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Gli effetti della crisi sul commercio latinoamericano

Debito estero totale tra il 1970 e

3. L’impatto della crisi e lo sviluppo della Regione latinoamericana

3.4 Gli effetti della crisi sul commercio latinoamericano

Il commercio è stato il principale canale di trasmissione della crisi ai Paesi latinoamericani; in seguito al 2008 ha subito una riduzione sia per quanto riguarda le esportazioni che le importazioni. In seguito allo scoppio della crisi si è registrato un crollo della richiesta di beni prodotti in America Latina da parte dei principali partner commerciali quali Stati Uniti, Unione Europea e Asia, anche se nel caso specifico della Cina il crollo dei flussi commerciali è stato di minore entità. Anche il commercio infraregionale ha risentito delle turbolenze internazionali, soprattutto nel settore manifatturiero, che era stato, nel periodo antecedente la crisi, una delle principali fonti di lavoro. Nonostante abbia resistito meglio rispetto a quanto verificatosi in precedenti crisi, l’America Latina ha dovuto affrontare la più brusca contrazione di volumi esportati degli ultimi 70 anni.

Oltre alla minore domanda dei Paesi sviluppati, e in parte di quelli emergenti, sul rallentamento del commercio regionale hanno pesato altri fattori che implicitamente sono scaturiti dalla crisi: la difficoltà di finanziamento del commercio mondiale, a partire dall’ultimo trimestre del 2008, e la diminuzione del prezzo di alcune materie prime che la Regione commercia. Durante il 2009 i Paesi latinoamericani hanno evidenziato un deficit commerciale, conseguenza della minore riduzione delle esportazioni rispetto alle importazioni; comparato con lo stesso periodo del 2008, il valore delle esportazioni si è ridotto del 31% mentre quello delle importazioni del 29%, con riferimento al primo semestre del 2009. Questo dato contrasta negativamente con quanto accaduto nel periodo di ‚auge‛ economico, quando i flussi commerciali registravano dati espansivi sia sulle esportazioni che sulle importazioni, ma mostra una tendenza più favorevole se comparato

74 con altri periodi di crisi precedenti (ad esempio, nel caso della crisi asiatica il crollo dei volumi commerciati fu inferiore ma il recupero molto più lento, oltre venti mesi, invece nel caso dell’attuale crisi il recupero si è registrato in meno di un anno).148

Nel post-crisi l’andamento del commercio regionale ha mostrato un certo grado di omogeneità nel crollo dei volumi sia dei beni esportati che importati. Prendendo in considerazione i principali partner commerciali latinoamericani, si può scorgere l’evoluzione e la tendenza del commercio della Regione nel periodo in analisi. Per ragioni delineate nel primo capitolo di questo lavoro, l’impatto della crisi negli Stati Uniti ed in Europa ha limitato consistentemente il commercio verso queste aree del mondo, America Latina compresa. Per quanto riguarda il mercato statunitense il calo del commercio verso e da gli Stati Uniti non ha colpito soltanto il Messico e il Centroamerica (che pure rappresentano quasi i due terzi delle esportazioni di questa sub regione) ma ha dispiegato i suoi effetti negativi anche sugli scambi dell’America del Sud. Inoltre, mentre la crisi si spostava sull’altra sponda dell’Atlantico, il volume delle esportazioni (soprattutto di Cile e Messico) verso l’Europa si assottigliava ulteriormente. Più moderato, invece, è stato il cedimento dei flussi commerciali con l’Asia. In particolare gli scambi commerciali con la Cina sono quelli che hanno subito minori flessioni e se il commercio latinoamericano non

ha sofferto una débâcle è stato grazie all’apporto ricevuto dal mercato cinese. A beneficiarne sono stati soprattutto i Paesi dell’America del Sud, esportatori netti di

148 C

OMISIÓN ECONÓMICA PARA AMÉRICA LATINA Y EL CARIBE (CEPAL), Panorama de la inserción internacional de América Latina y el Caribe 2008-2009, Publicación de las Naciones Unidas, Santiago de

75 materie prime, mentre i Paesi centroamericani, concorrenti cinesi per manufatti (soprattutto sul mercato statunitense), hanno sofferto di un minor dinamismo del proprio commercio che da questo scaturiva. In particolare, sono stati i Paesi del MERCOSUR149 quelli che hanno mostrato il numero maggiore di scambi con la Repubblica Popolare. Il settore più colpito dalla crisi è stato quello manifatturiero ma cali nelle esportazioni si sono registrati anche in quello minerario e petrolifero, con dati tra il 25% e il 50% dei volumi esportati in meno. Nel settore manifatturiero i crolli più consistenti si sono registrati principalmente per quanto riguarda, gli autoveicoli (-48%), l’acciaio (-52%), le materie plastiche (-50%) dirette soprattutto verso il mercato statunitense.150

A partire dall’ultimo trimestre del 2009 le esportazioni di materie prime - idrocarburi esclusi - hanno mostrato un certo grado di recupero, conseguente alle buone performance registrate dall’Asia e, in particolare, dalla Cina, che ha fatto aumentare la domanda di beni latinoamericani. Ad esempio, i volumi di soia esportati verso la Cina sono aumentati del 36% e la stessa attitudine si è manifestata per il settore minerario. Grazie alla richiesta cinese, che ha dato impulso a queste esportazioni, è stato possibile in questo modo equilibrare i dati negativi che la bilancia dei pagamenti regionale registrava e che il prezzo ridotto delle materie prime contribuiva a peggiorare. Infatti, il rame cileno, lo zinco messicano e peruviano e l’alluminio brasiliano hanno mostrato una buona tendenza sul finire del 2009 nonostante una riduzione del prezzo immediatamente successiva allo scoppio della crisi: i volumi esportati di rame cileno sono aumentati del 76% nonostante una riduzione del prezzo equivalente al 57%; quelli dello zinco messicano del 447% e quello peruviano del 115% (destinati nella stragrande maggioranza al mercato cinese), bilanciando la riduzione delle entrate provenienti da queste esportazioni, visto il calo del 52% del prezzo dello zinco; infine, l’alluminio brasiliano ha segnato un aumento grazie ad una maggiore richiesta cinese rispetto all’anno precedente, che ha permesso di registrare un più 35% dei volumi esportati dal Brasile. I beni energetici, e in particolare il petrolio, hanno seguito un andamento differente a livello globale. Nonostante la costante richiesta

149 Il MERCOSUR è il ―Mercado Común del Sur‖, un‘organizzazione internazionale istituita da Argentina,

Brasile, Paraguay e Uruguay con il Tratta di Asunción (1991). Cile, Bolivia, Perù, Colombia e Ecuador, sono entrati successivamente con lo status di partner economici. Il Venezuela è passato nel 2012 da associato a membri e pieno titolo. L‘organizzazione persegue una politica di integrazione economica degli Stati mebri attraverso non solo la liberalizzazione degli scambi ma anche tramite l‘adozione di normative comuni in altre discipline (ambiente, trasporti, turismo, etc.)

150 CEPAL, Panorama de la inserción internacional de América Latina y el Caribe 2008-2009, op. cit, pp. 57

76 cinese di petrolio, durante tutto il 2009 si è registrata però una flessione nella richiesta dei Paesi OCSE che ha determinato una riduzione del 2% dei volumi scambiati. Infatti, nei Paesi della Regione esportatori di idrocarburi la riduzione dei volumi esportati è stata inferiore rispetto al crollo del prezzo del petrolio; Messico e Venezuela hanno subito, rispettivamente, una riduzione dell’11% e del 2% mentre il loro valore, a causa del prezzo ridotto, è diminuito del 58% e del 55%. Per il Centroamerica, invece, ha pesato nel periodo immediatamente successivo alla crisi la riduzione delle rimesse, che per il 2009 hanno subito una diminuzione tra il 5% e il 10%, in valori assoluti una cifra complessiva tra i 58.000 e il 60.000 milioni di dollari, oltre 5.000 milioni di dollari in meno rispetto all’anno precedente. Si tratta di una dato che ha pesato sull’andamento economico del Centroamerica, dato che le rimesse sono la fonte principale di entrate di questa area.151 Nonostante la crisi abbia invertito il buon andamento del commercio latinoamericano, gli Stati della Regione hanno resistito rispetto ad altre Regioni del mondo alle spinte protezionistiche, dato che misure di questo tipo sono state adottate da un numero ristretto di Stati (Argentina, Brasile, Bolivia, Ecuador e Venezuela). A differenza di molti Paesi sviluppati, che hanno preferito intervenire direttamente nei settori più colpiti dalla crisi (sostegno all’industria automobilistica, salvataggi del sistema finanziario, etc.), l’America Latina ha preferito adottare misure più ‚tradizionali‛ che hanno interessato l’aumento dei dazi, i controlli delle licenze alle importazioni, la fissazione di contingentamenti e misure di difesa commerciale, una su tutte l’antidumping. Tra le tipologie di barriere tariffarie e non tariffarie152 si è evidenziata una maggiore predisposizione per l’adozione delle seconde. Nonostante la maggior parte delle misure adottate dai Paesi della Regione siano state di natura ‚restrittiva‛, non si possono escludere casi di apertura commerciale da parte di qualche Paese latinoamericano. È, ad esempio, il caso del Messico dove si è registrata una riduzione di alcune tariffe doganali (soprattutto quelle rivolte al manifatturiero). Inoltre vigoroso è stato lo sforzo dei governi per cercare fonti di finanziamento al commercio, viste le difficoltà che hanno fatto seguito alla crisi. I Paesi dell’America del Sud hanno messo a disposizione un totale di 3.700 milioni di dollari,

151

Ibidem

152 Le barriere tariffarie consistono sostanzialmente nella manovra dei dazi doganali. Quelle non tariffarie,

invece, cercano di limitare le quantità importate di beni e non rientrano nelle categorie delle regolamentazioni fiscali che riguardano il commercio. L‘esempio più noto è quello dei contingentamenti; altre tipologie posso riguardare, gli standard minimi, le licenze o i sussidi alle esportazioni.

77 mentre, tutti i Paesi latinoamericani hanno predisposto meccanismi facilitati di rimborso dell’IVA per le imprese che esportano, oltre ad aumentare il numero di imprese idonee ad accedere ai finanziamenti per le esportazioni. La maggior parte dei casi, però, ha riguardato misure restrittive e fra queste quasi il 50% erano costituite da provvedimenti antidumping. L’effetto di questa misura ha mostrato un’incidenza negativa soprattutto verso le importazioni provenienti dalla Cina e da altri Paesi dell’Asia. In particolare, le importazioni cinesi sono state quelle più colpite da indagini antidumping per beni quali pneumatici, scarpe, elettrodomestici, promosse soprattutto da Argentina, Brasile e Messico. Naturalmente il governo cinese ha provato a reagire soprattutto verso le eccessive indagini antidumping argentine. Pechino ha preferito sospendere le importazioni di olio di soia (temporaneamente), giustificando la decisione con motivazioni inerenti gli standard minimi di qualità, ma lasciando intendere, però, che si trattava di una decisione opposta alle barriere non fisiche decise da Buenos Aires.153

Peculiare è il caso del commercio infraregionale. Fino allo scoppio della crisi gli scambi all’interno della Regione si aggiravano introno al 15-20% ed erano cresciuti rispetto agli anni novanta aumentando quasi il doppio rispetto agli scambi con il resto degli altri partner mondiali. Con lo scoppio della crisi il commercio infraregionale ha subito la prima battuta d’arresto, riducendosi di quasi il 28%. A soffrirne maggiormente sono stati i blocchi di integrazione sub-regionale, dato che quasi un quarto del commercio infraregionale si realizzava tra paesi del Mercosur e circa il 10% fra i Paesi ‚Andini‛. Del totale del commercio interno, oltre il 60% è commercio tra i Paesi dell’America del Sud e solo l’8% è commercio centroamericano. La crisi ha interrotto il buon andamento dei potenziali flussi commerciali infraregionali, colpendo su tutte le esportazioni di manufatti che hanno sofferto non solo del crollo dei volumi esportati ma anche di una più graduale e lenta ripresa.154

Dopo aver risentito degli effetti devastanti della crisi, che ha parere di molti ha comportato la peggiore contrazione commerciale latinoamericana degli ultimi 72 anni, i

153 M.I.T

ERRA eJ.DÚRAN LIMA (a cura di), Los impactos de la crisis internacional en América Latina:

¿Hay margen para el diseño de políticas regionales?, www.redmercosur.org/impactos-de-la-crisis-en-

america-latina-hay-margen-para-el-diseno-de-politicas-regionales/publicacion/171/es/, pp.17 e ss.; COMISIÓN

ECONÓMICA PARA AMÉRICA LATINA Y EL CARIBE (CEPAL), Panorama de la inserción internacional de América Latina y el Caribe 2009-2010, Publicación de las Naciones Unidas, Santiago de Chile, 2010, pp. 68-

70.

154 M.I.T

ERRA eJ.DÚRAN LIMA (a cura di), Los impactos de la crisis internacional en América Latina:

78 flussi commerciali hanno ripreso a recuperare in concomitanza con il periodo di ripresa economica. A beneficiarne maggiormente sono stati i Paesi dell’America del Sud, che hanno evidenziato un aumento dei volumi esportati superiore a quelli centroamericani. Ad aver favorito questa ripresa è stata soprattutto la buona performance delle economie emergenti, Cina su tutte, che hanno aumentato la richiesta di beni che tipicamente l’America Latina esporta. Inoltre, a dare impulso al commercio della Regione sono state le migliori condizioni di accesso ai finanziamenti per il commercio, grazie agli sforzi realizzati sia nelle sedi di istituzioni regionali, sia attraverso programmi di finanziamento alle esportazioni effettuate in compatibilità con le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Oltre a ciò, l’aumento dei prezzi delle materie prime ha favorito il recupero delle ragioni di scambio invertendo l’andamento registrato nel post-crisi.155 A permettere il cambio di rotta nel 2010, come si anticipava, è stato l’incremento dei flussi commerciali con l’Asia e in particolare con la Cina, con un aumento dell’8% delle esportazioni latinoamericane verso questo Stato, che ha permesso un miglioramento del saldo commerciale grazie ad un aumento del surplus commerciale della Regione con la Cina in questo periodo. Di contro, le turbolenze che stavano scuotendo gli Stati europei hanno fatto registrare una ripresa molto meno vigorosa dei flussi commerciali verso questa area. A risentirne di più sono stati soprattutto i Paesi dell’America del Sud e in particolare, Argentina, Brasile, Cile, Ecuador e Uruguay. I Paesi centroamericani (Messico in particolare), invece, hanno beneficiato dell’aumento della domanda proveniente dagli Stati Uniti che stava cercando, con non pochi sforzi, di uscire dalle criticità che erano state innescate al suo interno. Per quanto riguarda, invece, i settori di beni esportati, ad avvantaggiarsi della ripresa sono stati soprattutto i prodotti minerari e petroliferi che hanno registrato la maggiore ripresa dei volumi esportati, insieme ai prodotti agricoli. Il manifatturiero, il settore più colpito dalla crisi, ha evidenziato la necessità di maggior tempo e maggiori stimoli per cercare di recuperare le perdite post-crisi.156

Il deteriorarsi della situazione internazionale, in seguito al peggioramento della zona euro e del lento recupero dell’economia mondiale, ha colpito il commercio della Regione che sul finire del 2011 ha mostrato un raffreddamento. Ad attenuare gli effetti distorsivi della

155 CEPAL, Panorama de la inserción internacional de América Latina y el Caribe 2009-2010, op. cit., pp.

57-60.

156

79 fase di decelerazione è stato l’aumento dei volumi esportati verso partner fino ad allora poco rilevanti per la Regione, soprattutto i Paesi sviluppati dell’Africa, gli Stati appartenuti all’ex Unione Sovietica e il Medio Oriente. Anche questa volta, l’America del Sud ha beneficiato più del Centroamerica di questa nuova domanda. Al contrario, gli scambi commerciali con i principali partner mondiali hanno cominciato ad evidenziare una tendenza rallentata, soprattutto verso l’UE il cui dato è arrivato a toccare il -10% nel secondo trimestre del 2012 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Il mercato che fino ad allora aveva permesso di mantenere buoni volumi di scambi commerciati, la Cina, a partire da questo momento ha subito una decelerazione a causa del raffreddamento generalizzato dell’economia mondiale. A mantenere, invece, il proprio dinamismo sono stati gli scambi di beni minerari e petroliferi mentre, ancora una volta, a

mantenersi al di sotto della media delle esportazioni sono stati quelli di manufatti (18%), oltre il 50% in meno rispetto al biennio 2010-2011. Per quanto riguarda l’Unione Europea, a causa delle turbolenze al suo interno, i Paesi latinoamericani hanno registrato verso questo mercato il crollo più profondo delle sue esportazioni. Infatti, la crisi dell’area euro ha avuto un doppio effetto sul commercio della Regione: «il primo, di natura diretta e immediata, si è manifestato attraverso il crollo delle esportazioni della Regione verso l’Unione Europea. Il secondo, di natura indiretta, è stato conseguenza della minore

80 domanda di esportazioni asiatiche nell’Unione Europea. *<+ Il maggiore impatto nel crollo delle esportazioni della Regione verso l’UE si è sentito particolarmente in sei settori: agricoltura, petrolio e miniera, alimentare, carta e cellulosa, metalli e prodotti derivati e chimica e farmaceutica.»157 Nonostante il commercio abbia seguito la stessa tendenza alla decelerazione che l’economia latinoamericana ha iniziato a soffrire dal 2012, questa preoccupa meno rispetto ad altri episodi di criticità. Ad esempio, nel 2001 il crollo delle esportazioni fu solo del 5% mentre nel 2009 è stato cinque volte tanto, ma la maggiore flessibilità raggiunta nel decennio scorso dalla Regione ha permesso di rispondere meglio agli shock esterni, anche grazie all’aumento dei partner commerciali che con gli anni si sono aggiunti. Se nel 2000 il commercio con gli Stati Uniti raggiungeva il 58%, nel 2011 questa quota si era ridotta di quasi 20 punti percentuali passando al 39%. Questa percentuale mancante di mercato è stata colmata dall’aumento dei flussi con altri partner, soprattutto asiatici (passati dal 6% al 18%) e fra questi in particolare la Cina, che da una quota dell’1% del 2000 è passata al 9% nel 2011. In definitiva, è aumentata la quota delle economie emergenti come mercati di destinazione delle merci latinoamericane essendo state più dinamiche di fronte alla crisi e permettendo alla Regione di limitarne gli effetti discorsivi sul commercio sulla minore richiesta da parte dei Paesi sviluppati.158

Per il 2013 la tendenza che si è confermata è stata quella della decelerazione, andamento purtroppo comune a tutta l’economia latinoamericana. Le esportazioni si sono ridotte di quasi 2 punti percentuali, soprattutto nei Paesi del Mercosur, in Cile e nel Centroamerica. Bolivia e Paraguay, invece, hanno mostrato un andamento diverso grazie, rispettivamente, all’aumento delle esportazioni del 21% di gas naturale e del 60% di soia. Oltre alla minore richiesta proveniente, ancora, dall’Unione Europea gli Stati della Regione hanno risentito della minore richiesta cinese che è stata in parte compensata dagli altri Paesi asiatici (in particolare ASEAN159 più il Giappone), verso i quali si è registrato un moderato aumento.160

157 C

OMISIÓN ECONÓMICA PARA AMÉRICA LATINA Y EL CARIBE (CEPAL), Panorama de la inserción internacional de América Latina y el Caribe 2011-2012, Publicación de las Naciones Unidas, Santiago de

Chile, 2012, pp. 86-87, [traduzione mia].

158 Ivi, pp. 81-87. 159

L‘ASEAN è l‘Association of South East Asian Nations, organizzazione creata allo scopo di contribuire allo sviluppo economico, sociale e culturale dei paesi del Sud-Est asiatico, assicurando al contempo la stabilità dell‘intera regione. Fu costituita nel 1967 da Filippine, Indonesia, Malaysia, Singapore e Thailandia, cui si sono aggiunti Brunei nel 1984, Vietnam nel 1995, Laos e Myanmar (ex Birmania) nel 1997 e la Cambogia nel 1999.

81 Il rallentamento che l’economia e il commercio latinoamericano stanno vivendo pongono alcune questioni in merito alla sua evoluzione. Spetta agli Stati cercare di favorire i processi di innovazione e competitività per le imprese che esportano, intensificare e migliorare i rapporti con la Cina ma anche con il resto dell’Asia e del Pacifico per cercare migliori partnership che permettano una migliore stabilità dei prezzi e soprattutto dare maggiore importanza e impulso alle relazioni commerciali infraregionali che risultano essere basse, nonostante gli incrementi degli ultimi decenni, rispetto agli altri partner mondiali.

In merito a quest’ultima questione, in un’economia mondiale globalizzata la necessità di agire in blocchi compatti, invece che come entità individuali, può influire su una più solida ed efficace competitività, in uno spazio ristretto e sempre più concorrenziale. Data tale premessa, i Paesi dell’America Latina devono sforzarsi di ampliare le iniziative di cooperazione che permettono, attraverso una collaborazione più stretta, di presentarsi al mondo con obiettivi più strutturati sia sul piano produttivo che economico. L’attuale crisi internazionale ha fatto emergere più di prima questa esigenza, visto il crollo della domanda di beni da parte dei partner principali. Un’azione congiunta avrebbe permesso di limitarne i danni, più di quanto non abbia fatto il rafforzamento della Regione nel periodo di ‚auge‛ economico. Aver ampliato con anticipo gli spazi del commercio infraregionale avrebbe permesso di risentire meno della riduzione dei flussi commerciali che ha fatto seguito alla crisi. Integrarsi maggiormente significherebbe, per questi Paesi, aumentare le possibilità commerciali nazionali, diversificare le produzioni, dare impulso al settore manifatturiero (quello più colpito dalla crisi) e stimolare le imprese, soprattutto medie e piccole, che operano principalmente nei mercati infraregionali. Non si può escludere che le diverse entità già esistenti (in particolare il Mercosur, la Comunidad Andina161 e il Sistema de la Integración Centroamericana162) abbiano compiuto molti sforzi 160 C

OMISIÓN ECONÓMICA PARA AMÉRICA LATINA Y EL CARIBE (CEPAL), Panorama de la inserción internacional de América Latina y el Caribe 2013, Publicación de las Naciones Unidas, Santiago de Chile,

2013, pp. 50-51

161 La Comunità Andina (CAN) è un organismo sub-regionale con personalità giuridica internazionale, nato il