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I L CICLO DI V OLPE

Nel documento Le muse di Montale (pagine 106-117)

Capitolo terzo

III. L’A VVENTO DI C LIZIA : PARABOLA DI ASCESA E DECLINO

III.4 I L CICLO DI V OLPE

La serie delle figure femminili della Bufera è conclusa dalla donna- volpe, trasfigurazione poetica di Maria Luisa Spaziani, che compare alla fine della quinta sezione dell'opera, Silvae, e nei successivi Madrigali privati. Quest’ultima figura di donna si differenzia fin da subito dalle altre finora viste; scrisse a tal proposito Montale:

Era una giovane donna e ne è venuto un personaggio diverso da Clizia, un personaggio molto terrestre. Di fronte alla “volpe” mi sono paragonato a

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Pafnuzio, il frate che va per convertire Thais ma ne è conquistato. Vicino a lei mi sono sentito un uomo astratto vicino a una donna concreta: lei viveva in tutti i porti della mia pelle. Ma anch’io ne ricevevo un senso di freschezza, il senso soprattutto d’essere ancora vivo369.

La sezione dei Madrigali privati fu inizialmente intitolata L’angelo e la Volpe370, e raccoglie le liriche scritte nel biennio 1949-50 e dedicate a Volpe. Il riferimento al madrigale dichiara che si tratta di poesie d’amore, l’aggiunta dell’aggettivo “privati” «sottolinea l’aspetto erotico- individuale»371 di questi testi e il carattere autobiografico: il linguaggio si fa più familiare e concreto, abbondano i riferimenti a luoghi e oggetti specifici.

La nuova musa viene fin da subito caratterizzata per la prepotente e istintiva sensualità «più che donnola o donna» e la prorompente vitalità; è stato però il poeta a consacrarla a creatura “altra” con il «solco che (ha) graffiato a sangue».

Qui [nei Madrigali privati] appare l’Antibeatrice come nella Vita Nuova; come la donna gentile che poi Dante volle gabellarci come Filosofia mentre si suppone che fosse altro, tant’è vero che destò la gelosia di Beatrice372

.

L’Antibeatrice dalle «piume lacerate», «dall’ala d’ebano», è una nuova musa montaliana, più terrena e presente: la donna non ha «le altezze siderali e cosmiche di Clizia, ma il suo è un ruolo narrativo altrettanto importante»373. Sia da notare anche la scelta dei nomi: da un lato il nome di una Ninfa di «classiche ascendenze», dall’altro un «animale che sì ha la sua nobiltà, ma che resta essere eminentemente ctonio, pieno di vita sulla terra e tra la terra»374. Al contrario del gelido lampo di Clizia, Volpe è caratterizzata da indizi, quali «la brace, la lava, la pista arroventata, il fuoco, la fiamma o l’incandescenza»375. A partire dal terzo madrigale Se t’hanno

369 In G.NASCIMBENI, Eugenio Montale, Longanesi, Milano, 1969, p. 156.

370 Nell’indice Macchia questa sezione doveva comprendere le future sezioni «V Silvae e VI Madrigali privati, definendo il contrasto tra le figure delle due protagoniste». In M.A.GRIGNANI,

Dislocazioni, cit., p. 119. 371 R.LUPERINI, op. cit., p. 164.

372 Lettere a Silvio Guarnieri del 29 novembre 1965. In L.GRECO, op. cit., p. 57. 373 F.GIUSTI, op. cit., p. 101.

374 Ivi

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assomigliato si compie «la metamorfosi della donna con l’uscita allo scoperto del senhal Volpe, che tornerà ancora negli ultimi pezzi della serie»376.

So che un raggio di sole (di Dio?) ...

La serie dei Madrigali privati inizia con un testo privo di titolo, in cui però già si intravedono i nuovi attributi e le nuove qualità della nuova musa montaliana:

So che un raggio di sole (di Dio?) ancora può incarnarsi se ai piedi della statua di Lucrezia (una sera ella si scosse,

palpebrò) getti il volto contro il mio. (vv.1-4)

Volpe, ultima presenza femminile nella Bufera, è capace di tradurre quel minimo di divino che resta, «un raggio di sole», in effettiva presenza, in concreta manifestazione fenomenica. Il «raggio di sole» è infatti la «pagana forza fecondatrice della terra»377 che può ancora «incarnarsi». La conditio sine qua non per la nuova fede è la «prova fisica, tangibile dell'esistenza della musa, collocata in un contesto quotidiano»378 e altrettanto verificabile, all'opposto dell'«oltrecielo» in cui si muoveva Clizia.

La nuova divinità può incarnarsi anche nell’ «androne», così come «nei trifogli»: la pianta erbacea diventa infatti un senhal di Volpe per metonimia, poiché ne è piena la campagna padana a lei legata. Il «buio» si «scioglie» al caldo del «lungo incendio» di Volpe, ma permane pur sempre ad avvolgere quell'amore privato nell'«ombra». Alla luce vivificante della donna lo slancio da «rondine» del poeta, altrove «piccione» dal «tardo frullo», può diventare quello ben più maestoso di un «falco». La donna è in grado di conferire «un senso, di valorizzare e addirittura

376 Ibidem, p. 121.

377

M.ROMOLINI, op. cit., p. 327.

378

Una «statua / di Lucrezia» si trovava realmente nell'«androne» del palazzo della milanese via Cernaia dove la Spaziani alloggiava, ospite della famiglia Moreo. In M.A. GRIGNANI, Dislocazioni,

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sacralizzare anche le realtà più modeste e ordinarie»379, come il corteggiamento da parte del poeta, di volta in volta «rondine», «rospo» o topo «uscito dalla fogna». Se la sua «presenza numinosa dissiperà il “buio”, anche la “rondine”, che in qualità di annunciatrice della primavera starà anche a segnalare una rinnovata giovinezza del poeta innamorato, potrà sembrare un “falco”»380.

Hai dato il mio a un albero? Non è poco

Il poeta, reduce dalla luce piena di Clizia, non si «rassegna» a restare «ombra, o tronco»:

Hai dato il mio nome a un albero? Non è poco; pure non mi rassegno a restar ombra, o tronco, di un abbandono nel suburbio. (vv.1-3)

La donna ha dato il nome dell’io ad un albero, il «cherry tree», come si legge nella lettera del 14 aprile 1949381. La realtà con cui il poeta viene identificato è residuale, minima, quotidiana, «tronco» di «albero» o «ombra», come quella che avvolge la relazione con Volpe («sempre nell'ombra» era stato detto in So che un raggio di sole

(di Dio?) ancora...).

… Io il tuo

l’ ho dato a un fiume, a un lungo incendio, al crudo gioco della mia sorte, alla fiducia

sovrumana con cui parlasti al rospo

uscito dalla fogna, senza orrore o pietà (vv.3-7)

Anche il poeta ha dato ad una serie di correlativi il nome della donna: ad un «fiume», simbolo del divenire del mondo, al «lungo incendio», simbolo dell’eros. Torna

379 M.ROMOLINI, op. cit., p.328. 380 Ivi

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dunque il leitmotiv del fuoco che divampa, lento e inestinguibile, dalla potenza inarrestabile, di cui troviamo testimonianza anche nelle lettere: «The fire is burning more and more»382, «il fuoco ha preso proporzioni gravi»383, al crudele «gioco della mia sorte» che lo tiene in balia della donna, al «rospo»384, che è «figura in diminutio del poeta»385. Si intravede al v. 5 in quella «fiducia / sovrumana», che inizialmente era una «fiducia / tranquilla», il senso del divino della musa terrestre: ella infatti è in grado di parlare con il «rospo», ma il suo atteggiamento è anche totalmente spregiudicato, ponendosi verso le creature della «fogna, senza orrore o pietà»386.

La sua fiducia si pone come «sovrumana», in quanto con la sua presenza ella può trasformare il poeta «rospo» in principe, nobilitarne l'esistenza ordinaria. L’ultimo correlativo della serie, «quel forte / e morbido tuo labbro che riesce, nominando, a creare», evidenzia il potere onomaturgico che il poeta conferisce alla donna, legato a un dettaglio di valenza erotica, quale il «labbro», allo stesso tempo «forte / e morbido». Ella, con la sua capacità di creare, dà origine al nuovo mondo, fatto di realtà elementari elencate in una sequenza asindetica priva di gerarchia: «rospo fiore erba scoglio»387.

Alla protezione della magnolia del primo Madrigale si sostituisce quella della robusta «quercia», «pronta a spiegarsi» sui due amanti sorpresi da una «pioggia» ben diversa dalla «bufera [...] marzolina». Questa è una «pioggia» densa di carica erotica, che «spollina i carnosi / petali del trifoglio» e alimenta la vampa del «fuoco» amoroso.

382 Lettera alla Spaziani del 18 maggio 1949. In M.A. GRIGNANI, Dislocazioni, cit., p. 120. 383 Lettera alla Spaziani del 30 maggio 1949.

384 Prima «topo», poi mutato per programmatica volontà di variatio rispetto alla produzione precedente), «ho messo un rospo al posto del topo perché di topi ce n’è già più d’uno nella mia poesia passata. Ho fatto male?». Lettera del 30 maggio 1949 alla Spaziani.

385 M. A. GRIGNANI, Dislocazioni, cit., p. 120. 386 M.ROMOLINI, op. cit., p. 331.

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Se t’hanno assomigliato…

Se t’hanno assomigliato…, è la prima poesia della sezione Madrigali privati,

dove si compie «la metamorfosi della donna con l’uscita allo scoperto del senhal Volpe»388, le coppie ossimoriche giocano a delineare la figura della nuova musa. Ha inizio con questo terzo madrigale l’interpretatio nominis della protagonista: il soprannome infatti le era stato assegnato dai familiari e l’io poetico ne cerca le radici, nel tentativo di recuperare una qualche spiegazione naturalistica389.

Se t’hanno assomigliato alla volpe, sarà per la falcata prodigiosa, pel volo del tuo passo che unisce e divide… (vv.1-4)

Della donna è evidenziato fin da subito il «volo» rasoterra, forte a tal punto che il

selciato, le strade del Cottolengo e tutto ciò che calpesta vibrano felici. La nuova

musa è terrena, ma rappresentata ancora in «modo stilnovista, vista l’azione che sembra esercitare sull’ambiente»390. Volpe inoltre è portatrice di un’«onda luminosa» che le si sprigiona dagli occhi a mandorla, non occhi di acciaio quali erano quelli di Clizia, ma occhi che racchiudono in sé anche una connotazione sessuale. Il ritratto di questa creatura continua sulla falsariga della coincidentia

oppositorum, che serve al poeta a evidenziare che in realtà lui solo ha carpito

l’essenza totale della Volpe:

È forse perché i ciechi non ti videro sulle scapole gracili le ali,

perché i ciechi non videro il presagio della tua fronte incandescente, il solco

che vi ho graffiato a sangue, croce cresima (vv.19-23)

388 M. A. GRIGNANI, Dislocazioni, cit., p. 121. 389 Cfr. M.ROMOLINI, op. cit., p. 336. 390 Ibidem, p. 339.

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Le «ali» e la «fronte» si accostano all’imagery cliziana, ma gli altri, ciechi, non vedono la natura angelica che è visibile solo all’io, unico depositario del «segreto», cioè del rituale con cui il poeta consacrò Volpe. La violenza del marchio, «graffiato a sangue» sulla fronte della neofita, colloca il gesto all’interno di un cerimoniale iniziatico che, paradossalmente, introdurrà come adepta proprio la donna che verrà adorata391. Il carattere angelico è dunque imposto dall’io, e infatti quest’investitura ha bisogno di continue conferme, come si evince da alcune lettere alla Spaziani:

Dearest Angel Fox (…) think of your lover-husband-brother-friendchield that has christened you in the Cathedral392, don’t forget my blessing in the cathedral. You are marked, stamped forever, Angel of Fire and Thunder393.

La nuova musa non è discesa dall’alto come Clizia, ma l’accettazione della sua natura divina è decisa da un implicito patto tra il tu e l’io. Il patto è però caratterizzato da una mescolanza di elementi pagano-cristiani: “marchio” e «croce cresima». I ciechi non videro oltre la natura terrena della donna, l’agnizione resta prerogativa esclusiva del poeta:

con chi dividerò la mia scoperta, dove seppellirò l’oro che porto, dove la brace che in me stride se,

lasciandomi, ti volgi dalle scale? (vv.27-30)

L’ «oro», emblema del «principio solare e paterno di una terrestre vitalità, va sepolto affinché possa essere custodito dall’io»394. Un nuovo abbandono si prospetta all’io: Volpe si volge, come già aveva fatto Clizia, e lascia il poeta; non è più dunque la donna a sprofondare nel buio, ma è lei stessa a lasciare l’amato nel regno dei «ciechi», concedendogli solo una parziale salvezza nell’ «oro» che egli conserva per sé e che subito cerca di nascondere395.

391 Ibidem, p. 340.

392 Lettera alla Spaziani datata 20 maggio 1949. 393 Lettera alla Spaziani datata 24 maggio 1949.

394

A.NOFERI, «Cripte buche e nascondigli» in Montale, in Soggetto e oggetto nel testo poetico. Studi

sulla relazione oggettuale, Bulzoni, Roma, 1997, pp. 174-176. 395 Cfr. M.ROMOLINI, op. cit., p. 341.

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Nubi color magenta396…

L’occasione della poesia scaturisce da un’escursione ciclistica dei due a Cervia, dove la Spaziani aveva trascorso l’estate del 1949: «you are alive, pedalando on the seashore»397, «Pedala, angelo mio – said the poet, we must pedalare for many miles in our life»398.

Nubi color magenta s’addensavano sulla grotta di Fingal d’oltrecosta quando dissi «pedala

angelo mio!» e con un salto

il tandem si staccò dal fango, sciolse il volo tra le bacche del rialto. (vv. 1-6)

Il contesto della «tandem promenade»399 viene fin da subito trasfigurato dalla memoria letteraria. La minaccia di pioggia, visto l’addensarsi delle nubi, assume tratti di un abbassamento al quotidiano rispetto alla pioggia che aveva investito la

Bufera. Il «volo» è quello del tandem che, all’esortazione del poeta, si stacca dal

terreno sconnesso.

Nubi color di rame si piegavano a ponte sulle spire dell’Agliena, sulle biancane rugginose quando ti dissi «resta!», e la tua ala d’ebano occupò l’orizzonte

col suo fremito lungo, insostenibile. (vv.7-12)

Il paesaggio è cambiato, le «spire dell’Agliena» alludono a un corso d’acqua nei pressi dei Certaldo, così come le «biancane», che sono tipiche zone di terreno argilloso in Toscana, e il mutato contesto permette il compirsi del miracolo: Volpe,

396 Quinto madrigale venne pubblicato con il titolo Il rosso e il nero in Domus, n. 245, Milano, aprile 1950.

397 5 agosto 1949. In M. A. GRIGNANI, Dislocazioni, cit., pp. 108-109. 398 10 agosto 1949.

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fattasi angelo, benché atipico perché dall’ «ala d’ebano», riempie di sé «l’orizzonte» del poeta400:

Come Pafnuzio nel deserto, troppo volli vincerti, io vinto.

Volo con te, resto con te; morire, vivere è un punto solo, un groppo tinto del tuo colore, caldo del respiro

della caverna, fondo, appena udibile. (vv.13-18)

Il poeta si paragona a Pafnuzio «nel deserto» che, soggiogato dalla sensualità di Thaïs, sconfessa la propria vita monacale401, così come l’io che esce sconfitto dal rapporto con la nuova figura creaturale. Alla comparazione segue la dichiarazione d’amore di Montale, tanto che il «vivere» e il «morire» annullano la loro antitesi, convogliando nell’amore per la donna: qualsiasi «volo» ha senso purché fatto con la donna; nella lettera inviata alla Spaziani il 26 giugno 1949 il poeta scrive: «I kiss you, my God, my life, my death». La «caverna» allude all’incontro dei due, anche Pafnuzio e Thais ebbero lì il loro primo incontro: «quando entreremo definitivamente in un nut-bush dove io mi possa perdere ogni ora con te, entro te, in ogni atomo, in ogni fibra di te?»402.

Da un lago svizzero

Il penultimo Madrigale viene pubblicato senza titolo, ma con l’indicazione topografica tra parentesi e la data settembre 1949. Questo rivela, con l’espediente dell’acrostico, il nome di Maria Luisa Spaziani:

400 Ivi, p. 351.

401 Montale allude al romanzo di Anatole France, intitolato Thaïs, pubblicato nel 1890, ispirato alla leggenda della vita di Santa Taide, una prostituta convertita al cristianesimo, che sarebbe vissuta nel IV secolo. Il monaco Pafnuzio è l’artefice della conversione della giovane, ma rimane ossessionato dalla sua bellezza senza più riuscire a distinguere i segni divini dalle tentazioni diaboliche. Sulla vicenda e il rapporto con Montale si consulti M.ROMOLINI, op. cit., p. 349.

115 Mia volpe, un giorno fui anch’io il “poeta assassinato”: là nel noccioleto

raso, dove fa grotta, da un falò: (vv.1-3)

Il poeta appella la “volpe” e subito dopo cita il racconto di Apollinaire, «il 'poeta / assassinato'»; la morte è quella simbolica dei due amanti durante l'amplesso, la citazione esibita riporta a Le Poète Assassiné di Apollinaire, opera del 1916 tradotta in italiano da Angelo Bianco nel 1944403.

Nel racconto eponimo della raccolta il protagonista Croniamantal viene linciato dalla folla per aver cercato di difendere la poesia contro una dittatura totalitaria del pragmatismo e della scienza; compare per l'appunto un acrostico, che forma il nome Maria404, scritto da un fattorino d'albergo per la ragazza in partenza per la Svizzera. Montale si trova presso il lago di Ginevra, come risulta chiaro nella versione uscita su «Il Dovere» il 20 aprile 1950 e datata «Ouchy, settembre 1949». Lì si era infatti svolta la quarta edizione dei Rencontres Internationales sull'arte contemporanea, durante la quale, il 9 settembre 1949, Montale aveva pronunciato il discorso Le futur sur les genoux de Dieu405. Il «noccioleto» è invece quello torinese

della missiva del 12 ottobre:

SALE SODA SAPONE (quando potrò rivederli?), bosco dei noccioli, clover on the river side, Cervia pine trees, the girl in white and black, frightened like a pupil, the tandem promenade – what a dream, what a strange beginning of our life! Don't dismiss King Salomon, sweet, marvellous Maria Luisa; the dream will become a strong reality. Work and remember me. The poor little bear406

Nella corrispondenza tra i due, il «noccioleto» si lega anche al «ricordo della grotta» (14 luglio 1949), sperimentando, anche se in quella che ormai è la lingua d'elezione

403 O.MACRÍ, La vita della parola. Studi montaliani, Le Lettere, Firenze, 1996, p. 151.

404

Questi versi erano stati in realtà scritti dallo stesso Apollinaire per Maria Dubois, reinterpretata a sua volta come figura premonitrice alla luce della successiva relazione con la pittrice Marie Laurencin. Cfr. V.PACCA, Fonti narrative dei «Madrigali privati», in «Nuova Rivista di Letteratura Italiana», 2, 1999, pp. 397-422.

405

Cfr. G.ZAMPA, Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, Mondadori, Milano, 1996, pp. 783-784.

406

In M. A. GRIGNANI, Dislocazioni. Epifanie e metamorfosi in Montale, Manni, Lecce, 1998, p. 135.

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dell'epistolario amoroso, tutte le combinazioni possibili: «a grotto like community with the fox» (15 luglio), «nut-bush», «bush-grotto», «nut grotto»407. La «grotta» diventa la «metafora continua dell'eros e della perdita di sé» per antonomasia. «In quella tana un tondo di zecchino / accendeva il tuo viso», continua la metafora sessuale, coerente con l’animale, filtra uno spiraglio di luce ad illuminare il «viso» di Volpe408.

Sei tu che brilli al buio? Entro quel solco pulsante, in una pista arroventata, àlacre sulla traccia del tuo lieve zampetto di predace. (vv.11-14)

Volpe, seppur descritta come nuova figura divina, non dissipa il «buio», ma «brilla» in esso. Il poeta «straniero», per il soggiorno a Ginevra, segue l’«orma quasi / invisibile a stella» lasciata dalla predatrice e «piomba» nel ricordo del «solco / pulsante» e della «pista arroventata» del corpo della donna. Montale torna più volte su questi versi, giustificando alla Spaziani il definitivo ordine:

Lascio 'io straniero'; ma che la pista segua il solco oscura il senso della poesia, che è di restringimento e di convergenza; poi c'è la bruttura 'ora... ancora' che così risultava eliminata. Però era giusto che pulsasse il solco, non la pista. Forse bisognerà lasciar maturare una terza soluzione; il resto mi par quasi perfetto. Vedi che il tuo nome mi ha portato fortuna. Non credo esista (in Italia) una poesia erotica così sublimata, con simboli altrettanto spontanei e puri, ma carnali, non stilnovistici. (È la prima volta che mi vanto un po', non temere che ci ricaschi più – e perdonami)409.

Dal lago di Ginevra si alza «un’anitra nera», simbolo della donna, che lo guida «fino al nuovo / incendio», per «bruciarsi» e risorgere nella passione vivificante dell’eros410.

407

Ivi, p.128.

408 Cfr. M.ROMOLINI, op. cit., p. 367. 409 Lettera alla Spaziani del 22 ottobre 1949. 410 Cfr. M.ROMOLINI, op. cit., p. 369.

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Nel documento Le muse di Montale (pagine 106-117)