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Impatto ed evoluzione della crisi finanziaria in America Latina (2008-2013)

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(1)

U

NIVERSITÀ DI

P

ISA

Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di Laurea Magistrale in Studi Internazionali

IMPATTO ED EVOLUZIONE DELLA CRISI FINANZIARIA IN

AMERICA LATINA (2008-2013)

R

ELATORE

Prof. Marco Cini

C

ANDIDATO

Pietro Mirabelli

(2)

1

I

NDICE

I

NTRODUZIONE ... p. 4

CAPITOLO I

L

A RECENTE CRISI FINANZIARIA

:

UNO SGUARDO D

INSIEME

I.1 Contesto ed evoluzione: una premessa storica ... p. 8

I.2 Da crisi finanziaria a crisi globale ... ‚ 12

I.3 Impatto nelle economie emergenti... ‚ 20

CAPITOLO II

L

A REGIONE LATINOAMERICANA E LA CRISI

:

UN

EVOLUZIONE DIVERSA II.1 ‚Decada perdida‛ e indebitamento: storie di crisi vecchie e nuove ... p. 25 II.2 Dall’ ‚auge economico‛ alla crisi ... ‚ 36

II.3 L’impatto della crisi e lo sviluppo della Regione latinoamericana ... ‚ 46

II.3.1 La politica monetaria ... ‚ 55

II.3.2 La tendenza dei conti pubblici ... ‚ 60

II.3.3 Il dinamismo del mercato del lavoro ... ‚ 67

II.3.4 Gli effetti della crisi sul commercio regionale... ‚ 73

(3)

2

CAPITOLO III

L’

ESPERIENZA

C

ILENA

III.1 La situazione antecedente la crisi ... p. 85 III.2 Il Cile affronta la crisi ... ‚ 89 III.3 Il processo di formazione delle politiche di risposta ... ‚ 97

C

ONCLUSIONI ... p. 103

(4)
(5)

4

I

NTRODUZIONE

È diventato comune affermare che l’economia mondiale ha vissuto, o sta vivendo, la più grave crisi dalla Grande Depressione degli anni trenta; quello che è meno usuale è stato affermare che il crollo della Lehman Brothers si è posto come spartiacque tra un prima e un dopo dell’economia globale. La crisi ha imposto una fine all’elevata crescita (proveniente soprattutto dal settore finanziario) e ha dato avvio ad una fase caratterizzata da forti squilibri sistemici e da incertezze economiche e finanziarie. Quello che si riteneva essere un problema ristretto al settore creditizio e finanziario si è trasformato in poche settimane in una rapida e drammatica crisi internazionale. L’interconnessione, che aveva retto fino ad allora fra flussi finanziari e commerciali, crolla alla fine del 2008 segnando l’inizio di una recessione mondiale profonda e prolungata. Proprio attraverso il canale commerciale, la diffusione della crisi ha inizialmente compromesso l’evoluzione della maggior parte delle economie in via di sviluppo ed emergenti, anche quelle asiatiche e latinoamericane, che avevano mostrato posizioni più robuste rispetto al passato.

Questo lavoro cerca di riflettere sulle implicazioni avute dal cambiamento dello scenario globale in America Latina e sulle evoluzioni successive.

Quando la crisi finanziaria internazionale ha colpito la Regione, tra il 2008 e il 2009, ha avuto principalmente due conseguenze. Innanzitutto, ha interrotto un periodo di crescita economica che, in termini di durata e risultati, non ha avuto precedenti in oltre cinquanta anni. In secondo luogo, un gran numero di Paesi latinoamericani ha deciso di adottare misure anticicliche che hanno contribuito a contenere l’impatto di questa crisi, che aveva la sua genesi all’esterno della Regione. Se comparata con altre zone del mondo, l’America Latina sembrerebbe esser stata poco colpita dalla crisi internazionale; ma se si prende in considerazione l’impatto della crisi e lo si rapporta al periodo di crescita compreso fra il 2003 e il 2008, la Regione risulta essere una delle più colpite, avendo perso oltre 7 punti percentuali di PIL rispetto al periodo precedente. Infatti, la maggior parte delle economie della Regione è arrivata ad affrontare la crisi in condizioni migliori rispetto al passato non solo in termini di livelli di crescita più sostenuti, ma anche in termini di migliorate condizioni delle finanze pubbliche e una posizione esterna abbastanza più forte,

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5 supportata da un processo prolungato di riduzione della situazione debitoria e di accumulazione di riserve in valuta straniera. Questo andamento sembrava rispecchiare una lezione appresa dal passato, quando episodi frequenti di instabilità e incertezza sulle politiche di risposta avevano reso più vulnerabile e debole la Regione.

Il principale canale di trasmissione dell’attuale crisi alla Regione latinoamericana è stato quello commerciale, che ha evidenziato un deterioramento sia in termini di volumi che di valore. Tale riduzione è stata il risultato del crollo della domanda internazionale, specialmente quella proveniente dai Paesi sviluppati. In particolare, un forte calo è stato registrato dai paesi esportatori di manufatti, che avevano come principale mercato di destinazione gli Stati Uniti; per quanto riguarda i Paesi esportatori di materie prime, nonostante il mantenimento della domanda cinese, ha pesato su questi Paesi il ribasso nel prezzo di tali beni.

Il forte crollo del commercio internazionale e la riduzione del prezzo delle materie prime, come si anticipava, ha comportato il crollo delle esportazioni provenienti dall’America Latina. Ciò ha portato ad un indebolimento della produzione industriale e dell’occupazione, che ha influenzato negativamente la domanda interna. Nella maggior parte dei Paesi, inoltre, la forte recessione ha causato un’altrettanta forte riduzione delle importazioni, che ha in parte mitigato i cattivi dati che la bilancia commerciale latinoamericana andava registrando. Inoltre, ciò che era stato un punto di forza nel periodo di ‚auge‛ economico (ragioni di scambio e rimesse) ha subito una decisa contrazione allo scoppio della crisi; in particolare, le rimesse erano diventate per alcuni Paesi fonti di finanziamento esterno, che è venuto meno allo scoppio della crisi soprattutto perché due dei Paesi maggiormente colpiti, Stati Uniti e Spagna, erano le principali destinazioni dei lavoratori latinoamericani emigrati. In risposta alla crisi la maggior parte dei Paesi della Regione ha dato avvio a misure fiscali anticicliche. Il loro raggio d’azione è dipeso soprattutto dalla solidità raggiunta nel periodo pre-crisi e dai risparmi generati dal boom esterno che la Regione aveva sperimentato negli ultimi anni. Rispetto a crisi passate, la maggior parte dei Paesi ha preferito in questa occasione non far ricorso all’indebitamento esterno, ma ha fatto perno sulle risorse e sulle capacità interne. Inizialmente il crollo della domanda e la caduta del prezzo delle materie prime avevano permesso di compensare gli effetti dei forti deprezzamenti a cui le autorità bancarie

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6 centrali avevano dovuto far ricorso allo scoppio della crisi. Inoltre, la maggiore credibilità nella gestione della politica monetaria acquisita con gli anni dalle banche centrali latinoamericane, insieme alla decisione di accumulare riserve in valuta straniera, ha permesso e facilitato l’adozione di politiche monetarie e fiscali anticicliche.

A partire dal 2010 si è iniziata ad osservare la fase di recupero dell’economia latinoamericana e la rapidità della ripresa, rispetto ad altre economie mondiali, ha permesso di parlare di ‚buon andamento‛ della Regione. Questa ripresa è stata trainata dall’aumento sia della domanda esterna che quella interna, con un’implementazione in termini di consumo e investimenti. Alla fine del biennio 2010-2011, la crescita latinoamericana nonostante fosse positiva ha iniziato a mostrare una chiara tendenza alla decelerazione che, se ad oggi non risulta drammatica, dà l’avvio ad un problema che potrebbe diventare persistente e che si ripercuoterebbe inevitabilmente sulle fasce più deboli della popolazione, che oltre ai contraccolpi in ambito sociale, si vedrebbero protagonisti di una diminuzione dei consumi, contribuendo a deteriorare sempre di più la domanda interna e tutti i suoi componenti. D’accordo con tali premesse, il lavoro si struttura in tre parti.

Nel primo capitolo si cercherà di delineare un’analisi della crisi finanziaria internazionale, tracciando quella che è stata la sua genesi e la sua espansione, e quali sono state le conseguenze per le economie sviluppate e quelle emergenti. Si cercherà di delineare la trasformazione della crisi da semplice instabilità di un settore apparentemente ristretto, quello dei subprime, a recessione che ha coinvolto tutti i Paesi e le economie mondiali. Nel secondo capitolo, per valutare e capire meglio l’impatto della crisi in America Latina, si è dato spazio alla comprensione di eventi simili che si sono verificati nella Regione in passato. Questo perché l’America Latina è stata sensibile negli anni agli shock esterni, non solo nella crisi del 2008 ma anche negli anni ottanta e novanta. Dopo aver tracciato il quadro precedente la crisi, l’analisi si sposta sulla performance della Regione a partire dalla crisi e su come il periodo di ‚auge‛ abbia permesso, questa volta, un andamento diverso.

Infine il lavoro cerca di approfondire l’esperienza di un Paese latinoamericano, il Cile; come il resto della Regione, anche questo Paese ha mostrato una grande solidità iniziale, acquisita nel periodo precedente la crisi, che però non lo ha reso immune da quest’ultima.

(8)

7 L’ultimo capitolo comincia proprio con un excursus sulla situazione antecedente il 2008 per poi spostarsi sull’impatto e sugli effetti della crisi sull’attività economica e sul commercio cileno e infine percorre le diverse politiche attuate per affrontare e uscire dalla crisi.

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8 CAPITOLO I

L

A RECENTE CRISI FINANZIARIA

:

UNO SGUARDO D

INSIEME

1. Contesto ed evoluzione: una premessa storica

Nonostante la natura contraddittoria che la caratterizza, la recente crisi finanziaria è facilmente inquadrabile in un contesto di eterogenei fattori: eccessivi squilibri globali, elevati livelli di liquidità, una penetrante trasformazione delle strutture finanziarie e una persistenza nel sistema stesso di spazi opachi.

La definizione stessa di mercato finanziario ha subito una dilatazione a partire dalla metà degli anni Ottanta, quando diversi soggetti legati all’ambiente finanziario hanno visto potenziare il proprio ruolo (in special modo le banche); ciò fu possibile grazie alla possibilità data loro di creare di particolari prodotti finanziari, acquisire partecipazioni rilevanti in imprese e produrre in proprio strumenti tali da sostenere tali acquisizioni, nella maggior parte dei casi coadiuvati dall’esplosione innovativa dell’ingegneria finanziaria.1

Anticipazioni di questi cambiamenti si potrebbero già intravedere nella nomina a Segretario al Tesoro dell’amministrazione Reagan di Donald Regan, direttore generale della banca di investimenti Merril Lynch; è questo il momento che decreta l’inizio di un periodo trentennale di deregolamentazione finanziaria che avrà un boom a partire dagli ultimi anni della presidenza Clinton, quando il settore finanziario cominciò a concentrarsi nelle mani di poche ma enormi società.

Il 7 aprile 1998 dalla fusione fra Citicorp e Travelers Group nacque Citigroup, nonostante l’operazione violasse il Glass-Steagall Act2. La Federal Reserve concesse a Citigroup una ‚deroga‛ di un anno, lasso di tempo nel quale l’amministrazione Clinton riuscì ad abolire la storica legge bancaria sostituendola con il Gram-Leach-Bliey Act, che spianò la strada

1A.V

OLPI, Una crisi tante crisi. Crollo della finanza e dell’idea di mercato, BFS Edizioni, Pisa 2009, p. 9. G.RAVIOLO,La crisi globale da Bretton Woods ai mutui subprime, Edizioni universitarie romane, Roma

2009, pp. 149 e ss.. Una descrizione accurata dall‘evoluzione della finanza è contenuta in R.J.SHILLER,

Finanza shock. Come uscire dalla crisi dei mutui subprime, EGEA, Milano 2008.

2 G

LASS-STEAGAL ACT: introdotto nel 1933 dopo la Grande Depressione, imponeva una separazione fra le attività delle banche commerciali e quelle di investimento.

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9 alla creazione di gruppi bancari che al loro interno possono, seppur con alcune minime limitazioni, esercitare sia l’attività bancaria tradizionale sia l’attività di investment banking e assicurativa. Inoltre, all’inizio degli anni ’90, la deregolamentazione e l’avanzamento tecnologico portarono all’adozione di complessi prodotti finanziari chiamati ‚strumenti derivati‛, definiti da Greenspan strumenti in grado di differenziare il rischio e di allocarlo agli investitori più capaci e desiderosi di assumerlo. «Si è affermato un modello di allocazione del rischio di credito che è passato dallo schema originate and hold al più ‚avanzato‛ originate to distribute. Nel primo caso le banche concedono il credito e si fanno carico del compito di vigilare sulla solvibilità del destinatario del credito stesso, avendo la preoccupazione principale di evitarne il fallimento. Nel secondo, l’originatore di crediti li assembla in strumenti cartolari con combinazioni di varia qualità e vario livello di rischio, strutturati in strati con diverso grado di subordinazione che poi cede ad investitori istituzionali e gestori di patrimonio; in tale sequenza il rapporto tra il soggetto che eroga il credito e il beneficiario di esso diventa di fatto quasi anonimo e l’interesse per una restituzione certa scema».3

In un contesto senza freni e sorveglianze, economisti e banchieri erano convinti che così facendo sarebbero riusciti a rendere i mercati più sicuri, mentre in realtà si trattava solo dell’inizio di una instabilità che sarebbe successivamente esplosa. Nel 2001, quando Bush divenne presidente, a farla da padroni sulla scena finanziaria internazionale c’erano cinque banche d’investimento4, due grosse società finanziarie 5 e tre compagnie d’assicurazione6 che rappresentarono l’evoluzione sistemica della cartolarizzazione stessa. A ciò si deve aggiungere una politica di bassi tassi di interesse perseguita dalla Federal Reserve, guidata da Alan Greenspan, in seguito alla recessione successiva alla bolla dell’industria ‚dot-com‛, all’aumento dei prezzi del petrolio e altri fattori, che misero in difficoltà l’economia americana. Come hanno sostenuto Roubini e Mihm, Alan Greenspan ha giocato un ruolo fondamentale con la scelta di politiche monetarie molto espansive,

3 A. V

OLPI, Una crisi tante crisi. Crollo della finanza e dell’idea di mercato, op. cit., p. 12; sullo stesso argomento, R. KOLB, Lessons from the Financial Crisis: Causes, Consequences, and, Our Economic Future, ed. Wiley, 2010, pp. 264 e ss.; HOUSE OF COMMONS TREASURY COMMITTEE, Financial stability and

transparency: sixth report of session 2007-08, Londra 2008, pp. 18-20 http://www.publications.parliament.uk/pa/cm200708/cmselect/cmtreasy/371/371.pdf; .

4 Goldman Sachs, Morgan Stanley, Lehman Brothers, Merrill Lynch, Bear Stearns. 5 Citigroup, JPMorgan.

6 AIG American International Group, MBIA Municipal Bond Insurance Association, AMBAC American

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10 tagliando il tasso di interesse al quale la Federal Reserve presta denaro al sistema finanziario nel complesso. La scelta di mantenere i tassi sui fondi federali, protrattasi per troppo tempo, a livelli eccessivamente bassi (dai primi del 2000 alla metà del 2003, l’ex presidente della Fed ha tagliato il tasso sui fondi federali del 5,5%) ha favorito un boom creditizio e immobiliare insostenibile.7 L’accumulazione di liquidità pose le basi per la concessione di prestiti da parte del settore finanziario al settore immobiliare, inclusi i prestiti ad alto rischio; la conseguenza fu un aumento vertiginoso dei prezzi degli immobili che generarono così la bolla.

I mutui subprime8 iniziarono ad avere importanza nella seconda metà della decade ‘90. I dati maggiormente rilevanti, riguardano il periodo successivo: fra il 2001 e il 2006 i prestiti subprime aumentarono da 120.000 milioni di dollari a 600.000 milioni di dollari. Mentre fino al 2000 solo il 5% dei prestiti era caratterizzato dai subprime, nel 2005 questo dato è quadruplicato sfiorando il 20%. L’aumento dei prestiti a soggetti privi di garanzie fu reso possibile da quel processo di deregolamentazione e innovazione finanziaria accennato sopra.

Il raffreddamento arriva nel corso del 2006. Il prezzo degli immobili e la compravendita di nuove proprietà registrano una riduzione considerevole.

È qui che si collocano i primi evidenti problemi: il mercato dei subprime entra in difficoltà e i detentori di questi debiti diventarono insolventi. Alan Greenspan probabilmente fu uno dei primi ad accorgersi del problema. L’ex presidente alzò i tassi di

7 N. R

OUBINI eS.MIHM, La crisi non è finita, trad. di Adele Oliveri, Feltrinelli, Milano 2009, p. 47; G. RAVIOLO, La crisi globale da Bretton Woods ai mutui subprime, Edizioni universitarie romane, Roma 2009,

pp. 153 e ss.; F. DELBONO, La crisi. Di chi è la colpa?, ed. libreriauniversitaria.it 2012, p. 51.

8

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11 interesse ufficiali, ma il tasso sui fondi federali era aumentato dall’1 al 5,25% tra il 2004 e il 2006, mentre i tassi di interesse a lungo termine e sui mutui a tasso fisso erano rimasti praticamente invariati. In altre parole, l’inasprimento monetario tardivo non aveva sortito alcun effetto.9 Il 2007 si apre con un inasprimento della situazione che risente del raffreddamento dell’anno precedente, e gli effetti si fanno risentire direttamente sulle «società di credito immobiliare non bancarie specializzate in mutui subprime fallite a seguito dell’aumento delle insolvenze tra i prenditori. Poi nel giugno del 2007 due hedge fund gestite da Bear Stearns, che ricorrendo ad un alto grado di leva finanziaria avevano investito in titoli garantiti da mutui subprime, hanno subito un tracollo, provocando una fuga precipitosa da tutti i titoli associati al mercato subprime. Appena ci si è resi conto che l’intero sistema finanziario globale aveva un’esposizione ai mutui subprime si è diffuso il panico».10 Le incertezze sullo stato e sui rischi delle società finanziarie legate ai subprime scatenò una paralisi dei mercati finanziari, un aumento dei rischi di insolvenza e cadute repentine delle borse. Livelli elevati di volatilità e problemi di liquidità si mantennero costanti fino all’autunno del 2008 quando si iniziò a mettere a punto misure pubbliche di risposta. Il 15 settembre 2008, giorno del fallimento della Lehman Brothers Holdings Inc., rappresenta il momento in cui la crisi entra in una fase senza precedenti, un punto di non ritorno, ma non il fattore scatenante. «Il fallimento di Lehman Brothers non è stato una causa della crisi, quanto piuttosto un sintomo della sua gravità. Dopo tutto, quando Lehamn ha annunciato che avrebbe dichiarato il fallimento, il 15 settembre 2008, gli Stati Uniti erano già da dieci mesi nel pieno di una grave recessione, e altre economie industrializzate erano sul punto di entrarvi»11. Di fronte alla gravità della situazione nei mercati finanziari, seguita al fallimento della Lehman Brothers, il governo statunitense abbandonò le reticenze iniziali sul salvataggio di società e salvò dal fallimento la principale compagnia di assicurazioni mondiali, AIG12. Il salvataggio della compagnia assicurativa risultò necessario per tutelare non solo la compagnia stessa quanto le banche che avevano acquistato dall’AIG un’assicurazione. Dal canto loro, Merrill Lynch venne

9 N. R

OUBINI eS.MIHM, La crisi non è finita, cit., p. 102.

10 Ivi, p. 48. 11

Ivi, p. 132.

12 La AIG negli anni precedenti aveva venduto enormi quantità di derivati chiamati Credit Default Swap. Per

i possessori di CDO (Collateralized Debt Obligatio, prodotti della cartolarizzazione), i CDS funzionavano come una polizza assicurativa. L‘investitore pagava all‘AIG un quarto del valore per l‘assicurazione; se la CDO perdeva il suo valore, la AIG prometteva di pagare l‘investitore.

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12 acquistata dalla Bank of America e Goldman Sachs e Morgan Stanley decisero di trasformarsi in holding bancarie in modo da accedere alle misure di emergenza, passando sotto un maggiore controllo governativo e cercando in questo modo di fugare eventuali dubbi sulla loro sostenibilità.

2. Da crisi finanziaria a crisi globale

Tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009, la crisi finanziaria si acutizzò colpendo l’economia globale.

Gli stretti legami finanziari, economici e commerciali, intensificati dal processo della globalizzazione degli ultimi decenni, accentuarono la trasmissione istantanea della crisi agli altri Paesi, generando la recessione più profonda dai tempi dalla Grande Depressione. Ad aumentare la pericolosità senza precedenti della crisi recente è, come si anticipava, la sua caratteristica ‚globale‛ ma anche la velocità e la sincronia della sua diffusione; si mette definitivamente un punto a quel ciclo espansivo, il più elevato degli ultimi 40 anni, che va dal 2003 al 2008. La contrazione economica ha fatto sì che si potesse assistere a tipologie di risposte da parte degli Stati difficilmente accettate dagli stessi nei periodi precedenti la crisi.

Per prima cosa, le Banche Centrali hanno quasi azzerato i tassi ufficiali. Secondo le teorie economiche classiche, a questo tipo di politiche monetarie sarebbe dovuto seguire un forte impulso per le attività economiche; non fu questo il caso. I forti squilibri che avevano interessato i mercati finanziari avevano affievolito l’effetto (teorico) del taglio dei tassi ufficiali. L’entità della situazione ha reso necessario il ricorso ad interventi integrativi, come i piani di salvataggio bancario.

L’azione congiunta di salvataggi e di politica monetaria, a poco è valsa per cercare di stabilizzare i mercati finanziari ma soprattutto, ad evitare una brusca contrazione dell’economia reale. L’8 ottobre 2008, per la prima volta, sei banche centrali danno vita ad un’azione congiunta volta alla riduzione dei tassi di 50 punti base.13 Il coordinamento fra i

13 «La Banca Centrale Europa (il tasso passa da 4,25% al 3,75%); la Federal Reserve passa a 1,50%;

Riksbank svedese (al 4,25%); la Banca centrale canadese, la Banca d'Inghilterra (al 4,5%); la Banca centrale svizzera (tassi base tagliati di 50 punti base, banda di oscillazione del Libor al 2-3%). È intervenuta anche

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13 governi e le banche centrali ha avuto lo scopo di evitare il collasso del sistema finanziario e con questo dell’economia, ripristinando la fiducia. Se, probabilmente, le misure messe in atto hanno evitato il tracollo del settore finanziario, di certo non sono riuscite nel loro secondo obiettivo: risolvere il problema delle attività deteriorate nei bilanci bancari. Per non guastare la fiducia su eventuali problemi di solvibilità sono state rilasciate dichiarazioni che rassicuravano e assicuravano che nessuna istituzione finanziaria di una certa entità (‚too big to fail‛) sarebbe stata lasciata fallire. Per raggiungere ciò, sono stati introdotti consistenti interventi finalizzati alla liquidità e alla solvibilità di tali istituzioni finanziarie per poi espandere gli effetti sul mercato stesso14. All’azione iniziale delle banche centrali, con finanziamenti a breve termine e a determinate istituzioni, ha dovuto far seguito un’azione più ‚invasiva‛ dei governi, con accessi facilitati a forme più durature di finanziamento tramite garanzie su depositi e passività o addirittura con ricapitalizzazioni bancarie per scongiurarne i problemi di solvibilità. «I programmi di sostegno ai mercati e alle istituzioni finanziarie hanno creato uno stato di dipendenza dal quale il sistema finanziario potrebbe avere difficoltà ad uscire senza il mantenimento di condizioni monetarie decisamente accomodanti».15

A fine ottobre, inoltre, il malato terminale non era più e solo il settore finanziario; iniziavano a palesarsi i primi aggravamenti dell’economia mondiale, gli stessi che sono sfociati poi nella recessione, dato che le condizioni in cui si trovava l’economia mondiale nel periodo a ridosso la crisi erano ben peggiori che in altri momenti di criticità. Europa e Stati Uniti si sono trovati davanti ad un’elevata disoccupazione e prospettive di domanda aggregata deboli. I vasti programmi governativi, volti a calmierare i mercati e a sostenere la domanda aggregata, hanno avuto una ricaduta diretta sul debito pubblico che ha registrato in molti Paesi industrializzati, un repentino e (sembrava) inarrestabile aumento. Per questo si è ritenuto fondamentale avviare, e con estrema rapidità, un risanamento dei conti pubblici specie nelle economie già caratterizzate da un elevato debito nelle fasi precedenti la crisi. Inoltre, le preoccupazioni in merito alla sostenibilità delle finanze pubbliche e alla solidità delle banche hanno influito negativamente sulla ripresa dei mercati finanziari.

la Banca centrale cinese con un taglio dello 0,27%.» Beda Romano, Tassi: taglio coordinato (50 p.b.) delle

principali banche centrali, Il Sole 24 ore, 8 ottobre 2008, http://tinyurl.com/TaglioTassi.

14 BIS, 79° Relazione Annuale, 1° aprile 2008 – 31 marzo 2009, Basilea, 29 giugno 2009, pp. 105-116. 15

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14 Come anticipato, la contrazione dell’economia ha avuto come conseguenza diretta un balzo in alto della disoccupazione in diversi Paesi. Il dato si è attestato, nel periodo immediatamente successivo allo scoppio della bolla, intorno agli 8 punti percentuale in Spagna e ai quasi 5 negli Stati Uniti, dovuto per lo più a dismissioni di manodopera in seguito al fallimento del settore dell’edilizia. Col passare del tempo inoltre, la disoccupazione ha raggiunto, sia negli Stati Uniti che in Europa, massimi mai toccati dagli anni trenta16.

«La combinazione di programmi di stimolo fiscale su larga scala, pacchetti di sostegno finanziario ed entrate tributarie decrescenti si è tradotta in disavanzo di bilancio ampi, spingendo il debito pubblico effettivo e prospettico a livelli record nella maggior parte dei Paesi industrializzati. Questi oneri aggiuntivi giungono in un momento in cui i governi delle economie avanzate devono già far fronte alla rapida crescita delle passività implicite non finanziate, connesse con l’invecchiamento della popolazione»17.

Iniziarono a mostrarsi i primi timori per il rischio sovrano in seguito ai programmi di stimolo fiscale e di sostegno finanziario. Sul finire del 2009 il rischio si era fatto più evidente. Lo scenario su cui tutti puntavano gli occhi era la zona euro, dove gli ormai enormi disavanzi di bilancio di alcuni Paesi non facevano prospettare nulla di buono, se non un repentino aumento del rapporto debito pubblico/PIL. Era la Grecia l’osservato speciale. Nel maggio del 2009 erano emersi i timori di solvibilità del debito greco, che prospettavano l’impossibilità per il governo ellenico di fornire risposte efficaci e adeguate nel breve periodo. Dalla Grecia i timori si sono poi spostati su altri Paesi dell’aerea euro, dove a preoccupare era la combinazione di eccessivi disavanzi pubblici e scarsa competitività, come Portogallo e Irlanda.

È in questa fase che inizia a diventare comune per l’opinione pubblica il termine spread18.

Infatti i rendimenti e gli spread sui titoli greci hanno avuto un’impennata senza precedenti sul finire del 2009 e l’inizio del 2010 quando Standard & Poor’s ha annunciato i

16 BIS, 80° Relazione Annuale, op. cit., p.9. 17

Ivi, p. 26.

18 Per spread si intende «―la differenza fra due tassi di interesse‖. […] Lo spread di cui parliamo oggi è quello

che prende come termine di confronto la Germania, i cui titoli pubblici a 10 anni si chiamano Bund». Perché

lo spread è molto importante, Fabrizio Galimberti , Il Sole 24 Ore, 15 aprile 2012,

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15 primi declassamenti del debito greco che hanno toccato il rating B19 (‚spazzatura‛) nel maggio 2011 e CCC20 (‚default selettivo‛) nel dicembre 2012. Contemporaneamente la scure di S&P si è abbattuta su Portogallo e Spagna e successivamente Italia. Davanti ad un divenire così inarrestabile, a partire dal mese di maggio del 2009 i Paesi membri dell’area euro e il Fondo Monetario Internazionale hanno messo in campo un pacchetto di finanziamenti da 110 miliardi di euro con la condizionalità di dure e draconiane misure di austerità fiscale. Nonostante tali misure, gli investitori non si sono sentiti tranquillizzati, continuando a dubitare dell’effettiva capacità e volontà dei governi dell’Europa dell’area mediterranea di darvi attuazione.

Sebbene condizioni economiche e fiscali migliori rispetto alla Grecia, Spagna e Portogallo si sono ritrovati maggiormente afflitti da deboli prospettive di crescita economica e ampi disavanzi correnti che - per come è strutturata la politica della BCE - non si possono compensare con un deprezzamento del cambio o un’espansione monetaria.

All’indebitamento eccessivo ha fatto naturalmente seguito, col prolungarsi del tempo, una riduzione del potenziale di crescita economica e un abbassamento del tenore di vita. Le risorse che hanno coperto (e coprono) l’elevato debito sono risorse sottratte ad altri tipi di investimento: infrastrutture, sanità, istruzione, etc., etc.; tutto ciò accompagnato da un inasprimento del prelievo fiscale.

Gli investitori, dunque, hanno iniziato a chiedere maggiori rendimenti sui titoli del debito degli Stati interessati dalla scure delle valutazioni delle società di rating. Visti gli ordini di grandezza dei debiti dell’area euro, le preoccupazioni per le prospettive di crescita e per le cifre ufficiali su dati macroeconomici - PIL, disoccupazione, etc - sono passate in secondo piano. C’era da risolvere la questione della sostenibilità debitoria che si ripercuoteva direttamente sulle performance dei mercati finanziari21. Inoltre, a partire dal novembre 2011 è la politica ad occupare la scena. In Grecia si erano susseguite notizie su

19«‗B‘ – More vulnerable to adverse business, financial and economic conditions but currently has the

capacity to meet financial commitments.» (Più vulnerabile alle condizioni economiche e finanziarie, ma che ha attualmente la capacità di far fronte gli impegni finanziari assunti. [traduzione mia] ).

Fonte: www.spratings.com/about/about-credit-ratings/228950121.html

20 «‗CCC‘—Currently vulnerable and dependent on favorable business, financial and economic conditions to

meet financial commitments.» (Attualmente vulnerabile, e la capacità di far fronte agli impegni finanziari assunti, dipende prevalentemente da condizioni economiche e finanziarie favorevoli. [traduzione mia] ) Fonte: www.spratings.com/about/about-credit-ratings/228950121.html

21 N. V

AUSE eG.VON PETER, Euro area sovereign crisis drives global financial markets, in «BIS Quarterly Review», Dicembre 2011, p. 1.

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16 una proposta referendaria22 e destavano preoccupazioni le crisi di governo che colpirono prima la Grecia e poi l’Italia. I mercati, nonostante l’insediarsi di governi ‚più orientati alle riforme‛, non sono riusciti a sopire i dubbi sulla solvibilità del debito. I rendimenti ellenici e portoghesi hanno continuato il loro inarrestabile aumento a seguito delle difficoltà a raggiungere gli obiettivi di bilancio in una fase di recessione.

Per cercare di ristabilire la fiducia, le autorità europee si sono viste costrette a cercare misure più articolate e, nelle aspettative, efficaci. In seguito al Consiglio europeo del 23 - 26 ottobre 2011, i Capi di Stato e di Governo dell’area euro hanno sottoscritto una Dichiarazione 23 che poneva l’accento su tre importanti punti: il primo, una ristrutturazione del debito greco24, in secondo luogo l’aumento della capacità di prestito del ‚Fondo europeo di stabilità finanziaria‛ (EFSF25) e, infine, la ricapitalizzazione delle banche.

22

Grecia: referendum sul piano degli aiuti fa scattare un vertice d'emergenza Ue, redazione online Corriere

della Sera, 01 novembre 2011, http://tiny.cc/GreciaReferendum.

23 http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/it/ec/125659.pdf

24 Tracciata la via d'uscita dal debito sovrano ellenico, Vittorio Da Rold, Il Sole 24 ore, 27 ottobre 2011,

http://tiny.cc/sole24oreDebitoGreco2011.

25

«La European financial stability facility, in sigla EFSF, è il fondo di stabilità varato nell‘Eurozona nel maggio del 2010 e istituito il 7 giugno successivo. Dopo che la crisi di Atene ha costretto i Governi a dotarsi di una rete di sostegno finanziario per i casi di emergenza di liquidità o di difficile ricorso ai mercati di singoli Stati. L‘Efsf è una società con base in Lussemburgo fondata dagli Stati membri dell‘Eurozona. È un emittente di obbligazioni e altri strumenti di debito. La raccolta tramite il collocamento sui mercati degli

(18)

17 Ma i mercati, dopo una contenuta reazione di entusiasmo, seguita alla Dichiarazione del 26 ottobre, cominciarono a dubitare sull’effettiva attuazione di tali misure da parte dei governi europei. Dopo i titoli greci e portoghesi stessa sorte è toccata a quelli italiani e spagnoli. I BTP decennali, il 9 novembre 2011, hanno toccato un rendimento del 7,25% con un spread di 575 punti base (in corso di transazioni, per poi chiudere a 525 punti base) sui Bund tedeschi26. I Bonos spagnoli invece, nel luglio del 2012, hanno toccato il record con un rendimento di 7,40% per i titoli a 10 anni ed uno spread sui Bund di 627 punti base27. L’andamento pericoloso del debito sovrano dell’area euro è stato diretta conseguenza delle prospettive e delle stime a ribasso degli indicatori macroeconomici, a cui non hanno fatto seguito rassicuranti misure di stimolo dell’economia mondiale. Le stime del PIL sottolineavano sempre un’espansione inferiore rispetto alle aspettative. «Nelle economie avanzate la crescita non ha avuto slancio sufficiente a dar luogo a una ripresa robusta in grado di auto sostenersi. *<+ La disoccupazione è rimasta elevata o è persino aumentata ulteriormente. Il calo dei prezzi degli immobili e gli elevati livelli di indebitamento hanno continuato a pesare sui bilanci delle famiglie nelle economie sviluppate maggiormente colpite dalla crisi finanziaria. La debolezza del settore delle famiglie ha inoltre inciso negativamente sulla spesa delle imprese. La grave situazione dei conti pubblici non ha generalmente lasciato margini di manovra per ulteriori stimoli fiscali.»28

A tutto ciò bisogna aggiungere due grandi shock che hanno messo in luce la debolezza dell’economia mondiale. In primo luogo, il continuo aumento del prezzo delle materie prime29 a fronte di una continua domanda delle economie emergenti; questo si è ripercosso soprattutto sul reddito delle famiglie in molte economie avanzate, in una fase già aggravata da un’alta disoccupazione. In secondo luogo, come già largamente

Efsf-bond con rating AAA viene utilizzata unicamente per aiuti temporanei agli Stati in difficoltà». Efsf,

ovvero «piano Marshall», Isabella Bufacchi, http://goo.gl/UkvKRG.

26 BTp al 7,25%, spread record: il caso-Italia affonda le Borse, redazione online Il Sole 24 ore, 10

novembre 2011, http://tiny.cc/sole24oreSpreadRecordIT.

27

Spagna: tasso Bonos a record 7,40%, redazione online Ansa, 23 luglio 2012, http://tiny.cc/ansaSpainRecordSpread.

28 BIS, 82° Relazione Annuale, 1°aprile 2011 – 31 marzo 2012, Basilea, 24 giungo 2012, p. 12.

29 «I prezzi delle materie prime sono sensibilmente aumentati sino alla fine del primo trimestre del 2011: dal

minimo ciclico di metà 2010, i corsi elle derrate agricole sono raddoppiati e quelli dell‘energia e dei metalli industriali sono saliti di oltre il 50%. Nei sei mesi successivi i prezzi delle materie prime sono invece diminuiti del 20-30%. Dalla fine del terzo trimestre, tuttavia, l‘energia è rincarata di circa il 20%, mentre le quotazioni delle derrate agricole e dei metalli industriali hanno evidenziato un andamento relativamente stabile. Nel 2011 i prezzi di tutte queste materie prime sono rimasti nettamente ai livelli medi del 2009-10». BIS, 82°Relazione Annuale, op. cit., pp. 14-15.

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18 anticipato, i mercati finanziari hanno accresciuto le perplessità circa l’affidabilità di molte banche europee detentrici di titoli di Stato, quelli esposti a rischio sovrano.

Di nuovo l’intervento delle autorità europee si è reso necessario. Sono state adottate numerose misure per cercare di contrastare l’andamento negativo. La BCE ha continuato ad acquistare titoli di Stato ed è stato strutturato sul finire del 2011 il ‚fiscal compact‛, che nelle intenzione dei suoi ideatori avrebbe dovuto limitare i deficit strutturali di bilancio per sopire le tensioni nei mercati. Inoltre, in Grecia, Irlanda e Portogallo, continuavano le imposizioni della troika (UE – BCE – FMI) che riguardavano principalmente programmi ufficiali di risanamento dei conti pubblici in cui gli spazi di manovra dei governi locali si sono ridotti quasi a zero, con un impegno sempre incentrato sulla riduzione costante dei disavanzi. Italia, Spagna e anche la Francia, hanno seguito la stessa linea inasprendo le politiche di bilancio. Sulla stessa onda anche gli Stati Uniti, mentre il Giappone è stato l’unico Paese di economia avanzata ad optare per una linea diversa, perlopiù dovuta alla necessità della ricostruzione post-terremoto e maremoto del Tōhoku30. Inoltre la disoccupazione (almeno fino al 2013) si attestava su livelli irragionevoli e non solo nei Paesi con rischio di solvibilità sovrano. Senza dubbio, una delle cause si può imputare agli squilibri di settore nelle fasi precedenti la crisi. «Durante il boom dei prezzi delle

30

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19 abitazioni, i settori edilizio, immobiliare e finanziario sono cresciuti ad un ritmo significativamente superiore a quello del resto dell’economia. In Irlanda, ad esempio, l’occupazione nell’edilizia è passata dall’ 8,6% dell’occupazione totale nel 1997 al 13% nel 2007, mentre in Spagna è salita dal 10% al 14% nello stesso periodo. In Irlanda e Spagna l’espansione nel settore delle costruzioni si è tuttavia rapidamente esaurita durante la Grande Recessione, come evidenzia la riduzione nel numero relativo di occupati in questo settore, sceso sotto il livello del 1997. Gli elevati tassi di disoccupazione in questi Paesi mostrano che i lavoratori licenziati non hanno trovato un altro posto di lavoro, a testimonianza di quanto possa essere difficile riallocare le risorse tra i settori.»31

Se si considera l’area OCSE, il numero dei disoccupati ad oggi è di circa 44,4 milioni32: di questi il 56,7% riguardano l’Unione Europea e quasi il 7% la sola Italia (con un dato complessivo di 3,124 milioni di disoccupati, il 12,3%)33. Se si scinde dal dato complessivo quello della disoccupazione giovanile, il dato è ancora più critico (Grecia 57%, Spagna 54%, Italia 44,2%).

Sono passati ormai 7 anni dall’inizio della crisi, con lo scoppio della bolla speculativa ma la situazione economica continua a presentare forti squilibri a livello mondiale dato che molte delle criticità che l’hanno caratterizzata continuano ad interagire fra di loro. A nulla valgono le diverse voci che si levano per la ricerca di più efficaci, coordinate e globali, politiche economiche da mettere in campo per una crescita più sostenuta, per soluzioni all’ingombro debitorio e per la normalizzazione di un sistema finanziario più terso e funzionale all’economia reale.

Proprio a proposito di questo punto, la situazione sembra andare per il verso opposto. La finanza sta tornando a livelli di rischio che la caratterizzava nel periodo pre-crisi34, con elevati livelli di leva finanziaria soprattutto da parte di banche ben capitalizzate; la speranza da parte di queste banche è sempre quello che in caso di eventuale fallimento (data la loro rilevanza sistemica), sia il settore pubblico ad assumersi gli oneri negativi che ne scaturirebbero. Una reale riforma del settore finanziario potrà dirsi equilibrata ed appropriata solo quando il fallimento dei soggetti finanziari più consistenti non si

31 Ivi, op. cit., p. 26. 32

“Disoccupazione in calo nell'area Ocse”, articolo Confcommercio online, 09 ottobre 2014, http://tiny.cc/confcom-disoccupazione.

33 “Occupati e disoccupati (mensili)”, ISTAT, 30 settembre 2014, www.istat.it/it/archivio/132675

34 ―Amundi ETF: torna la propensione al rischio, 1,4 miliardi di euro la raccolta netta 2012‖, Floriana Liuni,

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20 ripercuoterà in vasta misura sui contribuenti e quando gli ordini di grandezza del settore finanziario si attesteranno entro limiti accettabili a quelli dell’economia reale.

3. Impatto nelle economie emergenti

La percezione generalizzata è che le economie emergenti abbiano avuto un livello di contagio minore rispetto alle economie avanzate, almeno nella prima parte della crisi. La crescita economica, la diversificazione delle esportazioni, l’accumulazione di riserve di valuta estera, la solidità dei bilanci fiscali, sono stati i fattori che hanno fatto parlare di crisi a duplice reazione fra economie di mercato emergenti ed economie avanzate.

A partire dal 2003 l’economia mondiale ha registrato livelli di crescita del 4% annui e gran parte di tale crescita è riconducibile ai Paesi emergenti e in via di sviluppo: ad esempio, la Cina dal 1990 non ha mai registrato (fino al periodo pre-crisi) crescite inferiori al 7,5%, mentre in America Latina si registravano tassi di crescita medi annui superiori al 5%. Questo periodo, che va dal 2003 al 2008, ha rappresentato per le economie emergenti un periodo di prosperità che ha messo le radici principalmente su variabili esterne piuttosto che sullo sviluppo dei mercati nazionali. In primo luogo è stato reso possibile dall’aumento delle esportazioni, sia di manufatti che di materie prime, sostenuto da un aumento della domanda nei Paesi industrializzati e in special modo negli Stati Uniti.

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21 Nonostante la domanda interna abbia svolto un suo ruolo importante, di sicuro è stato molto minore rispetto a quella esterna. Tra il 2000 e il 2008 le esportazioni costituivano in media tra il 29% e il 39% del PIL nei mercati emergenti. Questa prima tendenza, esponeva i mercati emergenti a una maggiore vulnerabilità proveniente dall’esterno35.

L’altro elemento di questa larga espansione si può rintracciare nel maggiore accesso al credito e in un graduale aumento degli investimenti diretti esteri nelle economie emergenti. Tra il 2001 e il 2007 i flussi privati netti (investimenti diretti, prestiti bancari, etc.) aumentarono di 5 volte rispetto al periodo precedente. Questo dato si incastra perfettamente in una sempre maggiore integrazione dei mercati emergenti con quelli delle economie avanzate. L’integrazione si configura oltre che nelle forme ordinarie di investimenti, come cospicui aumenti delle quote in importanti investimenti diretti in molte economie avanzate da parte di imprese brasiliane, cinesi, coreane, indiane e russe. Inoltre, l’enorme afflusso di capitali sui mercati emergenti unito a un surplus di partite correnti, aveva fatto sospettare le autorità bancarie centrali delle economie emergenti di aumenti nei cambi delle monete locali. Si è cercato di far fronte a questo problema con una manovra nel mercato dei cambi aumentando le dotazioni di riserve in valuta estera36.

35 BIS, 80° Relazione Annuale, op. cit., pp. 51-62. 36

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22 Questo schema cambiò bruscamente nell’ultimo trimestre del 2008 quando i fattori che avevano reso possibile la fase di crescita negli anni precedenti si tramutarono in fattori di vulnerabilità e in canali di trasmissione della crisi.

«Dopo il fallimento di Lehman Brothers, le attività dei mercati emergenti in generale si sono indebolite, in quanto i dubbi sulla solidità dei sistemi bancari delle principali economie hanno suscitato timori riguardanti a un tempo il tracollo della crescita mondiale, il ribasso delle materie prime e la disponibilità di fonti esterne di finanziamento. Di conseguenza, i differenziali sul debito sovrano si sono ampliati drasticamente, e i valori di borsa, precipitati in parallelo con quelli delle economie industriali, hanno segnato un declino sensibilmente superiore rispetto ai precedenti periodi di turbolenza.»37

In seguito all’esplosione delle turbolenze finanziarie le economie emergenti hanno accusato in misura sempre maggiore del calo dei prezzi delle materie prime e la caduta della domanda di beni di consumo da parte delle economie avanzate.

Il primo settore a risentirne è stato quello delle esportazioni. Il dato complessivo dei primi mesi del 2009, rispetto allo stesso periodo del 2008, è stato di circa il 25% in meno con tetti del 40% per Paesi esportatori di materie prime come Cile e Russia, mentre in altri Paesi, come Messico e Turchia, il dato allarmante ha riguardato il settore automobilistico (rispettivamente ≌ -45% e -54%). L’est asiatico invece ha subito il colpo del settore informatico, settore di particolare importanza per tali economie (≌ -27% esportazioni, -3% PIL coreano, -4 punti percentuali la crescita cinese)38.

Inoltre, gli effetti delle politiche restrittive adottate dalle economie avanzate col protrarsi della crisi hanno iniziato a farsi sentire anche nelle economie emergenti. Dopo questa fase caratterizzata dal forte calo delle esportazioni, ne ha fatto seguito una in cui si è registrato l’indebolimento dei tassi di cambio nei confronti del dollaro (fatta eccezione per la Cina che ha mantenuto fisso il cambio dello yuan)39.

37 Ivi, p.34.

38 BIS, 79° Relazione Annuale, op. cit., p.88. 39

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23 A ciò ha fatto seguito un allentamento della politica monetaria con una riduzione dei tassi di interesse in Cina, India e Brasile per poi tornare ad inasprirli40 in seguito all’aumento dei prezzi delle attività (maggio 2010 per Brasile e India)41.

«Nelle economie emergenti la domanda è in forte recupero. L’inflazione generale è aumentata nella maggioranza delle economie emergenti dell’Asia, in parte dell’America Latina e in Turchia, mentre quella di fondo è salita notevolmente in India. La crescita dei settori industriali ad alta intensità di risorse, in particolare in Cina e India, ha fatto aumentare i prezzi delle materie prime. In diversi Paesi il credito bancario al settore privato è in rapida espansione e si accompagna talvolta a forti rincari delle abitazione.»42 In un secondo momento dall’inizio della crisi, i flussi di capitale hanno ricominciato a tornare nelle economie emergenti sottoforma di investimenti diretti esteri. Diversi erano i fattori che lasciavano intravedere una continuità nell’afflusso di capitali in tali economie: per primo, le aspettative di apprezzamento delle monete locali, secondo, le prospettive di crescita più robusta di tali mercati emergenti rispetto a quelli avanzati.

Altra azione messa in atto dalle economie emergenti ha riguardato gli interventi sui mercati valutari. Come già anticipato, le economie emergenti avevano ampliato prima della crisi le riserve in valuta estera. Il possesso di tali riserve ha svolto un compito di cuscinetto durante la crisi: nelle prime fasi ha dato sicurezza agli investitori esteri che hanno visto tali riserve come una sorta di riparo agli shock che si stavano profilando nel resto del mondo. Successivamente, le riserve sono state utilizzate dalle Banche Centrali per sostenere il cambio e per fronteggiare, direttamente, la carenza di liquidità in dollari delle società finanziarie nazionali43.

Tale espansone delle economie emergenti è andata di pari passo con segnali di surriscaldamento dell’economia interna come ad esempio l’aumento dell’inflazione, l’aumento del credito44 e l’impennata dei prezzi delle attività.

40

«Le Banche centrali di alcuni Paesi emergenti, tra cui Cina e India, hanno parimenti innalzato i tassi ufficiali nel periodo in rassegna. La People‘s Bank of China ha inasprito ulteriormente la politica monetaria estendendo l‘obbligo di riserva ai depositi di garanzia, dopo che a luglio l‘inflazione si era attestata al 6,5%, il livello massimo degli ultimi tre anni. Le Banche centrali di Brasile e Turchia hanno invece ridotto i tassi ufficiali in risposta ai segnali (all‘epoca) di diminuzione della crescita». N.VAUSE e G.VON PETER “Global growth and sovereign debt concerns drive markets” in BIS Quarterly Review, September 2011, p. 5.

41 BIS, 80° Relazione Annuale, op. cit., p.48. 42 Ivi, p.51.

43 BIS, 80° Relazione Annuale, op. cit., p.56. 44

(25)

24 In conclusione, le economie di mercato emergenti hanno affrontato la crisi con posizioni di bilancio più solide e sembra che ne siano uscite con prospettive meno incerte di quelle delle economie avanzate. Questo elemento ha prefigurato una ripresa globale a due velocità. Nonostante questo duplice aspetto, la crescente globalizzazione - acuita dalla crisi - ha messo ancora di più in evidenza il grado di integrazione fra le economie reali del globo e quindi le sempre maggiori esposizioni a shock esterni che necessitano di essere affrontati in un quadro di cooperazione sempre maggiore fra economie avanzate ed economie emergenti sia sul piano finanziario che su quello monetario.

(26)

25 CAPITOLO II

L

A REGIONE LATINOAMERICANA E LA CRISI

:

UN

EVOLUZIONE

DIVERSA

Dopo cinque anni di crescita ininterrotta, l’economia dell’America Latina ha subìto una contrazione in seguito alle vicende statunitensi del 2008. La crisi ha trovato i Paesi della Regione latinoamericana meglio preparati rispetto al passato e il conseguente impatto delle turbolenze finanziarie ha visto la Regione avere una migliore capacità di reazione rispetto a quello che si era soliti osservare negli anni precedenti. Ciò che ha permesso migliori risposte è stata la fase di crescita economica che va dal 2003 al 2008, la più prolungata e rapida delle cinque decadi precedenti la crisi.

Prima di procedere ad analizzare l’effetto e le ripercussioni della crisi recente sulle economie della Regione, è opportuno dare una visione della situazione economica e commerciale latinoamericana a partire dagli anni ’70.

1. “Decada perdida” e indebitamento: storie di crisi vecchie e nuove

Con la dichiarazione di Nixon del caldo agosto del 1971 il sistema monetario, così come uscito da Bretton Woods, entrò in una profonda crisi e pose gli attori economici globali di fronte alla necessità di reimpostare l’ordine monetario internazionale. A complicare il quadro economico generale fu l’improvviso aumento del prezzo del greggio nel 197345, che diede origine alla prima crisi petrolifera.

La reazione principale dei Paesi latinoamericani fu quella di aumentare gli stock di debito per cercare di stabilizzare l’andamento della crescita economica osservato fino ad allora

45 I Paesi Opec nel 1973 avevano fatto salire il prezzo da 3 a 12 dollari per barile e avevano nazionalizzato

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26 (che dalla metà degli anni ’60 fino al 1973 si attestava mediamente intorno al 6,6% annuo, accompagnato da una buona prestazione nelle esportazioni con un dato del 7,1% annuo46). Stephany Griffith-Jones e Osvaldo Sunkel47 hanno sostenuto che l’aumento del debito latinoamericano si può ricondurre a quattro fattori:

1. ISI o Industrializzazione per la sostituzione delle importazioni48;

2. la crisi petrolifera del 1973 e il conseguente aumento del prezzo del petrolio; 3. i limiti e le caratteristiche del sistema finanziario pubblico locale;

4. la rapida espansione del settore finanziario internazionale.

Nello stesso periodo l’economia latinoamericana diede avvio a quella fase denominata negli scritti di quegli anni della Commissione economica per l’America Latina e i Caraibi (CEPAL), ‚internacionalización‛, la quale beneficiò: di un abbondante liquidità internazionale che proveniva da sempre maggiori esportazioni, di un aumento della domanda di materie prime e di migliori ragioni di scambio, mentre si intensificavano gli investimenti diretti esteri (IDE) e si indirizzavano nella Regione crescenti flussi di capitale. In un contesto di deprezzamento del dollaro rispetto ad alcune monete dell’area, che aveva incentivato l’aumento dei prezzi di alcune materie prime, le ragioni di scambio avevano registrato nel biennio 1973-1974 un dato del 27,5%, molto superiore rispetto al lustro precedente; questa situazione favorevole fu interrotta nel 1975 quando, a seguito della crisi, l’eccessiva inflazione che aveva colpito le economie avanzate produsse nella Regione una forte contrazione economica che si manifestò in una caduta repentina della domanda di esportazioni e in maggiori prezzi delle importazioni.49

Gli enormi surplus accumulati dai Paesi produttori di petrolio aveva reso possibile una maggiore capacità di prestito in petrodollari da parte delle banche private verso le economie periferiche. Il forte indebitamente permise di stabilizzare le condizioni della

46

COMISIÓN ECONÓMICA PARA AMÉRICA LATINA Y EL CARIBE (CEPAL), Estudio económico de América

Latina y el Caribe 2007-2008, Santiago de Chile, Publicación de las Naciones Unidas, 2008, p. 95.

47 S. G

RIFFITH-JONES eO.SUNKEL, Las crisis de la deuda y del desarrollo en América Latina: El fin de una

ilusión, Grupo Editor Latinoamericano, Buenos Aires, 1987, p.36.

48 «Strategia di sviluppo industriale basata sulla sostituzione dei beni di consumo importati con beni di

consumo prodotti sul mercato interno. Tale sostituzione si realizza principalmente attraverso una politica industriale e commerciale che garantisca protezione all‘industria nazionale, in particolare alle industrie nascenti (dazi alle importazioni) e anche attraverso l‘intervento diretto dello Stato nei settori industriali considerati strategici (nazionalizzazione e sussidi alla produzione).» di Elisa Barbieri in Dizionario di Economia e Finanza, Treccani, 2012

49 CEPAL, Estudio económico de América Latina y el Caribe 2007-2008, op. cit., p. 95. Sullo stesso

argomento: CUADERNOS DE LA CEPAL, Politicas de ajuste y renegociación de la deuda externa e America

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27 Regione evitando un deterioramento eccessivo. Ma l’altra faccia di questa medaglia nascondeva un elemento che contraddistinguerà per i successivi anni l’economia latinoamericana: un’esplosione dei deficit di conto corrente della bilancia dei pagamenti e, soprattutto, un aumento della propensione all’indebitamento.

Tabella 1

Debito estero totale tra il 1970 e 1982

Paese 1970 1974 1978 1979 1980 1981 1982 Argentina 5 170,7 6 789,3 13 276,1 20 949,7 27 157 35 656,7 43 634,2 Bolivia 497,2 747,7 2 161,8 2 550,6 2 699,8 3 206,7 3 277,2 Brasil 5 131,9 19 431,8 53 845,5 60 713,3 70 955,4 80 883,2 92 825,1 Chile 2 569,8 4 522 7 374,2 9 361,4 12 081,4 15 663,7 17 314,7 Colombia 1 634,3 2 445,7 5 101,8 5 868,9 6 940,5 8 716,3 10 306,4 Ecuador 256,2 470,8 3 975,8 4 525,2 5 996,8 7 665,4 7 704,6 El Salvador 182,4 360,4 910 886,4 911,1 1 130 1 442,5 Guatemala 120,4 195,2 813 1 039,8 1 165,8 1 264,2 1 537,3 México 5 965,6 11 945,5 35 712,2 42 773,8 53 377,7 78 215,2 86 019 Nicaragua 154,8 465,4 1 429,2 1 486,6 2 169,9 2 438,7 2 895,3 Panamà 193,9 573,7 2 312,6 2 604,2 2 973,8 3 366,1 3 923,2 Paraguay 112,3 187.7 615,1 806,9 954,4 1 148,1 1 295,9 Perù 2 665,3 4 349.2 9 726,6 9 269,6 10 037,9 10 319,1 12 297,2 Uruguay 316 715,4 998,3 1 323,1 1 659,7 2 174,4 2 646,8 Venazuela 953,3 1 779,3 16 575,6 24 050,3 29 330 32 115,8 32 152,6 Total 26 683,2 56 395,5 158 965 193 359,4 238 916,8 291 588,6 327 561,4 Fonte: Banco Mundial (diskettes) citato in REYNO JAIME E., Pasado y presente de la deuda externa de América Latina, 1996, p.118.

Il pagamento degli interessi sul debito iniziò a crescere nella prima metà degli anni ’70 di circa il 10%, dato che duplicò sul finire della decade. Da questo momento la disponibilità di capitali fu soggetta alla finanza internazionale e di conseguenza più vulnerabile agli eventuali shock esterni. E proprio questa influenza dei mercati internazionali trasmise nella Regione l’enorme inflazione che l’economia mondiale stava subendo, in special modo l’Europa. Concordi con i dati CEPAL, la media del tasso di inflazione nella decada degli anni ’70 raggiunse il 60% mentre lo stesso dato nel 1969 non aveva superato il 12%.50 Nonostante l’opzione molto diffusa all’indebitamento, bisogna distinguere le diverse strategie economiche adottate dai Paesi dell’area: da un lato Brasile e Messico cercavano di dare maggiore impulso alle politiche di industrializzazione e alla diversificazione delle

50

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28 esportazioni mediante linee protezionistiche e partecipazioni statali, dall’altro i Paesi del Cono Sud (Argentina, Cile e Uruguay) preferirono abbandonare questa strategia e aprire completamente i propri mercati al commercio estero e la propria finanza al libero flusso di capitali e servizi (sono gli anni di Milton Friedman e dei Chicago Boys che, specialmente nel Cile di Pinochet trovarono spazio fertile per la sperimentazione delle loro nuove ortodossie economiche).

La decade dei ’70 rimane per l’America Latina un periodo di forti distorsioni nella conduzione delle politiche economiche, commerciali ed industriali, accompagnata da una scarsa specializzazione, una bassa produttività e sperpero di denaro pubblico. A partire dalla seconda metà della decade in questione, molte autorevoli voci51 hanno evidenziato la necessità per la Regione di rafforzare l’industrializzazione e le esportazioni come meccanismo per affrontare le sfide che poneva la maggiore integrazione finanziaria, oltre che prestare particolare attenzione alle tendenze debitorie e ai rischi legati all’eccessiva e improvvisa apertura commerciale e finanziaria nei Paesi del Cono Sud.

Le premesse c’erano tutte e le previsioni non sono state smentite, la ‚decade perdida‛ - gli anni ottanta - si apre, nei primi tre anni, con una successione di crisi debitorie in buona parte dei Paesi latinoamericani. L’innalzamento dei tassi di interesse internazionali, che aveva fatto seguito alla strategia americana (che si vedeva costretta ad affrontare forti squilibri interni e internazionali), aveva costretto le economie della Regione ad adottare profondi meccanismi di aggiustamento recessivo, nella misura in cui diminuivano i flussi di capitali verso l’America Latina e si indirizzavano verso i Paesi che meglio remuneravano. Il dato sulla crescita media annua fra il 1981 e il 1990 non superò l’1,2% e nel 1990 il PIL pro capite era sceso dell’8,2% rispetto allo stesso dato nel 1980. «Il risultato economico catastrofico era legato alla configurazione che aveva acquisito il settore esterno a partire dalla seconda metà degli anni settanta e in particolare con l’eccessivo indebitamento a cui avevano fatto ricorso i Paesi [della Regione] in questi anni.»52 In seguito alla seconda crisi petrolifera del 1979, la politica monetaria restrittiva perseguita

51

M. DA CONCEIÇÃO TAVARES e J. SERRA, Más allá del estancamiento: una discusión sobre el estilo de

desarrollo reciente en Brasil; A. PINTO, Notas sobre los estilos de desarrollo en América Latina; M. WOLFE,

Enfoques del desarrolo:¿de quién y hacia qué?, tutti in «Cincuenta años de pensamiento en la CEPAL:

textos seleccionados», Volumen II, Santiago de Chile, 1998, pp. 569 e ss.

52

(30)

29 dalla Federal Reserve con il fine di calmierare l’inflazione, provocò un cambio di strategia nella direzione del flusso di capitali. Se nel 1981 il dato verso la Regione fu di 30.250 milioni di dollari, in un solo anno questo stesso dato diminuì del 10,25%.53

Il 1982 è una data cruciale, rappresenta uno spartiacque. La fuoriuscita di enormi flussi di capitale e il blocco improvviso di quelli che fino ad allora erano entrati, inasprì la situazione di criticità in cui versava la Regione. Inoltre, la maggior parte dei Paesi stava sperimentando una forte riduzione della spesa pubblica con il conseguente utilizzo di tali risorse per il pagamento del debito e del conto interessi. Di conseguenza, tutto ciò si riversava su una minore produttività, maggiore disoccupazione, riduzione dei salari e delle entrate tributarie. La combinazione di questi fattori uniti alla forte diminuzione delle esportazioni forzava gli Stati latinoamericani a contrarre nuovi debiti per far fronte agli elevati interessi accumulati sullo stesso debito.

Tra il 1982 e il 1983 il pagamento degli interessi arrivò a toccare il dato del 36% dei proventi delle esportazioni54. Oltre hai fattori esterni e internazionali, in accordo con quanto descritto da Enrique V. Iglesias, bisogna prendere in considerazione anche le cause

53 Ibidem 54 E. V. I

GLESIAS, América Latina: crisis y opciones de desarrollo, in «Revista de la CEPAL», n. 23, 1984, pp. 7-29.

(31)

30 di ordine interno della crescita eccessiva del debito: una grande permissività in ambito finanziario, livelli eccessivi di spesa pubblica, l’adozione di politiche macroeconomiche poco efficaci che si accompagnavano a politiche poco coerenti in ambito cambiario (ad esempio, politiche di apprezzamento delle valute per cercare di stabilizzare i prezzi al posto di strategie antinflazionistiche, che finirono col creare un contesto rigido in cui la politica economica aveva ridotti margini di manovra).55 Il primo Paese a dichiarare default fu il Messico, quando per bocca del ministro delle finanze Jesús Silva-Herzog Flores, nell’agosto dell’82, dichiarò che il Paese non sarebbe più stato in grado di far fronte al proprio debito. Seguirono il Brasile e poi a ruota gli altri Paesi dell’area. Visti gli enormi squilibri macroeconomici e la situazione debitoria, si rese necessario per molti Paesi dell’area il ricorso a Programmi di Aggiustamento Strutturali56 accordati per la grande maggioranza dei casi con il Fondo Monetario Internazionale57. L’ambiente ideologico dell’epoca era pervaso dall’ortodossia liberale che vedeva nella funzione dello Stato e degli attori sociali la causa del mancato funzionamento efficiente del mercato; date tali premesse, i Programmi di Aggiustamento Strutturali si inserivano in una perfetta cornice di un quadro già predeterminato. Il Governo Reagan, forte dell’appoggio degli altri Paesi del G7, decise di mettere in atto una strategia di intervento più ‚offensiva‛, con una metodologia, per quanto possibile, studiata caso per caso; gli esempi di tale strategia sono il Piano Baker58 e il Piano Brady59, elaborati da funzionari del Tesoro statunitense, e attuati

55

Ibidem

56 Con il «Programma di aggiustamento strutturale, […] il paese destinatario degli aiuti si impegna a

riformare il proprio sistema economico nel senso concordato con il Fondo. Secondo i critici, le richieste di aggiustamento strutturale si baserebbero tuttavia su calcoli macroeconomici spesso fuorvianti rispetto alle reali condizioni del paese, e le raccomandazioni si ispirerebbero a programmi di riforma neoliberisti che non terrebbero conto della situazione politico-sociale interna, e che dunque rischierebbero nella maggior parte dei casi di aggiungere anziché togliere elementi di instabilità in contesti in gran parte già compromessi.» in Treccani, Atlante Geopolitico.

57

CUADERNOS DE LA CEPAL, Politicas de ajuste y renegociación de la deuda externa e America Latina, op. cit., 1984, pp. 19 e ss.

58 Col Piano Baker «l‘intenzione [era] di delineare un piano che consolidasse gli interventi di emergenza

introdotti nel periodo della crisi debitoria dei primi anni ottanta e soprattutto che conducesse verso una soluzione definitiva del problema. [...] veniva auspicata un‘intensificazione dei finanziamenti coordinati della bilancia dei pagamenti, elemento chiave della nuova strategia, per favorire lo sviluppo nel medio e lungo periodo. I governi dei Paesi debitori, di contro, si dovevano impegnare ad introdurre riforme strutturali in materia di politica economica, tali da sostenere la crescita attraverso l‘apertura verso l‘estero e lo sviluppo delle esportazioni. È importante evidenziare che, con tale progetto, è stato fatto un tentativo per abbandonare la pratica dell‘ ―involuntary lending‖ (sono quei prestiti concessi al solo scopo di evitare le ricontrattazioni di debito), e quindi per cercare di mantenere gli stessi termini contrattuali dei prestiti iniziali, soprattutto per ciò che riguarda l‘ammontare totale del debito/credito. Il Piano non ebbe però il successo sperato [...] per i Paesi partecipanti all‘iniziativa, il risultato più rilevante fu solo l‘incremento dello stock di debito, con l‘aggravarsi

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