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M OSCA E IL RITORNO ATTIMALE DI C LIZIA

Nel documento Le muse di Montale (pagine 132-139)

Capitolo quarto

IV. X ENIA : P OESIE A M OSCA

IV.1 M OSCA E IL RITORNO ATTIMALE DI C LIZIA

Piove

Questa poesia è stata spesso definita parodia della celebre Pioggia nel pineto, ma in realtà nasconde un intento satirico e polemico contro l’indifferenza del tempo, contro la società contemporanea. In due strofe appare tuttavia il riferimento a Drusilla Tanzi:

Piove

sulla tua tomba

449 Castellana, nel suo commento, evidenzia come altri siano stati i doni lasciatigli dalla moglie, ad esempio la capacità di vedere oltre l’apparenza. In R.CASTELLANA, op. cit., p. 80.

133 a San Felice

a Ema

e la terra non trema perché non c’è terremoto né guerra. (vv.12-18)

La pioggia, non più quella del solo “pineto”, è universale, cade su tutto, persino sulla tomba della moglie a «San Felice a Ema», presso Firenze. “Piove” diventa l’attacco di ognuna delle otto strofe di cui è composto il testo che, pur dibattendo di politica, di storia, di letteratura, ricorda la moglie:

Piove ma dove appari non è acqua né atmosfera, piove perché se non sei è solo la mancanza e può affogare. (vv.54-58)

Ancora una volta Montale torna sul tema dei vivi che restano e dei morti che non sono più: piove sulla tomba di Mosca, ma «non può piovere sul luogo in cui lei si trova adesso, l’aldilà incorporeo e immateriale, privo di acqua e di aria»450. Il componimento è del maggio 1969, l’eco dannunziano è evidente, ma ha ormai lasciato spazio ad una cinica disillusione sulla realtà. “Piove” ricorre ossessivamente in posizione incipitaria, eliminando i verbi che invitano ad ascoltare proprio come se non ci fosse più nulla da udire e da apprezzare. La moltiplicazione frequente del verbo nelle stanze trasmette l’impressione di una pioggia più o meno rada che però dall’universale passa al particolare, alla vita di Montale. E come nell’ultimo xenion (II, 14) l’alluvione aveva “incrostato” anche il poeta, qui l’acqua lo raggiunge, e la mancanza della moglie lo fa quasi «affogare».

450 R.CASTELLANA, op. cit., p. 138.

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Gli ultimi spari

Siamo ad agosto del ‘44, Firenze è stata liberata dalle truppe naziste, ma resta l’emergenza delle condizioni di salute di Mosca, ricoverata per una grave forma di spondilite.

Moscerino, moschina erano nomi non sempre pertinenti al tuo carattere dolcemente tenace. Soccorrendoci l’arte di Stanislaus poi decidemmo per hellish fly. (vv.1-5)

Il poeta ripercorre ed elenca i soprannomi dati alla moglie, «moscerino, moschina», e, sebbene fossero pertinenti all’esile ossatura e alla piccola statura della donna, mal si addicevano al suo «carattere / dolcemente tenace». I due ricorrono a un soprannome inglese «hellish fly»451, “mosca infernale”, per carpire e definire la personalità di Mosca.

(…) volavi poco quando, catafratta di calce, affumicata da una stufa a petrolio eri la preda

di chi non venne e ritardò l’agguato. (vv.5-8)

Benché avesse le “ali”, la donna non era in grado di volare, perché «catafratta di calce», ricoperta dall’ingessatura era facile preda della morte, che «non venne e ritardò l’agguato»452. Nonostante il soprannome “mosca infernale”, non c’era l’inferno nella clinica, ma urla di giubilo per la tanto agognata liberazione.

(…) Fu la pace

quando scartasti, burattino mosso

451 Fu Stanislaus Joyce, il fratello di James Joyce, a metterle, per scherzo, quel nomignolo.

452 «Il particolare del “volo” bloccato dall’ingessatura era già in una variante rifiutata dello xenion I, 14 («Così meglio intendo il tuo volo [subito cassato e corretto in viaggio] / chiusa tra bende e gessi». In R.CASTELLANA, op. cit., p. 140.

135 da una molla, a cercare in un cestino l’ultimo fico secco. (vv.12-15)

La pace qui non è da intendersi tanto quale quella legata alla liberazione di Firenze, quanto piuttosto la fine della malattia di Mosca che, «nonostante fosse ingessata, aveva scatti, gesti di allegria imprevedibili»453. La pace, sopraggiunta anche nella clinica, viene descritta anche per lettera da Montale a Contini in una lettera del 29 maggio 1945: «Lunga emergenza ...». All’entusiasmo collettivo si lega anche quello personale e, ancora una volta, all’ingessatura della donna che ne impedisce i movimenti, si lega una slancio vitale senza pari.

Le revenant

Il titolo in francese allude al fantasma di un uomo che probabilmente corteggiò Mosca. È il «nome di un ignoto», quello che il poeta non ricorda più. È da questo ricordo offuscato che prende avvio la poesia, che si conclude col dubbio del poeta che forse Mosca è stata per quest’uomo quello che Clizia è stata per il poeta. Ora che la moglie non c’è più, il passato torna prepotentemente ad affacciarsi, e l’io si chiede se la donna è stata «la sua Clizia» e perché «i fili dei due rocchetti / si sono imbrogliati». I fili, quelli dei destini, si sono imbrogliati tanto che al poeta sembra essere il facsimile del defunto corteggiatore.

«Le revenant e Gli ultimi spari sono lì a tener ben saldo il filo della tematica

coniugale»454. La poesia vede la compresenza di due figure femminili montaliane, Clizia e la moglie Mosca, ed è proprio da quest’ultima che prende avvio la poesia. Come in molti Xenia, anche qui Montale si rivolge alla moglie con quel «da te» del secondo verso che introduce l’interlocutrice fondamentale. Come suggerisce Ilena

453 L.GRECO, op. cit., p. 63.

454

«La data di composizione è accertata dalla fotocopia di un dattiloscritto in pulito datato settembre 1968 e che si trova tuttora conservata nel Fondo Manoscritti di Autori contemporanei dell’università di Pavia». In M.A.GRIGNANI, Prologhi ed epiloghi sulla poesia di Eugenio Montale: con una prosa

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Antici nella sua analisi, «le due figure: la moglie scomparsa, e la musa lontana sono irrevocabilmente assenti, entrambe perdute»455; a queste si susseguono nel testo anche le figure dell’io poetico e l’ombra del corteggiatore di Drusilla.

I puntini di sospensione, che in altri testi montaliani sono intervalli tra le parole, indicano qui l’esistenza di un precedente narrativo; di tale antefatto non dichiarato viene suggerita l’importanza: c’è tutto un prima che si è già svolto, ognuno dei puntini stampati sembra rappresentare un ricordo, un dettaglio della vita comune con Mosca, un vuoto non riempito nel presente. Immediatamente dopo fa la sua apparizione il primo personaggio, caratterizzato dall’anonimato: secondo Montale «da ragazzina, la Mosca aveva conosciuto un pittore che le aveva fatto la corte ed era scomparso»456.

Non si tratta di un «nome sconosciuto, dunque, ma di un nome che non è associato a nessun volto conosciuto»457. Montale allude anche al rapporto che intercorreva tra l’anonimo e Mosca: un corteggiamento lieve, un pittore che la giovane Drusilla non aveva più visto. Questo è il primo indizio di una simmetria probabile tra questo rapporto e quello che legava Montale a Clizia: i due non si sono più incontrati, e sappiamo che il poeta ligure non aveva più rivisto Clizia dopo il 1938. Una coppia di “ombre” controbilancia allora la coppia dei “vivi” separati, Montale e Irma.

Sei stata forse la sua Clizia senza saperlo. La notizia non mi rallegra. Mi chiedo perché i fili di due rocchetti

si sono tanto imbrogliati; e se non sia quel fantasma l’autentico smarrito e il suo facsimile io. (vv.11-15)

455

I.ANTICI, "Le revenant" di Montale, studio su una duplice assenza, RID, Rivista online di italianistica, Dipartimento di Italianistica Roma Tre, 2008, p. 2.

456 L.GRECO, op. cit., p. 63.

457

«Questo è il personaggio che dà il titolo al testo, titolo scelto dal repertorio della lingua francese grazie al suo duplice significato: revenant può essere inteso infatti come participio presente del verbo

revenir, cioè ‘tornare’, e può indicare familiarmente “une personne qui revient (après une longue

absence)”, ma nell’uso comune è un sostantivo sinonimo di “fantôme, spectre”, secondo il dizionario di lingua francese di riferimento, Le Grand Robert. Siamo quindi di fronte a qualcuno che ritorna, ma anche a una delle tante forme di ombra care a Montale». I.ANTICI, op. cit., p. 4.

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L’io rivolge al tu un’osservazione pronunciabile solo nel periodo in morte di Mosca e che mai avrebbe potuto sottoporgli in vita, date le note storie di gelosie. Si tratta perciò di un’apparizione improvvisa di Clizia, che però viene qui fatta rientrare nel “dialogo” tra Montale e Mosca. La definizione di Clizia, come «la sua Clizia», diventa «un’eccezionale hapax della produzione montaliana»458. La domanda indiretta apre una parentesi disillusa sull’irrisolto, i «fili» diventano metafora di due vite, due percorsi continui e mobili, due concetti che l’io riduce a cose nel tentativo di capirli ma che nonostante la semplificazione rimangono incomprensibili. Il testo lirico confluisce, negli ultimi due versi, in un periodo ipotetico dell’irrealtà che evidenzia un sospetto di incertezza. Questa seconda domanda, non più causale ma esistenziale, non ha nessuna possibilità di soluzione nel mondo contingente, e quel fantasma allora potrebbe farsi sostituto dell’io.

A tarda notte

Questa poesia datata 3 novembre 1968 riprende il tema del colloquio con le «ombre»: la notte, come si legge dal titolo, ci dà l’indicazione temporale dell’immaginario dialogo e si lega agli Xenia, dove il buio e la notte evocavano, o sembravano evocare, Mosca.

Il colloquio con le ombre non si fa per telefono.

Sui nostri dialoghi muti non s’affaccia “giraffa” o altoparlante. (vv.1-4)

Il dato di fatto dell’illusione di un possibile dialogo con i morti prende qui forma nell’assioma «il colloquio con le ombre / non si fa per telefono»: i dialoghi

458 I.ANTICI, op. cit., p. 8.

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quotidiani sono diventati da tempo «muti», perché Mosca non può più parlare, sono come film muti su cui però non «s’affaccia / giraffa o altoparlante»459.

Anche le parole però servono quando non ci riguardano,

captate per errore di una centralinista e rivolte a qualcuno

che non c’è,

che non sente. (vv.5-10)

Le parole, che sembrano non essere necessarie perché i dialoghi sono divenuti «muti», «servono», perché può sempre accadere che per sbaglio vengano sentite da chi non c’è più e «non sente»460. Solo un dialogo casuale, e non intenzionale, con chi non c’è più e che non fa più parte della nostra vita, può dare senso ai nostri discorsi quotidiani. L’analogia tra le due situazioni, quella dei dialoghi con morti e quella delle conversazioni per telefono, è data dal fatto che «in entrambi i casi il destinatario non è materialmente presente»461, ma paradossalmente dall’errore deriva il «miracolo».

L’Eufrate

Il testo del 16 marzo ‘69 prende avvio da una visione onirica in cui il «tu è Clizia»462:

Chissà che cosa avrai visto tu in trent’anni (magari cento) ammesso che sia qualcosa di te. Non ripetermi…

459 «La giraffa è il braccio che sorregge il microfono nelle riprese cine-televisive». In R. CASTELLANA, op. cit., p. 184.

460 Il riferimento alla centralinista rimanda ad un episodio di vita realmente vissuto da Montale, quando per errore venne messo in comunicazione con una persona oltreoceano: «i due dapprima interdetti, prendono subito gusto dell’equivoco e, estremamente divertiti, cominciano a parlare in una babele di lingue diverse». In R.CASTELLANA, op. cit., p. 183.

461 C.OTT, op. cit., p. 261 462 L.GRECO, op. cit., p. 65.

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Montale aveva realmente visto l’Eufrate nel 1948, ma si chiede che cosa abbia visto il “tu” in tutto il tempo della sua assenza, «trent’anni / (magari cento)». La giovane Clizia lasciò l’Italia nel 1938, eppure al poeta sembra passato un secolo. Montale tuttavia rivive e rivede anche «in sogno l’Eufrate», ma alla domanda indiretta al tu non seguono risposte, il dialogo è ancora una volta strutturato in absentia, e l’io non è neppure sicuro che al “tu” sia rimasto qualcosa. Il testo tuttavia procede con quel «non ripetermi…» che allude ad «un’asserzione di Clizia: che ogni cosa, anche la più insignificante, contiene l’immagine del tutto»463. La frase che la donna gli ripeteva un tempo aveva senso «quando esisteva il mondo», ora non è più così, e all’io non resta, per dare senso ai propri discorsi, che cercare il proprio nome o ciò che gli assomiglia «sull’atlante». Clizia non è dunque presenza principale, ma evocata: con lei il poeta dialoga al fine di cercare un nesso tra il suo nome e l’Eufrate.

Nel documento Le muse di Montale (pagine 132-139)