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Per un’antropologia dei processi di patrimonializzazione

di Lia Giancristofaro e Francesco Ferzetti *

7. Per un’antropologia dei processi di patrimonializzazione

L’osservazione partecipante, metodo d’indagine di cui si servono gli antropologi culturali, riesce a sviscerare narrazioni, convinzioni e istituzioni politiche dei gruppi, dimostrando che il loro legame con il passato è presente a ogni livello della trasmissione culturale. Infatti, anche nelle culture a trasmissione orale esiste il confronto con le

osservino le immagini viene apprezzato come il risultato dell’adattamento umano a contesti storici e orografici diversi. I patrimoni naturali e culturali, insomma, sono costruzioni sociali complesse e tra loro intrecciate.

generazioni passate13; tuttavia, il paradigma patrimoniale cresce di pari passo con la complessità culturale. La costruzione dei patrimoni nel tempo presente è un processo sociale ben diverso dalla ricostruzione del passato o dalla sua analisi storica, ed è ben visibile a quanti riescano a osservare i flussi culturali nel loro dispiegarsi concreto. Questo processo nel senso comune risulta impercettibile e gli stessi detentori del patrimonio difficilmente sono coscienti della natura politica delle scelte di cui si rendono protagonisti, spiegando il proprio attivismo come una missione sollecitata dagli antenati, una sorta di chiamata proveniente dal trascendentale. La visione causale e retrospettiva del patrimonio come origine del tempo presente si basa sull’opinione comune che il patrimonio non possa essere acquisito, ma solo ereditato, e questo, lo ripetiamo, carica di autorità e di sacralità sia l’elemento patrimoniale, sia chi lo detiene14. Per patrimonializzazione, dunque, intendiamo l’attività, poco intenzionale e poco cosciente, di costruzione del valore patrimoniale di un elemento o di un insieme di elementi.

La patrimonializzazione, cioè la conservazione, oggi viene sollecitata dal progresso tecnologico e dall’espansione degli orizzonti: in presenza di scambi indiretti e cambiamenti veloci, la patrimonializzazione si esplicita e si professionalizza, coinvolge le istituzioni e la società civile fino a realizzare una sorta di educazione pubblica. La costruzione dei patrimoni ha una natura narrativa, evocativa, socializzante e identitaria: essa, lo ripetiamo, non si avvale di metodi scientifici e non è l’analisi storica dell’elemento, anche se può intrecciarsi con essa. Infatti, la macchina patrimoniale reinterpreta, vive e rifunzionalizza l’elemento e la sua storia in base alle esigenze contingenti. La scarsa consapevolezza pubblica della natura sociale del patrimonio fa sì che il patrimonio e i

13 Si pensi ai rituali di commemorazione, che sono finalizzati a contrastare l’oblio e si configurano come un dovere sociale derivante dalla linea di discendenza (Lowenthal 1998).

14 Nel senso comune occidentale, l’antichità è vista come uno stato superiore, la sua lontananza viene vissuta con nostalgia, il ricongiungimento metastorico tra il presente e l’antichità è valorizzato in modo euforico (Greimas 1991).

processi di patrimonializzazione vengano aspramente criticati da molti studiosi come una pericolosa macchina culturale producente disuguaglianze e feticismo (Hafstein 2011; Tornatore 2011; Gonzàles 2017, 9-15).

In questo scenario, lo sguardo antropologico è orientato, per la sua natura analitica, a criticare il senso comune, finalizzando la ricerca patrimoniale al suo uso sociale. Dunque, l’analisi di un processo viene fatta nell’intento della sua restituzione al pubblico e al gruppo osservato, nell’obiettivo di migliorare la qualità della vita in generale e nel contesto osservato15. La natura impegnata e militante della ricerca antropologica determina almeno tre possibili posture dell’osservazione partecipante, cioè la postura interna, la postura critica e la postura partecipativa. La postura interna equivale a un approccio talmente integrato con la comunità da realizzare un’etnografia perfettamente allineata con il flusso culturale interno e con le sue istanze: insomma, l’antropologo finisce per essere il portavoce della comunità stessa, esprimendo in buona sostanza il suo punto di vista. Questo accade sovente in contesti di oppressione culturale e colonizzazione, o laddove l’antropologo è nativo della cultura che osserva. La postura critica, al contrario, vaglia i modi in cui i rapporti di forza costruiscono le relazioni sociali, permeando le forme dell’azione sociale, i simboli, le emozioni, i corpi stessi delle persone. Presupponendo che sono le istituzioni a plasmare le persone, la postura critica prende in esame non solo i flussi culturali, ma anche le categorie analitiche della stessa antropologia culturale, in quanto anch’esse sono frutto di negoziazioni, di compromessi e di istituzionalizzazioni del

15 Gli antropologi sono attori sociali a tutti i livelli e non accettano che i poteri forti adoperino le proprie ricerche per soggiogare o manipolare il gruppo osservato: anche quando il committente della ricerca coincide col gruppo osservato, le tutele professionali e lo statuto stesso della disciplina permettono all’antropologo di agire in piena coscienza rispetto al committente, controllando gli effetti nefasti di un conclamato o potenziale conflitto di interessi. L’antropologo difficilmente può trincerarsi dietro una presunta neutralità delle scienze umane, perché le indagini vanno restituite alla sfera pubblica e implicano coscienza e onestà intellettuale.

potere scientifico e accademico. La postura partecipativa, infine, trasforma la ricerca in una co-ricerca, ovvero in una ricerca partecipativa, condotta sì tramite l’ascolto e l’osservazione della comunità, ma considerando anche gli effetti della restituzione immediata di tale ascolto e osservazione. Insomma, attraverso la postura partecipativa l’antropologo descrive, anzi, riscrive il contesto, osservandolo assieme ai suoi stessi protagonisti. L’etnografia condotta attraverso la postura partecipativa oggi pare lo strumento più adatto per comprendere e negoziare i flussi patrimoniali, a patto che si consideri criticamente l’ideologia del miglioramento, così come tutto il paradigma della qualità della vita. La postura partecipativa viene richiesta soprattutto nei contesti dove le istituzioni ritengono necessario riattivare le dinamiche relazionali, la condivisione, la partecipazione alla vita pubblica. La postura partecipativa, per la sua natura condivisa, va oltre la mera restituzione di una etnografia e il suo obiettivo non è tanto l’oggetto, quanto il processo, cioè innescare narrazioni collettive nuove, trasparenti e inusuali in merito all’oggetto, in quanto il patrimonio culturale è lo spazio pubblico di emersione delle differenze culturali, delle disuguaglianze sociali e dei rapporti di potere. Infatti, le identità e i patrimoni si costruiscono all’interno della loro stessa rappresentazione, e la natura narrativa di questo processo non diminuisce l’efficacia del risultato (Schabas 2009; Zagato 2006, 35-65, 2008). È proprio questa visione soggettiva dei piani storici a sollecitare, oggi come ieri, la riflessione antropologica, e a rendere sempre più rilevante, nell’etnografia delle culture contemporanee, il tema della memoria, del bene comune e del patrimonio.

Il maggiore problema etico che gli antropologi riscontrano nel lavorare dentro o accanto ai processi di patrimonializzazione risiede nel fatto che il campo patrimoniale si lega, storicamente, alle potenze nazionali, le quali nel corso degli ultimi duecento anni si sono consolidate grazie all’identificazione collettiva in valori specifici e grazie al compiacimento pubblico per gli stessi. Il raccordo tra identità locali e culture nazionali ha determinato, e continua a determinare, scontri tra minoranze che

competono per prevalere nella progressiva invenzione del patrimonio inteso come narrazione prevalente. Inoltre, se è vero che ogni cultura tende a utilizzare le espressioni letterarie e artistiche per demarcare ciò che è proprio da ciò che non è proprio, l’idea di accumulare i patrimoni culturali come una sorta di ricchezza contraddistingue la cultura occidentale, ed è causa ed effetto della sua organizzazione in stati. Questa pratica è stata diffusa nelle culture extraeuropee proprio allo scopo di agevolare, dall’esterno, il processo di costruzione nazionale (Clifford 1988).

8. Il patrimonio in azione: la Convenzione del 1972 e l’invenzione