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G ERTI , L IUBA E D ORA M ARKUS

Nel documento Le muse di Montale (pagine 45-54)

Capitolo secondo

II. L E OCCASIONI VISSUTE E MANCATE

II. 2 G ERTI , L IUBA E D ORA M ARKUS

Gerti151 è la prima figura femminile che incontriamo nelle Occasioni, a lei è dedicata la poesia Carnevale di Gerti, anche se nella lettera inviata da Montale all’amico Bobi Bazlen, datata 18 aprile 1928, si dice che Gerti «c’entra per metà»:

Ti unisco il carnevale di Gerti. Come vedrai Gerti c’entra per metà e anche meno; tuttavia c’entra (specie nell’inizio e in alcuni dettagli importanti). C’entra assai meno nel finale apocalittico, sarebbe dovuta restare “privata”; ciò ne spiega la diffusione e la relativa oscurità, insolita in me152.

Un lungo periodo ipotetico apre la strada al carro su cui la donna è salita e da cui assiste al grande caos del carnevale di Firenze. Il tragitto, però, è rallentato da una serie di ostacoli (groviglio delle stelle filanti, la calca, i coriandoli), che interrompono la «linearità del percorso»153 e si pongono come preannunci dell’improbabile miracolo. Queste interruzioni, insieme allo sfollarsi della gente, creano un’atmosfera “ovattata”, che conduce la donna «in un mondo soffiato entro una tremula / bolla d’aria e di luce…», poiché «l’epifania liberatrice può essere soltanto individuale ed effimera»154, simile, per la sua «atmosfera surrealista, a quella vissuta qualche mese prima nella notte di San Silvestro»155.

… hai ritrovato

forse la strada che tentò un istante il piombo fuso a mezzanotte quando finì l’anno senza spari

E ora vuoi sostare dove un filtro fa spogli i suoni

e ne deriva i sorridenti ed acri

fumi che ti compongono il domani: (vv.12-19)

151 La figura femminile ispirata a Gerti è l’austriaca Gertrude Frankl, ebrea austriaca. In T.DE ROGATIS, op. cit., p. 44.

152 In D.ISELLA, Introduzione e commento a E.MONTALE, Le occasioni, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1996, p. 37.

153 T.DE ROGATIS, op. cit., p. 45.

154 G.CAMBON, Saggi montaliani (1960-1984), Studium, Roma, 2013, p. 94. 155 Ivi

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La ressa carnevalesca, sinonimo di rumore e clamori, viene messa a tacere dall’ingresso della donna nel mondo magico, con un attenuarsi del suono, prima nelle «flebili ocarine» dei bimbi, poi nello «sfaldarsi dei lievi echi», ed infine nel silenzio raccolto «dell’anno tranquillo senza spari». Tuttavia la «negazione del rumore non è silenzio negativo, non è pura assenza di suono, ma musica ultrasonica, inaudibile se non agli attenti»156.

Il poeta ricorda il rituale, ormai passato, della donna-maga, quando ella nella notte di capodanno fuse del piombo in una tazzina e lesse il futuro agli amici presenti. Gerti tuttavia, con caparbietà infantile, è determinata ad usare nuovamente i suoi poteri: vorrebbe utilizzare il filtro che sopisce i suoni e che genera «illusorie cortine di fumo»157 in grado di «evocare il mondo fatato in cui vorrebbe vivere»158. La donna chiede ai fumi magici di comporre il domani, di dar vita a questo mondo fiabesco, ma nella terza lassa la realtà prende prepotentemente il sopravvento e svela l’illusione fragile di Gerti e delle sue doti di maga:

Oh il tuo Carnevale sarà più triste stanotte anche del mio, chiusa fra i doni tu per gli assenti… (vv.24-26)

La donna è chiusa fra i regali degli amici, «in mezzo ad oggetti non più trasfigurati, ma ridotti alla pura elencazione»159, sola, perché tutti se ne sono andati, è lontano il giorno in cui ella compì il sortilegio, ed è a causa di questa solitudine che si sente smarrita, anche temporalmente, a tal punto da chiedere se sia carnevale o ancora dicembre:

….è Carnevale

o il Dicembre s’indugia ancora? Penso che se tu muovi la lancetta al piccolo orologio che rechi al polso, tutto

156 G.CAMBON, op. cit., p. 95. 157 T.DE ROGATIS, op. cit., p. 42. 158 Ibidem, p. 50.

159 M.E.ROMANO, Temi e organizzazione tematica nel carnevale di Gerti, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia», Serie III, Vol. 5, No. 3 (1975), p. 1204.

47 arretrerà dentro un disfatto prisma

babelico di forme e di colori…) (vv.32-37)

Gerti cerca di tornare a quella notte di capodanno e muovere all’indietro le lancette dell’orologio. Il tentativo di fermare le lancette, di compiere una magia o un esorcismo che la salvi, si rivela vano, e tutto riprende inesorabilmente il suo corso160. La donna deve arrendersi all’ineluttabilità del tempo che scorre, al fatto che gli eventi passati non tornano; di fronte a questa realtà ella cerca di evocare nuovamente l’immaginario mondo fiabesco, ma capisce di essere impotente:

Come tutto si fa strano e difficile, come tutto è impossibile, tu dici.

La tua vita è quaggiù dove rimpombano le ruote dei carriaggi senza posa

e nulla torna se non forse in questi disguidi del possibile. (vv.53-58)

Gerti constata di non poter fermare la forza inarrestabile del tempo, e tutto allora le appare «strano e difficile». I «disguidi del possibile», istanti unici che non sono preordinati, possono per un attimo dare la parvenza di aver scardinato la linearità del reale, ma al di fuori di questi «nulla torna». Il poeta dice allora alla donna di ritornare «fra i morti balocchi», in una realtà dove al tempo non è concesso fermarsi, ma battere «al polso», di tornare alla vita, e alle «primavere che non fioriscono», «simboli di promesse di vita che non vengono adempiute e che non torneranno»161. Ella deve dunque rassegnarsi a tornare nella realtà:

Torna alla via dove con te intristisco, quella che additò un piombo raggelato alle mie, alle tue sere:

torna alle primavere che non fioriscono. (vv.63-66)

160

Cfr. R.LUPERINI, op. cit., pp. 77-78. 161 Ibidem, p. 45.

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L’ insieme degli elementi e delle immagini favorevoli all’evasione della donna vengono tutti negati nell’ultima strofa in concomitanza con il fallimento dell’evasione stessa162. La prima via, alla fine della prima strofa: «hai ritrovato / forse la strada», sembrava presago di una serie di occasioni propizie, anche se ipotetiche; ma è la seconda, nell’ultima strofa: «torna alla via dove con te intristisco», comune all’io e alla donna, ad evidenziare il ritorno nella prigionia del quotidiano, il piombo «fuso» si è ora «raggelato».

La figura femminile qui evocata serve a Montale per evidenziare che esistono, tra la ciclicità del tempo e la sua perfetta linearità, sprazzi di possibile. Se negli Ossi di seppia il poeta parlava della «maglia rotta nella rete» che permetteva alla donna di evadere, di salvarsi, in Carnevale di Gerti il poeta conduce la donna verso la presa di coscienza di un tempo inarrestabile, che non può tornare indietro. La vicenda del Carnevale può essere riassunta come «un’ipotesi di evasione della protagonista femminile, condivisa dubitativamente dall’io poetico»163. Il processo antinomico scaturisce pertanto dalla ripresa del tema del ritorno (“ritornare” è infatti ripetuto cinque volte), che urta con la consapevolezza, già insita prima nel poeta poi in Gerti, dell’impossibilità del ritorno stesso: «il passato è morto, il presente è causa continua della sua stessa morte, il futuro morirà»164.

A Liuba che parte

Questa è una delle poesie più brevi di Montale, scritta nel 1938. Liuba165 è un’altra dei “tu femminili” a cui Montale si rivolge. Il poeta sceglie infatti di rappresentarla poco prima della sua partenza dall’Italia, resa necessaria a causa dalla

162 Cfr. M.E.ROMANO, op. cit., p. 1205. 163 Ivi

164 P.SENNA, Il mottetto “Ecco il segno; s’innerva”: un autografo e note di esegesi, in “Testo”, n. 71, genn.-giu. 2016, p. 188.

165 Figura ispirata a Ljuba Blumenthal, un’ebrea di origini carpatiche amica di Montale. Si veda per maggiori dettagli: T.DE ROGATIS,op. cit., p. 58.

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promulgazione delle leggi razziali. La poesia prende la forma di un congedo dalla struttura «scopertamente epigrafica ed enigmatica»166, poiché infatti, come lo stesso poeta ebbe modo di dire, questi versi sono «il finale di una poesia non scritta. Antefatto ad libitum. Servirà sapere che Liuba – come Dora Markus – era ebrea»167. La tonalità drammatica degli eventi storici si contamina volutamente con «il tono apparentemente leggero di tutto il componimento e con l’idea stessa dell’omaggio alla donna»168, come dimostra anche il dativo del titolo A Liuba.

Non il grillo ma il gatto del focolare

or ti consiglia… (vv.1-3)

Il poeta stila l’elenco delle cose che la donna ha deciso di considerare tra i bagagli: ella non ha con sé il «grillo», di solito evocato come un «consigliere prudente e pedante»169, ma il gatto nuovo lare della casa, che ha messo in uno dei suoi bagagli,

gabbia o cappelliera, ed «il particolare tra il serio ed il faceto illumina di speranza

il tema del viaggio»170.

Liuba è pronta a partire con la sua cappelliera e il suo gatto, simboli della femminilità e della precarietà di una vita che tenta fortunosamente di galleggiare sui ciechi flutti dei tempi171. Ella è «figura sfuggente, inconsistente sul piano fattuale»172, evanescente rispetto alla realtà, resa ancor più misteriosa da questi oggetti che diventano àncora di salvezza, «arca leggera» con cui poter fuggire. La figura di Liuba ha nondimeno la misteriosa consistenza di un’allegoria, che partecipa della storia e del mito. Sospesa tra ciechi tempi, una famiglia dispersa, una casa da abbandonare e una destinazione non dichiarata, Liuba è minacciata dal flutto

166 D.S.AVALLE, Tre saggi su Montale, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1970, p. 93 167 Lettera a Bobi datata 10 maggio 1939. In D.ISELLA,Le occasioni, cit., p. 49. 168 D.ISELLA,Le occasioni, cit., p. p. 59

169 Ivi

170 D.S.AVALLE, op. cit., p. 94.

171 Cfr. D.ISELLA, Per due liriche di Finisterre, cit., p. 10.

172 «Credo che fosse già cittadina inglese e residente a Londra ai tempi delle persecuzioni. Non l’ho vista partire, non so nulla del suo eventuale bagaglio. Quindi ciò che ho detto a Guarnieri non vale nulla. E’ possibile che l’idea del grillo sia un ricordo di quella festa di Firenze, in cui si vendono grilli in gabbia». In D.S.AVALLE, op. cit., p. 95.

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storico e inarrestabile, ma dispone di una divinità protettrice, il gatto, nuovo lare della sua vagante casa.

La casa che tu rechi

con te ravvolta, gabbia o cappelliera sovrasta i ciechi tempi come il flutto

arca leggera – e basta al tuo riscatto (vv.5-8)

Liuba è sostenuta da ciò che lei stessa porta ravvolto con sé. L’ingombro del suo bagaglio a mano è minimo, ma grande è il peso simbolico. Esso unifica l’universo dei legami affettivi, la donna Liuba ha così il suo “riscatto”, salva la sua identità sottraendola alla brutalità della storia e la consegna ad un gatto, come custode del suo tempo. La gabbia, in cui inserisce l’animale, rappresenta la sua casa, un concentrato di passato e presente ed un auspicio per il futuro; il suo bagaglio corrisponde al suo legame con le memorie che protegge e la proteggono. La memoria del passato interagisce con la sofferenza attuale come una forza positiva, ed è questo a permettere alla donna di salvarsi.

Dora Markus

Sempre nell’ambiente di Bobi avevo conosciuto Gerti: era “asburgica” come Dora e si trovava in Toscana perché il marito era ufficiale di stanza a Lucca. Gerti è la vera protagonista della seconda parte della poesia. La vidi una decina di volte. Poi seppi che aveva lasciato il marito. Di lei e Dora feci un unico fantasma173.

Due donne, Gerti e Dora, unite in un «unico fantasma», accomunate dallo stesso destino, e impresse nella memoria del poeta. Dora Markus «è una figura femminile ispirata a una giovane donna austriaca di origini ebraiche, mai conosciuta da

173 G.NASCIMBENI, op. cit., p. 113.

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Montale»174. La poesia è un dittico in due tempi: la prima parte, da datarsi presumibilmente intorno al 1926, è stata scritta a tredici anni di distanza dalla seconda, ed è ambientata a Ravenna. In questa città sono presenti l'io poetico e il tu femminile durante una passeggiata. La donna è fotografata mentre con l'indice punta la sua patria, forse la Mitteleuropa, forse la Palestina. Ravenna è vista come

l'avamposto occidentale dell'Oriente e città dei mosaici bizantini.

Il fu incipitario riassume l’insieme degli eventi che hanno preceduto il momento presente, ovvero l’incontro con la donna, i suoi discorsi e i suoi gesti, ma alludono anche all’apertura dell’interiorità della donna di fronte al poeta175. La passeggiata dei due conduce fino a Porto Corsini, sulla banchina che dà sulla Darsena: c'è qui un’immagine di uomini che salpano le reti, tutti i movimenti sembrano rallentati, si disegna un'apparente immobilità della situazione che si oppone all'inquietudine della donna:

La tua irrequietudine mi fa pensare agli uccelli di passo che urtano ai fari nelle sere tempestose:

è una tempesta anche la tua dolcezza, turbina e non appare,

e i suoi riposi sono anche più rari. (vv.16-21)

Una scena immobile, senza tempo, si riempie all’improvviso del gesto di Dora che addita «all’altra sponda», la sua vera patria. I due continuano la passeggiata e «qui dove un’antica vita / si screzia in una dolce /ansietà d’Oriente», nel luogo più prossimo alla Ravenna bizantina, le parole della donna «iridavano come le scaglie / d’una triglia moribonda». Le tessere dei mosaici offrono «il paragone con una Dora scintillante e volubile nel parlare, proprio come le scaglie di una triglia tolta dall’acqua»176. L’aggettivo «moribonda» affievolisce il tono ilare delle parole della donna, tutto sembra incupirsi, l’irrequietudine della donna impazza come «uccelli

174 T.DE ROGATIS,op. cit.,p. 63. 175 Cfr. T.DE ROGATIS,op. cit.,p. 68.

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di passo che urtano ai fari» e dà vita e senso alla sua tempestosa dolcezza, che non ha riposo.

Non so come stremata tu resisti in questo lago

d’indifferenza ch’è il tuo cuore; forse ti salva un amuleto che tu tieni vicino alla matita delle labbra, al piumino, alla lima: un topo bianco, d’avorio; e così esisti! (vv.22-28)

La donna resiste a questo turbinio di pensieri, aggrappandosi all’oggetto che ha con sé: un topolino d'avorio, simbolo della sua identità residuale, «indizio di salvezza»177. L’amuleto è un portafortuna a cui la donna affida la consistenza del proprio stesso io: «e così esisti!»178. Attraverso il gioco del correlativo oggettivo, tutto il destino di Dora è come congelato nel talismano.

(Dora) II

Il secondo frammento di Dora, composto di tredici versi, è calato nel presente. La donna sembra aver dimenticato le sue ansie interiori, il poeta la raffigura nella sua Carinzia «di mirti fioriti e stagni», dove lei segue con lo sguardo, tra le guglie dei tetti, le «accensioni», gli ultimi bagliori del tramonto:

Ormai nella tua Carinzia di mirti fioriti e di stagni, china sul bordo sorvegli

la carpa che timida abbocca (vv.1-4)

Alla rievocazione della prima parte della poesia subentra il ritratto psicologico, definito nei toni di un silenzioso colloquio. L’ «ormai» sottolinea l’intervallo degli anni trascorsi e il ricordo di una «Ravenna» lontana, più nel tempo che nello

177 L.BLASUCCI, op. cit., p. 9. 178 Cfr. T.DE ROGATIS,op. cit., p.70.

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spazio179, ma ha anche una «sfumatura di rassegnazione e ineluttabilità»180: Dora infatti non può scardinare i fili di un destino remissivo e già scritto, che «nulla o nessuno può soverchiare»181. Dora, ridotta a «presenza passiva», è raffigurata dal poeta dentro un edificio dalle caratteristiche nobiliari, come dimostra anche il ricco interno della casa dove lei si trova:

…e un interno di nivee maioliche dice

allo specchio annerito che ti vide diversa una storia di errori imperturbati e la incide

dove la spugna non giunge. (vv.12-17)

In quell’interno uno «specchio annerito» la riflette. Il destino di Dora è quello dell’esilio, ed è proprio in questa “casa”, che non è patria, che Dora si scopre esiliata, straniera nello «specchio annerito che ti vide». Uno specchio opaco, dunque, in cui non è possibile scoprire «un’identità certa»182. Gli errori sono «imperturbati», non sono sconvolti dalle infinite vicissitudini, e la «spugna» del tempo, che tutto cancella, non potrà obliarli e dissolvere un’intera esistenza e generazione.

Questa è la storia di Dora Markus, una storia molto antica di stirpi che hanno «fedine / altere e deboli», che hanno costruito storie e tradizioni di grande prestigio, ma è anche la storia un’ebrea che porta in sé, fuse, «l’atavica irrequietudine e l’indifferenza della sua gente»183, è una storia che persiste, ma che sta per essere spazzata via. La storia si fa universale e non investe più la sola Dora, ma abbraccia anche le altre donne con il suo stesso destino: «il sempreverde / alloro» resiste, «Ravenna è lontana», ma una «fede feroce» sparge veleno, è la «fede nazista, Dora è già diventata Gerti. In Dora Markus I, Dora non è ancora Gerti, non risulta ebrea. Non ho mai conosciuto Dora, nella seconda parte è presente solo Gerti, ebrea»184.

179 Cfr. D.ISELLA, Le occasioni, cit., p. 55.

180 U.MOTTA, Per Dora II e «Nuove stanze», op. cit.,p. 240. 181 Ibidem, p. 239.

182 F.RELLA, op cit., p. 94.

183 D.ISELLA,Le occasioni, cit., p. 56. 184 L.GRECO, op. cit., p. 41.

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Due destini e due donne si fondono insieme, la fede nazista le reclama entrambe, nessuna «voce, leggenda o destino…» può contrastarne la forza, neppure quei poteri che Gerti aveva caparbiamente cercato di usare. Tutto è finito: «Ma è tardi, sempre più tardi».

Nel documento Le muse di Montale (pagine 45-54)