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Interpretazioni e personaggi: sul filo della follia dallo schermo alla pagina

Nel cinema di Francesco Masell

3.2 Interpretazioni e personaggi: sul filo della follia dallo schermo alla pagina

Abbiamo già avuto modo di evidenziare come i personaggi cinematografici interpretati da Goliarda Sapienza siano stati non solo numericamente esigui ma anche, per la maggior parte, piccoli. Tutti i ruoli, però, sono stati curati nella recitazione in maniera molto preci- sa, dando vita a un repertorio estremamente ricco e significativo.

I personaggi non si fanno da soli, non sono creati esclusivamente dal regista o dal lavoro del film. «Gli attori abitano l’inquadratura con un corpo, un volto, dei gesti, delle pose, una voce senza le quali il personaggio non esisterebbe».160 Sapienza quando intraprende la car- riera cinematografica ha alle spalle ormai una consolidata esperienza come attrice teatrale, nella quale ha sperimentato varie tecniche, tra cui, in particolare, il metodo Stanislavskij, e la sua tendenza al perfezionismo e la poca malleabilità la portano a riflettere e imprimere il suo punto di vista su ogni personaggio. Così, ciascuno di essi, da Suor Speranza a Fabiola, dalla prostituta religiosa alla sfollata Maria, riverbera una forza e una vitalità che sono pro- prie dell’attrice Goliarda Sapienza, e questo perché «l’attore costituisce con l’interprete un binomio inscindibile».161

Due personaggi in particolare richiamano fortemente alla biografia dell’attrice per la pecu- liare caratterizzazione che ha voluto imprimerle, e sono la prostituta del film di Luigi Co- mencini, Persiane Chiuse (1950) e la sfollata Maria nel film di Citto Maselli, Gli sbandati (1955), entrambi connotati con i tratti della follia, come abbiamo avuto modo di sottolinea- re nei paragrafi precedenti analizzando i ruoli interpretati da Sapienza in queste due pelli- cole. Da quando ha iniziato a muovere i primi passi nel mondo della recitazione, Goliarda Sapienza ha sempre contaminato l’arte con la vita e la vita con l’arte. Le sue interpretazio-

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Cristina Jandelli, I protagonisti. La recitazione nel film contemporaneo, Venezia, Marsilio, 2013, p. 14 161

ni, e in particolare le due sopracitate, sono il frutto di una attenta osservazione e perlustra- zione dei meandri dell’animo umano, sin nei suoi lati più oscuri. Non battezzata, atea con- vinta e anticlericale, a Sapienza “tocca in sorte” di dover interpretare il personaggio di una religiosa. Come interpretare un ruolo così altro da sé? In realtà l’attrice probabilmente non lo sa sino al momento del ciak. Sapienza improvvisa, scrive, ma per questa sua interpreta- zione “estemporanea”, sceglie di far vestire al suo personaggio l’abito della follia,162 un a- bito che conosce bene e che in passato ha sfruttato due volte per il suo ingresso all’Accademia d’Arte Drammatica:

Erano tutti così entusiasti di come sapevo fare la pazza. Io non so perché, ma i pazzi li ho sempre capiti. O meglio, ho capito fissando una pazza che ho conosciuto. Di solito gli attori strabuzzano gli occhi, si agitano… Stava, questa pazza, immobile, con lo sguardo fisso sempre ad un punto […] e muoveva la testa, la oscillava come a seguire un ritmo, interno. È sufficiente che questo movimento oscillatorio sia sempre uguale, mecca- nico.163

Anche il personaggio di Maria in Gli sbandati di Maselli è connotato dall’attrice nel segno della follia. Questo elemento ha attraversato la vita dell’attrice-scrittrice in una duplice ve- ste: quella reale, della malattia mentale vissuta, prima, attraverso il tragico destino della madre Maria Giudice e, poi, con la depressione latente che ha caratterizzato la sua esisten- za; e quella simbolica, che ha dato lo slancio e nutrito la scrittura di Sapienza, sin dalle sue primissime sperimentazioni letterarie. Se Il filo di mezzogiorno è, infatti, il romanzo auto- biografico che mette sulla carta cosa sia stato per la scrittrice il lungo e doloroso percorso dell’analisi, affrontato a seguito del ricovero in una clinica psichiatrica e la lunga serie di elettroshock che le sono stati inflitti, è vero anche che Sapienza sperimenta il tema della follia nella scrittura già sul finire degli anni Cinquanta, quando inizia a cimentarsi con la parola letteraria dando vita a quelle brevi narrazioni che saranno poi raccolte sotto il titolo

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Circondata da atei e anticlericali sin da bambina , Sapienza era arrivata a definire la l’insegnante di religione «La siringa con cui ci iniettano la droga della religione». Cfr. Lettera aperta, p.64

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di Destino coatto. Questi racconti parlano di ossessioni, di «deliri di persone comuni»164 nutrite di disturbi compulsivi. Già come aveva fatto per il provino all’Accademia d’Arte Drammatica, osservando una vecchia pazza per preparare la sua parte, Sapienza si immer- ge tra la folla e ci restituisce una serie di istantanee di rappresentazioni mentali dei «cosid- detti normali»,165 sfruttando la sua capacità di guardare dentro alle persone e dando vita ad una serie di personaggi tragici, proprio e anche in senso teatrale. E non a caso molti di que- sti caratteri portano nomi che rimandano alla biografia della scrittrice: Licia, i Bruno, Car- lo, Cesare, Tonello, Maria, Marilù, Fabiola; e anche molti luoghi sono i luoghi della sua e- sistenza, come Via Pistone o il Caffè Rosati. E dietro a diversi “io”, si cela la stessa Sa- pienza. La folla, dentro la quale si immerge per scandagliare gli abissi della mente umana, è la moltitudine di persone che hanno abitato la sua vita sino a quel momento. La pazzia per Goliarda Sapienza è stata una paura ricorrente. In un intervista del 1977, rilasciata a due scrittrici francesi,166 l’attrice scrittrice afferma:

[Le mi paure ricorrenti] sono paure legate ad eventi precisi… mia madre era pazza… è stata pazza per un certo periodo… alla fine non so esatta- mente se era pazza… sono io che ho sempre vissuto male quel periodo… ero molto giovane e avevo paura di impazzire… E' per questo che ho fat- to ricorso all'analisi... in realtà probabilmente mia madre non era paz- za…167

Sapienza ha sempre vissuto in bilico ai «bordi del pozzo». La sua infanzia in una famiglia non certo convenzionale, con la madre, Maria Giudice, femminista ante litteram e una mol- titudine di fratelli e sorelle acquisiti, in cui non si poteva pronunciare la parola «amore»,168 una relazione amorosa lunga diciotto anni con un uomo più giovane di lei, con cui vive let- teralmente in simbiosi, sino a lasciarlo per poter “sopravvivere” ma non lasciandolo di fat-

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Goliarda Sapienza, Destino Coatto, Torino, Einaudi, 2011, p. VI. 165

Ivi. 166

Michèle Causse e Maryvonne Lapouge, Goliarda Sapienza, in «Ecrits, voix d'Italie» Paris: Éditions des femmes, 1977, pp. 132-1145. Traduzione di Tozeur.

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Ivi, p.145. 168

to mai; il suo controverso rapporto con il mondo dello spettacolo, che lei ha profondamente amato, nonostante se ne sentisse esclusa e non corrisposta. Sapienza ha vissuto ogni fran- gente della sue esistenza andando oltre le convenzioni, sempre nel segno dell’eccesso e della dismisura, non corrispondendo a un modello. Ha vissuto in auto-esilio, dal mondo dello spettacolo prima e dal mondo della letteratura poi. Questo suo non scendere a com- promessi, non piegarsi a certi meccanismi è visto dagli altri come imperfezione, come ma- lattia, come follia. Sempre nell’intervista del 1977, Sapienza afferma:

Quando ero giovane, recitavo, ero un’attrice… beh, ho smesso di pun- to in bianco perché non potevo sopportare i brutti testi che recita- vo… dopo un po' mi sentivo come un'operatrice culturale del male. […] Avevo l'impressione di essere un prete, uno di quelli che detesto, che spargono la cattiva parola, una cultura marcia. In sei anni ho re- citato soltanto in due ruoli ideologicamente giustificabili… Queste sono cose che le attrici di solito non rivendicano.169

Goliarda Sapienza sembra, invece, voler rivendicare questo suo vivere controcorrente ogni volta che mette sulla scena tutto il corpo, la carne e le sue pulsioni, anche per quei perso- naggi oltremodo lontani da sé, quando in ogni pagina scritta il suo sé-personaggio emerge dai tanti io narranti con prepotenza.

Vorrei scrivere sette volumi su una vita… le contraddizioni di una vita… senza inventare nulla… e parallelamente continuare il lavoro che scrivo da quattro anni… la storia di una donna che nasce all'inizio del secolo e che ottiene tutto quello che vuole. È un romanzo positivo e, perciò, diffi- cile… perché ho voluto dargli un senso politico… non so perché mi sia lanciata in un simile compito… volevo qualcosa d’emblematico… dimo- strare che se ci si applica con volontà, si riesce. Questo personaggio femminile è strano, uccide la madre e vuole la vita, in ogni forma.

[…] A parer mio, occorre volere tutto… 170

169 «Goliarda Sapienza», in Ecrits, voix d’Italie, pp. 139-140 170 Ivi, p. 141.

Capitolo 3