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Dal Cinema Mirone allo schermo bianco della carta

Goliarda Sapienza spettatrice

1.3 Dal Cinema Mirone allo schermo bianco della carta

«Dietro la grata sottile appesa in alto sul muro di lava, le grandi fotografie sbiadite dal sole, sbarra- te dalla striscia misera del cinema Mirone già annunciavano: «DA SABATO 21 Il porto delle neb- bie».172

Per comprendere meglio ciò che ha significato la parola “cinema” nella biografia di Go- liarda Sapienza, come essa abbia influito in maniera potente, non solo nella sua carriera di attrice e “cinematografara" ma anche sul suo pensiero, occorre dire che Sapienza è stata prima di ogni altra cosa una spettatrice. Una spettatrice appassionata che ha trasposto la sua “ossessione” nelle varie forme in cui si è espressa, dal mestiere del cinema, alla scrittu- ra, perché «ogni spettatore, porta con sé tutti i film che ha già visto».173 L’ esperienza spet- tatoriale di Sapienza comincia da bambina nella sala buia del cinema Mirone di Catania, dove, quasi in maniera compulsiva, vede e rivede tutte le pellicole interpretate dall’amatissimo Jean Gabin, a tal punto da identificarsi totalmente nell’attore simbolo dei socialisti rivoluzionari, giungendo persino a dedicargli uno dei suoi romanzi autobiografi- ci, Io, Jean Gabin. «Rivedere Pépé, subito domani, la mia voce ripete scendendo a quattro a quattro i gradini di marmo della mia casa».174 «Rivedere le pellicole di Jean Gabin: sape- vo come fare. Chiudendo gli occhi ripassavo una per una tutte le scene davanti allo scher- mo della memoria che possedevo fortissima175». Il bandito della Casbah,176 Alba tragica177

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In una lettera ad Angelo Pellegrino del luglio 1975, Goliarda Sapienza scrive: «lo schermo bianco della carta mi rende tutto più agevole (deviazione professionale)», definendo il foglio di carta uno schermo.

172 Goliarda Sapienza, Io, Jean Gabin, p. 5.

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Giuliana Muscio, Scrivere il film, p. 185. 174

Ivi, p.18. 175

Ivi, p.8. 176

Il bandito della casbah o Pépé le Moko è una pellicola del 1937 diretta da Julien Duvivier. 177

ma soprattutto Il porto delle nebbie,178 pellicola che segna profondamente l’esperienza spettatoriale di Sapienza.

Anch’io sillabo sottovoce quel Porto delle nebbie che sulle mie labbra diventa invocazione, estasi, preghiera. Al motivo dei titoli sempre solen- ne, pieno come all’Opera, segue una sterzata rapida come di automobile sportiva. […] Gli strumenti a percussione che ti sbattono subito nel vivo del dramma con frastuono di ruote sfrenate a velocità pazza fra strade d’asfalto mitragliate di nera pioggia, di fari abbaglianti, ululare di cani, fischi acuti di poliziotti neri come la pece, dagli occhi di mastini adde- strati ad azzannare qualcuno che il potere ha costretto a errare derelitto, affamato, al margine della strada….Ma questo qualcuno ha il passo cal- mo, equilibrato e pieno di forza orgogliosa malgrado la fame, la mancan- za di sonno e l’amore.179

Con queste righe, in pochi tratti e con una potenza evocativa rimarchevole, Sapienza resti- tuisce tutta l’atmosfera del film, in una descrizione breve ma capace di cogliere appieno il senso dei fotogrammi che le scorrono sotto gli occhi. La sala buia del cinema diventa luo- go di formazione e luogo della memoria. Da qui si sono originate le fantasie che l’attrice prima e la scrittrice, poi, ha trasformato in materia viva della sua biografia.

Indagando tra le pieghe dei romanzi di Sapienza, si può osservare come essi siano tutti at- traversati da un costante riferimento al cinema, da Lettera aperta, a Il filo di mezzogiorno, passando per L’Università di Rebibbia e le Certezze del dubbio, sino a giungere a L’arte

della gioia e Io, Jean Gabin; tutti sono percorsi da una pulsione verso la figuratività tanto

forte da trasformare il lettore in uno spettatore di fronte allo «schermo bianco della carta». Una sorta di rapporto osmotico, si potrebbe dire, o di transfert con l’universo cinematogra- fico. Il cinema balza fuori dalle pagine dei romanzi di Sapienza, abitati dalle visioni fan- ciullesche in bianco e nero di Jean Gabin e Greta Garbo, popolati da attrici ed attori e cita-

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Il porto delle nebbie è una pellicola del 1938, diretta da Marcel Carné, sceneggiata da Jaques Prevert e interpretata da Jean Gabin e Michéle Morgan, quella stessa Michéle Morgan che solo dieci anni più tardi Sapienza incontra sul set di Fabiola.

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zioni di film.180 Come in L’università di Rebibbia - per fare un solo esempio - dove la scrittrice incontra nel suo primo giorno di carcere una ragazza in jeans e giaccone nero con passo alla James Dean;181 o Silvana Pampanini, ogni giorno con i capelli legati «con un na- stro di seta diverso»,182 o Anna Magnani, col «cipiglio altezzoso della Bacall»,183 o ancora, la dolce bellezza di una Marilyn con una «testolina piena di onde col biondo cenere e il vi- so delicato anche se precocemente invecchiato.184Romanzi che parlano del cinema e come il cinema,185 quelli di Sapienza, in cui gli attori i personaggi e i film evocati sono il frutto di un immaginario legato alla sua personale memoria esperienziale. Romanzi in cui tra scrittura e cinema viene a crearsi una «interferenza semantica»,186 e il «significante» filmi- co «invade la pagina scritta con le sue risorse tecnico-espressive consistenti in carrellate, panoramiche, montaggi, dissolvenze».187 La scrittrice Sapienza ricorre spesso all’uso del lessico cinematografico, come in Le certezze del dubbio quando vede «le strade appena ri- schiarate dalla “diffusa” della prealba»,188 o come in Il filo di mezzogiorno, quando narra dei racconti che nascevano da lei e dal suo compagno Citto Maselli, che si trasformavano in «materiale plastico […] primo piano […] piano americano […] trentacinque […] dolby».189 La scrittura di Goliarda Sapienza è stata influenzata dalla sua esperienza spetta- toriale al punto da modificarne, in un certo modo, la percezione della realtà, per cui l’idea

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A tal proposito rimando alla lettura del saggio di Giulia Ortu, Visi dischiusi ad ascoltare: Goliarda Sapienza narra- trice di visioni, in Lucia Cardone e Sara Filippelli (a cura di), Cinema e scritture femminili, Letterate italiana fra la pa- gina e lo schermo, Roma, Jacobelli Edizioni, 2011, pp. 100, 101, e del saggio di Lucia Cardone, Goliarda attrice nel/del cinema italiano del dopoguerra, in Monica Farnetti (a cura di), Appassionata Sapienza, Milano, La Tartaruga edizioni, 2011, pp. 31, 32.

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Goliarda Sapienza, L’università di Rebibbia, p.56. 182 Ivi, p.59. 183 Ivi, p.130. 184 Ivi, p.28 185

Angelo Moscariello, L’immagine equivalente: corrispondenze tra cinema e letteratura da Dante a Robbe Grillet, Bologna, Pitagora, 2005, p. 91. 186 Ivi, p. 93 187 Ivi. 188

Le certezze del dubbio, p. 106. 189

dello spazio e del tempo sembra aderire a quella propria del cinema. Un po’ come se la scrittrice usasse, per scrivere i suoi romanzi, la penna come fosse una macchina da presa, una stylo-camera, per parafrasare Astruc.190

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Alexandre Astruc, regista, sceneggiatore e critico cinematografico francese, nel corso delle sue riflessioni critiche si convinse che il cinema era destinato a sostituire la forma-romanzo. Il nuovo stile cinematografico profetizzato da A- struc nel suo saggio Naissance d'une nouvelle avant-garde: la caméra-stylo, pubblicato nel marzo del 1948 sull’Ecran Française, doveva essere flessibile e personale, in grado di rendere il mondo mentale del regista come la penna era in grado di descrivere il mondo mentale dello scrittore o del poeta. Da qui l’espressione caméra-stylo cioè cinepresa- penna.