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Ciò che resta, ovvero bene comune: il patrimonio culturale

di Lia Giancristofaro e Francesco Ferzetti *

5. Ciò che resta, ovvero bene comune: il patrimonio culturale

Il patrimonio culturale altro non è che la selezione e l’ufficializzazione di attività e oggetti. Il patrimonio culturale è, dunque, il risultato di una negoziazione collettiva positiva e si realizza attraverso processi culturali soggettivi, nei quali la credenza, l’emozione e la passione giocano un ruolo fondamentale. Malgrado l’apparenza di oggettività, il flusso patrimoniale che si realizza attraverso i movimenti moderni e organizzati della società civile contiene forme profonde di sacralità che, in quanto tali, implicano rivendicazioni e possessività, conflitti e frizioni. Approcciare analiticamente i processi di patrimonializzazione equivale a mettere a nudo la loro logica simbolica e a sviscerare gli effetti pragmatici messi in campo da tale logica7.

Il concetto più utile per comprendere il senso e il funzionamento del flusso patrimoniale è quello della memoria collettiva. La memoria collettiva è il processo di selezione dei valori comuni che è, insieme, istituzionale e popolare (Geertz 1999; Appadurai 1996) e costruisce l’identità di una società. La memoria collettiva è, per sua natura, presente in molte società della storia ma, come interesse pubblico, si sviluppa soprattutto nell’Europa moderna. Si pensi alle attività plateali che, dalla Rivoluzione francese ai nostri giorni, si sono incarnate nel culto delle glorie nazionali, nella storia insegnata a scuola e nella storia performata nelle piazze tramite la rievocazione di fatti celebri. Gli stati

7 La logica simbolica del flusso patrimoniale si basa sull’immagine paternalistica del passato che genera il presente e vive in esso; di questa logica simbolica parleremo nel paragrafo 6.

occidentali, nel corso del Novecento, hanno intensificato la loro attività in questo campo, modulandola in funzione dei bisogni e della rispondenza del pubblico (Lapiccirella Zingari 2011, 79-86; 2015a, 125- 168). I musei, le tombe dei personaggi illustri e i monumenti ai caduti hanno costruito un patrimonio che, in quanto eredità più o meno tangibile del passato, materializza la memoria collettiva e, attraverso di essa, l’identità delle nazioni, incarnando aspetti importanti del bene comune.

L’Europa è stata il terreno non solo dello sviluppo della memoria collettiva e dei relativi flussi patrimoniali, ma anche dell’analisi del loro funzionamento. Maurice Halbwachs, nei primi del Novecento, si è concentrato sul carattere socialmente condizionato della memoria, la quale si forma per impulso di stimoli sociali come il linguaggio, l’esperienza concreta e i legami affettivi, e costituisce una cornice che riesce a strutturare il complesso e caotico mondo delle emozioni di ogni individuo. Tale cornice ordina i pensieri delle persone, introducendo il senso della discontinuità e lasciando immaginare la cesura tra un prima e un dopo. Prendiamo in esame il significato veicolato da un anno come il 1948 che, nel mondo politico occidentale segna uno spartiacque ideologico, mentre per altri punti di vista risulta poco significativo. Nel 1948, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani stabilisce la dignità e l’uguaglianza di tutti gli uomini e definisce gli orientamenti universalisti delle Nazioni Unite e, collegando la sfera individuale e la sfera sociale attraverso la metafora degli esseri umani come fratelli, a garanzia dei quali le Nazioni Unite si ergerebbero a genitore del mondo, sollecita gli strumenti internazionali finalizzati a proteggere concretamente i diritti umani come interesse pubblico8. Lo spirito della Dichiarazione del 1948, peraltro, corrisponde a molte carte costituzionali, tra cui quella italiana, nata anch’essa nel 1948. Il

8 Il discorso paternalista impostato sulla logica occidentale delle Nazioni Unite come baluardo fondamentale contro la guerra e la barbarie viene criticato dagli studi post- coloniali, finalizzati a decostruire il linguaggio stereotipato che l’Occidente produce parlando di culture diverse.

passaggio dagli strumenti di legge soft (le Dichiarazioni, le Risoluzioni e le Raccomandazioni) ai vincoli veri e propri (le Convenzioni) si realizza attraverso la diplomazia e nel 1966 due trattati multilaterali, dal carattere vincolante, hanno applicato in modo concreto la Dichiarazione del 1948: il primo impegna gli stati membri a garantire nel loro territorio diritti individuali specifici di natura economica, sociale e culturale; il secondo impegna gli stati membri a garantire nel loro territorio il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza personale (Conforti 1987; Gioia 2013). Tuttavia, la data del 1966 non viene collegata, nella memoria collettiva, al 1948 che, per la società civile immedesimata nel processo di riconoscimento dei diritti universali, rappresenta una data-simbolo, un attivatore di valori condivisi, una cornice culturale e uno stimolo formidabile per l’azione quotidiana.

La memoria è, di per sé, un bene individuale e collettivo. L’atto di ricordare, di ricordarsi e di immaginarsi consente all’individuo di oggettivarsi e strutturarsi per via dell’interazione tra psiche, coscienza, esperienza, relazioni sociali e sfera affettiva. Le forme che stabilizzano le immagini di una collettività sono quadri sociali, i quali sono attivi finché vengono trasmessi. La trasmissione, insomma, è la base della vitalità del ricordo il quale, senza essere comunicato, progressivamente scompare. Per esempio, il significato di un cimelio è legato alla trasmissione non solo dell’oggetto, ma della narrazione che lo accompagna: si pensi alle testimonianze materiali della shoah che, se non fossero accompagnate dal discorso sul genocidio del popolo ebraico, alle nuove generazioni risulterebbero incomprensibili. Questo fa sì che in molte culture, e su una particolare selezione di argomenti, l’atto di ricordare sia declinato come un obbligo (Halbwachs 1950)9.

9 Per esempio, la commemorazione dei defunti è un atto fondamentale per le società che hanno la cultura del ricordo. La memoria culturale funziona come il ricordo dei defunti, che si traduce in un rito di rivitalizzazione simbolica: la memoria culturale realizza commemorazioni e altri comportamenti ritualizzati i quali riescono a tenere viva una selezione di elementi culturali che, altrimenti, verrebbero inghiottiti dall’oblio (Assmann 1992).

La necessaria selettività di ciò che deve essere ricordato rende complesso il campo della memorizzazione, che è il risultato di dialoghi, compromessi e frizioni. Il compleanno, l’anniversario o la festa patronale rappresentano il terreno in cui si incontrano le persone che riconoscono la necessità di tenere vivo quel determinato ricordo o valore collettivo. L’identità culturale viene prodotta e sollecitata dalla regolare ripetizione di questi rituali, monumenti immaginari che catalizzano i ricordi similmente a quanto fanno i monumenti reali. I rituali, insomma, funzionano un po’ come quegli oggetti di valore che ogni giorno provvedono ad orientare i percorsi di vita delle persone. La memoria culturale fa sì che le società riescano a sopravvivere alla morte dei loro singoli componenti, riproducendo una selezione di valori che, attraverso la ripetizione, vengono sottoposti un costante test di adeguamento (Assmann 1992).

Passiamo dunque a esaminare il moderno concetto di patrimonio che, nato nel diritto romano, oggi ha allargato il suo senso fino ad indicare, nella accezione moderna del patrimonio culturale, un sistema di valori da preservare per le future generazioni. In Italia, la normativa declina il patrimonio culturale nell’accezione di patrimonio artistico, architettonico, archeologico, demoetnoantropologico, naturale, ambientale, forestale, fino al nuovo paradigma dell’intangibile o immateriale, su cui si concentra il presente testo. Il maggiore problema, in tal senso, risiede nel fatto che il patrimonio culturale, secondo la normativa italiana (il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, d.lgs. n. 42 del 2004, meglio conosciuto come Codice Urbani) è costituito sostanzialmente da beni materiali (art. 2)10. Tuttavia la normativa, nei

10 In Italia, la tutela del paesaggio e dei beni culturali viene espressamente inserita nella Costituzione del 1948 (art. 9), sulla base di precedenti storici risalenti a Benedetto Croce. La prima normativa specifica riferita al paesaggio è la cosiddetta Legge Galasso (n. 431 del 1985). Il Codice italiano (d.lgs. n. 42 del 2004) fa esplicito riferimento al paesaggio, tuttavia la visione culturale del paesaggio è scarna e generalizzante: «per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni» (art. 131). Il concetto viene

vari ambiti di riferimento, associa il concetto di patrimonio culturale a un sistema di interessi comuni, sovra-individuali o appartenenti a una collettività intera, la quale può estendersi fino a incarnarsi nel concetto idealtipico di umanità. Il riferimento universalistico in Italia si connette alla ratifica degli strumenti giuridici delle Nazioni Unite e delle relative organizzazioni governative, tra cui l’UNESCO, che si occupa di scienza, educazione, sostenibilità ambientale, promozione della pace e riconoscimento dei diritti umani in una congiuntura storica nella quale il progresso tecnologico consente di conoscere una enorme mole di informazioni, dall’uso strategico ed educativo. Dunque, il concetto di patrimonio culturale in Italia è presente in modo variegato.