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L’ ESPERIENZA C ILENA

2. Il Cile affronta la cris

La crisi ha interrotto quel periodo di boom descritto nelle pagine precedenti, colpendo un economia aperta e poco diversificata come quella cilena.

L’impatto della crisi ha visto interessare fin dal principio soprattutto il settore delle esportazioni, sulle quali ha influito inevitabilmente la depressione del commercio mondiale, soprattutto nei Paesi avanzati. Per la prima volta dopo anni, il Cile ha registrato una caduta delle esportazioni che ha raggiunto il -6% nel 2009. Proprio in seguito alla crisi che aveva il suo epicentro nel settore immobiliare, i primi volumi esportati a crollare sono stati quelli del legname e derivati, visto la caduta della compravendita di immobili nei Paesi sviluppati. Inoltre, essendo il Cile un’economia piccola ma profondamente globalizzata e commercialmente aperta, risulta essere, più di altre economie latinoamericane, maggiormente soggetta alle turbolenze esterne, che si trasmettono principalmente attraverso un assottigliamento delle ragioni di scambio e la riduzione del valore delle esportazioni. In aggiunta, sul commercio cileno pesa la mancanza di diversificazione dei beni esportati che vincola lo Stato all’andamento dei prodotti minerari e del rame in particolare. Infatti, proprio il rame, dopo il record storico di quasi 4 dollari la libra, ha subito in seguito alla crisi un crollo del prezzo che lo ha portato, nella seconda metà del 2008, a meno di un dollaro e mezzo. Il crollo di quasi l’82% del valore delle esportazioni è spiegato proprio dalla caduta di oltre il 50% del prezzo del rame. Da parte loro, le esportazioni industriali hanno sofferto della diminuzione della richiesta straniera facendo registrare per il 2009 un dato negativo di circa il 10%. La riduzione delle esportazioni è stata compensata da un maggiore crollo delle importazioni, dovuto soprattutto alla diminuzione della spesa delle famiglie, al deprezzamento del peso, ai minori investimenti delle imprese che hanno decretato una caduta di quasi il 15% delle importazioni. Oltre al commercio, che rimane il settore più colpito, sono diminuite anche le aspettative di crescita, le possibilità occupazionali, le entrate, oltre a ridursi la spesa privata tanto in investimenti che in beni di consumo. Il PIL ha registrato per tutto il 2009 un dato negativo di -1,7%. Come il PIL, anche la domanda interna si è contratta a partire

G.FILC, América Latina frente a la crisis internacional: características institucionales y respuestas de

90 dall’ultime trimestre del 2008. Infatti, le incertezze in merito alla profondità e alla durata

della crisi hanno indotto a rivedere i progetti di consumo e di investimento. I primi hanno manifestato una flessione negativa di oltre il 10%, mentre gli investimenti sono stati colpiti dalla crisi nel momento di loro massima espansione; infatti, nei mesi immediatamente precedenti lo scoppio della crisi, gli investimenti in macchinari e attrezzature industriali aveva mostrato un aumento record di quasi il 50% in 12 mesi. Esplosa la turbolenza internazionale, gli investimenti sono stati caratterizzati da una certa inerzia, vista la tendenza sopra descritta; con l’inizio del 2009, però, anche gli investimenti hanno mostrato il segno meno169 (-9,3%). Le cause di questa caduta non sono solo radicate nella crisi economica, ma anche in fattori interni, dato che gli investimenti fissi lordi crescevano - a partire dall’ultimo trimestre del 2007 - ad un ritmo fin troppo elevato e insostenibile rispetto alla crescita media del PIL.170

169 La tendenza degli investimenti attraversa un processo che sembra essere caratteristico del Cile. Nella crisi

del 1982 gli investimenti si ridussero mediamente del 20% e, in quella della seconda metà degli anni novanta la caduta fu all‘incirca del 18%.

170 P.B

USTOS (a cura di), Consenso progresista. Las politicas económicas de los gobiernos del cono sur:

elementos comunes, diferencias y aprendizajes, op. cit., pp. 128-134; R. FFRENCH-DAVIS eR.HERESI, La

economía chilena frente a la crisis financiera: respuestas contra-cíclicas y desafios pendientes, in «Serie de

91 Inoltre, l’incertezza caratterizzava anche le tendenza inflazionistiche. Nel 2008 l’inflazione cilena aveva superato il target del 4% stabilito dal Banco Central come obiettivo limite. L’aumento dell’inflazione era dovuto in quel caso all’eccessivo aumento dei prezzi internazionali spinti in alto dalla forte crescita economica delle economie emergenti, Cina e India in particolare. Quando è esplosa la crisi dei mutui subprime, l’inflazione ha sfiorato il tetto del 7%, comportamento confermato dall’inflazione di fondo (o core inflation) che ha seguito un andamento superiore al 6%. A partire dal 2009 l’inflazione è tornata sui livelli precedenti, scendendo da oltre il 7% al 4,5% e già a giugno registrava l’1,8%. Il Banco Central, non giocando d’anticipo, ha ridotto il tasso di interesse solo quando era ben delineata la pericolosità della crisi, passando dall’8,25% del settembre 2008 allo 0,5% di luglio 2009. In questo modo il tasso cileno è tornato su livelli simili a quelli statunitensi

(0,5%) e zona euro (1%) del 2009. L’eccessiva differenza fra i tassi delle due economie appena citate e quello cileno, registrata nel biennio precedente la crisi aveva risposto, come si anticipava, all’aumento repentino dell’inflazione (≅ 7%); il ritorno a livelli più bassi ha evidenziato, invece, la necessità di immettere la liquidità necessaria al mercato finanziario, severamente colpito dalla crisi. Inoltre, il peso cileno ha mostrato un certo grado di volatilità a partire dallo scoppio della crisi internazionale, fenomeno che ha interessato un po’ tutte le monete latinoamericane. Per di più, il Banco Central, di fronte alle prime insolvenze del mercato finanziario statunitense, ha iniziato ad accumulare - a partire da aprile 2008 - riserve in valuta straniera, nella speranza di rafforzare la posizione

92 di liquidità dell’economia cilena; intorno alla fine del 2008, quando ormai si erano propagati gli effetti della crisi nel mercato finanziario internazionale, l’autorità bancaria cilena ha deciso di decretare la fine di questo programma anticipatamente rispetto al termine massimo fissato inizialmente. In questo modo le riserve accumulate sono passate a 24200 milioni di dollari, potendo con questa cifra tranquillizzare i soggetti finanziari come buon presupposto per affrontare la crisi. Per quanto concerne, invece, gli effetti della crisi sul mercato creditizio, motivato dalla restrizione della liquidità locale in dollari, il Banco Central ha iniziato a immettere liquidità in pesos e il governo a depositare risorse in dollari, provenienti dai due fondi sovrani171. Le banche sono tornate ad essere più

caute, prevedendo un impatto sull’occupazione e sulle possibili morosità dei clienti, ed hanno preferito adottare diversi elementi di restrizione del credito, soprattutto quelli riguardanti le maggiori garanzie o mediante la restrizione delle linee di credito. La crisi ha interrotto il dinamismo del mercato creditizio cileno degli ultimi anni, quando solo un

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I due fondi sovrani cileni sono: Fondo de Estabilización Económica y Social e il Fondo de Reserva de Pensiones. Il primo è stato istituito il 6 marzo 2007, con un contributo iniziale di US $ 2,580 milioni. Di questi, US $ 2,563.7 milioni erano costituiti dal saldo del vecchio Fondo de Estabilización de los Ingresos del Cobre, che è confluito nel FEES. Il Fondo per la stabilizzazione economica e sociale consente di finanziare eventuali deficit fiscale e provvedere al servizio del debito, contribuendo così alla spesa fiscale in modo da non essere troppo influenzata dall‘andamento dell'economia globale e dalla volatilità dei ricavi del rame, e da altre fonti. Il secondo, il FRP, è stato istituito il 28 dicembre 2006, con un contributo iniziale di US $ 604,5 milioni di dollari. La sua creazione risponde al nuovo scenario demografico caratterizzato da un aumento della speranza di vita e un aumento della popolazione anziana, il che implica una sfida per lo Stato visti i costi pensionistici futuri superiori, insieme con la necessità di garantire la pensione di solidarietà di base.

93 10% degli istituti bancari affermava di applicare condizioni restrittive al credito; il dato del post-crisi mostra, invece, che le banche che hanno scelto condizioni più restrittive erano oltre il 50%.172

In un contesto di enorme difficoltà il mercato occupazionale ha sofferto di un particolare crollo nella creazione di posti di lavoro e di un aumento del tasso di disoccupazione, che è passato a quasi il 10% nel 2009. La disoccupazione ha seguito, in un certo modo, la decelerazione dell’economia cilena iniziata nell’ultimo periodo del 2008; il maggiore aumento ha interessato il lavoro maschile, per la forte contrazione nel settore delle esportazioni minerarie e del settore delle costruzioni, mentre il lavoro femminile ha registrato un debole aumento. Rispetto al periodo precedente, il mercato del lavoro registra un contrasto molto pronunciato; nel biennio antecedente, la creazione di posti di lavoro si aggirava intorno al 3%, grazie al dinamismo degli investimenti che, invece,sono crollati con lo scoppio della crisi facendo flettere la curva occupazionale. In un Paese che con fatica ha cercato la strada per assottigliare la povertà e per creare una maggiore inclusione sociale, ogni flessione nell’indicatore occupazionale si riflette implicitamente sugli indicatori sociali; dopo alcuni anni di risultati positivi, i dati sulla povertà sono tornati a crescere registrando un 15,1% della popolazione povera e più del 4% della popolazione indigente (sempre secondo le stime ufficiali).173

Come per il resto dei Paesi latinoamericani, anche per il Cile l’impatto della crisi è stato seguito da un più rapido recupero, rispetto a crisi passate. A partire dall’ultimo trimestre del 2009 l’attività economica ha evidenziato una rapida ripresa, mostrando chiaramente un’uscita più rapida dallo shock esterno che l’aveva colpita sul finire del 2008. Uno dei fattori chiave di questo recupero è stato la grande quantità di pacchetti fiscali adottati dal governo a partire dal 2009, che hanno rappresentato il 2,8% del PIL (un maggiore approfondimento sull’argomento sarà svolto nel prossimo paragrafo). L’evoluzione del recupero sembrava procedere senza interruzioni, almeno fino al febbraio del 2010 quando

172 CEPAL, Estudio económico de América Latina y el Caribe 2008-2009, op. cit., pp. 128-129; CEPAL,

Estudio económico de América Latina y el Caribe 2009-2010, op. cit., pp. 112-113; J.DE GREGORIO, Chile

frente a la Recesión Mundial, in «Documentos de política económica», Banco Central de Chile, n°30, 2009,

pp. 8 e 9.

173

R. FFRENCH-DAVIS eR.HERESI, La economía chilena frente a la crisis financiera: respuestas contra-

cíclicas y desafios pendientes, in «Serie de documentos de trabajos», op. cit., p. 15; L. RONCONI F. MARONGIU D. DBORKIN G. FILC, América Latina frente a la crisis internacional: características

institucionales y respuestas de política, op. cit, p. 51; CEPAL, Estudio económico de América Latina y el Caribe 2008-2009, op. cit., p. 129.

94 il terremoto del 27 febbraio a largo della località di Curanipe ha imposto una pausa transitoria alla fase di recupero, in conseguenza del fatto che è stata colpita una delle zone più produttive del Paese e soprattutto per gli sforzi che la ricostruzione ha richiesto. L’indice mensile dell’attività economica ha registrato per il solo mese di marzo un crollo del 2,3%, per poi risalire ad oltre il 5% nel mese di maggio; questo dimostra come l’impatto del terremoto (27-F) è stato temporaneo e minore rispetto alle aspettative iniziali. A partire dalla meta del 2010 il Cile è stato caratterizzato da una buona dinamica al recupero, soprattutto grazie all’impulso dei consumi e degli investimenti, che hanno decretato un aumento a due cifre dell’attività dei settori esportatori. Questo ha sostenuto la ripresa del PIL, che dopo un 2009 in recessione era tornato a toccare un buon andamento, all’incirca del 6%, nonostante gli sforzi per la ricostruzione post-terremoto. Le esportazioni, invece, hanno mantenuto un andamento più moderato, mentre la produzione per il mercato interno ha evidenziato una forte ripresa nel 2010, generando una diminuzione della disoccupazione che a partire dall’anno in questione ha mostrato una tendenza decrescente, tornando a livelli ad una cifra (≅ 8%) dopo il dato dell’11% del 2009. Proprio i due settori particolarmente vincolati al dinamismo della domanda sia interna che esterna, come il settore delle costruzioni e il commercio, hanno consentito un cambio di rotta nell’indicatore della disoccupazione; per quanto riguarda, invece, il settore manifatturiero la generazione di posti di lavoro è stata inferiore rispetto ai due settori menzionati precedentemente, risentendo maggiormente della difficoltà che ha affrontato per competere con uguali tipologie di importazioni (soprattutto cinesi). Questi sviluppi sono stati confermati durante tutto il 2010 dai giudizi di due agenzie di rating; Moody’s (Investors Service) ha aumentato il rating del Cile da A1 ad Aa3, mentre Standard&Poor’s nello stesso anno, ha qualificato il debito sovrano cileno in A+. Sul fronte dell’inflazione, a partire da marzo 2010, si è registrato un dato opposto a quello del biennio precedente. Dopo le eccessive spinte inflazionistiche che hanno fatto seguito all’aumento del prezzo delle materie prime, nel 2009 l’inflazione a 12 mesi ha evidenziato un -1,4%, con quattro mesi di variazione mensili negative dell’indice dei prezzi al consumo (IPC). Questo risultato è stato frutto di alcuni fattori; innanzitutto, la contrazione della domanda interna ha contribuito a contenere e ridurre i prezzi interni; in secondo luogo, si è evidenziata una tendenza all’apprezzamento del peso cileno, soprattutto sul

95 finire del 2009. L’attitudine negativa appena descritta, è stata invertita nel corso del 2010, registrando un dato del 3%: i termini di questo aumento sono da rintracciare nell’aumento dei prezzi dei combustibili e di altri componenti dell’IPC, come i trasporti, gli alloggi e altri servizi, che in presenza di una capacità produttiva in fase di ripresa ha portato ad un aumento costante dell’inflazione. Questa è stata una preoccupazione per la Banca Centrale che ha fatto ricorso al rialzo del tasso di sconto per cercare di ridurre la propagazione degli shock esterni, provenienti dall’aumento dei prezzi e per cercare di far tornare l’inflazione sui livelli degli obiettivi prefissati.174

L’obiettivo di superare la crisi e raggiungere livelli di PIL superiori al 5%, è stato perseguito anche dal successore di Michelle Bachelet, Sebastián Piñera, che seppure di segno politico opposto, ha cercato di mantenere quei rafforzamenti in ambito sociale perseguiti dai governi della Concertación. I segnali di ripresa iniziati nel 2010 si sono consolidati per quasi tutto il 2011. Oltre ai fattori che avevano permesso la ripresa l’anno precedente, si è aggiunta nel 2011 un rinvigorito recupero nel settore delle costruzioni, visto sia l’enorme e riuscito sforzo per la ricostruzione post-terremoto, sia le aspettative consolidate dalla ripresa dopo il difficile quadro che la crisi aveva delineato. Come per il resto della Regione latinoamericana, la ripresa del biennio 2010-2011, anche in Cile è stata fortemente trainata dal dinamismo della domanda interna, che ha portato su buoni livelli il consumo privato e gli investimenti.175

Quando la propagazione della crisi in Europa ha iniziato ad essere il centro delle preoccupazioni mondiali, molti analisti hanno messo in guardia sulle possibili ripercussioni per la Regione latinoamericana. Per il caso in analisi, la crisi della zona euro ha avuto la maggiore ripercussione sul commercio. L’Europa rappresenta oltre il 15% delle esportazioni cilene, e le turbolenze che l’Europa vive sono negative per questa quota consistente di esportazioni cilene. Probabilmente il maggiore impatto riguarda l’incertezza che questa crisi ha creato. La recessione in Europa ha colpito il principale partner commerciale cileno. Tuttavia anche il freno alle esportazioni asiatiche si ripercuote sfavorevolmente sull’economia cilena, considerato che i Paesi asiatici costituiscono quasi il 40% delle esportazioni cilene. Inoltre, la fase di decelerazione, che tutti i Paesi

174 R. F

FRENCH-DAVIS eR.HERESI, La economía chilena frente a la crisis financiera: respuestas contra-

cíclicas y desafios pendientes, in «Serie de documentos de trabajos», op. cit., pp. 20-23; CEPAL, Estudio económico de América Latina y el Caribe 2010-2011, op. cit., pp. 133-136.

175

96 latinoamericani vivono dalla fine del 2011, si è fatta sentire - con un po’ di ritardo - anche nell’economia cilena, come conseguenza dell’iniziale resistenza cilena alle incertezze dei mercati globali e delle turbolenze europee. A partire dalla seconda metà del 2012 è iniziata anche per l’economia cilena la fase di raffreddamento dell’attività economica, evidenziando alcune questioni in merito alla sua economia. Innanzitutto, il rame, che rappresenta il 14% delle entrate del governo centrale, sia come utili che come imposte; visto il buon andamento del rame nel biennio precedente, la spesa pubblica ha potuto aumentare (nei limiti degli obiettivi fiscali prefissati). Con l’arrivo della fase di raffreddamento e delle incertezze sui prezzi delle materie prime, rame compreso, la spesa pubblica potrebbe crescere al di sotto delle disponibilità provenienti dal rame e in un contesto caratterizzato da un PIL che cresce con moderazione, ponendo dei problemi sulla sostenibilità, in futuro, della spesa. Inoltre, senza l’eventuale ‚supporto‛ del rame la possibilità di tornare su livelli robusti di crescita richiede di avviare la strada di un miglioramento produttivo, non solo nel settore minerario; sulla scelta di tale strada si è indugiato negli ultimi anni, a differenza di altri Paesi della Regione e ad altri periodi dell’economia cilena (non molto lontani).176

In ogni caso, grazie alla solidità della politica e dell’economia raggiunta negli anni, il Cile ha buone possibilità di trovare prima di altri Paesi latinoamericani la traiettoria per uscire dalla fase di decelerazione. Sul futuro prossimo del Paese peseranno le condizioni più restrittive di liquidità che dovranno affrontare i Paesi latinoamericani in seguito alla decisione della Fed di eliminare il ‚quantitative easing‛, come ha anche affermato il Presidente del Banco Central: «un altro rischio esterno sarà come le economie emergenti affronteranno il ritiro degli stimoli monetari da parte dei Paesi sviluppati»177 Ulteriore rischio è associato alla possibilità che un cambio nella crescita cinese possa portare con sé un’eventuale riduzione del prezzo del rame che coinvolgerà, con effetti negativi, la crescita e i conti pubblici cileni.

176 O

RGANIZACIÓN INTERNACIONAL DEL TRABAJO, Frente a la crisis en Europa; reflexiones para el caso de

Chile, http://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/---americas/---ro-lima/documents/article/wcms_206267.pdf

177

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