loro, creavano ponti proprio laddove di- struggevano.

Tutto questo – molto più dei principi estetici oppure or- ganizzativi, più dei nuovi valori e delle nuove pratiche – è quello che è mancato all’Italia, non solo negli anni del 20. Sulla tentata collaborazione con Sarah Bernhardt per un Hamlet, senz’altro la meno

conosciuta, cfr. S. Marenzi, Gordon Craig e Sarah Bernhardt. Progetto per un Hamlet, anche questo di imminente pubblicazione nel Dossier su Craig del n. 40 di «Teatro e Storia» (cfr. nota precedente).