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G Livio, La scena italiana Materiali per una storia dello spettacolo dell’Otto e Novecento,

La grande trasformazione. Il teatro italiano fra il 1914 e il 1924 152

Talli almeno a partire dal 1900 ha una sua assoluta unicità e pone più questioni centrali: quale complesso, per quale attore, per quale repertorio, in quale contesto produttivo e dentro quale tradizione.

Ho indicato come “prove di riforma” i tentativi compiuti da Virgilio Talli per inserirsi in un processo di rinnovamen- to della scena italiana e, in particolare, della compagnia di ruolo capocomicale; ho individuato nell’arco di tempo fra il 1909 e il 1923 il momento di maggiore concentrazione di questa attività, non dimenticando tuttavia, che il processo ebbe inizio ben prima.

Primi passi

Il 1909 è per Talli è una data cardine, ma è bene fare un passo indietro per verificare in cosa consista la discontinu- ità che in quell’anno si verifica e in quale contesto di forte continuità con il suo percorso precedente si colloca. Nato il 1° agosto del 1858, nel 1909 Talli ha alle sue spalle ventisei anni di tea tro professionistico in cui è attore e diciassette di capocomicato. Dal 1883 (anno della sua prima scrittu- ra con Adelaide Tessero) Talli è brillante e, anche quando diviene capocomico nel 1892, resta a recitare, fra l’altro apprezzatissimo, in quel ruolo. È ancora brillante nella sua impresa forse più famosa, la formazione della compagnia Talli-Gramatica-Calabresi nel 1900. Ed è qui che, come di- rettore capocomico, elabora le premesse di quanto farà poi8.

Tre sono essenzialmente gli aspetti che costituiscono il fon- damento del suo progetto di lunga durata: la costituzione di una compagnia di complesso formata da attori giovani9;

la creazione di un repertorio vario che spazi dal dramma alla commedia, non necessariamente italiano; l’avvio di una riforma dei ruoli che si realizzerà solo in seguito. Sono que- 8. Rinvio anche a D. Orecchia, Cronache d’inizio Novecento. Appunti su Alessandro Varaldo e l’attore, «Acting Archives Review» n. 3, maggio 2012, pp. 92-96.

9. «La nostra compagnia sarà un complesso d’artisti omogenei, giovani, studiosi, por-

tanti ciascuno la propria parte di valore, di energia, di entusiasmo e di fede a profitto dei nostri lavori. Ciascuno avrà la conoscenza esatta delle proporie responsabilità, non ignorando che le responsabilità artistiche non si compongono solo di doveri austeri, ma altresì di diritti sacri. Non si tratterà insomma di una delle solite compagnie nelle quali gli artisti debbono servire ciecamente una prima donna o un primo attore; ma di una compagnia che darà campo a ciascuno di incidere e di fare valere la propria forza»: V. Talli, Lettera a Stanis Manca, Spezia 15, conservata presso la Biblioteca del Burcardo, sezione autografi, cartella Virgilio Talli, proveniente dal fondo Stanis Manca.

Virgilio Talli.

Prove di riforma

Donatella Orecchia

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ste tre linee lungo le quali Talli continuerà a muoversi per tutta la sua carriera artistica e alle quali, a partire dal 1909, si aggiungeranno alcuni importanti e ulteriori elementi: la trasformazione del ruolo di direttore (Talli abbandona il capocomicato e diviene scritturato), la ricerca di una condi- zione economico produttiva più sicura e stabile sotto la cui tutela proseguire i tentativi di riforma; l’incontro con una nuova drammaturgia italiana (i grotteschi), che via via si fa banco di prova privilegiato della ricerca.

La riforma dei ruoli

La storia è lunga. La riforma dei ruoli è da anni invocata da una parte delle forze in campo nella società tea trale ita- liana: dagli autori, soprattutto, da parte della critica, dai proprietari dei tea tri. Eppure, tutti ben sanno che non può essere una battaglia né facile né breve. Porre la questione reale e concreta dell’abolizione dei ruoli a inizio Novecento significa mettere in discussione la struttura portante della compagnia capocomicale all’italiana sia per il singolo atto- re sia per il sistema economico organizzativo complessivo. Il ruolo10, come scrive efficacemente Cesare Dondini nel

1905, è per il singolo attore il primo modo di inserirsi all’in- terno della tradizione del linguaggio usato e di confrontarsi con chi, nella storia del tea tro, in quel ruolo ha recitato se- gnandolo con il proprio tratto: è «ciò che possiamo fare e che ne è concesso di fare per patto stabilito; la espressione dell’arte nostra; il portato dei nostri studi, delle nostre fatiche, spes- so delle lunghe sofferenze; la affermazione del nostro essere artistico (a volte del nostro genio); la misura della nostra personalità di comico, il nostro patrimonio artistico»11. Ecco

poi, però, che se il ruolo è la grammatica e la sintassi di un linguaggio artistico, è d’altra parte anche l’elemento fon- dante della struttura economico-organizzativa all’interno della quale quel linguaggio si esprime: la regola in base alla quale vengono scelti e scritturati i comici, vengono stilati i 10. Per una storia dei ruoli tea trali rinvio a C. Jandelli, I ruoli nel tea tro italiano tra Otto e Novecento, Le Lettere, Firenze 2002.

11. C. Dondini, Per le “parti”, «L’Arte drammatica», 25 marzo 1905, p. 3. È il 1905 e Cesa-

re Dondini interviene sull’«Arte drammatica» con una serie di articoli in difesa delle parti (termine che predilige rispetto a quello di ‘ruolo’) e contro chi, troppo affrettatamente, si sta invece facendo sostenitore della loro abolizione.

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contratti e decise le paghe, si scelgono i copioni e si assegna- no le parti, si creano le gerarchie e si definiscono i limiti e le possibilità di ciascuno. A differenza, per esempio, delle regole grammaticali, retoriche, metriche o anche di genere, il ruolo è pertanto una norma che pertiene sia al linguaggio sia all’organizzazione materiale e ai rapporti economici che all’espressione di quel linguaggio sono sottesi. Proprio per questo motivo non può, nonostante le dichiarazioni in tal senso, essere eliminata d’un tratto e con leggerezza. No- nostante il fatto che già a partire dai primi del Novecento il criterio di distribuzione rigoroso di ruoli precisamente definiti sia venuto meno12 e che questo sia l’indice di un

graduale mutamento delle consuetudini tea trali, tuttavia non è la fine di quel sistema.

Quando si ricorda Virgilio Talli come colui che avrebbe dato il «primo colpo di piccone al baluardo dei ruoli»13, non

lo si fa quindi perché sia stato effettivamente lui il primo a porre la questione, quanto piuttosto perché è stato colui che più radicalmente ha messo in discussione la regola e insie- me il sistema linguistico a cui quella regola era funzionale e, soprattutto,colui che ha dato forma concreta a un’alter- nativa di regole, proprio perché concepiva un’alternativa di linguaggio: il complesso a direzione esterna «dove tutti gli artisti accettino di fare oggi il protagonista nel lavoro di A. domani il generico nel lavoro di B.»14 invece del principio

dei ruoli gerarchicamente intesi.

Tutto ciò non significa ancora realizzare una vera e pro- pria abolizione dei ruoli, per altro impraticabile in quel pe- riodo storico; significa al contrario mantenere un rapporto dialettico con la regola nella tensione a trasformarla piut- tosto che a negarla del tutto.

Ed ecco la costituzione di compagnie nelle quali Talli adotta soluzioni diverse per forzare il sistema dei ruoli e renderlo flessibile. Una prima soluzione è quella di attri- buire il medesimo ruolo primario a più attori: nel 1908-9 12. Accade così che già nei primi anni del Novecento, come denuncia sempre Dondini,

nonostante il permanere della regola di base, il criterio rigoroso di distribuzione di ruoli precisamente definiti e intesi come assoluti non sia più rispettato: un attore può essere scritturato contemporaneamente come “primattor giovane e primattore” oppure come “primattor giovane, primo amoroso e parti importanti”.

13. S. Tofano, Il tea tro all’antica italiana, Rizzoli, Milano 1965, p. 36. 14. Pes, Del progetto di Talli!!, «L’Arte drammatica», 19 dicembre 1903, p. 1.

Virgilio Talli.

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nella Talli-Re Riccardi-Reinach il ruolo di prima donna è attribuito a Edvige Reinach, Lydia Borelli e Maria Melato; nel marzo del 1918, completando la compagnia Suvini–Zer- boni–Chiarella, che poi rimarrà pressoché invariata anche nell’esperienza della semistabile-romana, Talli scrittura ol- tre Berti e Betrone anche Ninchi nel ruolo di primo attore. Una seconda via è quella di portare i suoi attori a recitare in parti non corrispondenti al ruolo in cui si sono forma- ti: Maria Melato, ancora giovane attrice, interpreta spesso parti da madre (è Magda in Casa Paterna di Sudermann nel 1910, Bianca Querceta in La porta chiusa di Praga nel 1913, Doretta Dori ne I capelli bianchi di Giuseppe Adani nel 1915, Claudia da Montefefranco in Maternità di Roberto Brac- co, l’anziana Signora Frola del Così è (se vi pare) nel 1917); nell’ottobre del 1915 a Milano la compagnia recita l’Aigrette di Dario Niccodemi e Betrone, allora già primattore, ac- cetta a malincuore la decisione del direttore che gli affida la parte dell’amante, tradizionalmente assegnata al primo attor giovane o al generico15; pochi giorni dopo sempre

Betrone sarà il protagonista di Zitella di Bertolazzi, «parte di vecchio e comicissima» per lui non così consueta, accanto a una Melato singolarmente nei panni di attrice comica.

Altra soluzione ancora è poi quella di forzare i tratti tra- dizionalmente intesi di un ruolo particolare attraverso la commistione con uno diverso (è il caso del brillante e del promiscuo) o ancora di mettere in discussione le gerarchie interne alla compagnia senza per questo cancellarle com- pletamente16.

Inoltre, intrecciando due diverse logiche, flessibilità del campo di competenza dei ruoli e della loro distribuzione da un lato e distinzione degli stessi in fasce (primari e se- condari) a cui fare riferimento per la paga dall’altro, Talli apre la via concreta per dare forma a ciò che nel corso degli 15. Enrico Polese commenta: «Virgilio Talli nelle distribuzioni è molto più fortunato di

tanti suoi colleghi perché a lui è permessa e riconosciuta una maggiore libertà di distri- buzioni. […]. Dicono le solite voci indiscrete che Betrone dalla distribuzione dell’Aigrette si lamentasse…»: Pes, Cronaca dei tea tri milanesi, «L’Arte drammatica», 9 ottobre 1918, p. 1