• Non ci sono risultati.

A RLETTA /A NNETTA

Nel documento Le muse di Montale (pagine 31-38)

L’ultima figura femminile protagonista di questa prima raccolta poetica montaliana è Arletta/Annetta. Al trittico di poesie dedicate alla Nicoli segue quello di quest’altra figura femminile, costituito dai tre testi I morti, Delta e Incontro. Arletta, se pur con nome censurato nelle raccolte, è, come suggerisce la Grignani, «figura della rinuncia e della caducità, fuori dalla tradizione cristiano-cattolica e più

32

vicina semmai ai miti pagani di metamorfosi e perdita»100. Quest’ultimo personaggio femminile montaliano è un fantasma lontano, di cui il soggetto sa poco o nulla e di cui scrive poesie in absentia101.

Vento e bandiere

La poesia Vento e bandiere 102, scritta nel 1926, appartiene alla sezione Altri

versi ed è la prima dedicata a Arletta. Paolo De Caro nota come il 1922 sia l’anno

in cui l’affiatamento tra i due giunge al culmine e «comincia a precisarsi la figura poetica della fanciulla nella sua prototipica innocenza»103. Nei primi sei versi della poesia il vento e «l’amaro aroma / del mare» riportano subito alla mente del poeta l’immagine di Arletta, vera «deuteragonista della vicenda»104, e per un breve momento il passato sembra ricomparire: il procedimento sembra quello dell’«evocazione per associazione»105, poiché le percezioni nel ricordo stabiliscono un nesso con il vento che si placa solo al v.7:

La folata che alzò l’amaro aroma del mare alle spirali delle valli, e t’investì, ti scompigliò la chioma, groviglio breve contro il cielo pallido la raffica che t’incollò la veste e ti modulò rapida a sua immagine com’è tornata, te lontana… (vv.1-7)

La ventata, che ha sollevato il sapore salato del mare verso i sentieri che salgono lungo le valli, è la stessa che investì la donna con la sua forza, che le scompigliò i

100 M.A.GRIGNANI, op. cit., p. 17.

101 Cfr. R.LUPERINI, Storia di Montale, Laterza, Roma, 1986, p. 52.

102 Questo componimento comparve sul n. 12 di «Solaria». Risale al dicembre 1926, e dunque non è presente nell’edizione gobettiana degli Ossi, fu aggiunta alla successiva nel 1928 insieme a Fuscello

teso dal muro, I morti, Delta, Incontro, Arsenio. In A.SORO, Le trombe d'oro della solarità. Studio

sui primi "Ossi di seppia", Edes, Sassari, 2017, p. 146. 103 P. DE CARO, op. cit., p. 119.

104 N.SCAFFAI, op. cit., p.44. 105 A.SORO, op. cit., p. 148

33

capelli e le fece aderire la veste al corpo. Sembra, in un primo momento, che Arletta sia fisicamente vicina al poeta, ma la raffica che sta colpendo tutto ciò che trova sul suo cammino è «tornata» e la donna è ormai «lontana». Il ritorno è stato illusorio; il poeta tuttavia continua a ricordare la giovane per immagini, la ripensa «riversa sull’amaca», cullata da un alito di vento, quasi figura eterea che, nelle sue oscillazioni, dà la parvenza di una creatura che vola ma «senz’ali». La natura si ripete in condizioni apparentemente uguali, ma il tempo non consente che ritorni attimali; l’interiezione «Ahimè» della terza lassa sta a significare il sopraggiungere di una condizione dolente, che spazza via i ricordi e le vane illusioni della memoria, e impone al poeta la presa di coscienza della realtà:

Ahimè, non mai due volte configura il tempo in egual modo i grani! E scampo n’è: chè, se accada, insieme alla natura

la nostra fiaba brucerà in un lampo. (vv.13-16)

Forte è la constatazione del poeta dell’ineluttabilità di un tempo che non dispone mai i grani nello stesso modo, e, nonostante molti ricordi siano rimasti intatti, la donna non c’è più. Il tempo che “non ritorna” è però stavolta visto dal poeta come via di fuga, salvezza: la realtà umana e quella naturale non potrebbero resistere al ritorno dell’identico, che impedirebbe al divenire di scorrere. E’ giusto dunque che il tempo scorra e che la memoria faccia il suo corso, ma entrambi sono «percorsi inconciliabili nella vita dell’uomo»106. Vita e memoria si scontrano nella realtà, ma la trasformazione e la perdita sono due percorsi necessari per il mondo e nel mondo. Il ritorno attimale e illusorio di Arletta, mai nominata, apre la strada al successivo trittico a lei dedicato.

106 P.CATALDI e F. D’AMELY, op. cit., p. 51.

34 I morti

Prima poesia del trittico, scritta nel 1926 e appartenente alla sezione Meriggi

e ombre dedicata a Annetta, che è qui descritta nelle sue vesti di «messaggera del

mondo ctonio e testimonianza delle vite fallite»107. In questo componimento il dato della lontananza della donna e il luogo epifanico fanno del testo uno dei momenti d’elezione per il manifestarsi della giovane Anna, perduta (ma non morta come la vuole Montale a quest’altezza temporale), ma in possesso di un potere attrattivo forte per il poeta, che arriverà a chiederle in Incontro quella preghiera protettiva che altrove è lui stesso a formulare per un’altra donna, Crisalide.

Arletta, lontana ma presente, demone «senz’ali» ma ugualmente capace di volare, è simbolo crepuscolare della trasformazione, dell’avvenuto passaggio a un “oltre” dal quale essa ritorna con «modo intermittente»108. Il poeta colloca nel

paesaggio marino il tormento dei morti, che non trovano pace nella sepoltura ma continuano a essere imprigionati dai ricordi del mondo dei vivi109; vivi e non-vivi si trovano così in una situazione intermedia: i primi perché incapaci di vivere appieno la vita, i secondi perché è negata loro una morte rasserenata. Arletta non è presente, è morta, e se ne percepisce l’eco flebile, è la voce dei morti ad essere vera protagonista:

….Quivi

gettammo un dì su la ferrigna costa, ansante più del pelago la nostra speranza! – e il gorgo sterile verdeggia come ai dì che ci videro fra i vivi. (vv.3-7)

I morti, giunti sulla grigia costa del mare, ricordano di aver gettato in mare le antiche speranze: il «ribollio» del mare agitato, le reti dei pescatori tese ad asciugare fanno turbinare in loro quelle emozioni sopite con la morte, ma il cuore è trattenuto dalle reti e «fissità gelida» li imprigiona nel regno dei morti:

107 Ibidem, p. 48.

108 T.ARVIGO, op. cit, p. 73.

35 …Così

forse anche ai morti è tolto ogni riposo nelle zolle: una forza indi li tragge spietata più del vivere… (vv.28-31)

La forza della permutazione della materia li trae giù, essi sono rappresentati come «larve rimorse dai ricordi umani», «fiati / senza materia», o «voce», trasportati dall’oscurità, ma i loro «voli» tornano a sfiorare i vivi, e i due mondi sono divisi dal «crivello del mare».

Delta

Delta occupa il centro del trittico dedicato alla nuova e ultima figura

femminile degli Ossi, Annetta, e riprende la precedente poesia I morti: i defunti, separati dal mondo dei vivi, continuano a manifestarsi in momenti speciali, intermittenti, e l’incomunicabilità dei due piani, vita e morte, è vinta dallo scoccare di specifici segnali come il fischio del «rimorchiatore» in arrivo110. Memoria e tempo tornano a fondersi, segnando il ricordo della donna che non c’è più. Il titolo,

Delta, allude alla foce del fiume, designata come luogo di una possibile rivelazione,

ma anche locus asper, in cui la natura prende l’aspetto di una «trista riviera» che «infebbra, torba e scroscia»111. Il poeta dichiara di aver legato alla donna «la vita che si rompe nei travasi / secreti», cioè nel ricordo delle emozioni profonde; quando però il tempo «s’ingorga alle sue dighe», e sembra che interrompa il suo corso, la donna affiora. La memoria si lega al dato naturale del corso dell’acqua, che dal fiume giunge al mare, passando dalla foce a delta dove il poeta constata che:

Tutto ignoro di te fuor del messaggio muto che mi ostenta sulla via: se forma esisti o ubbia nella fumea d’un sogno t’alimenta

110 Cfr. P.CATALDI e F. D’AMELY, op. cit., p. 240. 111 Cfr. T.ARVIGO, op. cit., p. 218.

36 la riviera che infebbra, torba e scroscia incontro alla marea (vv. 11-16)

Il poeta ignora se la donna esista come realtà compiuta o fantasia creata nella «fumea» che il fiume «alimenta», tuttavia alcune situazioni, come lo sfociare impetuoso della «riviera», ne rafforzano la presenza. Il luogo epifanico ha un aspetto ambiguo, come la divinità che lo visita, e per tale ragione della donna si può solo invocare la «forma», senza connotazione angelicata.

Arletta si fa custode dell’oltre e si confonde con il concetto stesso di memoria, è una «fuggitiva» mai «prigioniera»112. Non c’è neppure la presenza della donna nel «vacillar dell’ore / bige o squarciate da un vampo di zolfo», eccetto che nel suono del fischio del «rimorchiatore». Il suono che giunge dalle «brume» introduce il manifestarsi del senhal e, come sottolineano Cataldi e d’Amely, raffigura il ricordo, «ha la forza di vincere la corrente avversa e far emergere, fischiando, il suo segnale»113.

Incontro

La presenza di Arletta era già «dichiarata nel titolo dell’ultimo testo del trittico, nella versione stampata in rivista, che fu poi censurata all’atto dell’inclusione in volume»114. Questa poesia è definita dalla Arvigo «canzone della tristezza, in cui il poeta conduce a completamento l’immagine arlettiana chiarendone la funzione di silenziosa accompagnatrice delle anime»115. Il poeta è in compagnia della sua privata ed esclusiva tristezza e va incontro all’agnizione arlettiana. Il poeta si trova nei pressi del torrente Bisagno116, in compagnia della sua sola «tristezza», ad essere evocato è l’incontro fuggevole con la giovane nei pressi del fiume, dove si verifica, proprio come era successo in Delta, l'evento "miracoloso". La foce a cui il poeta giunge è «sterile / d’acque», ma piena di «umani

112 Ivi

113 P.CATALDI e F. D’AMELY, op. cit., p. 243. 114 Ibidem, p. 244.

115 T.ARVIGO, op. cit., p. 221.

37

atti consunti», iterato è l’appello alla tristezza: «solo / presagio vivo in questo nembo», è questa l’unica condizione a trasmettere un sentimento di autenticità e unica condizione possibile per aspirare a un vero incontro umano117. L’incontro attimale con la donna avviene nella quinta lassa, preceduto da una serie di segnali: un «ronzio qual di sfere», «l’onda lenta» e forse solo l’attesa del contatto potrà restituire il vero aspetto al poeta:

Forse riavrò un aspetto: nella luce radente un moto mi conduce accanto a una misera fronda che in un vaso s’alleva s’una porta di osteria. A lei tendo la mano, e farsi mia un’altra vita sento, ingombro d’una forma che mi fu tolta; e quasi anelli alle dita non foglie mi si attorcono ma capelli. (vv.37-45)

In questa strofe del “contatto” avviene l’incontro tra i due: un «moto» conduce il poeta, è la casualità a spingerlo a questo incontro con la donna, verso di lei tende la mano, ed è questo contatto a farlo sentire nuovamente “vivo”, nuovamente riempito di una identità che gli era stata tolta118. La propria «forma» è riottenuta dal contatto con la pianta-donna, una Dafne119 in metamorfosi, il cui archetipo ovidiano conosce un’inversione direzionale, da vegetale a umano, basata sul passaggio da foglie a capelli emblema di una «devitalizzazione dei connotati umani»120. Il contesto acquatico coopera all’indistinzione e alla metamorfosi: sono propedeutici il torrente Bisagno e la “foce”, assunta in un primo momento a titolo. La «misera fronda» si trasforma, tra le dita del poeta, nei capelli di lei, attorcigliandocisi quasi come anelli. La donna riacquista la sua forma umana, si libera della prigionia vegetale, ma il contatto e la metamorfosi sono solo attimali:

Poi più nulla. Oh sommersa!: tu dispari qual sei venuta, e nulla so di te.

La tua vita è ancor tua: tra i guizzi rari

dal giorno sparsa già. Prega per me (vv.46-49)

117 Cfr. P.CATALDI e F. D’AMELY, op. cit., p. 244. 118 Ibidem, p. 249.

119 Il riferimento alla metamorfosi della donna in Dafne, lo si evince dalla poesia Annetta v.7 D72. 120 M.A.GRIGNANI, op. cit., p. 19

38

La donna sparisce, «sommersa», e se ne va proprio con la stessa rapidità con cui è giunta, in modo improvviso e inspiegabile. La vita della giovane non appartiene più al poeta, ma ai «guizzi rari» del tempo. Si rovescia la prospettiva di In limine, dove era il poeta a pregare per la donna, ora invece egli chiede ad Arletta di pregare per lui121. Subito dopo l'attimo rivelativo, invoca per sé la preghiera della giovane, perché possa sentirla accanto e "scendere senza viltà" lungo il cammino della vita. Arletta si configura come la «prima figura di salvatrice, antesignana di Clizia»122, di cui il poeta avverte tutto il bisogno, il suo barbaglio improvviso è fonte di salvezza, permettendogli di arrestare il suo annullamento vegetale e recuperare la «forma».

Nel documento Le muse di Montale (pagine 31-38)