T
RAGIONAMENTI
PASTORALI
FATTIAL CHIOSTRO
DA MONSIGNOR
GIUSEPPE-MARIA PERRIMEZZI
PEi MINIMI DI S. FRANCESCO DI PAOLAVefcovo di Oppido.
PARTE PRIMA.
ALV EMINENTISSIMO
principe
GIAMBATTISTA
CARDINAL SALERNI.
/ zti t,Li«■IN NAPOLI MDCCXXIV. Nella Stamperia di Antonio Muzio Erede
di Michele Luigi.
or
Con Cioeno^i do' Superiori
ALL' EMINENTISSIMO
PRINCIPE
GIAMBATTISTA
CARDINAL SALERNI.
L’ AUTOR E.
ON è foltanto onorata am
bizione la mia, di voler Que
lle carte col gloriofo volino
nome fregiare , PRINCIPE
EMINENTISSIMO ; è pur’
anche giullizia, che al
me-defimo volino nome di far pretende, e la
penna, che le vergò, ed il Conl’elTo, che
cria le accolfe . Non à dubbio , che qua
lunque Opera , ancor ragguardevole , di
riputato e valent’ Uomo di lettere , recar
li debba a fregio , il portar nella fronte_j
un nome , di cui , e la Repubblica delle
lettere , e la Compagnia de’ Letterati, van
cotanto, e con ragione, fuperbe; poiché
la fama delle voRre illuftri azioni fu sì fo-
nora , che penetrò eziandio ne’ paeli, che
fon da noi lontani , e di collume , e di
clima : anzi fu ancor’ accolta tra gente_j,
ch’è da noi aliena, e di religione, e di fe
de. E fu sì grande il vantaggio, che ne_
acquiftò la Chiefa, che il
fupremo Gerar
ca di effa, in premiando il voRro merito
con quell’ onore , eh’ è il maggiore , la_,
Chiefa Reffa può dare , fi dichiarò, elfer
quello troppo inferiore ad adequarlo , ed
egli Reffo renderli perciò impotente a più
adequata mente rimunerarlo.
Efpreflioni così forti, come fmcere_,,
ballan fol’ effe, a formar di Voi un’ elo
gio, altrettanto per Voi gloriofo, quanto
vien elio inteffuto da quella bocca, in cui
ìa verità à il fuo trono , e pubblicato in
quel luogo , in cui la giuRizia ritiene il
\
fuo foggio. È pure fon’ effe inferiori a qua
lunque efagerazione, con cui poteffe inai,
o lingua parziale applaudervi, o impegna
ta penna lodarvi. Poiché chi non sa, quan
to Voi colla penna fudafìe , per ifchianta-
re in prima dal cuore dell’Oriente le fcif-
me, co’ volili eruditilììmi libri ; e quanto
pofcia faticafte pur’ anche colla lingua_,,
per ifveller la refia da’ primi capi del Set
tentrione , co’ voftri dotti e zelanti di-
fcorfi? E ne redo sì ben fervita la Chie-
fa, che Eccome nell’ Oriente mandò Ella,
addottrinate da Voi , nuove ed agguerri
te falangi, per ridurre quei popoli Traviati al fuo feno , così dal Settentrione ac-
colfe Principi umiliati tra le fue braccia,
che aggiunfero nuove corone al fuo capo.
vo-luto per premio delle fatiche , già fofte-
nute in tanti sì lunghi , sì travagliofi, e
sì replicati viaggi. Parlo foltanto di que
gli evidenti pericoli , a cui fovente lpo-
nefte la voftra vita, or camminando tra’
paefi , ove l’aere contaggiofo minacciava
a’ Paftaggieri in un refpiro la morte ; or
valicando monti, e felve , in cui gli uo
mini eran delle belve più inumani , e le
fiere eran dell’ altre fiere più fiere ; or
comparendo tra’ popoli fedotti, ed in cit
tà fofpettofe , in cui 1’ abito era un pro
cedo per
convincervi ,
ed il difcorfo era
una confefsione per condannarvi.
E pure Iddio sì miracolofamente pro
teggere lì degnò i voftri pericoli , come__,
pur troppo vifibilmente benedifie i voftri
travagli . Vi confervò Tempre illefo tra__,
mille rifchi, e vi ridufie trionfante su tut
ti gl’ incontri. Anzi, eftendo la voftra fa-
iute cagionevol molto , non meno a ri
guardo delle veghie per tanti anni fofte-
nute già negli ftudj, eh’ eran sì continui,
come propj, del voftro Inftituto, che a_»
cagion delle rigidezze, che fono sì infepa-
rabiii , come men conofeiute , nella vo
fra Religione ; pur
Voi
ritornavate
Tem
pre da que’ viaggi sì peno/ì , e sì intem-
peftivi, con temperamento più gagliardo,
e con afpetto più profperofo. Segno ma-
nifefto, eh’ erano a Dio sì gradite le vo-
ftre fatiche , come al Tuo divin Vicario
riufeivano accette ;
e
che ficcome quefti
le coronava con elogj inceflanti, così egli
le approvava con maraviglie perenni,
con miracoli cotidiani.
Qualora fo io parola del voftro me
rito , AMPISSIMO CARDINALE , al
qual’ altri pretenderebbe di far giuftizisLu,
in dedicando al voftro nome, altre Opere,
di Voi più degne j
non.ò certamente bi-
/ògno di andarlo mendicando dalle glorio-
fe gefta di tutti i Voftri ; ritrovandone in
Voi folo tanto, che bafta ad adequar tut
to quello fenza diminuzione, ed a forpaf-
far qualunque altro eziandio con eccelfo.
E pure tra’ voftri genero/ì Antenari ve_,
n’ à tanti, che acquiftaron colla Chiefs
non meno , che colla Patria , capitale sì
fmifurato di merito, ch’eifi foli baftereb-
bono a farne andare fa/lofa qualunque-.
E 1
da ogni uom,
che
fìa. delle antichità del
noftro Regno anche mezzanamente infor
mato , che fin dal tempo del Re Carlo
primo furon nella volira cafa fignorie di
più feudi , e baronaggi di molte terre.,?
Che fin dal tempo llelTo afeefero i voftri
Maggiori a’primi onori del real Configlio,
ed alle prime cariche di quelle nollre Pro
vincie ? Che dal medefimo Re ne furon_>
pur’ anche Cavalieri armati , perche fen
duti infigni nella gloria dell’ armi , e Mi-
niftri ne’ fupremi tribunali eletti, perche
nella feienza delle leggi peritifiìmi, fenza
mendicarne dalla protezione il fuffraggio,
e nell’ amminììlwinne della giulìizia in
corrotti , fenza fofferirne da qualunque.,
violenta palfione perturbamento?
E pure con gloria di antichità mag
giore fi leggon negli archivi del Regno
tre illuftri Baroni di volira cafa, annove
rati tra que’ Baroni , i quali, fotto del Re
Guglielmo il buono , contribuiron molto
nella gloriofa fpedizione di Terra fanta^;
e furon’ eglino Landolfo, Ugo, e Baldo.
Indi in foccorfo de’ Fiorentini, nelle ri
volture de’ Frefcobaldi, Gafparo fu
man
dato con Gualterio franzefe, e ne ripor
tò egli quella laude di gran Capitano-,"che
dalle penne, di que’ tempi gli fu giufta-
mente attribuita. Pofcia Tommafo Saler-
ni fu Maeftro Razionale della gran Corte,
carica molto {limata in quella Ragione^,
ficcome il fu prima Matteo, che fu pur’
anche Cavalier di Rodi ; e colla carica di
Ciambellano, cofpicua pur’ anche in que’
tempi , unì ancor quella di Camerlengo
della cafa reale.
Ma per riftrignerci a quel merito,
che colla Chiefa acquetarono i voftri. Mag
giori, ci lì para à’avanti quello Stefano,
che nel pontificato di Martino quinto fu
Prelato Referendario , e che fu di sì ma-
ravigliofa deprezza ed efficacia ornato,
che arrivò a componer gli animi del Pa
pa , e del Re Alfonfo, eh’ eran difeordi,
ed a metter fine alle lor differenze, che_.
fembravano interminabili . Egli perciò
fcriffe una elegantiffima Orazione, che ad
Alfonfo mandò, perche fortiffie della men
tovata concordia l’effetto difiderato. Sic
come pure un’ altra Orazione recitò nel
gran Concilio di Firenze, per la unione^
della Chiefs Greca colla Latina ;
per II,
quale altresì Voi, PRINCIPE EMINEN-
TISSIMO, imitando gli efempli de voltn
Antenati , e colla penna , e colla lingua,
vi liete cotanto, e sì gloriofamente , affa
ticato . Ed oltre a quelli , fuvi un’ altro
Stefano, il quale fu ancor Prelato, e col
Vicariato dell’ Imperio in Camerino finì
di vivere ,
Nella gloria delle lettere non fi vuol
tacere , quanto infigne fu quel Niccolò,
il qual nato da Francefco-Maria, e da Lu
crezia Azzia , Dama delle più chiare fa
miglie
di
Napoli,fi rendette pofcia cele
bre in tutte le fcienze , e colle lìampe_,,
fin dall’anno i 510. immortalò ilfuonome.
Ed in quella delle armi abbiam la Iplen-
dida teibmonianza, che fa il celebre Mat
teo di Capua di Georgino Salerni , nella
relazione , eh’ egli fcrilfe al Re Ferrante,
lotto cinque di Luglio Mei 1490., che nel
la real Cancellarla fi conferva , in occa-
fione di render conto di quanto nella-,
guerra di Otranto fi era fatto ; ove tra’
più valorofi Cavalieri, che in quella fpe-
dizione fi eran renduti ragguardevoli col
lor
coraggio, annovera Georginp, di
cui
efalta l’intrepidezza non men nell’impren
dere , che la fortezza nel fottenere, le più
ardue e perigliofe azioni , che partoriron
quella maravigliofa vittoria, tanto più pre
giata, quanto meno afpettata. Senza che
pattar fi voglia in filenzio quel Gafparo,
il
quale da Martino quinto , in età trop
po acerba , Capitano de’ Cavalli leggieri
eletto , diè pruove in poco tempo di va
lore invincibile, e di ben confumata pro
dezza .
_
Ma che an che fare tante glorie del
voftro ftluftre Cafato cnn quelle più lu-minofe, con cui Voi le ornatte, AMPIS
SIMO CARDINALE, e nella gloria del
le lettere , in cui vi rendette Maettro sì
riputato, ed in quella della Chiefa, in cui
fiete Principe sì eminente , ed in quell’
ancora dell’ armi, ove , fe non operafte-,
col brando , operafte certamente col feli
no, ed eflinguendo le fcintille di quelle—,
difcordie, che partorir poteano fiamme-,
inettinguibili a’ danni della Chiefa, e pre
venendo que* torbidi , che poteano
offii-fcare il fereno di quella pace, eh
è i P1U
bell’
ornamento , e della Repubblica , e,
della Chiefa ? Chi non farà dunque per
approvare il mio cordìglio , in dedicando
a Voi quelle piccole mie fatiche, quando
fi fappia, che in Voi fien così maraviglio-
famente unite , e fcienza , che fa cono-
fcerne il dono, e potenza, che può farne
protegger l’Opera, e benignità , che
farne gradire 1’ offerta ?
Si aggiugne pofcia il particolar rifpet-
to della penna, che vergò quelle carte»,;
e vo dir di me fìelfo, non potendo io cer
tamente dimenticarmi di quell’antica bon
tà, che vi
degnafle
di aver per me in ogni
dato, in cui amendue
ci
ritrovammo ; on
de la dolce e viva memoria
di
tanti miei
e tutti ancor fortiflìmi , doveri , è fiata»,
fempre in me un’ acuto incitamento a dar
vi alcun’ argomento , febben tenue e mi
fero , qual’ appunto provvenir potea dal
la mia debolezza , dell’ infinita gratitudi
ne, che dee nutrire un cuore, a Voi per
tanti riguardi obbligato . E quantunque»,
da me in altre mie Opere lìafi anche da
to al mondo un qualche faggio della mia
riconofcenza, ancor quando
Voi
non
era
vate per anche falito a quell’ altezza di di
gnità , in cui ora liete ; pur chi non sa,
che chi profelfa di effer grato, mai noru
fi fazia di confelfare almeno il fuo debito,
quando egli foffre la dura nicilfità di non
poter foddisfarlo ?
E per venir finalmente al ConfelTo,
ove accolti furono quelli Pallorali Ragio
namenti , par che tutti i riguardi, che in
elio fi unifcono, cofpirino infieme a fargli
volare fotto la vollra amorevole e beni-
gnilfima protezione. Effi furon recitati in
un Chioftro ; ed un Chioftro fu pur’ an
che il primo teatro, in mi le volìre vir
tù rapirono Earner di tutti , e le volfre
fcienze meritarono l’approvazione univer-
fale . Furon detti nella Provincia di Co-
fenza ; e quella fu per 1’ appunto quella^
fortunata Città, che ricevette in prima_.
la vollra nobil famiglia, e con effa aggiun-
fe nuovi splendori a quelle tante, che la
decorano, e portò pofeia al mondo la vo
llra degnilfima perfona , colla quale ornò
di nuove glorie i fuoi già gloriofi e alte
ri colli. Furono infine uditi da’Padri Mi
nimi di S.Francefco di Paola, verfo iqua
li Voi reditalle da’ voftri piilììmi Antena
ti la Aima e V.amore , ficcome col Santo
Fondatore la venerazione e la pietà .
Tutti quelli motivi mi fan certamen
te fperare , che debbano efler da Voi,
PRINCIPE BENIGNISSIMO , di buon’
occhio mirate quelle mie debolezze , e
compatito ancor 1’ ardimento , che io di-
moftro in dedicarvele . Pervadendomi
fenz’ alcun dubbio , che non guarderete
nè la piccolezza del dono, nè il poco me
rito di chi vel fa ; ma conlìderarete sì be
ne, ed il contenuto dell’Opera, che tut
to
è a feconda dW
voftra religioftflìma_,
A CHI LEGGE.
♦
OPO i Pagi on amenti Pafiorali al Po polo , dopo i Ragionamenti Pettora li al Clero , che già accogliefie con generofità tutta vofira , convien che ora, con pari pazienza , riceviate i Ragionamenti Pafiorali al Chio- firo . Furon efifi da me recitati nel Ohiojlro j quando io ebbi l’onore di
governare in etfo 5 comc ben creder potete : Onde , fé non poffon dirfi Pafiorali perche non gli recitai da Vefiovo, debbono alme»'dirfi cost , perche in qualità di Religiofo Prelato furono detti ..
ffentimenti fono tutti di fpirito , e le ma fìnte fon tutte di perfezione ; perche fi parlava a perfone , che di fpirito debbon fare profeffione , e della perfe zione fon tuttora obbligati a far l'de qui(lo .. 1 difetti, che fi correggono ,, fi /oppongono , ma non fi credono-,
e chi corregge, il più delle volte dirizza il ragiona
mento , quando egli parla in Comunità , non a quel lo , che fi fa , ma a quello , che fi può fare . E fe pur'anche talar fi fipeffe , che i difetti realmente vi fofero f onde alcun debole pote/fe ritrarne occafione di fiondalo ; quando non pere gli /ente nprefi, dee pren derne motivo di edificazione „
e tra, quelle * che fon rìlafciate, dice il Serafico Boi- tor S.Bonaventura, che in quelle non fi difetta mai,
ed in quefle fi pecca fempre. Ciò farebbe un far cre dere gli uomini, che compongon quelle, non uomini , ma angeli -, e gli uomini, che forman quefle, non uo mini , ma dimonj • d-ja differenza è, perche nelle une fi pecca, e fi corregge, e fi riprende , e ancor fi ga- fliga ; nelle altre fi pecca , e fi laficia correre. Non è
dunque offefia , che alle 'Religioni fi rechi, il fiuppor- re,che in effe mancar fi poffa a quel debito , che an no coloro, che Le compongono , di offer perfetti. E’ si bene laude , che ad effe fi apporta, il dimofirare, che alla umana debolezza , che ne' Chiofiri eziandio fi foffre, fi dia follievo e ajuto con opportune correzio
ni , ed alle stolte con pene ancor niciffarie .
fife fio per l' appunto io dir vi debbo , fie fiete
Vomo del Secolo . Ma fie fiere Vomo del Chiofiro , io •ui dico , che quanto qui leggerete , tutto è ordinato
et quella perfezione , alla quale fiete Voi obbligato, ed alla quale , io pur va credere, che Vnì camminia te • Qffì non fi aguzza la penna per ferir peccati , che non fi debbon fupporre in luoghi fiantificati ; ne fi rende acrimoniofo l'inchioflro per amareggiar perfione, che fi debbon creder perfette „ Solamente lo file fi di rizza a pugner difetti, e imperfezioni, che pofion ta lora ancor ritrovarfi, a ccigion della vofira imperfet ta natura, in chi fa profiffone difaniità, ed afpi- ra a perfezione di vita .
fila fe mai, per inganno del cornuti Nimico, fi trovaffer tra' Qhioftri ‘Uomini, che aveffer mafifme di Secolo, e feguitafferò coftumanze di Mondo, io que- fìi priego a fipecchiarfe in quefii Ragionamenti j affin- fhc CQftoJcttWQ, quanto ‘vadano errati ne' lor
ù> e quanto fieno perìcolofe le lor condotte . Iddio vi truffe da quel mondo, in cui nafcefle , non per rite nerne le colpe > e per fleguitarne le corruttele . Tento egli fantifcar Voi nelle fue cafe , non profanar con Voi le fue cafe. Voli'egli rendervi migliori, sperava te buoni -, farvi buoni, sgravate malvaggi -, e tutti volle che fofle perfetti falmen con pr occur are , fe a tutti non foffe dato il farlo , della perfezione T ac quato .
Riflettete dunque con feriefà , ed il debito in cui flètè , ed il pericolo , in cui vi trovate . Dna vita comune coti quelli, che fon nel Secolo , a Voi nonba- fla ; fi eflgge una vita , che fio. particolare nelle vir-
tìjt , e che fia tutta di fpirito , e niente di mondo . Dna vita , che (la diflinta da quelli , che fon nel mondo , ficcome ne portate difiinte le veflfe fepara-
te ne abitate le cafe . Vna. «vita , che abbia tutta la
fua mira al Cielo, al cui acquifto afpirafte, quando facefle nel chioflro l'ingrefifo ; onde nulla in effa ab
TAVOLA
DE’RAG IONA MEN TI.
RAGIONAMENTO I.
ARGOMENTO.
I. Nella Religione fi entra a patire, non a godere
II. Si entra a patire per Dio , per godere con Dio . fol.i.
RAGIONAMENTO II.
ARGOMENTO.
I. Quanto e di S,enfiale non dev'entrare nel petto di chi vive nel Chioftro .
II. Quanto è di Senfhìlc non dee fermarfi nel cuore di chi
muore nel Mondo. fol.2O.
RAGIONAMENTO III.
AR G 0 ME NT 0.
I. Chi profefa Religiofo Infittito , della Perfezione dee farne unoftentato ac qui ft o , non folt amo averne uno,
ancorch’effìcace, difo .
II. Dee farne l'acquifo per debito indifpenfabile, che ne contrae nella fua Profejfone , non per folo confi fio , che glien venga impoflo dalla fua Regola . fol.42.
RAGIONAMENTO IV.
A RGOMENT 0.
ftac-TAVOLA
fiacco da tutto quello , che non è Iddio l
IL Deve avere attacco a tutto quello , ch'è Iddio, fol.71,
RAGIONAMENTO V.
ARGOMENTO.
I. La fotìtudine del Corpo ci dìfiacca dagliUominì. II. La Solitudine del Cuore ci unifice a Dio . fol.93.
RAGIONAMENTO VI.
A RGOME NTO. I. il Silenzio ci fa parlar bene con gli 'Uomini.
II. Ci fa parlar meglio con Dio . fol. 119.
RAGIONAMENTO VII.
ARGOMENTO.
I. Nella Meditazione fi truovan'armi per combattere l II. Si truovan forze per vincere . fol. 148.
RAGIONAMENTO Vili.
AR GOMENTO.
I. Chi cammina alla Eerfezione, non creda mai di aver finito.
II. Creda fempre di non avere ancor cominciato, fol.
176-RAGIONAMENTO IX.
ARGOMENTO.
I. La perfezione dell'Umiltà confifte non /blamente nell
apparecchiarfi al difprezzo , ma ancor nel difide-
tavola
11. Non Soltanto nel dfiderarlo , quando non fid }
ma
ancor nel goderne t quando fi a. fol.205.RAG ION AMENTO X.
AR GO MENTO.
I. Per ubbidir fienza errore ffi riguardi nel Superior ? che comanda , Iddio , ch’è infiallibile nel fino conoficere . , II. Per ubbidire con gaudio , fi riguardi Iddio , eh'è im
peccabile nelfiuo volere . fol.234.
RAGION AMENTO XI.
ARGOMENTO.
I. Chi è Povero per elezione , dev'effer povero nel poffeffbf e ancor nell*affetto ,
II. Chi è Povero per elezione , deve patire nell'effer po vero. fol.26$,
RAGIONAMENTO XII.
ARGOMENTO. 1. Per efifier Gafio nel corpo , bifiogna fuggire i
li,
Pereffer Caffo nel cuore „ bifiogna orare . {0I.297.RAGIONAMENTO XIII.
ARGOMENTO. I. "La Mortificazione efleriore paga le colpe.’
II. La Mortificazione interiore compera le virtù.pQÌ.327.
RA~
*
tavola
RAGIONAMENTO XIV.
ARGOMENTO.
I. Chi cadde, fperì di non più cadere .
II. Chi non vuol cadere , terna, di cadere .
fol.355-RAGIONAMENTO XV.
ARGO ME NT O-.
I. Le Scienze f acquiftino , per farne a Dio il dono . II. Si efercitino ,per darne a Dio il guadagno. fol.382.
RAGIONAMENTO XVI.
ARGOMENTO.
I.
La Carità > eh'e della nofira. Religione Vimprefa , ci ob bliga ad amar Dio con amore più puro .II. Ad amare il Rroffitna con amore più attivo. fc.l.409.
RAGIONAMENTO XVIL
ARGOMENTO.
I. Nell’Elezioni, in cui concorriamo, dobbiamo effer lì beri dalle pacioni degli altri, che ci violentanti fuori. II. Dobbiamo effer liberi dalle nofire propiepajfioni , che
ci tiranneggiati dt dentro.. fol.436.
RAGIONAMENTO XVIIL
ARGOMENTO. 1. Nelle noftre Elezioni dobbiamo effer
Mente.
Dob-TAVOLA
11. Dobbiamo ejfier tutti di un Cuore . fol.463.
RAGIONAMENTO XIX.
^NGOAIEATO.
I. Le Prelature non fi cerchino , ma fi meritino i
II. Si fuggano con umiltà, ma non fi rifiutino con ofiina~ acione. fol.490.
RAGIONAMENTO XX.
■
EMINENTISSIMO SIGNORE .
A
Ntonio Muzio , publico Padrone di Stampa in quella Pedeliflìma Città, fupplicando cfpone a V. Em. co me defidera (lampare due Tomi di Ragionamenti al Cbio-ftro di Monfignor Giisfcppe Maria Perrimeli Eefcovo di Oppido.
Intanto la fupplica a volerli commettere alla Polita re vi none , che Pavera a grazia , ut. Deus.
R.D. Nicolaus Rollio 11. J, & S. Eh. D. revideat, & referat. Neap. 4. Decemb. 1712.
EONIlFRltlS EPISCOPIO CASTELEANENS. VIC. GEN.
D.Petrus Marcus Giptius Can. Dep.
EMINENTISSIME DOMINE.
A
Uthoritate Eminenti» Veftt» legi Librutn , cui ti- . tuius Ragionamenti al Cbioftro, ab Iiluflriflìmo , & Re-verendiffimo D. fofepho-Maria Perrimezzi EpiPcopi Oppidi
compofitum , & in eo nihil reperi, quod (idei dogmatibus,
ac bonis moribus adverfetur ; imo omnia in eo allerta Sa- crarum Scripturarum , & Saniìorum Patrum telìimonio roborata Punt. Quare (ì Eminenti» Veflrx vifutn fuerit, polle typis mandari cenfeo. Neap, die itf.Julii 1717.
Humillimus, & Obferjuentifftmus Servus D.Nicolaus Pollio U-J. D. & S. Th. Magifter.
Attenta fupradibìa relatione Imprimatur . Neap. 20. Maji 172.4. EONVPRIVS EPISCOPIO CASTERLANENS.VIC. GEN.
EMINENTISSIMO SIGNORE l '
A
Ntonio Muzio , publico Padrone di Stampa in quella Fedeliflìma Città , fupplicando efpone a V. Em. co me de/ìdera /lampare due Tomi di Ragionamenti al Chiefly o di Monflgnor Giufeppe-Maria Pcrrimcggi pefcovo di Oppido.
Intanto la fupplica a volerli commettere alla lolita rcvi-
fione, che l’averà a grazia , ut Deus.
R.P.Tbomas Paganus Congr.Oratorii vidcat,& in flcriptis referat. MAZZACCARA R. ULLOA R. ALVAVEZ R.
GIOVENE R. PISACANE
R.
111. MIRO abfensProvifum per S. E. Neap. i.Martii 17ZJ.
Cafarns,
EMINENTISSIME PRINCEPS
M
Axiraa animi voluptatc, Eminentia Tua jubento, percurri Opus omnigena eruditone refertum , cui titulus Ragionamenti al Cbioftro, ab llluftriflìmo , ac Re- verendiflìmo Domino Jofepho-Maria Perrimezzi Oppidi Praefule meritiffimo, mira ingenii maturiate , fententia- rum gravitate , ac religioni prudentia concinnarum. Et licut illud ad excolendos Rehgiofos animos, ad pietatem fovendam , & ad majorem Divinte Majeflatis culcum pro- movendum fummoperè prodefle judico , ita nihil in eo deprehendi, quod Ctefareas, vel Regine Majeflatis huroa- nas jura quodammodo offendat . Opus ergo prseclarum , clariffimo dignum Aurore, ut prselo, atque JErernitati mandetur , fi Eminenti^ Tuae Jibuerit, digniflìmum cen- feo . Ex Aìdibus Congregationis Oratorii Tertiodecimo RaJendas Augufli mdccxxjv.Eminentise Tuae
Httmillimus , ac Obfequentifs. Famulus
Thomas Paganus Congr.Oratorii
Tifa fupradifta relatione Imprimatur ; verùm ante publications fervctur Regia Pragmatica .
MAZZACCARA R. ULLOA R. ALVAREZ R>
GIOVENE R. PISACANE R. IH. MIRO abfens Provifum per S. E. Neap. zz. Augnili i724-
RAGIONAMENTO I.
ARGOMENTO.
I. Nella Religione fi entra a patire, non a godere.
II. Si
entra a patire per Dio, per godere con Dio.A bella forte , che
abbiana tutti
noi, di aflrftere più da prefio al , trono di Dio in terra , e di vì
vere a fpefè di lui, come
eminentissimo signore
:
a Ntonio Muzio , publico, Padrone di Stampa in quella
/V Fedeliflìma Città , Applicando efpone a V. Em. co
me defidera (lampare due Tomi di Ragionamenti al Ckio»
ftr0 di Monfignor Gittfeppe-Maria Pcrrimc^i FefcQvo di Oppido.
Intanto la Applica a volerli commettere alla lolita revi sione , che l’averà a grazia , ut Deus .
R.P.Tbomas Paganus Congr.Oratorii vidcat,& in fcriptis referti.
MAZZACCARA R. ULLOA R. ALVAVEZ R. GIOVENE R. PISACANE R’. 111. MIRO abfens
Provifum per S. E. Neap. i.Martii 172.;.
Cafarus,
EMINENTISSIME PRINCEPS
M
Axima animi voluptate, Eminentia Tua jubentej, percurri Opus omnigena eruditone refertum , cui titulus Ragionamenti al Cbìoflro , ab llluftriffiino , ac Re- verendiffimo Domino Jofepho-Maria Perrimezzi Oppidi Prcefule meritiffimo, mira ingenii maturitate , fententia- rum gravitate , ac religiofà prudentia concinnatum. Et licut illud ad excolendos Reiigiofos animos, ad pietatem fovendam , & ad majorem Divinte Majeftatis culcum pro- movendum fummoperè prodefie judico , ita nihil in eo depre'hendi , quod Ctefarese , vel Regite Majeftatis huroa- nte jura quodammodo offendat . Opus ergo prseclarum clariffimo dignum Auftore, ut prtelo, atque ALternitati mandetur, fi Eminentiae Tuae Jibuerit, digniffimum cent- feo . Ex TEdibus Congregationis Oratorii Tertiodecimo Kalendas Augufti mdccxxjv.Eminentiae Tute
Humillimus , ac Obfequentifs. Famulus
Thomas Paganus Congr.Oratorii Fifa fupradiffa relatione Imprimatur 5
ferz/etur Regia Pragmatica . tterUm ante publicationem MAZZACCARA R. ULLOA K. ALVARF7 n
GIOVENE R. PISACANE R. Hi
Provifum per S. E Nean ■>■> ."MIRO abfens F u Neap. zi. Augnili I?24.
Cafarus.
RAGIONAMENTO I.
ARGOMENTO.I. Nella Religione fi entra a patire, non a godere.
II. Si entra a patire per Dio, per godere con Dio. Qjd viilt venire pofl; me, abne^et femetipfìtm , &
tollat Qrucem fuam , & fequatur me . Lucae 9.
bella forte , che abbiam tutti noi, di aflìftere più da prefìo al
trono di Dio in terra , e di vi vere a fpebè di lui , come Do- meftici più confidenti, nella_, fua cafa ; ella è, fe ben fi confi derà , una grazia sì fpeziale, che ficcome tutti non furon fat
ti degni di ottenerla, così noi, che la ricevemmo, deggiam tuttora , e prezzarla a proporzion dei fuo merito, e corrifponderla a mifura della no- ftra obbligazione. Quanti vivon nel mondo , for fè con quella innocenza, che in noi non è ; e fer- von pur’ anche l’Altiflìmo con quella efattezza., colla quale da noi non è fervito ? E pur’ eglino, lungi da quelle mura fagrate , c fuori dal nqftro divin convitto, divagan nel fecolo, ov“ è continuo
a
ragionamento
I.il pericolo di difpiacere a Dio , e quali Temprò prolfima l’occafione di offenderlo. Potea pure il grande Iddio chiamar’ efii a lervirio nella lua ca fa , potea dar loro quc’lumi', che a noi donò; fiche , abbandonando gli Uomini, ff ricovraflero a vivere tutti a lui, ed a viver tutti con lui. E non per tanto , con configlio altilfimo della fua impe netrabile Provvidenza, lafciolli nell’atrio , ad at tendere ad impieghi men confidenti ; e noi Icelfe, perche entralfimo fin nelle camere più fegrete , a trattare con lui affari di fua premura, e di lemma noftra importanza . Non è dubbio, chefea tutti aveffe Iddio dato a conofcere l’eccellenza del no- ftro flato, il mondo farebbe in un tratto pervenu to al fuo fine ; poiché ciafcuno, conofcendo la lua fallacia,
c
la ficurezza, che fi gode nella cafa di Dio , fubitamentc arebbe rifoluto di abbandonar l’uno , e di ritirarli nell’altra . Ma non per quello non è mafhma la grazia, che Iddio a noi fece , o che a tanti altri negò; con far conofcere a noi quel le verità , che ad altri tenne occulte; e far con ciò, che noi facelsimo quella degna rifoluzione di ve- ftir la fua fagra divifa ,e di abitar nella Divina fua cafa , che altri non fece, forfè non per mancanza di coraggio , ma fol di ajuro . Quella fchietta. , e vcrifsima confidcrazione è apprefio di me di tanto pefo , che io fovente fento fpandermi di toflòre il volto , e palpitarmi il cuore nel petto al riflettere , quanto mal da me fi corrifponda alla finezza di una grazia sì fpeziale, e qUanfo meno io prezzi la diftinzione ui un favore sì legnalatoE
fein
tutti i tempi ciò per avventura mi accade ’fpenmcnto non però con più fortc injpuif0
nir-AL CHIOSTRO.1 3 nirmi, quando confiderò il fine , per cui Iddio mi chiamò in fila cafa , e poi rimiro il modo, con cui vivo in fua cafa. Quafi che nella fua cafa non altro avefsi io a cercare , che, o il mio comodo, o il mio vantaggio , o il mio piacere , tutt’altro mi rincrefce,che non fi ordina a contentare il mio fenfo , e ad appagare il mio difio . E pure nella-, fua cafa non mi chiamò Iddio al godimento , ma al patimento ; neppur volle, che in ella avefsi io a contentar le mie brame , ma a crocifiggerle. Perche anche Voi fiate a parte di quello mìo in terno rammarico, che poi al fine riufcirà pur’ an- che noftto comun coninolo ; contentatevi , o Pa
dri, e Fratelli, che in quefto giorno io vi pro ponga quelle due fole verità, dalla pruova delle quali verrem poi tutti aconofcere quel, che Iddio da noi pretele , chiamandoci alla Ina cafa -, quel, che Iddio da noi riceve , abitando nella fua cala. Son’ effe : Nella Religione fi entra a patire, nom» a godere ; farà il primo punto : Si entra apatite per Dio, per godere con Dio ; farà il fecondo .
Se nella cafa della Religione noi non cntriam da Padroni, ma fol tanto da Servidori ; quefto fol balla, perche ci rendiam pienamente conviti ti , che noi entriamo in elfa a patire , non a gode re. Lofteffonome di fervitù porta feco il pati mento; poich’ eflendo ella di miferie piena , co me chiamolla il Principe della Romana eloquen
za , ornnis fervitus mifera, efi , ne fiegue, che fia.. Ci'c. Phi uno flato di angolce , ed un’ efercizio di pene.1*?-10,
E tanto più poi » quando noi qui entrammo, non per violenza altrui, ma per noftra fola elezione ;
ch’è quanto dire , eh' effendo noi liberi nel
2
ragionamento
i
.
il pericolo di difpiaccre a Dio, e quali fempreò prolfima l’occafione di offenderlo . Potea pure il grande Iddio chiamar’effi a Servirlo nella lua ca fa , potea dar loro que’ lumi , che a noi dono ; fiche , abbandonando gli Uomini, fi ncovrafiero a vivere tutti a lui, ed a viver tutti con lui. E non per tanto , con configlio altilfimo della fua impe netrabile Provvidenza, lafciolli nell’atrio , ad at tendere ad impieghi men confidenti ; e noi fcelie, perche entraflimo fin nelle camere più fegrete , a trattare con lui affari di fua premura, e di lemma noftra importanza . Non è dubbio, che fe a tutti avefle Iddio dato a conofcere l’eccellenza del no- ftro flato, il mondo farebbe in un tratto pervenu to al fuo fine ; poiché ciafcuno, conofcendo la fua fallacia, e la ficurezza , che fi gode nella cala di Dio , fiibitamcntc arebbe rifoluto di abbandonar
l’uno, e di ritirarti nell’altra . Ma non per quefto
non è maflima la grazia, che Iddio a noi fece, che a tanti altri negò; con far conofcere a noi quel le verità, che ad altri tenne occulte; e far con ciò, che noi facefsimo quella degna rifoluzione di ve- ftir la fua fagra divida, e di abitar nella Divina fua cafa , che altri non fece, forfè non per mancanza di coraggio, ma fol di ajuto. Quella fchietta, , c vcrifsima confìderazione è appreffo di me di tanto pelo , che io fovente fento fpandermi di roffòre il volto, e palpitarmi il cuore nel petto, al riflettere, quanto mal da me fi corrifponda alla finezza di una grazia sì fpeziale, e quantomeno to prezzi la diftinzione di un favore si fegnalato . fi le in tutti i tempi ciò per avventura mi accade, Sperimento non però con più forte impulfo avve
nir-AL chiostro
:
3 ninni, quando confiderò il fine , per cui Iddio mi chiamò in fua cafa , e poi rimiro il modo, con cui vivo in fua cafa . Quali che nella fua cafa non altro avefsi io a cercare , che, o il mio comodo, o il mio vantaggio , o il mio piacere , tutt’ altro mirincrefce, che non fi ordina a contentare il mio fenfo , e ad appagare il mio difio . E pure nelku fua cafa non mi chiamò Iddio al godimento , ma al patimento ; neppur volle, che in effà avefsi io a contentar le mie brame , ma a crocifiggerle. Perche anche Voi fiate a parte di quefto mio in terno rammarico, che poi al fine riulcirà pur’ an che noftro comun confinolo ; contentatevi , o Pa dri, e Fratelli, che in quefto giorno io vi pro ponga quefte due fole verità , dalla pruova delle quali verrem poi tutti aconofcere quel, che Iddio da noi pretefe , chiamandoci alla fua cafa ; quel, che Iddio da noi riceve , abitando nella fua cafa. Son’ effe : Nella Religione fi entra a patire , noto a godere ; farà il primo punto : Si entra a patire per Dio, per godere con Dio ; farà il fecondo .Se nella cafa della Religione noi non entriam da Padroni , ma fol tanto da Servidori ; quefto fol bafta, perche ci rendiam pienamente convin ti , che noi entriamo in effà a patire , non a gode re . Lofteffonome di fervitù porta feco il pati mento; poich’ eflendo ella di miferie piena , co me chiamolla il Principe della Romana eloquen
za , ornnis fervitus mifcra. ejt, ne fiegue, che fia.< cìc.Phi- uno flato di angofee , ed un’efercizio dì pene . hP-1O- E tanto più poi , quando noi qui entrammo, non per violenza altrui , ma per noftra fola elezione ; eh’è quanto dire , eh’ effendo noi liberi nel
4
ragionamento
I.do, preferimmo alla libertà , che godevamo in
eflò, la fervitù , a cui ci foggettammo nel Chio-
ftto . Ma quello, anzi che ci mitighi il noftro pa
tire, più tofto ce l’accrelce ; poiché, allo fcrive-Ambrof. re di S. Ambrogio, Servitù; hberis omni jtippiicio
Offe3. gravior ; effendo elfo un lervir di perlone , cheu
non nacquero per lervire ; e perciò loro fi rende altrettanto più penoio, quanto fùgià più libero il lor fervire . Ma quello, che più da predo con vince chi men fi arrende, fi è il riflettere la con-
dizion del Padrone , nella cui cafa fiam noi entra, ti a lervire. Egli è un Padrone, che non ìftiè mi ca nel mondo per godere . Tutto il fuo vivere fù un’ intreccio di angofee infieme, e di pene . Nac que tra le miferie, ville tra le afflizioni, morì tra le Croci. In maniera, che alla perfine , fé voll’en- trare in quella gloria, eh’ era pur fua , gli fù di uo po prima paflar per le molte avverfità , patir mol te ambake , e foftxncYe ftravagantiflime peno» lac.14.16, Nonne li ac oportmt pati Qhnfium, & ita intrare in glo
riano fuamì Or come mai potrà aver fronte il Servi
dore di voler’egli conleguire ciò, che confeguiE non volle il fuo Padrone ? O pure, com’egli po trà efler mai di sì grofiolana mente, che creda..-, potere aver luogo in quella gloria lenza fuo alcun difaggio , quando, ed il Signor di effa ; e ’fino Sovrano, vi entrò con tanti Ih enti ? Nò certamen te , non è da crederli da Como, che à fior dì lenno incapo, e lume di fede nell’animo; perche, Nota J0.1n.i3.i6 ejf J trains major Domino fuo . E tanto più verooeno-
fa , anzi temeraria, e fcandaiofa , farebb? poi la nolrra pretenzione, quando noi voleffimo ancor’
avere la sfacciataggine di foflenerla in cafa di quel
me-AL CHIOSTRO. s
medelìmo Padrone , cui Riamo in attuai fervigio feguendo infìeme , ed imitando s eh’ è quanto di re , in faccia fua voler noi godere, quando egli pena j alla fua vifta voler noi oziare, quando egli inda; e quafi quali a fuo difpetto voler noi {guaz zare , quando egli in fino boccheggia, agonizza-, e muore.
E le noi pur fìamo sì dilìcati di genio, chc_s pretendiamo elfer membri coronati di fiori lotto un Capo coronato di fpìne;ch'era lo fconcerto ben “
vergognofo , che rinfacciava a tutti gli antipatici
del patire il grande Abate di Chiaravalle ; pudeat fub Capite fptnofo membrum effe delicatum ; fe noi di
co pur fatuo di quefto genio in quell’ ora , ram- mentianci almeno di qual genio eravamo, allora
quando venimmo a ricovrarci tra quelle muri- , e per qual fine fuggimmo gli aggi del mondo, per vivere tra Vorridczzc di quello Chioftro . Sù , eiafeuno un’occhiata a fe ftefio, e veda qual fu,
e veda qual’ è ; e con un confronto tutto a propo
sto , e tutto a tempo, o fi uniformi alla bella_i idea , che allor fi formò del viver fuo , o fi ver
gogni della lconcertatifsima copia , che or fi dis vela nel fuo operare . Allora egli, non a dubbio, concepette alti difegni di Calvarj, e di Croci ; allo ra formò in fe ftefto vaghe profpertive di carnifi- cine j e di piaghe ; allora potè dire di fe medefitno quello, che di un Sacerdote, che voglia corri- fponderealla fua divina vocazione , fcrilfe Pietro
Blefefe : Sacerdotem hoc [entire eportet , quoti & i» pct. Bie£ Chrijìo ]efu , non foium ut [e per humilitatem , exina- epilhxj.
niat, fed ut Qrucifixtonem Domini reprafentans mata e]tts
portet
in torpore fuo} & in ara cordis feffnmReg. Mi-
li im. cap. 2. mini. 2.
6 RAGIONAMENTO I.
Domino cruciai . E perche dunque prefentemente non fare quanto allora fi determino di patito ? Perche ora fgomentarfi alle goccie , quando allo ra fi folDÌravan diluvi di fangue ? Perche ora pal pitate a’ flagelli , quando allora fi mendicavan patiboli ? E in fatti, fe il grande Arfenio , già dalla imperiai Corte di Teodofio ritiratoli nel fuo Diferto, a fe fteflocotidianamente dimanda; Arfini, ad quid venifii ? Se il grande Abate di Chia- ravalle , dagli aggi della fua cafa lontano , e fe- polto nel folitario fuo Chioftro , fovente fe fteflo interroga ; Bernar'de, ad quid veniftft Bene à ragio ne, così l’un , come l’altro , di rifponderfi , o
dirli;
Vt crucifìgar ; ut cruciftgar. E vuol’altro li gnificare la Penitenza, che qui noi venimmo a fare delie pallate colpe, che già nelfecolo com mettemmo ? Non pofsiam negarlo , che interro gati, guandogiàcercavamo veftir le fagre lane, che or ci ncuoprono , perche voler noi qui addof- farle , perche volere qui vivere ? Per far peniten za de’noftri peccati, era la noftra ingenua riipo- fta ; ed è per l’appunto conforme a quello, che», la noftra Santa Regola c’ infinua , dover noi aver nell’ animo , quando il noftro rigidifsimo Inftitu- tocerchiam di abbracciare . Ad lumeOrdinerà Mi-
nimorum, Quadragefimalis vita zelo t & mafins poe- nitentia intuitu , migrare cupientes. £ fi può dar pe nitenza , fenza patimento di chi la fa ? Si può go dere , dove fientra per tormentarli ? Si può non patire, dove fi viene per piagnere? Quella fo la confolazione può darli, il non eflèTvi con-t h &lcon-t; ? aw‘°n? n Qi’nd*’ a ciò Per avventura allu-Joo.6.9.
dendo il Pazientino , dicea
Et qui caepit,*--AL CHIOSTRO. 7
ìpj£ me conferat •.. h<ec rnibiJit conjolatio , ut affligcns 7t,e dolore , non pareut . E \ uol dire ; Io così avida
mente chieggio la perfeveranza delle mie peno, che , fuor della loro continuazione , non truovo altro follievo, che mi conloh . Difidero, cho Iddio non perdoni a’ miei patimenti , perche per doni a' mìei peccati ; che non balli quella mano, con cui mi sterza, perche tenga alzata anche quel la , con cui mi aflolve ; che profiegua tuttora a fardi me lcempio crudele, perche infine faccio verlo ci me pietà amorofa. E quello volea pur’
anche dire Tertulliano ; omne deliftum, aut venia Termi. de expurigit, aut piena ; venia ex cajììgatione, pcena. ex \CIt- damnattone. Iddio, o perdona 1 noftri falli, o li punifce ; fc li perdona , qui ci dà aa patire ; fe li pu mice, ivi ci darà da penare ; -uezfia ex cajligatio- ne , pcena ex damnattone . Se qui dunque vogliam foddisfare de’ noftri falli ij fio, qui biiogna pati re , fe qui bramiam pagarne le pene , qui è nicil- fario penare ; le qui vogliam farne la penitenza.,, qui deggiamo avidamente cercare il patimento.
8
ragionamento
I.
tra le mendicità , ed a refpirare tra le miferie . Il noftro fine fù di farci Santi ; di acquiftare quella^ perfezione, alla quale ci obbligammo nella no- ftra folenne profeflìone; di camminar continuo, e pervenire a quella intima unione con Dio, nella quale eflenzialmente la perfezione confitte , e co me in fuo ultimo grado, fi contiene la Santità- Or come pofsiam noi farci Santi ? Anzi, a dir me glio ; come può Iddio fantificarci ? Forfè in altro modo , che fia diverfo da quello, con cui fantifi- cò il fuo propio figliuolo ? E’ pazzia il penfarlo . Veggiam dunque; com’egli fantificò il fuo fi-Joan.1o.56 glio • Quem Paterfanttificavit, fentiam per mez zo dell’Evangelifta Giovanni ; Santtificawt euni-, hoc efi, fanxìt facrificari pro mando , afcoltiam per Theophyl. la Chiofa, che ne fa Teofilato . Dunque fantifi-
cazione, e pafsione furo» finonimi in Crifto; e quando egli dal Divino fuo Genitore fù fantifica- to nel mondo, non fù altro , che l’efler dato alle pene , alle carneficine , alle morti. Sull’Aitar del la Croce fi offerì in perfettifsimo olocaufto, per mezzo di una piena di dolori per gli peccati degli uomini; e ciò fù l’efler fantificato dal Padre. Qaem Pater fanffificavit. Santtificavit eum , hoc efi, fanxìt facrificari pro mando . Efler noi Santi, e non pattar per la ftrada del patire; voler fantificarci, e fuggire il taglio del dolore ; efler perfetti, e non voler’ ettere tr.bulati ; egli è sì fattamente impof- fibile, come voler’ etter mondi , fenza entrare neh acqua, che ci purifichi; volere fpiccare al Cielo,1 volo fenzaaver penne, che ci formino 1 ali ; voler nfplendere col luftro delle virtù, fen za pattar per le fiamme, che c’illuftrino le azioni.
AL CHIOSTRO. 9 Qui fiarn noi in un campo di battaglia, dove non mancan mai, o imbofcate fegrete, che ci apparecchiano colle infidie le cadute , o aflàlti {coverti, che ci minacciano colle violenze le per dite , ofcaramucce, che ci debilitano l’efercito, o zuffe, che ccl tagliano a pezzi. Ora inforgo una paffionc al di dentro, e tutto ci mette in ri volta ; ora una perfecuzione al di fuori, e tutto ci rivolge in confufione. Gli appetiti, non per fettamente domati , da una parte c’inquietano co’loro infiliti; le occafioni, non totalmentej fuggite, da un’altra ci moleftano co’lor folleti- chi. La Povertà ci fa patire , or colla viltà del ci bo , or coll’incomodità del veftito, or colla du rezza del letto ; la Caftità ci fa languire , or fat tola vemenza delle tentazioni, che ci tiranneg giano , or fotto il pefo delle mortificazioni, che ci difiànguano ; l’Ubbidienza ci fa penare , or col fare cofe contrarie al noftro genio, or collo {fare, dove noi vorremmo , or col non ottenere quello, che noi sì anziofamente vogliamo. E in tanto puoffi non patire tra tante contraddizioni, e tan te angofce ? Ma dall’altra parte puofsi eficr Santo
fenza tante contraddizioni, e tante angofce ? Sen za effe fi può vivere in Religione ? E fi può vive- re in Religione fenza voler’ efler Santo ?
Ma parliam pure più da predò a ciò , che pifi intimamente fi attiene alla noftra fantificazione. Ditemi ; confifte in altro , almeno integralmen te , la noftrt
virtù ? E le efercitarfi dr chiunque fia
Par. 1.
Santità che nel polleuimento virtù pofion mai, o acquiftarfi , o , noi, fenza patire? Nò, rifponde l’Autore di que' Sermoni, che van
fot-]
JO
ragionamento
i
.
fotte nome di S. Zenone , Vefcovo di Verona. ; Ve, No» wrwes poffunt 'ft virtù!", rerum dtjctpll-
■deI^'M«2» cotwerjwnemque) quufi quxdam follicitam “• ter, Patientia cufiodiret. E veniamo al particola
re delle virtù, che fonpiù propie del noltro na to , e fono comeeflenziali al noftro Pagro Inltitu-
to. Pofsiam noi oflervar la Povertà, lènza pati- re ? Avere tutto il noftro comodo, lenza che nulla ci manchi ; avere quanto ci viene in voglia di avere, onde di nulla abbisogniamo ; e voler dimoftrar di efler Poveri ? E’ polsibile ? Almeno colla perfezione di una intiera efattezza lopra-, l’oflervanza del voto ? E pure a ciò è tenuto, chi è tenuto a dover’ efler perfetto. Inoltre : Pofsiam noi olfervar Caftità, lenza patire ? E le corrifpon- denze di genio, che ci convien fuggire, e le con- verlàzioni di piacere , che ci bifogna lafciarc, e
le occhiate lubriche , che ci è nicifsità di frenare; fenzalc quali cole paffa pericolo, o di macchiarli, o almen di appannarli, il rerfo Ipecchio della pu rità di noftra vira; fon’elle colè, che poffòn di leggieri adempierli, lenza ribrezzo del fenfo, e fenza mortiheazion della carne? Più ancorai : Pofsiam noi offervare l’Ubbidienza, fenza pati re ? E quando deggiamo operare alla ritrofa del la volontà, che ricalcitra j anzi a difpetro dell’ intelletto, che ripruova ; e puredeggiamfarlo, non folamentc con fommettere il genio, ma_, pur anche il giudizio? E quando liam mandati, dove noi non abbiam compiacenza di ftare ■ o
pu-7t,a “ lod--E quando ci fara negato
che crediamo che et fta giuftamente dovuto; re ad.
AL. CHIOSTRO. XI reftando, o pofpofti a chi dovremo precedere, o repelliti Cotto dei moggio , quando dovrem ri- fplendere fepra il doppiere ? Senza una dura vio
lenza y che ci converrà fare al noftro cuore j al noftro fenfo? ai noftro fteffo giudizio, puofsi mai tutto ciò perfettamente offervare ? E pure deggiam’ oflèrvarlo , per effèr perfetti in quella., virtu , eh e la perfezione di tutte le altre religio- fe virtù. Che dirò della Pazienza , della Man- fuetudine, dell’Umiltà , della Raffègnazione , della Modeftia, del Silenzio, in fomma delia.» Carità , ch’è l’infegna della noftra Minima Reli gione? Notici converrà fovente patire , e Rife rire, per non romperla con chi forfè ci darà anche occafionc di perderla ? E la Mortificazione , sì in terna , sì efterna , puofsi ella mai praticare fen- za un continuo patimento , e della carne, e del fenfo ? E la Vita quarefimale, effènziale al no ftro Inftituto , come fi oflèrverà fenza patire ? Il dover paflàre le fettimane , ed alle volte anche i mefi, lènza veder nella menfa un piccolo pendo lino , che ci riftori almeno, fe non ci fazii. Il dover far palio nell’ olio , che ci debilita , nel Ta le , che ci macera, e nell’aceto , checieftenua; onde pofeia le podagre , che c’ inchiodano , le alme , che ci foffocano, i calcoli, che ci crucia no, le falfedini, che ci allebbrifeono, le febbri cttiche , che ci uccidono ? Quelta è la maggior penitenza, che noi ci prefiggemmo, in voler vcftire le noftre lane . E quella maggior peniten za puofsi mai ella adempiere fenza una mafsima pazienza, in Riferendone gl’ incomodi , i di
faggi , le penurie, i malori , le pene, le lidie
»or-tiene
12
ragionamento
i
.
morti ? Foenìtentia indiga admodum eft F attentiti, s. Anno- dicea perciò S. Antioco, <w« c»)«r operamperfict
ch.hon1.78 neutiquam pojfit. Patientia Fanitentiam perficit, &
(am , velut indice, efientat , prainfigni F attenua, redimitam. E con maggior chiarezza vicn detto
S.Zcn.Ser- ne’ Sermoni attribuiti al Vefcovo S. Zenone, ir.on.d’ePa- ~^rof ectofila Fatientia eft , ad quam prorfius rei omnts
fpeèìat, dubìum quippe cum nonfit, Spem, Fidem , }uftitiam, Humilitatem , Caftitatem, Frobitatem, Concordia, Charitatem , omnes artes , omnefqtte virtutes confiate non pofie fine eruditione, & frano • Eft enim matura fiemper , humilif, cauta, prudens, previde!, omni necejfitate contenta, quavisturbatio-
num tempefiate tranquilla. ..
Ecco dunque quanto nella Religion fi pati" fee, quanto appunto nella Religion fi travaglia., per acquiftar virtù, per far penitenza de’ peccati,
per divenir perfetto , per farfi Santo » per eflèr fi- mileaDio, che nella Religione è il Capitano, è il Maefìro, è il Signor nofìro . Ala ciò è altro, che patire per Dio ? Tutti patifeon neimondo, « quanto fon’efsi più grandi, tanto piùgrande- mente patifeono . Chi à nel mondo tutte le cole a fuo modo ? Chi non à nimici, da cui non ab bia a temere ? Chi à Miniftri da cui non abbia a loipettare ? Chi à Servidori, di cui non abbia., a dubitare ? Le fbagioni contentan tutti ? Le cani’ pagne fon Tempre fertili ? Le flotte ion fempre ricche? I Popoli fon fempre fedeli? Gli Eferciti fon fempre Vittorio!] ? Le Corone fon fempre co- antl • Tutti ounque nel mondo temono, e tut- JX'-'T” fien pur’efli Principi, Rc, tapc- n. fico pur Vefcovi, Cardinali, Pontefici;
AL CHIOSTRO; 13 lien Nobili, Cavalieri, Magnati; tutti ftan nel
mondo, an bilogno del mondo , e debbon paga re al mondo la penfion del dolore , ed il tributo del pianto . E quando altro non folle , quel nemo fìia forte contcntus, non bafta a comprovarci, che tutti patirono, non meno perciò, che anno, che lor fembra poco , che per quello, che non_> anno , che lor lembra tutto ? Ma che però ? Non tutti patìfcon per Dio . Chi patifce fotto la tiran nia dell’amore , per cui ofterifce in vittima il cuore, c mai non ottiene per gradimento uno fguardo ; chi fotto quella dell’ ambizione , per cui fi ftrugge in tutte Tore, e mai non vede quel momento, in cui Ila chiamato a regnare; chi fotto quella dell’avarizia , per cui Tempre fuda_» per fatollarfi, e Tempre lì truova più affamato ; chi fotto quella della gloria , per cui femore tra vaglia per rilplendere , e Tempre lì Tcorge attor niato di fumo ; chi in Tom ma fotto quella del di letto , per cui tutto fa per viver contento , c pur Tempre vive infelice . Privilegio egli è quello di chi vive in Religione , e vive a Dio , il patir tut to per Dio. E le lìa così , ione dimando Voi fteffì; come già il Patriarca S. Ignazio di Lojola dimandò una volta un Fratello Coadiutore della—. Tua Compagnia, che troppo lentamente fatica va , per adempiere un’affare, che gli era ftato impello dall’ ubbidienza. Fratello, diflègli, Voi per chi faticate ? Per Dio , rifpofe il Fratello . E per Dio, ripigliò il Santo , faticare sì freddamen te ? Per un Padron così grande , per un Signor così buono, per un Padre così amorofo, andar così lento, così (vegliato, così tepido , nel fer
r-i4 RAGIONAMENTO I.
virlo ? Padri, e Fratelli miei, Voi per chi patite? Vigilie sì tediofe , attinenze si lunghe , macera zioni sì continue, digiuni, flagelli, cilizj, per chi Voi li {ottenete ? Difaggi di povertà , adatti con tro alla continenza , umiliazioni di cervice, an-
negazioni di volontà , incomodità di ftanza, di veftimento, di cibo ; Voi per chi l'abbracciate ? Per Dio, direte tutti. Ediodirovvi, che tanto batta, per godere con Dio . Patir per Dio è il medefimo che goder con Dio. Son felici i pati menti, fon beate le calamità, quando fifoffron per Dio . Così fperimentollo l’Appoftolo in fej medefimo , e così in lui cel fe veder l’Autore de’ S.Zen.Ser. Sermoni, che portano il nome di S.Zenono. de jova. Clumat de profundis & ? et ulu s obrutus ccilumitatibus
bedtis, cum pro nomine Domini Idtrones in itinenbus t latrones inCivitatibus patiatur , cttm à iudais virgis ter cafus^nctufragio trino diluitur, cum infimi populifu ribonda temperate lapideis imbrìbus feliciter grandi-natur •
Qual’ è la contentezza, quale il godimento, che noi in quefto mondo poffiarn mai pretende re nella feguela diCrifto, e poffiarn ritrovato nella fua cafa ? Se penfate, che fien’ elfi pafìàtem- pi di fecolo, intrecciati da giuochi, conviti, o teatri, per cui nel mondo fi penla , che fellamen te fi viva felice ? Voi v’ingannate . E’quefta una felicità da Epicurei, e non da Appoftoli, la cui vita Voi feguitate ; la felicità vortra è quella , che dee appagare il voftro cuore, non foddisfare il voftro fenfo; Voi dovete effer felici , qua| fon felici gli uomini, e non qual fono li bruti. E qual pm vera felicità da uomo, che il mettere in
AL CHIOSTRO. iS vo l’anima fua ; e metterla in falvo con coftituir- la in atto di dominar continuo alla carne rubelle, onde quefta fe le riconolca in ogni ora , e le fi profeflì, luggctta ? E quefta è quella felicità, che porta feco il patire per Dio j il perche ìlno-
ftro Divin Maeftro ebbe a dirci ; inpatientia wftra. Luc.n.19. pojjidebitis anitnas veflras ; ed il moral Dottore eb
be a fpiegarci , quid efl animas pojfldere, nifiperfe- s £ìe in omnibus vivere , cunciifque mentis motibus, moral.
quaflexarce suirtutis, ? E qual più vero godimento , che il renderfi capace di tutti que’ doni, che in quefta vita può ricevere un’ anima, che fi è data a fervir Dio perfettamente in uru Chioftto ? Quelli fon quc’ beni, che Voi preferi-fte a’ fallaci di quefta terra ; fon quelli , che per confeguirli, eligefte di viver fequeftrati da tutti i Voftrì, fepolti in quefte celle , e morti a tutto il mondo j fon quelli , che per ritrovarli, Voi delle di calcio a grandezze di calato , a ricchezze di cala , a tenerezze di Genitori, a comodità di paefe, a libertà di arbitrio, e v’imprigionafte vo lontari tra quefte mura , fchiavi di amore del noftro Dio , c dì chi tiene il fuo luogo nella no-
ftra Comunità. E pur lappiate , che honorum, fi Antioch qua in nobis funt, cardo & caput, patientia. ejì . Que- eit- loc. fii doni , per parlar più chiaro, fon le virtù , al cui efercizio , e continuò, ed indefefto , Voi confegrafte , e ’t voftro Audio , e ’1 voftro amo re ; fon le virtù , al cui acquifto Voi dirizzato , e ’1 voftro difiderio , e ’1 voftro travaglio ; fon le virtù , nel cui pofl'efìo confitte la felicità di un’ Domo, e confifte infieme la perfezione di un-» Santo. Onde i’Appcftolo S.Giacomo, per di
i6 RAGIONAMENTO I.
notare, che dal patire diramatali le virtù tutte, quando il patire è per Dio , che delle virtù tutte è la fonte ; ditte, che nel patire confitte , e la fe licità , e la perfezione di chi tutto vive per Dio ,
Jacob,i.4.e vive a Dio. Patientia opus perfeclum babet . E fpiegal’Autor de’ Sermoni, che portano il nome
Ser.de Pa- di S. Zenone -, QuiaPatientia non tantum in multi-
plìcandis virtutìbus tandem ponti, quam in finiendis -
E le à tutte, e le àtutte in alto grado ; fiche ne poflieda, ed il novero, e la perfezione ; ondej nonfolamente non gliene manchi pur* una , ma ancora che neppur’ad una di effe manchi il fuo ultimo grado, eh'è il più perfetto -, non tantum
in multiplicandis vtrtutibus Laudem ponit, quam in finiendis. E perche la contentezza di chi vive vita
Spirituale, eh’ è per l'appunto di chi vive vitaj Religi^fe, non iftà in altro, che nei poffedimen- to di queWe vere virtù, ai cui confeguimento egli ordina tutto il viver fuo ; perciò , le il noftro pa tire per Dio porta a noi un’ intero, e perfetto ac- quifto delle vere virtù, ci porta pur’anche un_. certilfimo, e lineerò godimento delia vera feli cità.
LaveraBeatitudineèdoppia, dice Agofti- no, una è quella, cheli fpera, l’altra è quella , Auguftùi; che fi gode. Beatitudo duplici modo tenetur, fipe , & Contcf.io. ret Quetta è perfetta , e fi ottien nella Patria-, ; quella è imperfetta, e fi à nella via. La Beatitu dine della Patria confitte nel veder Dio ; la Beati tudine deliaca confiftc nel patire per Dio. Sic come dunque fon diverfi i Paefi, così pure deg- gionoeflèr varie le maniere del vivere di chi vi abita. Patire nell’uno, e nell’altro, non fi può;
gode-AL CHIOSTRO. X7 godere in amendue non fi deve . Che fa dunque Iddio , per confervar l’ordine tra elfi, e per man tenere ancor tra elfi la diftinzione , ed il divario ? Fa sì, che nella via il patire fia godere , ed il go der fia patire ; affinché poi nella Patria tutto il luogo fi dia compiutamente al godere . E da che provviene , che tante Anime grandi, Anime bel le , Anime care a Dio, fpafimano per patirò
ed abborrifcono rifolutamente il godere ? Senti te le dolci fclamazioni della gran Terefa di Gic-. su; aut Morì . Afcoltate le ri Coluto
iftanze dell’altra Amazone del Carmelo , la gran Maddalena de’ Pazzi ; Pati, non Mori. L’una_> allora vuol celiar di patire , quando dee celiare di vivere ; 1’ altra non vuol finire di vivere , perche non abbia a finir di patire . Quella non vuol mo mento di vita, in cui non fia per lei un’Inferno di pena ; quella vuol che fia eterno il tuo vivere, perche fia eterno il fuo penare . La Prima ìnfom- ma non là capire, Ce fi polla mai per lei dare un tempo, in cui viva , e non peni ; La Seconda», non Ca Ccegliere tra il patire , ed il morire qual fia la maggior pena ; c pure alla morte preferiCce la pena , perche quella fia ficcome Cenza follievo di fine , così Cenza Cperanza di Collicvo . E ad e Ce ru pi così patetici di chi Cpafima per patire , pershe Voi ancor non ardete , difiderando pene , e non gioje, nel volito Chioftro ? Perche palpitate al Colo CoCpetto del travaglio , e non piùtofto tre mate al pericolo del godimento ? Perche impal lidite, quando vi Covraftanno dolori, anguille , perCecuzioni, anche morti; e non anzi piagne te quando vi fi affollano acclamazioni, dignità,
g«n-is
ragionamento
i
.
grandezze , onori, preferenze, premj, corone ?
Aut pati, aat mori. Pati, & non mori.
Ma io so, che forfè talun di 01 patifc » pur non gode ; e so ancora, die talun altro o fe gode , e pure non è beato . Ma lapete V > perch’è ciò ? Perche quegli patifce, ma nolo per Dio ; qucfti gode, ma non in Dio . Patiice, o perche la niciflità lo ftrafeina , o perche 1 mte- refle i 1 trabalza , o perche l’amor propio l’incate na . Patifce, ma fenza merito ; perche patilcej fenza virtù . Le angofee di Saulle, che cerca per pietà un, che l’uccida; le fmanie di Antioco, a cui è un’ Inferno la ftefla vita ; le palpitazioni di Caino , a cui ogni foglia è una factta, ogni creatura un Carnefice ; fono eiempj troppo vul vari , per dimoftrar le pene di un Religioso, che nel fuo Chioftro patifce, ma non patifce per Dio.
Vn‘ Anima dannata è la più propia a dichiararne i tormenti , e cotidiani, e proliflì, ma fenza il follievo della Grazia , che gli ailegerifee, e fen za la fperanza della Gloria , che gli addolcifceu • Pena il Dannato, ma lenza afpetrar mercè del fuo penare ; perche non pena per Dio, ancorché da Dio fiacondannato alle fue peneIl Rcligio- fo pena, ma fenza fperarpremio al fuo patirò ; perche non patifce per Dio , ancorché da Dio non fia condannato a’fuoi dolori . Unaloladif- ferenzaevvi non però , che il Dannato pena in un Inferno , il Rcligiofo in unParadifo, qual’ cflèr dovrebbe il fuo Chioftro; ma quello ferve dannosiCf§ l a .fura Eena» mutandoli in fuo danno in Inferno il Paradifo, quando fi tratto
AL CHIOSTRO; ip unParadifo, nelChiodro , peniate Voi, che fa mai egli Beato ? Egli lèmpre in podi di onore * in maneggi di dima , in funzioni di tutto plau- fo ; riverito nelle piazze , ammeflo ne’ palagi, adorato fin nelle Corti ; i Domeftici 1’ amano, gli Stranieri l’oflcquiano , i Principi il difidera- no. Che più bella beatitudine può mai idearli ji mondo ? Il mondo , sì bene ; ma non già chi è fuori del mondo . Beatum d'txerunt Populum , cui hxc funt. Ma non è queda la beatitudine ; che fi gode nella cafa di Dio ; e fe alcuno perciò vi chiama beati, v’ inganna . Popule mens , cjtti te
beatum dicunt, ipfite decipiunt ; vi dirò con Ilaia . Iftì.s-is Non è quefta la beatitudine de’Servi di Dio; el
la confide nelle abiezioni , che fi tollerano con piacere, nelle penurie , che fi foffrono con con tentezza , nelle perfecuzioni , che fi foftengono con indifferenza, nelle infermità , che fi fenton con giubilo , nelle contraddizioni, che fi rice vono con intrepidezza , nelle perdite , che fi fanno congioja, nelle confufioni, nelle ingiu rie , nelle contumelie , negli affronti , negli fcherni, che fi divorano con avidità . Beati e ft is, cum maledixerint vobis homines, & perfecuti uos fue- rìnt , dixerint omne malum adverfum vos . Que- fto è il godere con Dio ; cioè il patire per Dio. Quefto è un infoino fapore , che dà Iddio al pa timento, quando fi fodicne per amor fuo. Chi il provò , di leggieri mi crederà . Chi finor noi provò, il pruovi ; e veda, fe veramente il patir fia godere , quando il patire è per Dio, ed il go dere fi vuol folameute con Dio.
RA-RAGIONAMENTO II.
argomento
.
I. Quanto è di Senfuale non dev’ entrare nel pet to di chi vive nel Chioftro.
II. QuJhto è di Senlìbile non dee fermarli nel cuore di chi muore nel Mondo.
Spiritfts eft, qui vivificat ; Caro non prtdeft quidqu am.
Joan. 6.
HI vive nel Chioftro, vive al lo Spirito ; Chi vive nel Mon do , vive al Senfo . E perche chi vive nel Chioftro, è morto nel mondo ; tanto bafta a pro
vare, che ttccom’ egli deve tut to vivere alio fpirito , così tut to deve morire pur’ anche al fenfo .E pure ciò non ottante ,cerchiati) noi Tem pre , o di non fuggir, come veleno, ciò, che in
etto è di fenfuale , o di feguitar, come alimento, ciò, che in etto è di fenftbile. Morti alle delizie, vogliam pafcerci di piaceri ; i quali, fe non fo no mortiferi , non fono almeno proficui, alla_. vita fpirituale, che debbiam menate in un luo
go , dove dee tutto fpirarc aria di fpirito, e nul la di fenfo. Segueflratidal Popolo, vogliam vi vere tra le Turbe, ove, fe non fono oggetti ,che ci contaminino gli affetti, fono almeno dilcorfi, chc ci perturbanoi penici. Sepelliti nella foli- tudme, vogliamo fpaziar ntlle piazzc , nel,c
cafe,
AL CHIOSTRO. 21
cafe , fin nelle Corti ; dove , ole apparenze c’in cantano gli {'guardi, o le corrifpondenze ci fve- ghiano le paffioni, o le maffime ci fconvolgono 1 fentimenti. Io non parlo già, che al fenfo li rompano le redini, che il mantengono in freno ; fich’ effo corra sfrenato tra’ prati della luffuria a cogliere i fiori, che più viftofi l’innamorano, ed acalpeftare le foglie , che più folte l’arreftano. Non dico , che fi fciolgano ad eflo le catene , che il tengono in dovere ; onde libero da’ legami, cerchi oggetti, che provvochino le fue tendenze, e volti , che fi accattivino i Tuoi amori . Quefto nò ; Tra le noftre ftrettezze non può mai effo
avere tanto di libertà , che corra a fuo modo ; e_> infin precipiti tra’ quei fatali dirupi, che fon fuo ri da’ noftri recinti, e lontani dalle noftre claufu- re . Ma fe non può farlo il corpo , non può farlo la mente ? Se non fon libere le azioni, non fono liberi i penfieri, non fono liberi ancora gli affet ti ? jDìvo più ; fe il Scnfo non può tanto fare, che ci vinca , rapprefentandoci ciò , eh’ è di fenfua- le ; non ci può almeno infiacchire, allcttandoci con ciò, eh’è di fenfibile ? Con quefto non fi rom pono ad elio le redini, ma fi allargano ; non fi fciolgono le catene, ma fi rallentano. E pure di vina voce c’intima ; che Spiritus efi , qui vivificati Caro non prodefi quidquam ; e vuol dire : Quanto è di Senfuale non dev’ entrare nel petto di chi vive nel Chioftro ; e farà il primo punto : Quanto è di fenfibile non dee fermarli nel cuore di chi muore nel Mondo; e farà il fecondo.
Tutto quello, che in le contiene putida, e feoverta fenfualità , io so bene, cheficcome da
23
ragionamento
ir.
5.3
Voi apertamente fi conofce, così pur’ anche da.» Voi rifolutamentc fi fogge . S’egli neppure dee comparire tra le noflre labbra ; or come mai po trebbe aver l’ardimento di tentar l’entrata nel noftro cuore ? Fornicatiti, & omnis immunditiat aut avaritia , nec nominetur in vobis , fìcut dee et San-
AdEphef. fcrivea l’AppoftoIo agli Efesj ; e volcalor ' ’ dire : Siete Voi confegrati a quel Dio, al cui co
rpetto non può comparire oggetto, che fia me no che mondo ; egli vi à ricevuti per feguaci nel la fua fcuola , e per famigliari nella fua cafa^ ; egli vi à fegregati dalla carne, e dal fangue, af finché dell' una non Tentiate le punture , e dell’al tro non contragghiate le macchie ; egli vi à fccl- ti tra le lagune del fecolo corrotto, c tra le puz- zanghere del mondo, che tutto immondo ; on de abbiate a fervido con purità di affetti, c con
fatuità di parole. Neppur dunque dee nominarli tra Voi immondezza di fenfo , non che praticar li ; neppur fentirfi, non che vederli ; non ne do vete fapcre neppure il nome , non che conrraer- ne il lezzo, o ritrarne la deformità. Omnis im-
mnnditia, nec nominetur in Vobis . Voi feguito l’Agnello puriffimo, che fi fvenò, per non mac chiai ; ed il fuo fangue lavò le ftole dell’ inno cenza , con cui fon veftiti i fooi Seguaci Fato corte al Giglio delle convalli, il cui candore fa feorno agli altri fiori di primiera grandezza, che gli forman corona Fiffatc gli fguardi a ’Jlaj luce del mondo, che ficcome non è foggia ad occafo, che totalmente l’ofcuri rrJ6 foggiate ad eee.iffi, che
efie-AL CHIOSTRO. 23
c liete Voi anche Santi ; e ficcomc fù detto, non dabis Sanffum tuuw videre corruptionem -, così pur' anche a Voi io dico ; omnis immunditia, nec nomi netur in njobis, ficut decet Savetos . Così egli a’ fuoi Efesj ; e così anche io a Voi, Padri, e Fratelli miei Dilettiflìmi : Se putore di fenfo non dee tra noi nominarfi, come potrà mai tra noi fentirfì* Le noftre rigorofe attinenze c’ infegnano a mor tificarne , non ad alimentarne , i folletichi. Le noftre ifpide lane ci ammonifcono a ribatterne, non a fecondarne, gli ftimoli . I noftri lunghi filenzj ci obbligano a rifiutarne, non a gradirne, gl’inviti. Lungi da ogni umano confortio , ci viene infin proibita ogni fpiritual parentela, e
ciò, non ad altro oggetto, fe non fe , ut oculum Reg. m
;-
fcandalizantem ernant, ó” omnem compaternitatem, ac fufpettum confortium , & prauum conflium penU
tus furiant. Privi di ogni genial compagnia, cì fi rende vietata in iftraniere cafe anche l’cfpitali-
tà mendicata ; e ciò, non per altro, fenonfe,
ut omnis crapula tollatur occafio . E potrem poi apri- Reg- Mi re il cuore , per dare in etto ricetto a que' diletti, nìm.cap.7 che anno un perpetuo bando, e da’ noftri fguar- '3i' di, e da’ noftri difeorfi ? Potremo dar luogo nell’ animo a quegli oggetti, le cui fpezie , come fu- nefte , le fuggono le noftre pupille, e le cui at trattive , come profane, non fan nominarle lo noftre labbra ? Omnis immunditia, nec nominetur in 'b'obis, ficut decet Sanfios.