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Le muse di Montale

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN ITALIANISTICA

TESI DI LAUREA

LE MUSE DI MONTALE

CANDIDATO

RELATORE

Chiara Tempestini

Chiar.mo Prof. Sergio Zatti

CONTRORELATORE

Chiar.mo Prof. Vinicio Pacca

(2)
(3)

3

Indice

Introduzione ... 7

Le Muse ... 8

Le donne in fuga... 11

Il mondo femminile subalterno ... 14

I. Prime apparizioni femminili ne gli Ossi di seppia ... 17

I.1 L’attesa del miracolo ... 18

I.2 Da Esterina a Paola Nicoli... 20

I.3 Paola Nicoli ... 24

Crisalide ... 26

Marezzo... 28

Casa sul mare... 29

I.4 Arletta/Annetta ... 31

Vento e bandiere... 32

I morti ... 34

Delta ... 35

Incontro... 36

I.5 L’impossibile metamorfosi di Crisalide e le altre donne ... 38

II. Le occasioni vissute e mancate ... 41

II.1 La donna e l’ “occasione” ... 43

II.2 Gerti, Liuba e Dora Markus ... 45

A Liuba che parte ... 48

Dora Markus ... 50

II.3 I Mottetti: il canzoniere dell’assenza ... 54

Lo sai: debbo riperderti e non posso ... 57

Addii, fischi nel buio, cenni, tosse ... 59

La speranza di pure rivederti ... 60

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4

Perché tardi? Nel pino lo scoiattolo ... 64

Ti libero la fronte dai ghiaccioli ... 65

II.4 Il ritorno “occasionale” di Arletta/Annetta e la metamorfosi di Clizia ... 67

La casa dei doganieri ... 68

Elegia di Pico Farnese ... 70

Nuove stanze ... 72

Palio ... 75

III. L’avvento di Clizia: parabola di ascesa e declino ... 77

III.1 Finis terrae... 80

La bufera ... 81

Gli orecchini ... 84

La frangia dei capelli ... 86

A mia madre ... 88

III.2 Dopo: il ricordo della sorella Marianna e la salute della moglie ... 91

Madrigali fiorentini ... 91

Ballata scritta in una clinica... 92

III.3 Silvae: l’incarnazione di Clizia in Dio e l’addio al poeta ... 95

Iride ... 96

L’orto ... 100

La primavera hitleriana ... 101

L’ombra della magnolia ... 104

III.4 Il ciclo di Volpe ... 106

So che un raggio di sole (di Dio)? ... 108

Hai dato il mio nome a un albero? Non è poco ... 109

Se t’hanno assomigliato ... 111

Nubi color magenta ... 113

Da un lago svizzero ... 114

IV. Xenia: poesie a Mosca ... 117

Caro piccolo insetto ... 119

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5

Avevamo studiato per l’aldilà ... 122

Non ho mai capito se io fossi ... 124

La tua parola così stenta e imprudente ... 125

Ascoltare era il tuo solo modo di vedere ... 126

Ricordare il tuo pianto (il mio era doppio) ... 127

Dicono che la mia ... 127

La morte non ti riguardava ... 129

Con astuzia ... 130

Ho sceso, dandoti il braccio almeno un milione di scale ... 131

L’Alluvione ha sommerso il pack dei mobili ... 131

IV.1 Mosca e il ritorno di Clizia ... 132

Piove ... 132

Gli ultimi spari ... 134

Le revenant... 135

A tarda notte ... 137

L’Eufrate ... 138

IV.2 Laura Papi e la sua “fuga” ... 139

C’erano le betulle, folte, per nascondere ... 139

La mia strada è passata ... 141

Il repertorio ... 142

V. L’ultimo Montale e il ritorno delle sue Muse... 144

A.C ... 147 Nel cortile ... 148 Il rondone ... 149 I nascondigli ... 150 Il pirla ... 152 Il lago di Annecy ... 153 Annetta ... 154 Al mio grillo ... 155 Due destini ... 157

(6)

6

Per un fiore reciso ... 159

Conclusioni ... 160 Bibliografia ... 165

(7)

7

I

NTRODUZIONE

Il presente lavoro di tesi si propone lo scopo di una ricognizione pressoché completa di tutte le figure femminili che hanno costellato l’universo montaliano. Sono donne talvolta descritte nella loro semplicità, altre volte elevate a creature angelicate, ma sempre figure che hanno ispirato o attratto il poeta. Per ricercare traccia di queste muse è necessario interrogare il testo poetico, sviscerare e mettere in relazione immagini e personaggi nell’officina poetica di montale. Ogni figura femminile è connotata da dettagli e particolari di cui Montale farà memoria per tutta la sua vita. La raccolta poetica in cui compare il numero più alto di presenza femminili è Le occasioni. È indubbio che alcune delle sue muse siano personaggi storici realmente esistiti, si pensi alla madre, alla sorella, alla governante; per altre è la scrittura a funzionare come «attività creatrice, (che) le fa esistere, riparando alla loro assenza»1. L’iter poetico montaliano prende forma da un a posteriori temporale, connotato da assenza e lontananza, attributi comuni ad ogni musa: «ogni figura femminile, nella poesia montaliana, è la figura di un’assente, della quale urge evocare la presenza. Bastano pochi oggetti per compiere il rito»2: un amuleto, una fotografia, una ciocca di capelli... «Le donne di Montale sono muse […] e i loro

senhal non solo le rappresentano, ma le costituiscono per intero»3, si pensi a Liuba o a Dora Markus.

Le figure femminili montaliane sono mute, tranne che in rarissime eccezioni; ad esse ancora non viene data una voce, ma una “posizione”, quella di destinatarie assenti, lontane, silenziose.

La donna non è presenza stabile, è venuta e ancora va, per sempre. Essa è il visitatore eccezionale che viene da un altro mondo, muta ogni cosa per il

1 G.BALDISSONE, Le muse di Montale: galleria di occasioni femminili nella poesia montaliana, Novara, Interlinea, 1996, p. 8.

2 Ivi

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8

nostro poeta, il quale viene lasciato in cerca del «segno» di un potere di redenzione4.

Tuttavia l’interlocutrice femminile, appellata col “tu”, serve a «esprimere pulsioni o condizioni esistenziali che l’io non vuole o non può manifestare direttamente»5; il “tu” è il fantasma principale, «forza vettoriale che anima e, potremmo dire, animizza gli scatti della poesia montaliana»6. Il tu è altro rispetto all’io, è un «barlume di realtà che si lascia vocare, (…) è l’insistere mentale della figura femminile desolante o soccorrevole, è la visionaria apparizione di un defunto»7.

Abbiamo cercato di definire e raggruppare sistematicamente i vari e molteplici “tu” in tipologie: Le muse, le donne in fuga, il mondo femminile

subalterno, partendo dalla prima raccolta poetica e procedendo cronologicamente

nell’analisi dei testi. Il nostro lavoro di ricerca inizia con Falsetto, nella raccolta

Ossi di seppia, dove compare la giovane Esterina, e prosegue passo dopo passo,

attraverso il susseguirsi dei testi poetici, concentrandosi sulle figure “maggiori”, muse che hanno accompagnato il poeta nel suo percorso personale e letterario.

Le Muse

La figura centrale di gran parte della poesia di Montale è Clizia. Ci sono anche altre donne che giocano un ruolo importante nelle poesie: Mosca, la Volpe, Annetta/Arletta. Tuttavia il primeggiare di Clizia si sposa con il mito montaliano della “salvatrice”; il poeta la definisce così: «certo in origine donna reale; ma qui e altrove, anzi dovunque, visiting angel, poco o punto materiale»8. Montale enfatizza,

4

G.CAMBON, Tematica e struttura dei mottetti, in Saggi montaliani (1960-1984), Studium, Roma, 2013, p. 57.

5 A.CASADEI, «L’esile punta di grimaldello»: Montale e la tradizione, in («Studi novecenteschi»), XXXV, 76, luglio-dicembre 2008, p. 424.

6 A.GIULIANI, Ragionevoli strategie per sorprendere l’invisibile, in M.A.GRIGNANI-R.LUPERINI, Montale e il canone poetico del Novecento, Laterza, Roma, 1998, p. 430.

7 Ivi

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9

giustamente, l’importanza della sua musa, «la sua onnipresenza, la sua natura spirituale e divina»9, i cui primi “sintomi” di una natura ultraterrena appaiono già dal Mottetto XII Ti libero la fronte dai ghiaccioli. «Essere remoto e salvifico, divino e demoniaco, di cui il mondo serba vestigia e la cui potenza si trasmette investendo di sé un qualsiasi elemento dello spazio e del tempo10».

La donna angelo è connotata e definita da una modalità di rappresentazione ben precisa: di lei infatti il poeta descrive gli occhi, la fronte, le ciglia, il gesto che fa nel liberarsi la fronte dai capelli, ed infine il volo: «la lontananza, l’assenza di questa figura femminile è soprattutto determinata da una superiorità che ne costituisce l’irraggiungibilità, l’impossibilità di possesso»11. Clizia non è di questa terra, ella supera il concetto di femminilità, inteso anche come sensualità e attrazione, per un legame più intellettualistico, e anche i connotati fisici vengono descritti come «veicoli di un’offerta e oggetti di una rivelazione, ma l’offerta e la rivelazione sono di un genere che sembra trascendere i legami di amore sessuale per instaurarne di fraterni»12. La «trasmigratrice Artemide» è personaggio salvifico, «foriero di una salvezza che da personale si fa cosmica»13, è un angelo pagano e cristiano insieme, che può uscire dalle tenebre, ha armi e forza per combattere.

Clizia è la grande assente, sia per cause storiche che metastoriche, «è assenza priva di certezza per Montale della sua sopravvivenza, che le offre la possibilità di tornare e ritornare nell’immaginario» e nella memoria. L’io poetico delle Occasioni e della Bufera riesce a resistere e a «vivere il suo tempo delegando alla Donna14 l’azione di guardare in alto»15. Clizia compare per la prima volta nelle Occasioni come un «bagliore», una «folgore», uno «splendore», prima di diventare un’ «inconsapevole Cristofora», e una salvatrice. Dopo una prima apparizione nei

9 J.S.D.BLAKESLEY, Irma Brandeis, Clizia e l’ultimo Montale, («ITALICA»), volume 88, n. 2, 2011, p. 219.

10 F.FORTINI, I poeti del Novecento, Later za, Roma, 1980, p. 135. 11 G.BALDISSONE, Le muse di Montale, cit., p. 9.

12 G.BALDISSONE, Il male di scrivere. L’inconscio e Montale, Torino, Einaudi, 1979, p. 23. 13 F.GIUSTI, I «Madrigali privati»: Montale, la Volpe e una narrazione diffusa, «Otto/Novecento» 3, settembre/dicembre 2007, p. 100.

14 La Donna è Clizia. Per una puntuale collocazione storica e biografica della giovane americana giunta in Italia nel 1933, si rinvia al saggio di P.DE CARO, Journey to Irma: una approssimazione

all'ispiratrice americana di Eugenio Montale, De Meo, Foggia, 1996, p. 90. 15 A.CASADEI, op. cit., p. 425.

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Mottetti, Clizia, non ancora chiamata col suo nome, ha già le caratteristiche di un

essere “altro”, premonitrice di sventure, è l’unica in grado di «comporre il senso». La donna compagna e complice è la «fedele» Mosca, protagonista degli

Xenia e ricordata anche nei Diari. L’angelo stilnovista è stato desacralizzato, reso

umano, concretizzato nei suoi dolori, nelle sue ansie e nelle sue paure: gli «occhi d’acciaio» sono diventati occhi ciechi, miopi, sempre accompagnati dagli occhiali e da quel «luccicchìo» visibile anche in penombra. Le ali sono state “ingessate”, l’angelo è ora costretto a letto, reso nella sua più intima natura umana; la figura angelicata si è dunque tramutata in un «miniangelo / spazzacamino»16. Mosca non appare nella sua bellezza fisica, non spiega le ali e non deve oltrepassare freddi correnti oceaniche, ma è piuttosto un insetto che è legato al poeta da «ludica complicità»17. E sono proprio le particolarità di questo miope esserino, la sua malattia, i suoi continui ricoveri ad elevarlo a essere superiore; un Lare familiare di cui il poeta ricorda i gesti, gli aneddoti, e di cui avverte tutto il dolore della mancanza. La «complicità fraterna»18 con questa figura è ciò che dà forza a Montale nella sua ultima fase poetica, quella senile, del ritiro, di una meditazione diversa, serale. La perdita di Mosca rappresenta la perdita di un equilibrio quotidiano, la sua mancanza «fa ripiombare in una situazione precedente di senso d’inutilità, di cecità, di incapacità; l’assenza svuota di senso ogni situazione ludica, gli oggetti stessi a cui il gioco si appoggiava: il telefono, le stanze degli alberghi, la sveglia, i soprammobili»19. Mosca invece è colei che accompagna quotidianamente il poeta, è la donna di cui si cantano e ricordano i gesti e i momenti anche banali di una vitalità spesso relegata in un involucro di gesso.

Accanto alla donna-angelo e a quella sorella e complice compare Volpe,

senhal di un’altra figura, «contraltare di Clizia»20, e umana quasi come Mosca. Volpe non ha «le altezze siderali e cosmiche di Clizia»21, ma il suo ruolo è altrettanto importante. A lei il poeta dedica l’ultima sezione della Bufera e altro, i Madrigali

16 L’angelo nero, 37-38, SA.

17 G.BALDISSONE, Le muse di Montale, cit., p. 14. 18 Ibidem, p. 15.

19 Ivi

20 F.GIUSTI, op. cit., p. 97. 21 Ibidem, p. 101.

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11

privati. Volpe eredita alcuni attributi di Clizia: è provvista di una «virtù

furiosamente angelica»22, ed è chiamata in tono scherzoso «angelo mio»23. Questa nuova musa incarna le vesti di un essere fisico e vicino. Il poeta le segna la fronte, come in un rito propiziatorio, la donna è nello stesso tempo «perdizione e salvezza», unendo l’elemento sacro al profano, è salvatrice e corruttrice insieme, tuttavia «la sua scoperta è un valore privato»24.

Le donne in fuga

(…) un ricciolo

di Gerti, un grillo in gabbia, ultima traccia del transito di Liuba, il microfilm

d’un sonetto eufuista scivolato

dalle dita di Clizia addormentata (vv.21-25, Botta e risposta I, SA)

Accanto alle figure citate esplicitamente da Montale, Clizia, Mosca e Volpe, ne compaiono altre dalle caratteristiche magico-divine, è il caso di Gerti ed Esterina; o di quelle figure che appaiono come «fatto non necessario», «anello che non tiene», è il caso di Paola Nicoli o della “defunta” Arletta. Personaggi femminili non certo minori, ma dotate di caratteristiche diverse e peculiari, di una storia personale che il poeta ha reso propria, o ha inventato, come quella di Dora Markus. Quello che Montale compie nelle sue raccolte poetiche non è il tentativo di descrivere un processo di “metamorfosi” della donna, quanto piuttosto quello di evidenziarne l’estrema frammentarietà in tante figure: alcune, vedremo, “solo di passaggio”, ma fissate nel testo poetico e rese perciò “eterne”; altre torneranno a distanza di anni e di “pagine”; altre ancora non se ne andranno mai e accompagneranno fino alla morte Montale.

«Tra i Mottetti e la Bufera Clizia passa per i gradi di un’iniziazione che è ipostasi e infine apoteosi: diventa voce o presenza angelica, e infine pura creatività,

22 Le processioni del 1949, 13, BU 23 Nubi color magenta, 4, BU. 24 F.GIUSTI, op. cit., p. 105.

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forza della luce, cosmica antagonista del male»25; di qua invece dall’ipostasi, nel regno della travagliata contingenza, vivono «le ben più fragili incarnazioni dell’Eterno Femminino, le figure muliebri calate nella storia e nel quotidiano, come Gerti, Liuba, Dora Markus»26.

Le donne dell’occasione sono le protagoniste della seconda raccolta poetica montaliana, che analizzeremo meglio nel secondo capitolo: qui ci basti dire come queste siano «figure per lo più inventate»27, […] esse non rappresentano l’alterità salvifica, ma sono immagini riflesse della realtà storica degli anni ’30, mute testimoni dei tempi presenti; non è descritta la loro fisionomia, né vengono forniti particolari sulle loro biografie, ma esse vengono “fotografate” nell’attimo, ricordate in procinto di compiere strani rituali. Sono «donne- talismano»28, che si aggrappano a semplici oggetti, pietre o animali, che danno «un’indicazione di fermezza e di durata nel tempo, e appaiono come il fulcro che tiene insieme, miracolosamente, i dati altrimenti disperdibili delle loro storie»29.

Gerti, come abbiamo detto, appartiene all’universo di quelle muse “minori”, tuttavia Montale le conferisce «spiccata individuazione proprio per il fatto che essa a un certo punto parli»30: «come tutto si fa strano e difficile, / come tutto è impossibile». La parola, seppur riportata come discorso indiretto, appartiene alla donna, che risponde «alla pressante domanda del suo interlocutore, o per esprimere il proprio smarrimento davanti alla finale incommensurabilità di sogno e realtà data»31. Liuba è figura che incarna pienamente la tormentata storia bellica novecentesca, pronta a fuggire da una patria che non la vuole, in cui non si sente più sicura; ella “parte”, con un bagaglio minino, in fretta, pronta a ricominciare altrove la sua vita.

25 G.CAMBON, Carnevale di Gerti, in Saggi montaliani, op. cit., p. 91. 26 Ivi

27 Risposta di Montale a un’intervista, in AA.VV, Profilo di un autore: Eugenio Montale, a c. di A. CIMA e C.SEGRE, Rizzoli, Milano 1977, p. 194.

28 U.MOTTA, Per «Dora» II e «Nuove stanze», in M. Praloran 1955-2011, Studi offerti dai colleghi delle università svizzere, Edizioni ETS, Pisa 2013, p. 242.

29 M.ROMBI, Parole, sensi e immagine, Bulzoni, Roma 1978, p. 92. 30 G.CAMBON, op. cit., p. 100.

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13

Dora Markus appartiene alle donne ebree, a quella generazione di passaggio tra un passato prospero e fecondo e un presente buio e minaccioso; è una figura inventata da Montale, ma non per questo meno “vera”, rispetto a tante altre.

La poetica montaliana è caratterizzata dal grande tema dell’assenza che in due casi coincide con la morte; ci sono due figure che sono in diretto rapporti con i morti: la madre e la “messaggera del mondo ctonio”, Arletta. La prima morì nel 1942, la seconda nel 1959. A mia madre chiude il ciclo di Finisterre, stabilendo «una parentela strettissima con tutte le figure femminili descritte nei testi poetici, e non soltanto per questa condizione di assente, ma anche per l’altra, di essere superiore al mondo dei viventi»32. Queste due caratteristiche accomunano anche Arletta/Annetta, che ritornerà, a intervalli regolari, in tutte le raccolte poetiche. Arletta/Annetta è una creatura altrettanto privilegiata nel panorama poetico montaliano, ma fragile, è infatti appellata nelle ultime raccolte come un uccellino, la capinera è «cara agli Dei», e «spenta in tenera età», e fuggita in un altrove temporale di cui si sa poco o niente33. Mentre a Clizia si addice la “lode”, nel senso dantesco del termine, fino a raggiungere, in Clizia nel ’34, la venerazione, che si esprime nelle forme «della rievocazione celebrativa e nell’atto di fede, la tonalità nella quale si rievoca Annetta è quella dell’elegia, data la costante associazione di lei alla morte»34; a lungo persistono le sue «apparizioni intermittenti»35: «una ninfa classica, una piccola dea marina, una crepuscolare Persefone – una sfuggente ma poi anche minacciosa, ferale dea del giù e del senza-luogo o dei luoghi “incerti” e del silenzio»36.

32 G.BALDISSONE, Il male di scrivere, op. cit., p. 49.

33 Cfr. F.DE ROSA, Scansioni dell’ultimo Montale, in Montale e il canone poetico del Noecento a c. di M.A. Grignani- R. Luperini, Laterza, Roma, 1998, p. 51.

34 Ivi

35 G.LONARDI, Il fiore dell’addio, Leonora, Manrico e altri fantasmi del melodramma nella poesia di Montale, Il Mulino, Bologna, 2003, p. 164.

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Il mondo femminile subalterno

La maggior parte delle donne di “tradizione crepuscolare” compare in Satura e nei due successivi Diari, si tratta di Hedia, Celia, Gina, Aspasia, Adelaide. Esse sono protagoniste silenziose di banali eventi quotidiani vissuti dal poeta singolarmente o con la moglie. «Hedia la cameriera» compare in Xenia II 3, quando il poeta ricorda come con Mosca avessero «rimpianto a lungo l’infilascarpe e il «cornetto di latta» che, forse, la cameriera gettò via, salvando così, come una buona «fedele», il loro «prestigio». «Celia la filippina» era amica di Mosca, citata in Xenia II 11, quando chiamò per avere notizie di Drusilla, non sapendo della scomparsa, e «riagganciò di scatto», non appena Montale le dette, non esplicitamente, la notizia37. Gina Tiossi, «la domestica toscana che, entrata in casa Montale negli anni fiorentini, fu fino all’ultimo per il poeta prezioso e discretissimo nume tutelare»38; di lei il poeta fa menzione nelle seguenti poesie: Nel cortile, Il rondone, Al mio grillo …

Aspasia, titolo di una poesia contenuta in Quaderno di quattro anni, è un’altra domestica di casa Montale il cui ricordo «confluisce dentro la visione escatologica di un incontro postumo nell’aldilà tra lei e il poeta»39; riguardo a lei Montale scrive: «era molto simpatica, ed è morta anche lei, una ventina di anni fa. La dovemmo licenziare perché di notte faceva entrare gli uomini dalla finestra della sua stanza»40. La donna è protagonista di una trasformazione perpetrata sul suo nome dal poeta, che le conferisce l’appellativo di Aspasia, etera di Pericle, e citata nell’omonima poesia leopardiana. Se da una parte essa si lega alla tradizione letteraria, dall’altra è figura crepuscolare: «Fu barista, parrucchiera e altro».

37 «Riemersa da un’infinità di tempo / Celia la filippina ha telefonato / per avere tue notizie. Credo stia bene, dico, / forse meglio di prima. «Come, crede? / non c’è più?». Forse più di prima, ma… / Celia, cerchi di intendere…», Xenia II 11, 1-6, SA. Da una redazione precedente conosciamo il nome completo: Celia de Rica (Opera in versi, p. 989)

38 F.RICCI, op. cit., p. 66.

39 A.BERTONI-G.M.GALLERANI, Introduzione e commento a E.MONTALE, Quaderno di quattro anni, Mondadori, Milano, 2015, p. 283.

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Adelaide41 fa la sua comparsa ne Il trionfo della spazzatura (D71), sotto il nome di «una Chantal piovuta qui dal nord», nell’intervista a Giudici Montale chiarì che:

Chantal era un personaggio reale, anche se criptato dietro uno pseudonimo: è una gentile e intelligente ragazza che ha una villa sul lago di Como ma che vive per lo più a Roma: la casa è in un vicolo piuttosto sporco, ma nell’appartamento si respira un’atmosfera di molta grazia.42

Il testo, contenuto del Diario del ’71, fa da pendant a Diamantina (D72), dove il titolo allude alla funzione di inconsapevole messaggera “adamantina”43; la ragazza è portatrice di una saggezza «biologica, totalmente ingenua e ante culturam»44, si contrappone al «caos opaco dell’Inferno contemporaneo»45 fatto di rifiuti, di «isole e laghi / di vomiticcio e di materie plastiche». Adelaide appartiene alle presenze degli anni senili montaliani, trasformata dal poeta in “Adelheit- Diamantina”, custode del «mondo dei cristalli», tutelandolo «dall’opera distruttiva di un tempo che logora e consuma»46.

Come Aspasia anche Adelaide fa parte di quel “sottogruppo crepuscolare” di donne di cui Montale ha reso testimonianza in poesia, trasfigurandole in “altro” rispetto alla loro primaria natura: Aspasia fu una governante, prima di fare altri “mille” lavori, Adelaide era commessa. Donne semplici, che Montale fa proprie, che trae a sé nel proprio atelier senile. Diventa difficile dividere in gruppi tutte le figure femminili montaliane: ci siamo riusciti per la maggior parte di queste, ma altre restano fuori, e meritano tuttavia un nostro accenno. Si pensi alla giovanissima Laura Papi, protagonista della suite «Dopo una fuga», in Satura, immagine della “donna malata”47, o ancora a Maria Rosa Solari, protagonista di un trittico nelle

Occasioni.

41 Si tratta di Adelaide Bellingardi, amica di Montale che lavorava in nella famosa gioielleria di Bulgari a Roma. Fu Forti (1985) a farne per primo il nome, a lui reso noto da Gina Tiossi. In F.RICCI,

op. cit., p. 359.

42 In intervista G.GIUDICI, 1971, p. 280. 43 Cfr. F.RICCI, op. cit., p. 148.

44 Ibidem, p. 149. 45 Ivi

46 Ibidem, p. 361.

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Piano storico e biografico si intrecciano al piano metafisico-trascendente nel tentativo di dar vita a figure che permettano la salvezza, prima personale del poeta, poi universale del mondo. Ripercorreremo tutte le raccolte poetiche partendo dalla prima raccolta poetica montaliana, gli Ossi di seppia, in cui compare una giovanissima Esterina, protesa al mare e alla vita. L’«arciera Diana» fa in Falsetto la sua unica comparsa, ma pari, proprio per la sua natura divina, alle altre grandi figure.

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17

Capitolo primo

I.

P

RIME APPARIZIONI FEMMINILI NE GLI

O

SSI DI SEPPIA

La prima raccolta poetica montaliana venne pubblicata nel 192548, seguita a tre anni di distanza dalla seconda edizione ampliata. Il titolo originario dell’opera era Rottami, che Montale abbandonò sostituendolo con Ossi di seppia49. L’osso di seppia, nel suo primario significato di “abbandonato dal mare”, incarna la nascente poetica montaliana fatta di umili oggetti, della loro quotidiana affettività e di figure femminili più o meno riconoscibili biograficamente, ma aventi ciascuna una funzione specifica. Di queste «donne- emblema»50 Esterina è la prima di cui si specifica il nome e che si contrappone con il suo vitale agonismo all’introversione del poeta. Ella è immagine della pienezza vitale che assapora i suoi anni senza dubbi e vane preoccupazioni; la sua figura si costruisce attraverso una serie di antitesi fra il poeta, che non sa e non vuole “tuffarsi”, e gli altri, le cose, la natura e attraverso una serie di immagini in cui si assiste al contrapporsi, da un lato, degli scorci di un paesaggio pietroso, in cui si riflettono la lucida desolazione e l’irrimediabile solitudine del poeta, e, dall’altro, il mare, simbolo dello slancio vitale che accoglie fra le braccia la ragazza51.

Le altre muse ispiratrici, taciute entrambe nel nome, sono: Paola Nicoli, dedicataria della poesia incipitaria degli Ossi di seppia, In limine, di Non rifugiarti

nell’ombra…, Tentava la vostra mano la tastiera…, e infine del trittico Crisalide,

48 L’annuncio degli Ossi di seppia apparve sotto la testata «Baretti» nel numero del 15 gennaio 1925. In G. NASCIMBENI, Eugenio Montale, Longanesi, Milano, 1969, p. 72. Un’ed. ampliata è stata pubblicata nel 1986.

49 Ivi

50 P.CATALDI e F. D’AMELY,Introduzione e commento a E.MONTALE, Ossi di seppia, Mondadori, Milano, 2003, p. CXV.

51 Cfr. D.ISELLA, Per due liriche di Finisterre. Con un'appendice di scritti di Natalino Sapegno su Eugenio Montale, Bollati Boringhieri, Torino, 1997, p. 67.

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Marezzo e Casa sul mare. Il poeta condivide con questa il sentimento della fragilità

umana e di un’esistenza “soffocante”, che lascia intravedere barlumi di salvezza, di libertà, di cui solo la donna, ma non sempre, può godere. Ella è anche la destinataria del gesto etico del poeta, che vorrebbe ottenere la gioia per lei scambiandola con la propria condanna esistenziale. L’ultima destinataria è la giovane Annetta o Arletta, alla quale sono dedicate «Vento e bandiere», «Fuscello teso dal muro…», «Il

canneto rispunta tra i suoi cimelli», e il trittico «Delta, I morti, Incontro»; il poeta

la descrive come creatura crepuscolare, che appare e scompare, evocata da indizi, emblema del passato, della memoria e della perdita52.

I.

1

L’

ATTESA DEL MIRACOLO

La donna e il miracolo diventano una sorta di binomio all’interno di questa prima raccolta montaliana, contornati da elementi paesaggistici liguri, semplici, rustici. Come scrive Giorgio Zampa «l’essenza di Ossi di seppia è espressa da atmosfere di una luminosità traslucida, da accalmie abbacinanti che inducono a uno stupore inerte e presago in cui la natura concede una remissione, una tregua»53. Questi spiragli di evasione sono resi concretamente da elementi naturali: l’orto di In

limine, il muro di Meriggiare…, la muraglia di Crisalide, che rappresentano un

ostacolo alla conoscenza, sono simboli di una prigione fenomenica in cui l’uomo è rinchiuso. E’ l’io poetico a sentirsi prigioniero della realtà, incapace di valicare il muro erto, mentre alla donna, fantasma muto nelle poesie, è concessa la possibilità di salvezza, lei sola ne può partecipare e cercare una via di fuga, non per penetrare il mistero del mondo, quanto piuttosto per uscire dalla prigione del mondo54.

Al poeta è negata ogni possibilità di aderire con ingenuità e confidenza al ritmo delle cose, e allora non gli resta che collocarsi in disparte a guardare «le forme

52 Cfr D.ISELLA, Per due liriche di Finisterre, cit., p. 67.

53E.MONTALE,Tutte le poesie, a c. di G.ZAMPA, Mondadori, Milano, 1984, p. XXVI.

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della vita che si sgretola», il «male di vivere»; egli vive la sua contemplazione del mondo in maniera «inerte e distaccata, in uno stato di aridità e di rinuncia, senza scampo e senza ombra di compiacimento»55. E proprio da questa negatività, accettata nei suoi termini estremi, scaturisce il momento positivo, cioè quella «percezione dell’energia vitale, misteriosa e struggente di rimpianto e di speranza, se appaia una possibilità di fuga dall’inesorabile estraneità del mondo una “maglia rotta nella rete”, un “anello che non tiene”»56.

La natura ligure è protagonista indiscussa degli Ossi, insieme al mare: l’elemento equoreo è rappresentato nelle sue particolarità specifiche, nei suoi tratti localmente riconoscibili. Il mare è simbolo dello slancio vitale, come vedremo in

Falsetto, ma rappresenta anche un limite, come in Casa sul mare, che il poeta non

potrà valicare; in Marezzo permetterà l’apparire del miracolo, concedendo alla donna la possibilità di disciogliere il «cuore gonfio» di preoccupazioni; il mare è dunque «topos comune e mezzo evocatore di un incontro immaginato e delusivo»57. Il tema marino diventa mezzo e cornice per introdurre il “tu femminile”, un “tu” che è quasi sempre altro rispetto al poeta: Esterina, protagonista di Falsetto, si trasformerà in creatura divina ed «equorea»; Paola Nicoli sarà la donna dell’epifania, del compiersi del miracolo presso la casa sul mare; infine Arletta portavoce dei morti, apparirà più volte al poeta, scegliendo come luoghi prediletti proprio quelli marini.

Mentre la prima parte degli Ossi vede la presenza della sola Esterina in

Falsetto, fatta eccezione per l’apparizione della Nicoli In Limine, nell’ultima Meriggi e ombre, vediamo due serie di trittici che hanno come protagoniste la stessa

Nicoli e Arletta A queste «criptoispiratrici»58 Montale si rivolge, costruendo un ponte di collegamento con la sua successiva raccolta, Le occasioni59. Il punto di vista degli Ossi viene superato nelle Occasioni, nella possibilità che sta in quei barlumi intermittenti della donna, nei rari momenti in cui la vita pare davvero mostrare un segno rivelatore della salvezza per se stessi e per l’umanità intera.

55 D.ISELLA, Per due liriche di Finisterre, cit., p. 66. 56 Ibidem, p. 68.

57 M.A.GRIGNANI, Dislocazioni: epifanie e metamorfosi in Montale, Manni, Lecce, 1998, p. 23. 58 M.FORTI, Il nome di Clizia, All’insegna del pesce d’oro, Milano, 1985, p. 17.

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20

I.1

D

A

E

STERINA A

P

AOLA

N

ICOLI

Il primo nome di donna, esplicitamente menzionato leggendo gli Ossi di

seppia, è quello della giovane Esterina60, ispiratrice di Falsetto61, terza lirica della prima sezione, all’incrocio tra due gruppi di poesie in cui domina la fusione con la natura e l’attesa del miracolo (Limoni, Corno inglese), e precedente, dopo Minstrels, al dittico di Camillo Sbarbaro (Caffè a Rapallo ed Epigramma)62. Esterina è ispiratrice minore di Montale e «immagine di una confidenza con la natura e di una visione agonistica della vita»63.

Il testo prende avvio dall’apostrofe del poeta alla giovane e dall’avvertimento iterato della minaccia del tempo che incombe: «Esterina, i vent’anni ti minacciano». I vent’anni sono per la giovane una «nube» che la racchiude in sé e che verrà poi lacerata dal vento violento64; la ragazza, tuttavia, reagisce con pacata indifferenza all’ammonimento, «ciò intendi e non paventi»: i vent’anni di Esterina infatti non possono mettere a repentaglio la sua giovinezza65. Il tono di minaccia è comunque ironico e stemprato anche stilisticamente dall’espressione «grigiorosea nube» che, in virtù di un rosa che stempera il grigio, non si manifesta come ostile66. La nube, da un lato vela, protegge e nasconde la giovane fanciulla, dall’altro lato, proprio per queste sue caratteristiche, viene forata e lacerata:

Sommersa ti vedremo nella fumea che il vento

60 Esterina Rossi il cui cognome ricaviamo dal carteggio di Montale con Bianca Messina, non è un fantasma imaginario, ma una giovanissima conoscente di Francesco Messina, e Montale l’aveva conosciuta sulla spiaggia di Quarto. In G.NASCIMBENI, op. cit., p.73.

61 Da datarsi non oltre l’11 febbraio 1924: la datazione «11 febb.924» fu posta da Montale in un manoscritto inviato a Bianca Messina, in cui compare la dedica «a E.», in E.MONTALE, Lettere e

poesie a Bianca e Francesco Messina, a c. diL.BARILE, Milano, Scheiwiller, 1995, p.106-108. 62 Cfr. M.TORTORA, Un punto di svolta in Ossi di seppia: lettura di Falsetto, L’Ellisse, studi di letteratura italiana V, Roma, 2011, p. 166.

63 P.CATALDI e F. D’AMELY ,op. cit, p. 19.

64 Cfr.G.BALDISSONE, Il male di scrivere, l’inconscio e Montale, Einaudi, Torino, 1979, p. 8. 65 Ivi

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21 lacera o addensa violento.

poi dal fiotto di cenere uscirai adusta più che mai,

proteso a un’avventura più lontana l’intento viso che assembra

l’arciera Diana (vv.5-12)

Esterina si getterà senza indugio nelle nubi e ne uscirà con un’aura divina, in tutto simile «all’arciera Diana»; questo dato di fatto viene reso prima al futuro «ti vedremo», «uscirai», poi al presente:

Salgono i venti autunni

t’avviluppano andate primavere (vv.13-14)

I venti della stagione autunnale, potrebbero anche indicare i venti anni di Esterina, crescono e potrebbero costituire un’altra minaccia per la giovane annientando, con la loro portata, le stagioni solari e vitali. Anche questa minaccia, come la prima, è solo paventata: le «andate primavere» avviluppano, ma non riescono a trattenere la forza della giovane67. Per Esterina «rintocca / un presagio nell’elisie sfere», il presagio è quello di un evento miracoloso, che sta per compiersi e proviene dal cielo, e che colloca la fanciulla in una dimensione “altra” rispetto al poeta: le «elisie sfere» infatti sono simbolo di una dimensione divina, per lei sola rintocca «un concerto ineffabile / di sonagliere», non udibile all’orecchio umano68. Dopo la nube e i venti autunni una terza minaccia sembra palesarsi per la giovane, «la dubbia dimane», ma anche questa non la «impaura»: la sua spensieratezza e la sua giovinezza stemprano e vincono qualsiasi umana preoccupazione.

Inizia a delinearsi, a partire dalla terza strofe, la trasformazione della giovane in creatura “altra”, non solo divina, ma anche «equorea», appartenente al mare: questa dimensione “altra” è avvertibile anche temporalmente: nei primi ventinove versi domina la preoccupazione dell’io di fronte al tempo che minaccia la giovane, contro l’assoluta atemporalità di Esterina, la cui gaiezza «impegna già il futuro» e «con un crollar di spalle / dirocca i fortilizi / del (…) domani oscuro»; nei rimanenti

67 Cfr. M.TORTORA, op. cit. p. 168. 68 Ibidem, p. 170.

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22

versi l’io lirico si fa portatore di «un tempo lineare e irreversibile»69: nella seconda parte tutta la scena è occupata dalla sola Esterina e dalla sua piena metamorfosi in creatura «equorea». E se prima il suo pieno compimento veniva proiettato in un futuro imprecisato: «Sommersa ti vedremo…», ora la sua forza è collocata nel presente e visibile a chiunque70:

L’acqua è la forza che ti tempra, nell’acqua ti ritrovi e ti rinnovi:

noi ti pensiamo come un’alga, un ciottolo, come un’equorea creatura

che la salsedine non intacca

ma torna al lito più pura. (vv.30-35)

In questi versi non sono più l’indifferenza e la non curanza della giovane di fronte ai timori umani a determinarne l’attribuzione di creatura “altra”, quanto piuttosto la constatazione e la presa di coscienza, da parte del poeta, della sua natura panica e divina: ella infatti è capace di continue palingenesi, di un continuo rigenerarsi nell’acqua e in eterno: «nell’acqua ti ritrovi e ti rinnovi»71. Il poeta accetta e ammette la propria sconfitta di fronte all’inutile sforzo di difendere la giovane dai supposti pericoli del tempo:

Hai ben ragione tu! Non turbare

di ubbie il sorridente presente. (vv.36-37)

La giovane creatura cammina sul «ponticello / esiguo» con una fermezza senza eguali e si invola, «come spiccata da un vento», verso il suo «divino amico», il mare, per non tornare mai più. Il distico finale «ti guardiamo noi, della razza / di chi rimane

a terra» segna uno stacco grafico e psicologico al tempo stesso: Esterina appare infinitamente lontana dall’io che la guarda sentendosi addirittura di un’altra

razza72; la giovane arciera è «trionfo di forza e salute»73 e richiama il suo opposto, il poeta. Nel distico finale si evidenzia la presa di coscienza del carattere forte e trionfale di tale realtà74: domina nel poeta un senso di esclusione dalla dimensione

69 Ibidem, p. 167.

70 Cfr. M.TORTORA, op. cit., p.173 71 Ibidem, p. 172.

72 Cfr.G.BALDISSONE, Il male di scrivere, cit., p. 24. 73 Ibidem, p. 36.

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23

marina, indice di una reale differenza tra razze; l’io è destinato a restare a terra, e da tale dimensione può solo ammirare la metamorfosi della giovane.

Il rimanere a terra è il segno di un annullamento, di un’esclusione quasi obbligata, ma ciò non induce a una condizione di inferiorità rispetto alla creatura equorea, quanto piuttosto ad un’ammissione e constatazione di un’inalienabile differenza tra i due; anche il poeta tuttavia conosce una “maturazione”: egli sa di non poter diventare creatura marina e abitare il «divino amico» per una sua personale sorte, che lo ha relegato a terra. L’evoluzione narrativa di Falsetto conduce, da una parte, alla metamorfosi di Esterina e, dall’altra, alla presa di coscienza da parte dell’io della propria irrimediabile natura terrena, sedentaria e contemplativa75. Il poeta celebra la vitalità panica della giovane attraverso un registro “altro”, in falsetto appunto, seria è la sua ammirazione per lo slancio vitale, ma ironico è il modo in cui viene descritta.

In Falsetto Esterina è simbolo della vita che si realizza, della vita non coartata dall'angoscia, non "strozzata" dalla riflessione che paralizza: le basta una scrollata di spalle per distruggere «i fortilizi / del suo domani oscuro». La giovane è creatura che attinge una divina felicità nell'immedesimazione stessa con la natura, nell'adesione totale e irriflessa alla vita. II poeta è, viceversa, «della razza / di chi rimane a terra», di chi è condannato a osservare da lontano la vita, coartato nel suo viluppo d'angoscia, non si getta, non tenta. Falsetto risente del «tema dell’inettitudine paralizzante del poeta»76 e, se Esterina non percepisce la minaccia del tempo e della vita, la percepisce invece l’io, che trema per lei, pensando a sé, e per lei prega affinché il destino non le riservi quelle delusioni, quell'angoscia che a lui altro non permette che osservare da lontano, trepidante e ammirato, la vita che si realizza. Il trionfo panico è alla fine riconosciuto dal poeta, che aveva tentato di allertare la giovane dall’azione corrosiva del tempo, e che finisce per arrendersi alla diversa natura di Esterina: «hai ben ragione tu», in cui però si percepisce una sfumatura ironica. Ed è proprio nel titolo Falsetto che si avverte la coabitazione di due presenze: la femminilità marina e la mascolinità di chi non accede a

75 Cfr. M.TORTORA, op. cit., p. 176.

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24

quell’empireo77, due prospettive inconciliabili e antagoniste tra loro, ma non dominanti l’una sull’altra.

I.1 P

AOLA

N

ICOLI

Altra ispiratrice della prima raccolta montaliana è l’attrice Paola Nicoli78, alla quale sono dedicate In limine, Marezzo, Casa sul mare e Crisalide. I quattro testi costituiscono un ciclo unitario incentrato sul tema dell’attesa del “miracolo”79. Scrive Montale:

È un po’ difficile ch’io riesca a lavorare per ora; il mio genere è tutta

un’attesa del miracolo, e di miracoli in questi tempi senza religione se

ne vedono pochini. Finito libro– e finito può quasi dirsi – o sposterò la visuale, mutando genere, o silentium. Non ho nessuna voglia di autovivisezionarmi di più. Ma sì, «godi se il vento» esiste – e la «vetta d’albero» è stata vista con commozione. Or m’è rimasto dei pezzi di certa «crisalide» che verrà fuori un giorno o l’altro…

Il riferimento in questa lettera è alla poesia sulla soglia dentro il canzoniere80 dove il poeta, già dall’incipit «Godi se il vento ch’entra nel pomario», invita la donna «ad essere felice, a vivere con pienezza»81. Il potenziale motivo di gioia sarebbe il segno del vento che entra all’interno dell’orto e «rimena l’ondata della vita», ma il «se» condizionale sottolinea che si tratta di «un avvenimento possibile, non di un dato di fatto»82. In questa poesia, come già era stato per Esterina, forte è la distanza fra la

77 Ibidem

78

Le sue origini erano genovesi, Montale la frequenta alla metà degli anni Venti. E’ lei l’ «innominata che occupa con la sua inquieta fisicità la produzione 1924 degli Ossi di seppia» e il 1924 è un «anno tutto a lei dedicato». Cfr. P. DE CARO, Paola e Crisalide, in Invenzioni di ricordi. Vite in poesia di

tre ispiratrici montaliane, Foggia, Edizioni Centro Grafico Francescano, 2007, pp. 133- 188. 79 Cfr. P.ZOBOLI, Montale e Schopenhauer, op. cit., p. 189.

80 «Poesia composta prima del 24 agosto 1924, data citata nella lettera inviata a Paola Nicoli, dal manoscritto a Bianca Clerici risulta però che il titolo iniziale fosse “La libertà”, poi soppresso da Montale». Si veda N.SCAFFAI, op. cit., p. 26.

81 P.CATALDI e F. D’AMELY, op. cit., p. 6.

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25

donna e il poeta «abituato a nutrirsi di memorie»83, a scontrarsi con una vitalità che non gli appartiene, e che lo porterà, nell’inconciliabilità delle due opposte posizioni, ad affidare la salvezza alla donna stessa:

Cerca una maglia rotta nella rete che ci stringe, tu balza fuori, fuggi! Va, per te l’ho pregato, - ora la sete

mi sarà lieve, meno acre la ruggine…(vv.15-18)

Nella lirica il tema di fondo è l’offerta di un’occasione per superare l’insoddisfazione e la costrizione della realtà, rinunciando alla memoria paralizzante: «la terra è fertile “crogiuolo” da cui possono avere origine avvenimenti futuri, altrettante promesse di una vita più intensa»84. Chiara appare la posizione di alcuni tratti paesaggistici quali il «pomario», non terreno fecondo ma «reliquario», cioè contenitore di arcane memorie; il «frullo» non d’ali, ma «commuoversi dell’eterno grembo», ossia la manifestazione della vitalità insita nella natura, convogliata in un «crogiuolo»; l’«erto muro», insuperabile. Questi elementi tratteggiano «la prigionia del poeta, ma tuttavia si può ancora credere che esista un «fantasma», un’apparizione miracolosa, a cui viene accordata una capacità salvifica»85:

Se procedi t’imbatti

tu forse nel fantasma che ti salva: si compongono qui le storie, gli atti

scancellati pel giuoco del futuro. (vv. 11-14)

Il poeta si rivolge ancora al “tu femminile”, incitando la donna a continuare il cammino, a cercare una via di fuga, a salvarsi, e la salvezza della donna alleggerisce l’insoddisfazione e la prigionia del poeta. La «rete» replica e acuisce l’immagine

83 P.CATALDI e F. D’AMELY, op. cit., p. 5. 84 N.SCAFFAI, op. cit., p.27.

(26)

26

della prigionia: il poeta è “bloccato” fisicamente dalla rete e impossibilitato a superare il muro, ma delega la donna alla salvezza, ordinandole di procedere, di andare avanti: «Va, per te l’ho pregato». La donna è dunque colei che attende che il «miracolo» la liberi dal mondo fenomenico, la sola che può salvarsi, l'unica in grado di condividere la pena del poeta, quella di sentirsi prigioniero della realtà percepita come ingannevole.

Crisalide

Il “tu” delle mie poesie non è mai rivolto a me stesso: è un tu istituzionale, l’antagonista che bisognerebbe inventare se non ci fosse. Il “tu” di Casa sul mare e Crisalide è indirizzato a una donna splendida: era stata attrice e tutti quelli che l’avvicinavano se ne innamoravano. Era sposata con un uomo debole, indifeso: andarono in Sud America. Da allora non ho più saputo niente di lei86.

Così Montale spiega il secondo “tu” femminile degli Ossi: Crisalide, composta tra la primavera e l’estate del 1924, è il primo testo del trittico87: Crisalide, Marezzo,

Casa sul mare, dedicato a Paola Nicoli; la donna è qui colta da un senso di

malinconia, investita da ricordi passati: Lo sguardo ora vi cade su le zolle; una risacca di memorie giunge

al vostro cuore e quasi lo sommerge. (vv.14-16)

Il poeta osserva di nascosto la donna, che posa lo sguardo a terra ed è investita da una «risacca di memorie», ma un «grido» la richiama alla realtà presente, il tempo dei ricordi scompare, e il poeta, che la contempla a distanza, le dichiara tutto il suo amore. La donna vive per un attimo la stessa illusione del poeta e fantastica il verificarsi di un evento miracoloso, ma questo si rivelerà un «prodigio fallito»:

86 In L.GRECO, Montale commenta Montale, Pratiche, Parma, 1990, p. 35.

87 Nell’edizione Gobetti ’25, l’ordine dei tre testi era: Casa sul mare, Marezzo e Crisalide, le tre liriche prevedevano la presenza di una figura femminile, la cui prima apparizione era stata visibile nel testo In limine e che chiudeva con Crisalide il ciclo dell’apparizione epifanica del “varco” che conduceva alla salvezza. Per maggiori dettagli si consulti N.SCAFFAI, op. cit., p. 55.

(27)

27 … M’apparite

allora, come me, nel limbo squallido delle monche esistenze; e anche la vostra rinascita è uno sterile segreto,

un prodigio fallito come tutti

quelli che fioriscono d’accanto (vv.36-41)

La donna è raggiunta dalla stessa «ombra» del poeta, dallo stesso destino di non realizzazione esistenziale, il «prodigio» è infatti «fallito», tuttavia l’io spera ancora che un’imbarcazione possa trarli in salvo, condurli verso approdi felici88: «spunta la barca di salvezza (…) là ci attende», ma è un sogno, un’illusione:

Ah crisalide, com’è amara questa tortura senza nome che ci volve e ci porta lontani – e poi non restano

neppure le nostre orme sulla polvere (vv.57-61)

Crisalide è l’epiteto che Montale rivolge a Paola Nicoli, la crisalide è emblema di un destino bloccato, è il simbolo della transizione mancata, della larva che attende la metamorfosi per essere finalmente libera dal bozzolo e diventare farfalla89.L’icona prescelta da Montale è, come suggerisce la Arvigo, un «ibrido vegetale-animale nel quale si intersecano il motivo della pianta umana e quello dell’insetto bozzolo, figurazioni di una sofferenza dietro la quale si cela la creatura femminile prescelta»90.

La Crisalide non rinasce, non spiega il volo a una nuova vita, ma, come il poeta, resta prigioniera «nel limbo squallido / delle monche esistenze»91. La metamorfosi dunque è destinata a non avverarsi, e ai due non resta che andare avanti verso un destino già scritto e fisso, dove non c’è più possibilità di salvezza, dove la necessità infatti sovrasta la libertà e il miracolo. Il poeta vorrebbe scendere a patti col destino, scontare la sua condanna per far vivere felice la donna, ma tutto ormai è passato e «le labbra non s’aprono». Anche gli altri due testi successivi del trittico,

88 P.CATALDI e F. D’AMELY, op. cit., p. 217.

89 Cfr. P.ZOBOLI, Montale e Schopenhauer, cit., p.189.

90 T.ARVIGO, Guida alla lettura di Ossi di seppia di E. Montale, Carocci editore, Roma, 2001, p. 202.

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28

Marezzo e Casa sul mare, sono segnati dalla medesima dialettica di insuccesso e

fallimento del «prodigio».

Marezzo

E’ la seconda poesia del trittico dedicato alla Nicoli; incerta è la data di composizione, l’occasione è quella di una gita in barca nell'ora serale fra il poeta e la sua interlocutrice, che offre il contesto per una riflessione esistenziale. L’imbarcazione, sognata e vanamente attesa in Crisalide, è qui reale: i due infatti stanno facendo un giro in barca e il contatto con la natura suggerisce la possibilità di un’apertura del «varco»92:

un astrale delirio si disfrena, un male calmo e lucente.

forse vedremo l’ora che rasserena

venirci incontro sulla spera ardente (vv.41-44)

Il tramonto del sole scatena una situazione di incertezza e turbamento che si presenta come un «male calmo e lucente», che fa da cornice alle donne che raccolgono il grano, ma ecco che la «vendemmia estiva» appare come una «stortura», e rappresenta il miracolo, l’eccezione al destino:

Parli e non riconosci i tuoi accenti. La memoria ti appare dilavata. Sei passata e pur senti

la tua vita consumata (vv.53-56)

L’eccezionalità del momento fa parlare la donna in modo nuovo, il passato appare sbiadito, incapace di offrire ricordi:

Ora, che avviene?, tu riprovi il peso di te, improvvise gravano

sui cardini le cose che oscillavano, e l’incanto è sospeso. (vv.57-60)

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29

La donna prova nuovamente il peso della propria memoria, l’ineluttabilità dei due destini: il suo e quello del poeta, è dunque lo stesso. È la fine del momento miracoloso, la fine di una felicità accordata con le forze della natura: la Nicoli avverte nuovamente tutto il peso della propria esistenza, tutto torna al “suo posto”, «le cose» che oscillavano dalla barca, che si era fermata, sono tornate a gravare «sui cardini»93.

L’apparente tranquilla gita in barca favorisce un contatto panico con la natura circostante e sembra suggerire la possibilità di un’intesa fuori dalla ferrea catena della necessità, ma il miracolo è destinato a interrompersi e tutto riprende a fatica il suo corso, l’io poetico e la donna restano accomunati da un sentimento di immobilità e morte, che sfocia quasi in un naufragio: «così sommersi». Il ‘tu’ di Montale non garantisce qui alcuna volontà dialogica: l’io lirico constata fin dall’inizio l’esistenza di uno stato di cose inevitabili e illusorie, la possibilità del miracolo tuttavia non smette di prospettarsi anche nell’ultima poesia Casa sul mare, «forse solo chi vuole s’infinita, / e questo tu potrai, chissà, non io»

Casa sul mare

Nell’ultima poesia del trittico dedicato a Paola Nicoli, il poeta e la sua interlocutrice si trovano in una casa affacciata sul mare, non l’orto chiuso di In

limine, ma uno spazio aperto. «La poesia è impostata sull’immagine proposta dal

titolo della poesia, “casa sul mare”, attinta dal vissuto del poeta e poi elevata a metafora»94, è la storia del ritorno del poeta al luogo della sua infanzia, un ritorno pieno di turbamento per la paura del ripresentarsi di antichi fantasmi, un ritorno che si conclude con la constatazione di un “nulla di fatto”, di un’esistenza che lascia dietro di sé una «poca nebbia di memorie»95. Questo “tuffo” nel proprio passato è

93 P.CATALDI e F. D’AMELY, op. cit., p. 229.

94 L.BLASUCCI, Livelli figurali di «Casa sul mare», in Gli oggetti di Montale, il Mulino, Bologna, 2002, p.137.

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30

vissuto dal poeta come un «viaggio» scandito da un’immobilità temporale e narrativa:

Il viaggio finisce qui:

nelle cure meschine che dividono l’anima che non sa più dare un grido. Ora i minuti sono eguali e fissi

come i giri di ruota della pompa. (vv.1-5)

Il viaggio della vita finisce alla casa dell’infanzia, ultimo baluardo prima del mare; ancora una volta a rappresentare una situazione di “limite” sono gli elementi naturali96; l’anima diventa incapace anche solo di un grido di dolore, il tempo

tuttavia fluisce monotono. Lo stallo esistenziale investe il poeta, consapevole della propria desolata e definita condizione, il paradosso disperante è che la vita continua a scorrere tra meschine preoccupazioni, monotona, e ripetitiva: «ora i minuti sono eguali e fissi»; e ancora: «il viaggio finisce a questa spiaggia / che tentano gli assidui e lenti flussi». Nulla vi accade ed è raro che qualcosa compaia all'orizzonte in questa «muta bonaccia». Questa esistenza piatta, sorda ormai alle urgenze più vere dell'umano, fa svanire tutto, anche i ricordi, in una nebbia impalpabile. Solo a inizio della terza lassa compare il “tu” femminile che trasforma «il monologo in un’allocuzione»97:

Tu chiedi se così tutto vanisce in questa poca nebbia di memorie se nell'ora che torpe o nel sospiro

del frangente si compie ogni destino (vv.16-19)

La donna pone una domanda: se tutta la vita non si esaurisca in un’alternanza di immobilità e di movimenti insensati e minimi98. Si cela dietro questa richiesta un ultimo grido soffocato del cuore, della ragione, che non si rassegnano al fatto che tutto finisca nel nulla, che il destino di ogni uomo si vanifichi nel tempo. Il poeta vorrebbe dire che forse c'è una salvezza, che forse qualcuno riesce a superare

96 Cfr. P.ZOBOLI, La casa sul mare: sull’escatologia dei primi Ossi, San Marco dei Giustiniani, Genova, 2001, p. 16.

97 L.BLASUCCI, op. cit., p. 140.

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31

il varco, le leggi di ripetitività e distruzione, a raggiungere il compimento della sua umanità, ma questa possibilità gli è negata, e, al proprio destino di condanna, contrappone l’idea di una salvezza possibile solo per pochi:

Forse solo chi vuole s’infinita, e questo tu potrai, chissà, non io. Penso che per i più non sia salvezza, ma taluno sovverta ogni disegno,

passi il varco, qual volle si ritrovi (vv.22-26)

Egli vorrebbe tuttavia, prima di abbandonarsi al suo destino, insegnare alla donna «codesta via di fuga», ma quest’ ipotesi di salvezza è «labile», tenue come la «spuma» agitata del mare. Il poeta le offre anche la sua «avara speranza», essendo ormai stanco, e, se ella «salpa già per l’eterno», il poeta resta a riva, a quella stessa da cui guardava Esterina. Solo la donna può passare al di là del tempo, “infinitarsi”, salpare per l’eterno, ma l’evento è dato in forma dubitativa: «Il tuo cuore vicino che non m’ode / salpa già forse per l’eterno»; il forse era già stato impiegato per l’enunciazione della legge di salvezza: «forse solo chi vuole s’infinita». Il poeta prospetta alla donna la possibilità di una fuga dalla prigione della necessità, e solo la definitiva consapevolezza della vanità dell’esistenza la predispone al «varco»99.

I.4

A

RLETTA

/A

NNETTA

L’ultima figura femminile protagonista di questa prima raccolta poetica montaliana è Arletta/Annetta. Al trittico di poesie dedicate alla Nicoli segue quello di quest’altra figura femminile, costituito dai tre testi I morti, Delta e Incontro. Arletta, se pur con nome censurato nelle raccolte, è, come suggerisce la Grignani, «figura della rinuncia e della caducità, fuori dalla tradizione cristiano-cattolica e più

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32

vicina semmai ai miti pagani di metamorfosi e perdita»100. Quest’ultimo personaggio femminile montaliano è un fantasma lontano, di cui il soggetto sa poco o nulla e di cui scrive poesie in absentia101.

Vento e bandiere

La poesia Vento e bandiere 102, scritta nel 1926, appartiene alla sezione Altri

versi ed è la prima dedicata a Arletta. Paolo De Caro nota come il 1922 sia l’anno

in cui l’affiatamento tra i due giunge al culmine e «comincia a precisarsi la figura poetica della fanciulla nella sua prototipica innocenza»103. Nei primi sei versi della poesia il vento e «l’amaro aroma / del mare» riportano subito alla mente del poeta l’immagine di Arletta, vera «deuteragonista della vicenda»104, e per un breve momento il passato sembra ricomparire: il procedimento sembra quello dell’«evocazione per associazione»105, poiché le percezioni nel ricordo stabiliscono un nesso con il vento che si placa solo al v.7:

La folata che alzò l’amaro aroma del mare alle spirali delle valli, e t’investì, ti scompigliò la chioma, groviglio breve contro il cielo pallido la raffica che t’incollò la veste e ti modulò rapida a sua immagine com’è tornata, te lontana… (vv.1-7)

La ventata, che ha sollevato il sapore salato del mare verso i sentieri che salgono lungo le valli, è la stessa che investì la donna con la sua forza, che le scompigliò i

100 M.A.GRIGNANI, op. cit., p. 17.

101 Cfr. R.LUPERINI, Storia di Montale, Laterza, Roma, 1986, p. 52.

102 Questo componimento comparve sul n. 12 di «Solaria». Risale al dicembre 1926, e dunque non è presente nell’edizione gobettiana degli Ossi, fu aggiunta alla successiva nel 1928 insieme a Fuscello

teso dal muro, I morti, Delta, Incontro, Arsenio. In A.SORO, Le trombe d'oro della solarità. Studio

sui primi "Ossi di seppia", Edes, Sassari, 2017, p. 146. 103 P. DE CARO, op. cit., p. 119.

104 N.SCAFFAI, op. cit., p.44. 105 A.SORO, op. cit., p. 148

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capelli e le fece aderire la veste al corpo. Sembra, in un primo momento, che Arletta sia fisicamente vicina al poeta, ma la raffica che sta colpendo tutto ciò che trova sul suo cammino è «tornata» e la donna è ormai «lontana». Il ritorno è stato illusorio; il poeta tuttavia continua a ricordare la giovane per immagini, la ripensa «riversa sull’amaca», cullata da un alito di vento, quasi figura eterea che, nelle sue oscillazioni, dà la parvenza di una creatura che vola ma «senz’ali». La natura si ripete in condizioni apparentemente uguali, ma il tempo non consente che ritorni attimali; l’interiezione «Ahimè» della terza lassa sta a significare il sopraggiungere di una condizione dolente, che spazza via i ricordi e le vane illusioni della memoria, e impone al poeta la presa di coscienza della realtà:

Ahimè, non mai due volte configura il tempo in egual modo i grani! E scampo n’è: chè, se accada, insieme alla natura

la nostra fiaba brucerà in un lampo. (vv.13-16)

Forte è la constatazione del poeta dell’ineluttabilità di un tempo che non dispone mai i grani nello stesso modo, e, nonostante molti ricordi siano rimasti intatti, la donna non c’è più. Il tempo che “non ritorna” è però stavolta visto dal poeta come via di fuga, salvezza: la realtà umana e quella naturale non potrebbero resistere al ritorno dell’identico, che impedirebbe al divenire di scorrere. E’ giusto dunque che il tempo scorra e che la memoria faccia il suo corso, ma entrambi sono «percorsi inconciliabili nella vita dell’uomo»106. Vita e memoria si scontrano nella realtà, ma la trasformazione e la perdita sono due percorsi necessari per il mondo e nel mondo. Il ritorno attimale e illusorio di Arletta, mai nominata, apre la strada al successivo trittico a lei dedicato.

106 P.CATALDI e F. D’AMELY, op. cit., p. 51.

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34 I morti

Prima poesia del trittico, scritta nel 1926 e appartenente alla sezione Meriggi

e ombre dedicata a Annetta, che è qui descritta nelle sue vesti di «messaggera del

mondo ctonio e testimonianza delle vite fallite»107. In questo componimento il dato della lontananza della donna e il luogo epifanico fanno del testo uno dei momenti d’elezione per il manifestarsi della giovane Anna, perduta (ma non morta come la vuole Montale a quest’altezza temporale), ma in possesso di un potere attrattivo forte per il poeta, che arriverà a chiederle in Incontro quella preghiera protettiva che altrove è lui stesso a formulare per un’altra donna, Crisalide.

Arletta, lontana ma presente, demone «senz’ali» ma ugualmente capace di volare, è simbolo crepuscolare della trasformazione, dell’avvenuto passaggio a un “oltre” dal quale essa ritorna con «modo intermittente»108. Il poeta colloca nel

paesaggio marino il tormento dei morti, che non trovano pace nella sepoltura ma continuano a essere imprigionati dai ricordi del mondo dei vivi109; vivi e non-vivi si trovano così in una situazione intermedia: i primi perché incapaci di vivere appieno la vita, i secondi perché è negata loro una morte rasserenata. Arletta non è presente, è morta, e se ne percepisce l’eco flebile, è la voce dei morti ad essere vera protagonista:

….Quivi

gettammo un dì su la ferrigna costa, ansante più del pelago la nostra speranza! – e il gorgo sterile verdeggia come ai dì che ci videro fra i vivi. (vv.3-7)

I morti, giunti sulla grigia costa del mare, ricordano di aver gettato in mare le antiche speranze: il «ribollio» del mare agitato, le reti dei pescatori tese ad asciugare fanno turbinare in loro quelle emozioni sopite con la morte, ma il cuore è trattenuto dalle reti e «fissità gelida» li imprigiona nel regno dei morti:

107 Ibidem, p. 48.

108 T.ARVIGO, op. cit, p. 73.

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35 …Così

forse anche ai morti è tolto ogni riposo nelle zolle: una forza indi li tragge spietata più del vivere… (vv.28-31)

La forza della permutazione della materia li trae giù, essi sono rappresentati come «larve rimorse dai ricordi umani», «fiati / senza materia», o «voce», trasportati dall’oscurità, ma i loro «voli» tornano a sfiorare i vivi, e i due mondi sono divisi dal «crivello del mare».

Delta

Delta occupa il centro del trittico dedicato alla nuova e ultima figura

femminile degli Ossi, Annetta, e riprende la precedente poesia I morti: i defunti, separati dal mondo dei vivi, continuano a manifestarsi in momenti speciali, intermittenti, e l’incomunicabilità dei due piani, vita e morte, è vinta dallo scoccare di specifici segnali come il fischio del «rimorchiatore» in arrivo110. Memoria e tempo tornano a fondersi, segnando il ricordo della donna che non c’è più. Il titolo,

Delta, allude alla foce del fiume, designata come luogo di una possibile rivelazione,

ma anche locus asper, in cui la natura prende l’aspetto di una «trista riviera» che «infebbra, torba e scroscia»111. Il poeta dichiara di aver legato alla donna «la vita che si rompe nei travasi / secreti», cioè nel ricordo delle emozioni profonde; quando però il tempo «s’ingorga alle sue dighe», e sembra che interrompa il suo corso, la donna affiora. La memoria si lega al dato naturale del corso dell’acqua, che dal fiume giunge al mare, passando dalla foce a delta dove il poeta constata che:

Tutto ignoro di te fuor del messaggio muto che mi ostenta sulla via: se forma esisti o ubbia nella fumea d’un sogno t’alimenta

110 Cfr. P.CATALDI e F. D’AMELY, op. cit., p. 240. 111 Cfr. T.ARVIGO, op. cit., p. 218.

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