• Non ci sono risultati.

L’ ULTIMO M ONTALE E IL RITORNO DELLE SUE M USE

Nel documento Le muse di Montale (pagine 144-171)

Capitolo quinto

V: L’ ULTIMO M ONTALE E IL RITORNO DELLE SUE M USE

Diario del ’71 e del ’72 esce nel 1973, seguito nel 1977 da Quaderno di quattro anni e nel 1980 da Altri versi. Possiamo a buon diritto dire che, se le prime

tre raccolte poetiche di Montale erano nate a tredici/quattordici anni di distanza l’uno dall’altro, dall’uscita di Satura in poi, Montale inaugurò una stagione sotto quest’aspetto nuova, quella del «flux ininterrompu, assestato nella forma diaristica del “giornale di bordo”»472. L’unico criterio organizzativo sembra infatti essere quello della «scansione annuale»473, il tasso di prosasticità si è ormai stabilmente innalzato, mentre la «tematica oscilla fra la consueta istanza gnomica di tipo agnostico, accettazione di un presente visto come “spazzatura”, e colloquio con i morti (Arletta, Mosca) e disprezzo dei vivi»474.

È assente qualsiasi referenzialità degli oggetti, prevale il monologo, e la scena è quasi del tutto «deserta di eventi, di paesaggi e di cose»475: qualche interno, o la cornice di una finestra, o lo spazio di un balcone dove si possono trovare merli o piccioni. Accanto alla Gina si incontrano solo personaggi morti: le «ombre» vengono chiamate in causa dagli scatti del ricordo. Questa realtà fantasmatica e intangibile sembra prevalere su quella reale, sembra essere l’unica via possibile «in cui potersi muovere senza il timore di cadere in trappola»476.

I due Diari e il Quaderno sono caratterizzati da «un’assenza vera e propria di struttura organante»477: sono assenti le divisioni interne, tipiche delle altre

472 F.RICCI, Introduzione e commento a E.MONTALE, Diario del ’71 e del ’72, Carocci, Roma, 2005, p. 14.

473 Ibidem, p. 15.

474 R.LUPERINI, op. cit., p. 234. 475 Ibidem, p. 236.

476 F.RICCI, op. cit., p. 16. 477 R.LUPERINI, op. cit., p. 233.

145

raccolte, e a prevalere è un «ritmo diaristico e quotidiano»478. Sono cambiate le “vesti” della musa montaliana, come dichiarerà il poeta stesso nel testo La mia musa:

la mia Musa ha lasciato da tempo un ripostiglio di sartoria teatrale; ed era d’alto bordo

chi di lei si vestiva. Un giorno fu riempita di me e ne andò fiera. Ora ha ancora una manica e con quella dirige un suo quartetto

di cannucce. È la sola musica che sopporto. (vv.10-15)

Il poeta si dirige sempre più verso un’«arte povera», il cui tema ricorrente è quello del ricordo: «Il ricordo è spogliato del suo valore epifanico e simbolico ed è ridotto a nuda datità empirica e cronachistica»479. Come ha evidenziato Francesco De Rosa:

Tra Satura e i Diari viene smantellato l’apparato figurale e tematico che dava forma al mito di Clizia, in questa raccolte la donna-mito viene richiamata o attraverso una rivisitazione lirica, celebrativa, ma aggiornata al presente oppure tramite una rievocazione prosastica che riduce il suo mito […] a una privata aneddotica quotidiana480.

Viene desacralizzato il personaggio di Clizia, la memoria ribalta le consuete gerarchie, decidendo lei stessa cosa è importante e cosa non lo è più. Vengono rilette sotto la luce della disillusione anche le scelte fatte in passato, a partire da quella di non seguire in America Irma Brandeis, come vedremo in A C. Il colloquio con le «ombre», dunque, non viene meno, così come «l’istanza di un colloquio esclusivo con il tu femminile, scomposto e rifranto in una molteplicità di volti biograficamente riconoscibili»481. Tuttavia nel Quaderno di quattro anni comincia «una riconquista del valore incarnato di Clizia»482, pur in una «lingua media e quotidiana»483.

Accanto alla rinascita di Clizia si trova la figura di Annetta, ed è proprio nel suo nome che si conclude l’intera opera in versi montaliana484. Alla giovane spetta

478 M.GEZZI, Il rovescio delle Occasioni, in (Le occasioni) di E. Montale,a c. di R. LEPORATTI (con la collaborazione di) G.FIORONI, Pensa MultiMedia, Lecce, 2014, p. 340.

479 R.LUPERINI, op. cit., p. 238. 480 F.DE ROSA, op. cit., p. 48. 481 F.RICCI, op. cit., p. 17. 482 F.DE ROSA, op. cit., p. 49. 483 Ibidem, p. 50.

146

una funzione di «archetipo» del mito cliziano, oltre ad una rinascita, sotto le «principali forme organizzative della rievocazione (la citazione diretta delle parole di lei485), come della celebrazione (la certezza del suo privilegio di essere d’eccezione: Per un fiore reciso)»486. Annetta e Clizia costituiscono «due facce»487 del quinto Montale: i Diari, il Quaderno di quattro anni e Altri versi sono caratterizzati dalla continua alternanza e ritorni “intermittenti e continui” di queste e altre muse.

Clizia è sempre divina, ma senza «l’inseparabile aura di tremenda maestà che la circondava tra Occasioni e Bufera»488, mentre Annetta è «creatura privilegiata e fragile»; entrambe sono però accomunate dal rapporto con Mosca. È la Mosca di Satura a permettere l’avvio, nelle ultime raccolte, di una «rinascita dei miti femminili […] perché è lei che ne inaugura tutte le principali coordinate, valide anni dopo, prima per Annetta e poi per Clizia»489: «l’humilitas linguistica e lessicale»490, utilizzata per la creazione e la riscoperta del mito femminile, «l’attitudine e le forme dell’omaggio celebrativo»491, nonché la «quidditas paradossale»492 di un piccolo insetto miope, che però sapeva e vedeva più di tutti.

A C.

Il titolo rinvia a Clizia, lasciata nella Bufera e nominata esplicitamente solo in questa lirica «di ricordo e di definitivo bilancio»493; «è un testo densamente autobiografico e in un certo modo definitivo»494.

Tentammo un giorno di trovare un modus moriendi che non fosse né il suicidio né la sopravvivenza. Altri ne prese

485 Cfr. Se al più si oppone il meno risultato, QQ. 486 F.DE ROSA, op. cit., p. 50.

487 Ibidem, p. 51. 488 Ivi

489 Ibidem, p. 52.

490 F.RICCI, op. cit., p. 14. 491 F.DE ROSA, op. cit., p. 52. 492 Ivi.

493 F.RICCI, op. cit., p. 46. 494 M.GEZZI, op. cit., p. 33.

147 per noi l’iniziativa; e ora è tardi per rituffarci dallo scoglio. (vv.1-5)

La poesia sigilla definitivamente la storia d’amore del poeta avuta molti anni prima con Irma Brandeis, sottolineandone il drammatico epilogo: «A C.», infatti, nasconde il legame con «una persona lontana, e morta probabilmente, o comunque come se lo fosse»495. Il testo è strutturato su una lunga serie di antitesi: tra passato e presente, tra l’io (rinunciatario e disforico) e il tu (orgogliosa e risoluta), tra il “noi”, cui si coniuga il verbo iniziale, e un imprecisato “altri”.

Torna la presenza dell’assente montaliana per eccellenza, torna nel ricordo di quel «giorno», nel modo in cui i due protagonisti decisero sul destino delle proprie vite, su una divisione che non vollero loro in prima persona, ma a cui dovettero sottostare: «personae separatae per lo sguardo / d’un altro»496. In una lettera a Bobi Bazlen del 4 agosto 1938, alle soglie della partenza di Irma Brandeis dall’Italia, Montale scrive: «che altra via di uscita ho, tra il colpo di rivoltella e il…piroscafo?»497. L’antitesi tra modus vivendi e modus moriendi segna tutto il testo ed è connotata da una continua alternanza tra passato e presente «in cui non si dà più possibilità di opzione»498: «e ora è tardi per rituffarci», tra quello che è stato e che avrebbe potuto essere, ma anche tra un “noi” e gli “altri”.

Nel cortile

Questo testo, datato 4 aprile 1971, è uno dei più «prosastici della raccolta»499. Compare in questa poesia per la prima volta il nome della governante di Montale, Gina Tiossi. Un banale fatto quotidiano, «un vecchio merlo» che si posa «sul davanzale», diventa occasione di poesia. In una città desolata per le ferie, specchio della condizione esistenziale di un Montale «senza contatti col mondo, senza

495 Ivi

496 Personae separatae, 5-6, BU.

497 In E.MONTALE, Tutte le poesie, a c. di G.ZAMPA, cit., p. LXIX. 498 F.RICCI, op. cit., p. 47.

148

esperienze»500, il poeta si lascia impressionare da quel poco che vede accadere dalla sua finestra: «il volo di un vecchio merlo, […] il vecchio antiquario, il ragazzino rosso che spara ai piccioni, l’appartamento vuoto del celebre dirimpettaio (l’oncologo Pietro Bucalossi)»501.

Una serie di oggetti, animali o persone, che «per un verso servono a ripopolare il vuoto della solitudine senile, per l’altro sono spesso il punto di partenza per uno scatto meditativo che ne trascende la domestica banalità»502.

[…] ma non fu tale una notte, quando avvampò di luci alla notizia che il prefato era accolto in parlamento. Tanti gli strappamenti di sciampagna, i flash, le risa, gli urli dei gratulanti che anche la Gina fu destata e corse

tutta eccitata a dirmi: ce l’ha fatta! (vv.11-17)

Dal davanzale della finestra Montale osserva «un vecchio merlo» intento a «beccare chicchi di riso e briciole», giù il cortile è «ingombro di tante macchine casse sacchi racchette» e «alla finestra di fronte» si vedono «un antiquario in vestaglia e due siamesi». Il testo procede con tono prosastico, come un’apparente e banale elencazione di cose e oggetti visti dalla “prigione” della propria casa, compreso «l’appartamento del grande Oncologo» «sempre deserto e buio», che si è ora illuminato alla notizia dell’elezione in Parlamento. Anche la Gina si sveglia ed esulta, eppure il poeta sembra non godere di questa gioia, di quei «flash» e degli «urli dei gratulanti». La governante,

personaggio poetico impensabile tra le dantesche Clizia e Volpe, da un lato si lega ancillarmente al ciclo familiare e dimesso di Mosca, (…), dall’altro, in quanto “nutrice”, appartiene a quel mondo di serve dispotiche e fedeli dalle quali Montale sin da bambino sentì sorvegliato il proprio viaggio503.

500 G.ZAMPA, Il secondo mestiere, cit., p. 1705. 501 M.GEZZI, op. cit., p. 55.

502 F.RICCI, op. cit., p. 65. 503 Ibidem, p. 66.

149

Il rondone

Dalla vista di un «rondone raccolto sul marciapiede» nasce l’occasione di questa poesia, datata 5 giugno 1971.

Il rondone raccolto sul marciapiede aveva le ali ingrommate di catrame, non poteva volare.

Gina che lo curò sciolse quei grumi Con batuffoli d’olio e di profumi, gli pettinò le penne, lo nascose in un cestino appena sufficiente a farlo respirare. (vv.1-8)

A causa delle ali incrostate di catrame, il rondone non poteva volare; caduto a terra, era finito sul marciapiede. La domestica di casa Montale l’aveva trovato e curato con silenziosa, amorevole dedizione; la Gina, «strix domestico»504, è infatti descritta «come pietoso angelo soccorritore, pure solo terrestre»505. L’aneddoto quotidiano si sviluppa in tre tempi: «rondone (…) con le ali ingrommate», cure della Gina e presunto lieto fine:

Il giorno dopo all’alba riprese il volo senza salutare.

Lo vide la cameriera del piano di sopra. Che fretta aveva fu il commento. E dire Che l’abbiamo salvato dai gatti. Ma ora forse Potrà cavarsela. (vv.13-18)

I connotati del rondone tuttavia costituiscono una sorta di «epitome di quelli di Clizia e di quella di Mosca: erano di Clizia l’ali ingrommate, stronche dai / geli dell’Antilibano (Sulla colonna più alta, 8-9, BU), mentre sono tutte di Mosca le difficoltà che impediscono l’uccello, cieco da un occhio»506. Il rondone guarito,

504 G.LONARDI, op. cit., p. 72. 505 F.RICCI, op. cit., p. 109. 506 M.GEZZI, op. cit., p. 103.

150

dapprima riconoscente, poi con una sfumatura di ingratitudine, era riuscito a spiccare il volo verso la libertà, e la «cameriera del piano di sopra», testimone occasionale del non-saluto, commentò che il piccolo animale aveva avuto «fretta», nonostante l’avessero tratto in salvo e curato; ancora una volta torna l’analogia con le due figure femminee: l’una la Cristofora, che salutò il poeta per «entrar nel buio»507, l’altra che lo fece prima di morire.

I Nascondigli

Compare la figura della moglie Mosca, la lirica è datata 7 aprile 1971. La serie di oggetti elencati diventa l’unica entità residuale di “vita” e di appiglio per la memoria:

Quando non sono certo di essere vivo la certezza è a due passi ma costa pena ritrovarli gli oggetti, una pipa, il cagnuccio di legno di mia moglie, un necrologio del fratello di lei, tre o quattro occhiali di lei ancora! […] (vv.1-6)

Gli «oggetti» si fanno garanti della memoria e dell’identità individuale che a questa si legano, e sono gli stessi già elencati da Montale in altre poesie508: «Il cane di legno di mia moglie è di là […] sul tavolo in camera della Gina. Gli occhiali non so nemmeno io dove siano andati a finire, deve averli infilati la Gina in qualche posto, non ho mai osato domandarglielo»509. Gli oggetti appartenuti alla moglie sembrano dotati di vita propria:

[…] mutano alloggio, entrano nei buchi più nascosti, ad ogni ora

507 La bufera v. 22, BU.

508

La «pipa, il cagnuccio» sono gli stessi posti sul comodino di Ballata scritta in una clinica. Un «necrologio» o «tre o quattro occhiali» vengono nominati negli Xenia.

151 hanno rischiato il secchio della spazzatura. Complottando tra loro si sono organizzati per sostenermi, sanno più di me

il filo che li lega a chi vorrebbe e non osa disfarsene. […] (vv.9-15)

Il poeta “combatte” continuamente contro questi una “guerra” fra la volontà di buttarli via e il bisogno di tenerli ancora, gli oggetti sono dunque icone di «salvazioni poco più che casuali».

[…] più prossimo

negli anni il Gubelin automatico tenta di aggregarvisi, sempre rifiutato. Lo comprammo a Lucerna e lei disse piove troppo a Lucerna non funzionerà mai. E infatti… (vv.15-20)

Da ultimo Montale cita un «Gubelin automatico», un orologio automatico che «comprammo a Lucerna: non c’è bisogno di dargli la carica, mi disse il negoziante, però bisogna muoversi, agitarsi, camminare…Così per tenere in movimento l’orologio cercai, i primi giorni, di far delle passeggiate, ma si fermava sempre: ci vorrebbero probabilmente delle maratone»510. Il piccolo orologio, «escluso dalla cerchia degli oggetti totemici»511, è simbolo di un tempo cronologico ma anche meteorologico di cui solo Mosca conosceva «gli inganni e le disfunzioni». Anche negli Xenia512, Montale mette in luce l’acutezza della moglie.

Il pirla

510 Ibidem, p. 69.

511 Ibidem, p. 70.

152

Rebay commenta questo testo come un «piccolo capolavoro di self punishment»513, questo testo infatti, insieme al Grillo di Strasburgo (SA), riporta le parole di

Mosca sulla soglia della morte.

Prima di chiudere gli occhi mi hai detto pirla, una parola gergale non traducibile.

Da allora me la porto addosso come un marchio che resiste alla pomice. […] (vv.1-4)

Il titolo di questa poesia, scritta il 26 maggio 1971, allude ad un’offesa514 che Mosca ha rivolto al poeta. Questa parola è diventata un «marchio», simile a quello che Montale incise sulla fronte di Volpe515, o delle «stimme» cristologiche di Clizia, facendo però esperienza di una sorta di «anticonsacrazione, un antibattesimo» che proprio Mosca, sul limite della vita, gli ha posto. Il termine «pirla» viene riportato dal poeta per ben quattro volte tra titolo e testo divenendo uno «stimma» derisorio che il poeta si porta dietro. Montale tuttavia si distacca dagli altri “pirla”, perché consapevole del suo proprio marchio, ne è avvertito e se ne fa carico.

Il lago di Annecy

Nella lirica del 6 giugno 1971 torna ad apparire il fantasma di Arletta, forse già in parte evocato dall’analogia Anne-cy / Anne-tta516.

Non so perché il mio ricordo ti lega al lago di Annecy

che visitai qualche anno prima della tua morte. Ma allora non ti ricordai, ero giovane

e mi credevo padrone della mia sorte. (vv.1-5)

513 L.REBAY, op. cit., p. 168.

514 «Pirla» è un lombardismo affine al toscano «bischero», sta per «buffone, pagliaccio». In F.RICCI, op. cit., p. 97.

515 Cfr. L’ombra della magnolia, BU. 516 Cfr. F.RICCI, op. cit., p. 113.

153

Al poeta tornano in mente due momenti ormai passati: quello della visita al lago di Annecy, in Alta Savoia, forse con l’amico Giansiro Ferrata, nell’agosto del ’29517, e la morte della giovane Anna degli Uberti, conosciuta e frequentata da Montale a Monterosso, e morta in realtà nel 1959. La “risurrezione” della donna dall’abisso della memoria è sancito da quel «ora risorgi», ella infatti tornerà anche in altre poesie dei Diari. Si aggiunga anche che proprio la vista del lago può risultare significativa per la rievocazione della donna, in quanto permette l’analogia tra i due nomi e perché, secondo quanto riporta De Caro, ad Annecy nel 1922 la donna seguì un corso di perfezionamento di lingue518.

La contrapposizione «ora/allora» viene ad evidenziare una «duplice distanza dall’io»519, da Annetta, poiché il poeta non la ricordò allora, quando lei era ancora viva e lui «giovane», e ora «la resurrezione fantasmatica della donna dalle profondità in cui Montale l’aveva seppellita non può cambiare la nuda realtà dei fatti»520. L’atto di resurrezione non può tuttavia «infrangere il paradosso»: sebbene risorta, ora non c’è più, non torna più quel «calcolo dei dadi» della Casa dei

doganieri, e alla donna non resta che tornare, sotto forma di “sciame”, a “disturbare”

la memoria poetica.

Annetta

Compare il nome dell’interlocutrice degli ultimi Ossi e qui protagonista in

absentia di questo secondo Diario, descritta da Franco Nosenzo come «la figura più

persistente e tenacemente vitale dell’immaginario poetico montaliano»521. La poesia

517 Cfr. M.GEZZI, op. cit., p. 110. 518 Cfr. P.DE CARO, op. cit., p. 24. 519 F.DE ROSA, op.cit., p. 140. 520 M.GEZZI, op. cit., p. 111.

521 F.NOSENZO, Storia di Arletta: La figura della «fanciulla morta» nella Bufera, in (Lingua e letteratura), 1995, n. 24-25, Milano, p. 91.

154

si apre sulla rievocazione dei tempi e dei luoghi visitati e vissuti dal poeta e dalla donna.

Perdona Annetta se dove tu sei (non certo tra di noi, i sedicenti vivi) poco ti giunge il mio ricordo. Le tue apparizioni furono per molti anni

rare e impreviste, non certo da te volute. (vv.1-5)

Nei Diari si dirada il colloquio con Mosca e si fa più presente quello con «il più antico fantasma femminile»522 delle raccolte poetiche montaliane. L’io chiede perdono se «poco giunge» del suo ricordo alla donna, e di come le «apparizioni» di Arletta/ Annetta fossero state per molti anni «rare e impreviste».

Anche i luoghi (la rupe dei doganieri,

la foce del Bisagno dove ti trasformasti in Dafne) non avevano senso senza di te. (vv.6-8)

Oltre alle apparizioni, Montale cita anche i luoghi che avevano fatto da sfondo alle poesie dedicate alla giovane, specchi «dell’assenza dell’amata»523: torna la «rupe dei doganieri»524, distrutta già quando Montale era bambino, «emblema di una separazione divenuta assoluta»525; la «foce del Bisagno», dove la giovane si trasformò in Dafne526; il teatro “domestico”, dove Annetta dirigeva e suo era il «successo» dell’impresa creativa.

Da questo banale ricordo dell’adolescenza viene ad emergere l’indole «più che umana» della giovane: è lei a staccarsi da terra e a «balzare / su un plinto traballante». Il moto a ritroso nel tempo si ferma nuovamente nel ricordo di quella torre, dove i due salirono e dove il poeta uccise un passero «fermo sull’asta / della bandiera»; l’unico delitto da lui compiuto si lega alla domanda indiretta di quale posto abbia avuto la giovane nella stagione «più ridicola / della vita», l’adolescenza.

522 F.RICCI, op. cit., p. 321. 523 Ivi

524 Cfr. Casa dei doganieri. 525 F.RICCI, op. cit., p. 324. 526 Cfr Incontro, 41-5, OS.

155 Oggi penso che tu sei stata un genio di pura inesistenza, un’agnizione reale perché assurda. Lo stupore

quando s’incarna è lampo che ti abbaglia E si spenge. (vv.41-44)

Il «lampo» appare come senhal di Annetta, ad indicare e confermare il suo appartenere ad un altro mondo. Lo sguardo retrospettivo e privato dell’io tende, da una parte, ad attribuire la trascorsa follia «più all’ebrezza del tempo giovanile che all’amore per lei»527, dall’altra «riconosce e suggella la natura demoniaca di Annetta, della schiera delle divinità incarnate, tanto più reali quanto più improbabili (giacché la realtà stessa è “un medium di cui non si ebbe mai / alcuna prova”»528.

Al mio grillo

Penultimo testo del Diario del ’72, datato 23 ottobre. L’andamento narrativo-dialogico segue lo svolgersi di un fatto domestico di cui la Gina è protagonista, ma questo «pseudo-xenion ripropone un ricordo di Mosca»529.

Che direbbe il mio grillo

dice la Gina osservando il merlo che becca larve e bruchi dentro i vasi

da fiori del balcone e fa un disastro. (vv.1-4)

La lirica prende avvio da un pensiero della governante, «pronunciata quasi sovrappensiero»530, osservando il merlo531 sul balcone che becca «larve e bruchi

527 F.RICCI, op. cit., p. 325. 528 Ivi

529 M.GEZZI, op. cit., p. 430. 530 Ivi

531 La Ricci nota come il «merlo» sia un altro degli animali chiave del bestiario montaliano (cfr. Meriggiare pallido e assorto, 3-4, OS), che negli anni senili, spogliato di valenze simboliche e

156

dentro i vasi». Quest’episodio, che si svolge sullo sfondo domestico dell’abitazione di Montale in una qualunque giornata feriale, scatena nel poeta il ricordo della moglie.

Ma il più bello è che il grillo eri tu finché vivesti e lo sapemmo in pochi. tu senza occhietti a spillo di cui porto

un doppio, un vero insetto di celluloide. (vv.5-8)

Nel documento Le muse di Montale (pagine 144-171)