mi chiamò in fua cafa , e poi rimiro il modo, con cui vivo in fua cafa . Quali che nella fua cafa non altro avefsi io a cercare , che, o il mio comodo, o il mio vantaggio , o il mio piacere , tutt’ altro mirincrefce, che non fi ordina a contentare il mio fenfo , e ad appagare il mio difio . E pure nelku fua cafa non mi chiamò Iddio al godimento , ma al patimento ; neppur volle, che in effà avefsi io a contentar le mie brame , ma a crocifiggerle. Perche anche Voi fiate a parte di quefto mio in terno rammarico, che poi al fine riulcirà pur’ an che noftro comun confinolo ; contentatevi , o Pa dri, e Fratelli, che in quefto giorno io vi pro ponga quefte due fole verità , dalla pruova delle quali verrem poi tutti aconofcere quel, che Iddio da noi pretefe , chiamandoci alla fua cafa ; quel, che Iddio da noi riceve , abitando nella fua cafa. Son’ effe : Nella Religione fi entra a patire , noto a godere ; farà il primo punto : Si entra a patire per Dio, per godere con Dio ; farà il fecondo .
Se nella cafa della Religione noi non entriam da Padroni , ma fol tanto da Servidori ; quefto fol bafta, perche ci rendiam pienamente convin ti , che noi entriamo in effà a patire , non a gode re . Lofteffonome di fervitù porta feco il pati mento; poich’ eflendo ella di miferie piena , co me chiamolla il Principe della Romana eloquen
za , ornnis fervitus mifcra. ejt, ne fiegue, che fia.< cìc.Phi- uno flato di angofee , ed un’efercizio dì pene . hP-1O- E tanto più poi , quando noi qui entrammo, non per violenza altrui , ma per noftra fola elezione ; eh’è quanto dire , eh’ effendo noi liberi nel
4 ragionamento
I.do, preferimmo alla libertà , che godevamo in
eflò, la fervitù , a cui ci foggettammo nel Chio-
ftto . Ma quello, anzi che ci mitighi il noftro pa
tire, più tofto ce l’accrelce ; poiché, allo fcrive-Ambrof. re di S. Ambrogio, Servitù; hberis omni jtippiicio
Offe3. gravior ; effendo elfo un lervir di perlone , cheu
non nacquero per lervire ; e perciò loro fi rende altrettanto più penoio, quanto fùgià più libero il lor fervire . Ma quello, che più da predo con vince chi men fi arrende, fi è il riflettere la con-
dizion del Padrone , nella cui cafa fiam noi entra, ti a lervire. Egli è un Padrone, che non ìftiè mi ca nel mondo per godere . Tutto il fuo vivere fù un’ intreccio di angofee infieme, e di pene . Nac que tra le miferie, ville tra le afflizioni, morì tra le Croci. In maniera, che alla perfine , fé voll’en- trare in quella gloria, eh’ era pur fua , gli fù di uo po prima paflar per le molte avverfità , patir mol te ambake , e foftxncYe ftravagantiflime peno» lac.14.16, Nonne li ac oportmt pati Qhnfium, & ita intrare in glo
riano fuamì Or come mai potrà aver fronte il Servi
dore di voler’egli conleguire ciò, che confeguiE non volle il fuo Padrone ? O pure, com’egli po trà efler mai di sì grofiolana mente, che creda..-, potere aver luogo in quella gloria lenza fuo alcun difaggio , quando, ed il Signor di effa ; e ’fino Sovrano, vi entrò con tanti Ih enti ? Nò certamen te , non è da crederli da Como, che à fior dì lenno incapo, e lume di fede nell’animo; perche, Nota J0.1n.i3.i6 ejf J trains major Domino fuo . E tanto più verooeno-
fa , anzi temeraria, e fcandaiofa , farebb? poi la nolrra pretenzione, quando noi voleffimo ancor’
avere la sfacciataggine di foflenerla in cafa di quel
me-AL CHIOSTRO. s
medelìmo Padrone , cui Riamo in attuai fervigio feguendo infìeme , ed imitando s eh’ è quanto di re , in faccia fua voler noi godere, quando egli pena j alla fua vifta voler noi oziare, quando egli inda; e quafi quali a fuo difpetto voler noi {guaz zare , quando egli in fino boccheggia, agonizza-, e muore.
E le noi pur fìamo sì dilìcati di genio, chc_s pretendiamo elfer membri coronati di fiori lotto un Capo coronato di fpìne;ch'era lo fconcerto ben “
vergognofo , che rinfacciava a tutti gli antipatici
del patire il grande Abate di Chiaravalle ; pudeat fub Capite fptnofo membrum effe delicatum ; fe noi di
co pur fatuo di quefto genio in quell’ ora , ram- mentianci almeno di qual genio eravamo, allora
quando venimmo a ricovrarci tra quelle muri- , e per qual fine fuggimmo gli aggi del mondo, per vivere tra Vorridczzc di quello Chioftro . Sù , eiafeuno un’occhiata a fe ftefio, e veda qual fu,
e veda qual’ è ; e con un confronto tutto a propo
sto , e tutto a tempo, o fi uniformi alla bella_i idea , che allor fi formò del viver fuo , o fi ver
gogni della lconcertatifsima copia , che or fi dis vela nel fuo operare . Allora egli, non a dubbio, concepette alti difegni di Calvarj, e di Croci ; allo ra formò in fe ftefto vaghe profpertive di carnifi- cine j e di piaghe ; allora potè dire di fe medefitno quello, che di un Sacerdote, che voglia corri- fponderealla fua divina vocazione , fcrilfe Pietro
Blefefe : Sacerdotem hoc [entire eportet , quoti & i» pct. Bie£ Chrijìo ]efu , non foium ut [e per humilitatem , exina- epilhxj.
niat, fed ut Qrucifixtonem Domini reprafentans mata e]tts
portet
in torpore fuo} & in ara cordis feffnmReg. Mi-
li im. cap. 2. mini. 2.
6 RAGIONAMENTO I.
Domino cruciai . E perche dunque prefentemente non fare quanto allora fi determino di patito ? Perche ora fgomentarfi alle goccie , quando allo ra fi folDÌravan diluvi di fangue ? Perche ora pal pitate a’ flagelli , quando allora fi mendicavan patiboli ? E in fatti, fe il grande Arfenio , già dalla imperiai Corte di Teodofio ritiratoli nel fuo Diferto, a fe fteflocotidianamente dimanda; Arfini, ad quid venifii ? Se il grande Abate di Chia- ravalle , dagli aggi della fua cafa lontano , e fe- polto nel folitario fuo Chioftro , fovente fe fteflo interroga ; Bernar'de, ad quid veniftft Bene à ragio ne, così l’un , come l’altro , di rifponderfi , o
dirli;
Vt crucifìgar ; ut cruciftgar. E vuol’altro li gnificare la Penitenza, che qui noi venimmo a fare delie pallate colpe, che già nelfecolo com mettemmo ? Non pofsiam negarlo , che interro gati, guandogiàcercavamo veftir le fagre lane, che or ci ncuoprono , perche voler noi qui addof- farle , perche volere qui vivere ? Per far peniten za de’noftri peccati, era la noftra ingenua riipo- fta ; ed è per l’appunto conforme a quello, che», la noftra Santa Regola c’ infinua , dover noi aver nell’ animo , quando il noftro rigidifsimo Inftitu- tocerchiam di abbracciare . Ad lumeOrdinerà Mi-
nimorum, Quadragefimalis vita zelo t & mafins poe- nitentia intuitu , migrare cupientes. £ fi può dar pe nitenza , fenza patimento di chi la fa ? Si può go dere , dove fientra per tormentarli ? Si può non patire, dove fi viene per piagnere? Quella fo la confolazione può darli, il non eflèTvi con-t h &lcon-t; ? aw‘°n? n Qi’nd*’ a ciò Per avventura allu-Joo.6.9.
dendo il Pazientino , dicea
Et qui caepit,*--AL CHIOSTRO. 7
ìpj£ me conferat •.. h<ec rnibiJit conjolatio , ut affligcns 7t,e dolore , non pareut . E \ uol dire ; Io così avida
mente chieggio la perfeveranza delle mie peno, che , fuor della loro continuazione , non truovo altro follievo, che mi conloh . Difidero, cho Iddio non perdoni a’ miei patimenti , perche per doni a' mìei peccati ; che non balli quella mano, con cui mi sterza, perche tenga alzata anche quel la , con cui mi aflolve ; che profiegua tuttora a fardi me lcempio crudele, perche infine faccio verlo ci me pietà amorofa. E quello volea pur’
anche dire Tertulliano ; omne deliftum, aut venia Termi. de expurigit, aut piena ; venia ex cajììgatione, pcena. ex \CIt- damnattone. Iddio, o perdona 1 noftri falli, o li punifce ; fc li perdona , qui ci dà aa patire ; fe li pu mice, ivi ci darà da penare ; -uezfia ex cajligatio- ne , pcena ex damnattone . Se qui dunque vogliam foddisfare de’ noftri falli ij fio, qui biiogna pati re , fe qui bramiam pagarne le pene , qui è nicil- fario penare ; le qui vogliam farne la penitenza.,, qui deggiamo avidamente cercare il patimento.
E cosi pure arriverem noi alla noftra fantifi- cazione , eh’è quella , a cui deggiamo afpiraro, cr colla penitenza , che facciamo delle antiche colpe, or coll’acquifto, che proccuriam di fare dì tempre nuove virtù . Perche entrammo qui noi, perche? Per efler buoni Criftiani ? Poteva mo efler anche nel Secolo . Per efier buoni Eccle- fiaftici ? Potevam farci anche nel Clero. Dunque altro fine più alto da noi fù intcfo, altra operai più degna da noi fù ìntraprela , quando , abban donando e cafe e congiunti, e patria ed amici,
e roba c pofto , qui ci ricovramtno , a viver
8 ragionamento I.
tra le mendicità , ed a refpirare tra le miferie . Il noftro fine fù di farci Santi ; di acquiftare quella^ perfezione, alla quale ci obbligammo nella no- ftra folenne profeflìone; di camminar continuo, e pervenire a quella intima unione con Dio, nella quale eflenzialmente la perfezione confitte , e co me in fuo ultimo grado, fi contiene la Santità- Or come pofsiam noi farci Santi ? Anzi, a dir me glio ; come può Iddio fantificarci ? Forfè in altro modo , che fia diverfo da quello, con cui fantifi- cò il fuo propio figliuolo ? E’ pazzia il penfarlo . Veggiam dunque; com’egli fantificò il fuo fi-Joan.1o.56 glio • Quem Paterfanttificavit, fentiam per mez zo dell’Evangelifta Giovanni ; Santtificawt euni-, hoc efi, fanxìt facrificari pro mando , afcoltiam per Theophyl. la Chiofa, che ne fa Teofilato . Dunque fantifi-
cazione, e pafsione furo» finonimi in Crifto; e quando egli dal Divino fuo Genitore fù fantifica- to nel mondo, non fù altro , che l’efler dato alle pene , alle carneficine , alle morti. Sull’Aitar del la Croce fi offerì in perfettifsimo olocaufto, per mezzo di una piena di dolori per gli peccati degli uomini; e ciò fù l’efler fantificato dal Padre. Qaem Pater fanffificavit. Santtificavit eum , hoc efi, fanxìt facrificari pro mando . Efler noi Santi, e non pattar per la ftrada del patire; voler fantificarci, e fuggire il taglio del dolore ; efler perfetti, e non voler’ ettere tr.bulati ; egli è sì fattamente impof- fibile, come voler’ etter mondi , fenza entrare neh acqua, che ci purifichi; volere fpiccare al Cielo,1 volo fenzaaver penne, che ci formino 1 ali ; voler nfplendere col luftro delle virtù, fen za pattar per le fiamme, che c’illuftrino le azioni.
AL CHIOSTRO. 9 Qui fiarn noi in un campo di battaglia, dove non mancan mai, o imbofcate fegrete, che ci apparecchiano colle infidie le cadute , o aflàlti {coverti, che ci minacciano colle violenze le per dite , ofcaramucce, che ci debilitano l’efercito, o zuffe, che ccl tagliano a pezzi. Ora inforgo una paffionc al di dentro, e tutto ci mette in ri volta ; ora una perfecuzione al di fuori, e tutto ci rivolge in confufione. Gli appetiti, non per fettamente domati , da una parte c’inquietano co’loro infiliti; le occafioni, non totalmentej fuggite, da un’altra ci moleftano co’lor folleti- chi. La Povertà ci fa patire , or colla viltà del ci bo , or coll’incomodità del veftito, or colla du rezza del letto ; la Caftità ci fa languire , or fat tola vemenza delle tentazioni, che ci tiranneg giano , or fotto il pefo delle mortificazioni, che ci difiànguano ; l’Ubbidienza ci fa penare , or col fare cofe contrarie al noftro genio, or collo {fare, dove noi vorremmo , or col non ottenere quello, che noi sì anziofamente vogliamo. E in tanto puoffi non patire tra tante contraddizioni, e tan te angofce ? Ma dall’altra parte puofsi eficr Santo
fenza tante contraddizioni, e tante angofce ? Sen za effe fi può vivere in Religione ? E fi può vive- re in Religione fenza voler’ efler Santo ?
Ma parliam pure più da predò a ciò , che pifi intimamente fi attiene alla noftra fantificazione. Ditemi ; confifte in altro , almeno integralmen te , la noftrt
virtù ? E le efercitarfi dr chiunque fia
Par. 1.
Santità che nel polleuimento virtù pofion mai, o acquiftarfi , o , noi, fenza patire? Nò, rifponde l’Autore di que' Sermoni, che van
fot-]
JO
ragionamento i.
fotte nome di S. Zenone , Vefcovo di Verona. ; Ve, No» wrwes poffunt 'ft virtù!", rerum dtjctpll-
■deI^'M«2» cotwerjwnemque) quufi quxdam follicitam “• ter, Patientia cufiodiret. E veniamo al particola
re delle virtù, che fonpiù propie del noltro na to , e fono comeeflenziali al noftro Pagro Inltitu-
to. Pofsiam noi oflervar la Povertà, lènza pati- re ? Avere tutto il noftro comodo, lenza che nulla ci manchi ; avere quanto ci viene in voglia di avere, onde di nulla abbisogniamo ; e voler dimoftrar di efler Poveri ? E’ polsibile ? Almeno colla perfezione di una intiera efattezza lopra-, l’oflervanza del voto ? E pure a ciò è tenuto, chi è tenuto a dover’ efler perfetto. Inoltre : Pofsiam noi olfervar Caftità, lenza patire ? E le corrifpon- denze di genio, che ci convien fuggire, e le con- verlàzioni di piacere , che ci bifogna lafciarc, e
le occhiate lubriche , che ci è nicifsità di frenare; fenzalc quali cole paffa pericolo, o di macchiarli, o almen di appannarli, il rerfo Ipecchio della pu rità di noftra vira; fon’elle colè, che poffòn di leggieri adempierli, lenza ribrezzo del fenfo, e fenza mortiheazion della carne? Più ancorai : Pofsiam noi offervare l’Ubbidienza, fenza pati re ? E quando deggiamo operare alla ritrofa del la volontà, che ricalcitra j anzi a difpetro dell’ intelletto, che ripruova ; e puredeggiamfarlo, non folamentc con fommettere il genio, ma_, pur anche il giudizio? E quando liam mandati, dove noi non abbiam compiacenza di ftare ■ o
pu-7t,a “ lod--E quando ci fara negato
che crediamo che et fta giuftamente dovuto; re ad.
AL. CHIOSTRO. XI reftando, o pofpofti a chi dovremo precedere, o repelliti Cotto dei moggio , quando dovrem ri- fplendere fepra il doppiere ? Senza una dura vio
lenza y che ci converrà fare al noftro cuore j al noftro fenfo? ai noftro fteffo giudizio, puofsi mai tutto ciò perfettamente offervare ? E pure deggiam’ oflèrvarlo , per effèr perfetti in quella., virtu , eh e la perfezione di tutte le altre religio- fe virtù. Che dirò della Pazienza , della Man- fuetudine, dell’Umiltà , della Raffègnazione , della Modeftia, del Silenzio, in fomma delia.» Carità , ch’è l’infegna della noftra Minima Reli gione? Notici converrà fovente patire , e Rife rire, per non romperla con chi forfè ci darà anche occafionc di perderla ? E la Mortificazione , sì in terna , sì efterna , puofsi ella mai praticare fen- za un continuo patimento , e della carne, e del fenfo ? E la Vita quarefimale, effènziale al no ftro Inftituto , come fi oflèrverà fenza patire ? Il dover paflàre le fettimane , ed alle volte anche i mefi, lènza veder nella menfa un piccolo pendo lino , che ci riftori almeno, fe non ci fazii. Il dover far palio nell’ olio , che ci debilita , nel Ta le , che ci macera, e nell’aceto , checieftenua; onde pofeia le podagre , che c’ inchiodano , le alme , che ci foffocano, i calcoli, che ci crucia no, le falfedini, che ci allebbrifeono, le febbri cttiche , che ci uccidono ? Quelta è la maggior penitenza, che noi ci prefiggemmo, in voler vcftire le noftre lane . E quella maggior peniten za puofsi mai ella adempiere fenza una mafsima pazienza, in Riferendone gl’ incomodi , i di
faggi , le penurie, i malori , le pene, le lidie
»or-tiene
12
ragionamento i.
morti ? Foenìtentia indiga admodum eft F attentiti, s. Anno- dicea perciò S. Antioco, <w« c»)«r operamperfict
ch.hon1.78 neutiquam pojfit. Patientia Fanitentiam perficit, &
(am , velut indice, efientat , prainfigni F attenua, redimitam. E con maggior chiarezza vicn detto
S.Zcn.Ser- ne’ Sermoni attribuiti al Vefcovo S. Zenone, ir.on.d’ePa- ~^rof ectofila Fatientia eft , ad quam prorfius rei omnts
fpeèìat, dubìum quippe cum nonfit, Spem, Fidem , }uftitiam, Humilitatem , Caftitatem, Frobitatem, Concordia, Charitatem , omnes artes , omnefqtte virtutes confiate non pofie fine eruditione, & frano • Eft enim matura fiemper , humilif, cauta, prudens, previde!, omni necejfitate contenta, quavisturbatio-
num tempefiate tranquilla. ..
Ecco dunque quanto nella Religion fi pati" fee, quanto appunto nella Religion fi travaglia., per acquiftar virtù, per far penitenza de’ peccati,
per divenir perfetto , per farfi Santo » per eflèr fi- mileaDio, che nella Religione è il Capitano, è il Maefìro, è il Signor nofìro . Ala ciò è altro, che patire per Dio ? Tutti patifeon neimondo, « quanto fon’efsi più grandi, tanto piùgrande- mente patifeono . Chi à nel mondo tutte le cole a fuo modo ? Chi non à nimici, da cui non ab bia a temere ? Chi à Miniftri da cui non abbia a loipettare ? Chi à Servidori, di cui non abbia., a dubitare ? Le fbagioni contentan tutti ? Le cani’ pagne fon Tempre fertili ? Le flotte ion fempre ricche? I Popoli fon fempre fedeli? Gli Eferciti fon fempre Vittorio!] ? Le Corone fon fempre co- antl • Tutti ounque nel mondo temono, e tut- JX'-'T” fien pur’efli Principi, Rc, tapc- n. fico pur Vefcovi, Cardinali, Pontefici;
AL CHIOSTRO; 13 lien Nobili, Cavalieri, Magnati; tutti ftan nel
mondo, an bilogno del mondo , e debbon paga re al mondo la penfion del dolore , ed il tributo del pianto . E quando altro non folle , quel nemo fìia forte contcntus, non bafta a comprovarci, che tutti patirono, non meno perciò, che anno, che lor fembra poco , che per quello, che non_> anno , che lor lembra tutto ? Ma che però ? Non tutti patìfcon per Dio . Chi patifce fotto la tiran nia dell’amore , per cui ofterifce in vittima il cuore, c mai non ottiene per gradimento uno fguardo ; chi fotto quella dell’ ambizione , per cui fi ftrugge in tutte Tore, e mai non vede quel momento, in cui Ila chiamato a regnare; chi fotto quella dell’avarizia , per cui Tempre fuda_» per fatollarfi, e Tempre lì truova più affamato ; chi fotto quella della gloria , per cui femore tra vaglia per rilplendere , e Tempre lì Tcorge attor niato di fumo ; chi in Tom ma fotto quella del di letto , per cui tutto fa per viver contento , c pur Tempre vive infelice . Privilegio egli è quello di chi vive in Religione , e vive a Dio , il patir tut to per Dio. E le lìa così , ione dimando Voi fteffì; come già il Patriarca S. Ignazio di Lojola dimandò una volta un Fratello Coadiutore della—. Tua Compagnia, che troppo lentamente fatica va , per adempiere un’affare, che gli era ftato impello dall’ ubbidienza. Fratello, diflègli, Voi per chi faticate ? Per Dio , rifpofe il Fratello . E per Dio, ripigliò il Santo , faticare sì freddamen te ? Per un Padron così grande , per un Signor così buono, per un Padre così amorofo, andar così lento, così (vegliato, così tepido , nel fer
r-i4 RAGIONAMENTO I.
virlo ? Padri, e Fratelli miei, Voi per chi patite? Vigilie sì tediofe , attinenze si lunghe , macera zioni sì continue, digiuni, flagelli, cilizj, per chi Voi li {ottenete ? Difaggi di povertà , adatti con tro alla continenza , umiliazioni di cervice, an-
negazioni di volontà , incomodità di ftanza, di veftimento, di cibo ; Voi per chi l'abbracciate ? Per Dio, direte tutti. Ediodirovvi, che tanto batta, per godere con Dio . Patir per Dio è il medefimo che goder con Dio. Son felici i pati menti, fon beate le calamità, quando fifoffron per Dio . Così fperimentollo l’Appoftolo in fej medefimo , e così in lui cel fe veder l’Autore de’ S.Zen.Ser. Sermoni, che portano il nome di S.Zenono. de jova. Clumat de profundis & ? et ulu s obrutus ccilumitatibus
bedtis, cum pro nomine Domini Idtrones in itinenbus t latrones inCivitatibus patiatur , cttm à iudais virgis ter cafus^nctufragio trino diluitur, cum infimi populifu ribonda temperate lapideis imbrìbus feliciter grandi-natur •
Qual’ è la contentezza, quale il godimento,