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Intervista a Mara Blasetti (settembre 2010)

Non so esattamente come mio padre l'abbia conosciuta. So soltanto che siccome lavorava con lui in Un giorno nella vita nel 1945, era tra le ragazze che c'erano nel film. E un certo giorno tornando da una esterni, credo a Sutri, ma non è sono sicura, mi disse: « Guarda fat- ti trovare quando arriviamo con il pulmino della società, perché c’è una ragazza che è una meraviglia, te la consiglio, è splendida dentro e fuori». Io mi sono fatta trovare al portone ed è venuta fuori Goliarda e ci siamo conosciute. Dopodiché un certo giorno il ero su un autobus e me la sono ritrovata davanti. Ci siamo riconosciute, ci siamo chieste a vicenda dove andassimo e abbiamo scoperto che andavamo entrambe allo stesso concerto. E allora ci siamo accompagnate. Da lì è nata un'amicizia, per cui la mamma di Goliarda ci chiama- va" le sorelline", perché io stavamo sempre insieme. Dopodiché mi ha fatto conoscere Cit- to Maselli, dicendomi: «Questo è il mio compagno». Cito aveva credo diciassette anni, una cosa del genere, perché è nato nel 1930, e Goliarda l’ha conosciuto con i calzoni corti. Ed erano un'unione bellissima che è durata anni e anni. Anche dopo lei ha sempre lavorato con lui nelle sceneggiature, ha collaborato ai suoi lavori, per cui è stato un rapporto che non è mai finito, almeno per quanto riguarda l’amicizia, che era strettissima. Io ho conosciuto Goliarda così e da quel momento siamo diventate amiche proprio per la pelle. Ripeto la mamma mi chiamava" la sorellina". E poi li ho frequentati sempre quando sono andati ad abitare insieme. Io andavo da loro il pomeriggio o la mattina, e, lei sul letto e io pure, lei scriveva le sue cose, poesie, eccetera, e dopo averle riviste con Citto io gliele battevo mac- china. Per me è stato un affetto grandissimo e mi commuovo a parlarne. Nella casa di via Denza, dove avevano un terrazzo splendido, si riuniva una parte dell'intelligenza cinema- tografica romana, da Michelangelo Antonioni a Rinaldo Ricci (aiuto regista di Visconti, Antonioni, un grandissimo cervello), Aggeo Savioli. Citto era il capo popolo, si andava tut- ti a casa sua, e a seconda di quello che diceva lui si faceva e non si sapeva mai che cosa si

facesse. Alle dieci diceva: «andiamo a cena, andiamo da Celestina!». Celestina era un ri- storante dove si pagava pochissimo e si mangiava piuttosto bene, in fondo al Viale Parioli, vicino a piazza Euclide, a un passo da casa di Goliarda e Citto. Poi si doveva andare al ci- nema… e poi, insomma, tutte serate passate insieme, dove si parlava di tutto, cinema, tutto quello che succedeva. Continuando l'elenco delle persone che frequentavano casa di Go- liarda, c'era Pietro Notarianni, produttore, direttore organizzativo di Visconti, eccetera, Tommaso Chiaretti, critico, con la sua compagna; c'era Gigi Vanzi, tra le altre cose segre- tario di edizione per il mio padre per Europa di notte, c'era Giulio Questi, regista, con sua moglie costumista, poi Florestano Vancini, e tutte persone di questo calibro. Quando veni- vano a mangiare a casa mia, perché spesso venivano anche da me, eravamo in ventitre. Fa- cevamo le serate in cui si faceva la polenta con le salsicce. È stata un’amicizia fraterna an- data avanti parecchio.

Con papà Goliarda ha fatto Un giorno nella vita, in cui era una delle monache, Fabiola e

La morsa, episodio di Altri tempi con la Cegani e Nazzari. Poi non credo che abbia più la-

vorato con papà. Ma il rapporto è stato stupendo, un rapporto che mio padre ha adorato, un rapporto di altissimo livello umano e intellettuale, di cultura. Un viso intenso, importante, soltanto che non ha avuto molto successo perché nel cinema ci vogliono belle donne con i "doppi attributi”. Quando la guardavi in faccia rimanevi incantato. Poteva fare il dramma- tico ma anche comico, perché era estremamente duttile.

In La morsa io facevo l’edizione e ho avuto modo di vederla sul set, disciplinata, seria, pronta, duttile. Bastava un cenno ed eseguiva le istruzioni del regista, e se c'era da dire qualcosa papà era una persona molto aperta, per cui accettava anche il dialogo e ne discu- teva, anche se purtroppo Iiruoli di Goliarda erano piccoli e non c'era molto da discutere. Tutti ruoli piccolini, perché un film era una coproduzione, l'altro era un film per cui ci vo- levano attori di nome per la produzione, Altri tempi era una cosa nuova, nessuno aveva mai fatto un film a episodi. Tutti i produttori erano contrari, per cui papà ha dovuto soffrire le

pene dell'inferno per poi poterlo fare, perché dicevano che era un flop, che la gente voleva una storia completa E papà era indignato perché con quel film voleva far capire che si po- tevano fare dei lavori per aiutare i giovani, mettendoci dentro dei grossi calibri, mettendoci i giovani che cominciavano, e poi si poteva pescare nella letteratura perché nessuno a quell'epoca scriveva per il cinema.

Papà apprezzava Goliarda, perché apprezzava le persone che non fossero glamour, per pa- pà erano importanti le facce, quello che esprimevano negli occhi e Goliarda aveva una faccia così intensa, così umana, che quando la vista ha detto: «Questa deve lavorare con me». Sono diventati amici, perché quando trovava persone con cui poter avere una comu- nione spirituale, ne approfittava subito, ed è anche per questo che volle che la conoscessi, perché era una persona eccezionale. Non ha mai potuto offrirle dei grandi ruoli ma la vole- va a tutti costi, per cui cercava di crearlo il ruolo pur di averla nel suo film. Questo è il rapporto che aveva con papà. Ed è importantissimo. E lei gli ha voluto un gran bene. C'era un rapporto di grande affetto. Nella vita privata, nelle amicizie, Goliarda era una donna molto aperta con tutti, molto cordiale, molto allegra, molto spiritosa. Quando eravamo in gruppo la sua presenza si sentiva. Tra lei e Citto erano due leader. Io me la ricordo proprio vitale. Poi dopo si è molto ritirata, per cui è andata a vivere a Gaeta, Lì dove se ne è "anda- ta". Quella è stata una cosa terribile. Quando lei ha fatto quel gesto famoso per cui è andata in carcere - il furto di gioielli- quando uscì mi telefonò e mi chiese se ci potevamo vederci. Io sono andata da lei e mi ha detto: «Guarda io sono andata in carcere ma ci sono andata perché ho fatto in una maniera talmente da cretina, perché mi scoprissero, perché volevo andare in carcere per vedere l'ambiente e poterne scrivere». Mi ha chiamato proprio per dirmelo. Ha sentito il bisogno di comunicarmelo, per dirmi esattamente come stavano le cose, perché non ascoltassi quello che si diceva, che lei avesse fatto questo gesto perché era impazzita. Mi ha dichiarato di averlo fatto in maniera talmente infantile per essere sicu- ra che la arrestassero. All'inizio rimanemmo tutti esterrefatti. Gigi Vanzi venne a chiedermi

aiuto per farla uscire, chiese aiuto a tutti gli amici, forse per pagare gli avvocati. Era tutto un gruppo di amici stretto, anche militanti politicamente. Era come una sorta di “cenacolo” e io ho avuto la fortuna, grazie mio padre, di poterci stare in mezzo. Un periodo della mia vita bellissimo. Con Michelangelo, Rinaldo e Citto si andava al King, che era un locale dove c'erano tanti tavoli da ping-pong. La sera ci si riuniva e si facevano grandi sfide. Mi- chelangelo era bravissimo e Citto pure e volevano vincere tutti. Questa è una cosa simpati- ca, che questi “giganti” passavano le loro serate come ragazzini.

Isa Bartalini è stata un'altra grande amica di Goliarda. Isa è stata dal 1948 segretaria di mio padre,. Batteva a macchina copioni. Per Fabiola ci hanno messo tanto a fare il copione, erano ventidue persone, da Zavattini a Pratolini; cerano tutti, e tutte le mattine Isa Bartalini doveva riscrivere tutto quello che diceva papà. Dopo questo mio padre l'ha presa sul set come segretaria di edizione, come assistente alla regia e poi ha fatto la casting director. Con Goliarda si andava spesso a cena da Isa, a Roma ma anche nella loro casa a Gaeta. Al- cune volte Goliarda mi ha telefonato cercando di convincermi alle sue idee con determina- zione quasi avesse una nevrastenia parlando (questo proposito della depressione). Però purtroppo negli ultimi anni della sua vita ci siamo viste di meno perché mio padre era mol- to malato e io mi sono dovuta dedicare a lui. Era una personalità che si presentava in ma- niera non convenzionale, era eccentrica, vestiva in maniera all'apparenza strampalata ma era, Sempre molto stravagante della moda a lei non importava niente, se la creava lei. Tutti l'hanno amata, era una donna eccezionale, tu sentivi che spirava qualche cosa di importante quando le sta vicino. Per me è stato uno dei rapporti più belli della mia vita, se non il più bello, perché l'umanità che aveva e difficile trovarla.