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Cinema e sceneggiatura in Italia tra gli anni Quaranta e Cinquanta

Goliarda Sapienza sceneggiatrice La scrittura che diventa ci nema

1.4 Cinema e sceneggiatura in Italia tra gli anni Quaranta e Cinquanta

L’immediato dopoguerra si presenta come una sorta di terra di mezzo per il cinema italiano appena fuoriuscito dal Neorealismo, quando gli uomini e le donne del cinema si trovano di fronte ad una ampia possibilità di manovra, quasi spaesati in questa infinita possibilità cre- ativa, in questo non essere più Neorealismo e non essere ancora altra cosa. Un periodo di transizione e di sperimentazione, nel quale il lavoro dello sceneggiatore si manifesta ap- pieno come luogo di possibilità creativa, sia dal punto di vista delle idee, sia dal punto di vista del metodo di lavoro, con sperimentazioni di gruppo e la creazione di botteghe arti- gianali di scrittura.219 Il Neorealismo lascia però degli strascichi, soprattutto in un certo modo di concepire la creazione del film. Ricordiamo ad esempio l’esperienza di uno dei più autorevoli teorici del movimento, Cesare Zavattini, che concepisce la sceneggiatura come la «fase scritta» di un processo di osservazione della realtà, nella quale è già tutto ciò che è possibile raccontare, e dove lo sceneggiatore deve precisare ciò che si vuole dire, manifestando un rifiuto «a lavorare a priori senza avere l’ispirazione della scoperta impre- vista, di cose che si scoprivano sul posto e che suggerivano una scena, una situazione, un

219

Per un quadro esaustivo sulle botteghe di scrittura Cfr. Giuliana Muscio, Scrivere i film, Sceneggiatura e sceneggia- tori nella storia del cinema, Milano, Savelli Editori, 1981,Federica Villa, Botteghe di scrittura per il cinema italiano, Venezia, Marsilio, 2002 e Mariapia Comand, Sulla carta. Storia e storie della sceneggiatura in Italia, Torino, Lindau, 2006.

personaggio».220 Gianni Puccini, collaboratore storico di Giuseppe De Santis, rimarca il concetto parlando di sceneggiatore-reporter, un uomo curioso che condivide il suo lavoro con chi percepisce e sente il reale con il medesimo affetto.221 Sapienza e Maselli lavorano ai primi documentari percependo il mondo che li circonda con medesimo affetto, cammi- nando abbracciati raccontandosi storie di bambini e fioraie che avrebbero vissuto di vita propria «su quel quadrato di bianco opaco».222 Non a caso i documentari di Maselli, nelle ambientazioni e nella scelta dei personaggi, si inseriscono a pieno titolo nel campionario neorealista e Zavattini rappresenta uno dei pilastri dell’apprendistato di Maselli. Il giovane

enfant prodige del cinema italiano si arruola volontario nell’esercito dei documentaristi,

seguendo alla lettera i dettami del teorico del Neorealismo:

«Torno a dire che il tempo è maturo per buttare via i copioni e per pedi- nare gli uomini con la macchina da presa. I giovani armati di una mac- china da presa saranno i poeti di questa epoca nuova». «Come i bambini ai primi passi si dà una spinta, perché imparino a camminare, così biso- gna buttare oggi i giovani con la macchina da presa in mezzo alle strade, in mezzo alle cose».223

E insieme a lui si arruola in questo esercito di nuovi poeti Sapienza, che segue il suo com- pagno lungo tutto il suo avventuroso viaggio attraverso l’Italia, alla ricerca di luoghi e vol- ti, pronta a mettere in gioco la sua acuta capacità di osservazione della realtà, sviluppata nella sua intensa - seppur ancora breve - vita, pronta a mettere a disposizione la sua facilità di porsi in empatia con l’altro, soprattutto con gli “ultimi” e i bambini, insomma, di immet- tere il suo mondo e le sue intime esigenze morali nelle storie che insieme al suo compagno andrà a raccontare. Sempre in maniera “silenziosa”, sempre all’ombra di Maselli. Come all’ombra dei registi rimangono molti degli sceneggiatori che lavorano nelle botteghe “ar-

220 Ibid, p. 21. 221 Ivi. 222 Il filo di mezzogiorno, p. 79 223

tigiane” che in quegli anni si vanno a costituire, gruppi eterogenei di professionisti della parola, provenienti da diversi ambiti, che portano il loro contributo in quel lavoro di em-

samble che erano le sceneggiature degli anni Quaranta e Cinquanta. Lunghi elenchi di no-

mi che compaiono nei titoli di testa delle pellicole, e che però non sempre sono quelli che in realtà hanno contributo alla scrittura; in alcuni casi si tratta di scelte volte a soddisfare la politica di solidarietà nazionale (1945/1948) o dettate dai produttori in cerca di un nome che desse garanzie.224 A tal proposito risultano interessanti e rivelatrici proprio le parole di Francesco Maselli:

Quanto alle collaborazioni alla sceneggiatura, pochi sanno che allora il partito, quando un compagno regista faceva un film, invitava a sostenere con una partecipazione alla sceneggiatura alcuni compagni scrittori o in- tellettuali che se la passavano male economicamente. Attraverso il regi- sta, in questo caso io, il partito chiedeva al produttore, che acconsentiva generalmente di buon grado, di destinare cinquecentomilalire a questa partecipazione. Sarebbero come una quindicina di milioni di oggi. Una cifra considerevole, che poteva risolvere molti problemi. Nel caso de Gli

sbandati fu Trombadori, per La donna del giorno fu Barbaro.225

Le stanze affollate sceneggiatoriali venivano anche definite «camere della serva» in cui en- travano tutti, come diceva Age: «Uno era passato in una stanza dove si svolgeva una di- scussione su una sceneggiatura, diceva buongiorno, e poi voleva comparire sui titoli di te- sta»;226 oppure, al contrario, comparivano nei titoli nomi di sceneggiatori che quei film non li avevano neanche mai visti.227 Le botteghe di sceneggiatura erano un luogo dentro il qua- le le varie personalità si confondevano sino a diventare indistinguibili, una sicura garanzia di anonimato per molti professionisti che non potevano così vedersi imputata una certa scena o una certa battuta.

224

Cfr. Giuliana Muscio, Scrivere i film, Sceneggiatura e sceneggiatori nella storia del cinema, p.48. 225

Lino Miccichè, Gli sbandati di Francesco Maselli. Un film generazionale, p.32. 226

Giuliana Muscio, Scrivere i film, Sceneggiatura e sceneggiatori nella storia del cinema, p.56. 227

Questo statuto di anonimato Sapienza lo vive suo malgrado, senza averne coscienza. L’anonimato, lo sappiamo da molto tempo, è uno stato proprio delle donne.228

Probabil- mente, almeno all’inizio, non aveva cognizione piena nemmeno del suo statuto di sceneg- giatrice durante il suo lavoro con Maselli, accanto al quale ha ricoperto tutti i ruoli, come abbiamo già osservato. Il fatto è che quella truppa di sceneggiatori maturati durante questi anni giunge alla piena consapevolezza del mestiere solo negli anni Sessanta: personalità del calibro di Age e Furio Scarpelli, Ruggero Maccari e Ennio De Concini restano profes- sionalmente confuse nel gruppo, protette da una sorta di anonimato professionale, ed esco- no allo scoperto solo negli Sessanta. E se, come diceva Flaiano, «quello dello sceneggiato- re non è una professione, ma uno statuto incerto»,229 una condizione transitoria in cui ad un certo momento si trova un gruppo di letterati come Soldati, Brancati, Alvaro e Bassani - tra gli altri - pronti a smettere le vesti di scrittori letterari per diventare uomini di cinema e per il cinema, spinti dalla contiguità che è sempre esistita tra letteratura e cinema,230 Sapienza ad un certo punto compie il percorso inverso, smettendo i panni, ormai insopportabili, della professione di “cinematografara" per vestire quelli della scrittrice letteraria.231

228

Carolyn G. Helbrun, Scrivere la vita di una donna, La Tartaruga edizioni, Milano, 1990, p.6. 229

Ennio Flaiano, Lo sceneggiatore uno che ha tempo, «Cinema Nuovo», 37, 15 giugno 1954, p.339. 230

Cfr. Federica Villa, Le botteghe di scrittura per il cinema italiano. 231

Già nel 1958 Sapienza inizia a scrivere poesie, poesie che poi andranno nella raccolta che avrà come titolo Ance- strale. In quel periodo Sapienza non lavora nel cinema ed è già lontana da qualche anno dal teatro e trova nella scrittura un porto sicuro in cui lenire la sua malinconia atavica.