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Le circostanze aggravanti ad effetto speciale come indici di modificazione legale della pena.

LA DISCREZIONALITÁ GIUDIZIALE TRA CORNICI EDITTALI, CIRCOSTANZE E FUNZIONI DELLA PENA

2. b) La perenne ricerca della proporzione della misura legale della pena al disvalore dell’illecito: il ruolo ipertrofico delle circostanze del reato.

2.1. Il controverso ruolo delle circostanze nel sistema commisurativo: analisi funzionale dei diversi tipi di circostanze del reato.

2.1.1. Le circostanze aggravanti ad effetto speciale come indici di modificazione legale della pena.

Ai nostri fini, a questo punto, sembra importante sottolineare lo stretto nesso funzionale tra le circostanze, le cornici edittali e le finalità della pena, oggi reso forse ancora più evidente dalla riforma dei termini ordinari di prescrizione del reato.

La funzione generalpreventiva caratteristica della pena comminata in astratto, infatti, a nostro avviso, è di fatto svolta solo dai limiti edittali massimi di pena, e con essi dalle circostanze aggravanti, o meglio dalle aggravanti ad effetto speciale, da quelle autonome e da quelle indipendenti, in quanto particolarmente significative dal punto di vista dell’aggravamento edittale179: solo la combinazione di queste due entità è infatti in grado di dettare l’effettivo disvalore astratto del reato, che dovrà essere adeguato non solo in base all’importanza dell’interesse tutelato dalla singola fattispecie incriminatrice in sé, ma anche rispetto ai limiti edittali massimi dettati per le altre fattispecie di reato, in modo da realizzare una proporzionalità non solo verticale, ma anche orizzontale.

Tale inquadramento ci sembrerebbe confermato d’altronde soprattutto dalla disciplina in tema di prescrizione che, a seguito della novella del 2005, continuando ad ancorare il termine ordinario di estinzione dei reati per decorso del tempo alla gravità astratta degli stessi180

e dunque al limite edittale massimo, prevede che le sole circostanze che incidano sul termine di prescrizione siano le circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria (circostanze c.d. autonome), quelle ad effetto speciale (tra cui si badi anche la recidiva, eccetto nella sua forma semplice), e quelle definite

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Cfr. in questo senso anche, PREZIOSI S., La fattispecie qualificata, cit., p. 16, per il quale, appunto, l’autonomia del sistema delle circostanze da quello commisurativo intraedittale «è da ravvisare nella valenza funzionale delle circostanze: valenza che, in quanto si salda (almeno con riferimento alle aggravanti) alla finalità generalpreventiva della pena, ha poco da spartire con il sistema commisurativo italiano» (la parte in corsivo è evidenziata dall’Autore nel testo).

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Quanto maggiormente il fatto illecito contrasta con i valori propri dell’ordinamento, cioè quanto più è grave, tanto più il legislatore è legittimato a presumere che “la maturazione sociale della

dimenticanza” richieda più tempo. Cfr. GIUNTA F.- MICHELETTI D., Tempori cedere. Prescrizione del

reato e funzioni della pena nello scenario della ragionevole durata del processo, Giappichelli, 2003, p. 13.

indipendenti181, escludendo invece le c.d. circostan ze ad effetto comune, sia aggravanti che attenuanti, e tra queste anche quelle autonome, indipendenti o ad effetto speciale (art. 157, comma 2, prima parte c.p.).

Ciò non solo conferma l’assoluta preminenza della dimensione general preventiva delle cornici edittali massime di pena, e con esse delle circostanze aggravanti ad effetto speciale, ma evidenzia, in una prospettiva di riforma, anche l’importanza di strutturarle in base ad una scala ordinata e ragionata di gravità, anche al fine di stabilire dei coerenti termini prescrizionali182

.

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Sebbene la norma non le nomini espressamente, la dottrina ritiene che, ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, rilevino anche le circostanze aggravanti in relazione alle quali il legislatore abbia determinato la misura della pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato (le c.d. circostanze indipendenti, come ad esempio quelle previste dall’art. 625 c.p. o quella, relati va alla rapina, prevista dall’art. 628 comma 3 c.p.). Così BRICHETTI R., Un nuovo criterio fìssa la gravità dei reati, in Guida dir., Dossier 1, 2006, p. 74, secondo il quale sarebbe stato opportuno, invece, un riferimento esplicito a questa tipologia di circostanze, anche se ammette che sia la dottrina che la giurisprudenza comunemente riconducono dette circostanze alla categoria delle circostanze ad effetto speciale ex art. 63, co. 3 c.p., visto che anch’esse incidono sulla pena ordinaria del reato impone ndo autonomi limiti edittali (cfr., per tutte, Sez. II, 7 ottobre 1983, Cigna, in C.E.D. Cass., n. 161484). In questi termini si è espressa ad esempio la Corte di Cassazione di recente nella Sez. IV, 6 febbraio 2003, Bellani, in C.E.D. Cass., n. 224754, ove ha ritenuto che, nella determinazione della pena edittale (in quel caso ai fini dell'individuazione dei termini di durata massima di fase della custodia cautelare ex artt. 278 e 303 c.p.p.), occorra tener conto - nell'ipotesi di concorso di una circostanza prevista dall'art. 625 c.p. con più circostanze aggravanti comuni di cui all'art. 61 c.p. - della pena prevista dall'art. 625 ult. comma c.p., poichè quest’ultima, in quanto determinata in modo indipendente da quella ordinaria del reato, integra un'ipotesi di circostanza c.d. indipendente, la quale deve equipararsi a quelle ad effetto speciale (richiamate espressamente dall'art. 278 c.p.p.), perché, come queste ultime, agisce in modo diverso da quelle comuni, imponendo autonomi limiti edittali. A proposito dell’esatta qualificazione delle circostanze indipendenti, MELCHIONDA AL., Commento art. 3 L. 5.12.2005, in Leg. pen., 2006, p. 437, nota 3, riferisce che in passato, prima della modifica apportata all’art. 63 c.p. dalla l. 31.7.1984, n. 400, per tutte le ipotesi di circostanze che non prevedessero un aumento o una diminuzione frazionaria della pena base, veniva utilizzata la definizione di circostanze “ad effetto speciale”(così ad esempio, per tutti si veda STILE A.M., Il giudizio di prevalenza, op. cit., p. 116). L’A. riferisce, inoltre, che «la nozione di circostanze “ad effetto autonomo” (o tout court autonome) fu originariamente adottata da P.NUVOLONE, Les circostances aggravantes en droit italien, in Riv. it. dir. proc. pen., 1965, p. 610, ed in seguito ritenuta preferibile alla precedente da parte di molti autori, tra cui soprattutto G. VASSALLI, Concorso tra circostazne eterogenne [op. cit.], p. 8, il quale però propose di considerarla valida per le sole circostanze che comportassero un mutamento della specie di pena, suggerendo invece la diversa nozione di circostanze “indipendenti” (o “ad effetto indipendente”) per quelle caratterizzate dalla previsione di una autonoma cornice edittale di pena».

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Questo assunto, tuttavia, è bene rammentarlo, cont rasta con quanto è stato sostenuto da altra parte della dottrina, per la quale sarebbe preferibile invece ancorare la presunzione prescrizionale al minimo edittale della pena, piuttosto che al massimo, perché nella quantificazione del minimo si può più facilmente cogliere «quanto può bastare per tradurre il disvalore sociale del fatto, essendo al contrario, il massimo edittale inevitabilmente appesantito da una spinta retribuzionistica e da una componente di

Il fatto che l’attuale art. 157 c.p., così come modificato dalla legge 251 del 2005, prenda in considerazione solo i limiti massimi di pena e gli eventuali aumenti che questa subisce a seguito delle sole circostanze aggravanti ad effetto speciale, od indipendenti, o esemplarità, che non si conciliano con la presunzione estintiva connessa al decorso del tempo»; cfr. così GIUNTA F.- MICHELETTI D., op. cit., p. 13. Sotto questo aspetto questi Autori dunque dichiarano di aderire all’inquadramento funzionalistico del minimo e del massimo edittale elaborato da PADOVANI T., La disintegrazione attuale del sistema sanzionatorio e le prospettive di riforma: il problema della comminatoria edittale, cit., p. 445-446, che verrà più ampiamente analizzato e confutato nel prossimo § 2.3. Sembra tuttavia importante sottolineare un aspetto che a noi pare alquanto contradditorio: infatti sebbene questi Autori, per un verso, accolgano la tesi funzionalistica delle cornici edittali di Tullio Padovani, per un altro verso, nel succitato lavoro sulla prescrizione, criticano la tesi da questo sostenuta in più occasioni (ROMANO M.- GRASSO G.- PADOVANI T., Commentario sistematico del

codice penale, Sub art. 157, vol. III, Giuffrè, 1994, p. 61; PADOVANI T., Diritto penale, cit., p. 337),

riguardo il fondamento dell’istituto della prescrizione, che troverebbe la sua giustificazione nella prospettiva della prevenzione generale, in senso però negativo. Questi stessi Autori poi giustificano, de iure condendo, la possibilità di ancorare il termine di prescrizione al limite edittale minimo, riportando l’esempio di alcuni ordinamenti stranieri, come l’§ 78 StGB o l’art. 135 c.p. spagnolo. Una simile prospettiva, tuttavia, non sembra affatto accoglibile, sia per le evidenti conseguenze negative che comporterebbe sulla intera tenuta del sistema, stante il breve lasso di tempo che la giustizia avrebbe a disposizione per procedere, con il rischio di vedere estinti numerosi reati, specie nell’ottica di una auspicabile generale riduzione dei draconiani limiti minimi di pena previsti dal Codice Rocco, sia perchè, come gli stessi Autori riferiscono, negli altri ordinamenti l’ancoraggio del termine prescrizionale al limite minimo è giustificato dal fatto che vi è contestualmente un così stretto collegamento con l’attività processuale, tale per cui difficilemente può esserci il rischio di una simile “precoce” estinzione: come ad esempio nell’ordinamento spagnolo, attraverso il congelamento del termine durante tutta la durata del processo rivolto nei confronti del colpevole. Infine, si deve tuttavia ricordare che a commento della riforma della disciplina della prescrizione lo stesso GIUNTA F., Commento art. 6 L. 5.12.2005 n. 251, in Leg. pen., 2006, p. 464 ss., ha affermato: «parimenti plausibile parrebbe, in linea teorica, il principale criterio utilizzato per stabilir e il tempo necessario all’estinzione della potestà punitiva: ossia il massimo edittale, in quanto espressivo dell’apice di gravità dell’illecito. Se il massimo della pena indica il tempo necessario per estinguere il massimo della colpevolezzza, la stessa durata può presuntivamente ritenersi sufficiente a decretare il disinteresse sociale per la repressione del fatto costituente reato». Sebbene poi puntualizzi che con ciò non intende «affermare che tra la misura della pena e quella del tempo prescrizionale vi sia una correlazione ontologica, ma soltanto sottolineare che il legislatore, quando determina il tempo necessario a prescrivere, stabilisce tale misura in modo inevitabilmente presuntivo e convenzionale, con la conseguenza che, dal punto di vista politico-criminale, non è irragionevole assumere il massimo della pena come indicatore del tempo prescrizionale, salvo constatare, in singoli casi, l’incommensurabilità delle due entità». Questa osservazione, tuttavia, a noi sembra non accoglibile proprio per le ragioni sopra indicate, ovvero per l’analogo fondamento che è possibile rinvenire tra la misura massima della pena e il termine ordianario di prescrizione per ciascun reato. Nè sembra condivisibile l’ulteriore appunto mosso alla riforma in tema di prescrizione dallo stesso A., laddove afferma che: «alla l. 251/2005 si può fondatamente contestare di non tenere in nessun rilievo l’intrinseca complessità che caratterizza l’accertamento probatorio di taluni reati, la quale è indipendente dalla gravità dell’ill ecito»; cfr. GIUNTA F., Commento art. 6 L. 5.12.2005 n. 251, cit. p. 466. Infatti, l’esigenza probatoria, comunque garantita dall’eventuale introduzione di cause di sospensione del termine opportunamente calibrate anche in questo senso, non può sopraffare le ragioni politico criminali poste alla base dell’istituto della prescrizione che sono espressione delle stesse funzioni della pena.

autonome deve essere interpretato, a nostro avviso, proprio in tal senso: solo questa tipologia di circostanze aggravanti, intese evidentemente come cause legali di modificazione degli stessi massimi di pena, esprimono nel nostro attuale ordinamento la funzione generalpreventiva della pena, che è coessenziale alla stessa tenuta del sistema, pur dovendo ovviamente mantenere anche un carattere retributivo di “proporzione” rispetto alla gravità del fatto, a garanzia dei principi costituzionali di colpevolezza e di uguaglianza.

Sono evidenti d’altronde le forti connessioni tra le teorie della pena e la spiegazione funzionale dell’istituto estintivo della prescrizione, concepito appunto come limite negativo della punibilità, ovvero come «soglia temporale oltre la quale la pena cessa di corrispondere allo scopo per cui era stata pensata»183

: con il decorso del tempo infatti si affievolisce il ricordo sociale del fatto, l’allarme relativo, e con esso la stessa efficacia deterrente che la minaccia della pena e la sua eventuale effettiva concretizzazione procurano, e che non possono che essere correlati alla gravità del reato in astratto184

, a prescindere da considerazioni soggettivistiche ed individualistiche legate ad esempio alla vittima concreta del reato, come d’altronde risulta evidente visto che l’estinzione del reato avviene a prescindere dall’accertamento della sua sussistenza, o dall’individuazione di un colpevole, ovvero dall’accertamento della sua responsabilità185

183

Cfr. così proprio GIUNTA F.- MICHELETTI D., op. cit., p. 21 s.; ma già ROMANO M.- GRASSO G.- PADOVANI T., op. cit. loc. cit.

184

Tale ricostruzione, pur finalizzando la comminatoria legale prevalentemente alla funzione di prevenzione generale in senso c.d. negativo, ovvero fondato sulla intimidazione, non sembra, del resto, inconciliabile neanche con la funzione di prevenzione generale c.d. positiva, secondo la quale la minaccia e l’inflizione della pena sarebbero destinate a produrre nella generalità dei consociati, piuttosto che un effetto deterrente, un effetto pedagogico, una sorta di orientamento culturale verso l’acquisizione e l’identificazione con l’insieme di valori che sono tutelati dalle norme penali attraverso le sanzioni penali. Per questa teoria, che risulta dunque un valido ed evoluto complemento della teoria della prevenzione generale fondata semplicemente sulla deterrenza, cfr., tra gli altri, ANDENAES J., La prevenzione generale nella fase della minaccia, dell’irrogazione e dell’esecuzione della pena, in Teoria e prassi della prevenzione generale dei reati, a cura di Romano M. e Stella F., il Mulino, 1980, p. 33 ss.; PACKER H.L., I limiti della sanzione penale, (1968), trad. it., Giuffrè, 1978, p. 42 ss.; STRATENWERTH G., Was leistet die Lehre von den Strafzwecken?, Walter de Gruyter, 1995; HASSEMER W., Variationen der positiven Generalprävention, in Id., Strafen im Rechtsstaat, Nomos-Verl.-Ges., 2000, p. 199 ss.; DE VERO G., L’incerto percorso e le prospettive di approdo dell'idea di prevenzione generale positiva, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, p. 439 ss.

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Per dirla con le parole di Cesare Beccaria: «Quanto la pena sarà più pronta e più vicina al delitto commesso ella sarà tanto più giusta e più utile»; più giusta per il reo, cui si risparmiano i «fieri tormenti dell’incertezza»; più utile alla società «perchè quanto minore la distanza del tempo che passa tra la pena ed il misfatto, tanto più forte è nell’animo umano l’associazione di queste due idee, delitto

Ma se così è, non vi è chi non veda come l’entità temporale alla quale commisurare il venir meno delle ragioni della stessa punibilità non possa individuarsi nel limite minimo — che a nostro avviso, come si vedrà meglio più avanti (§ 2.3.) dovrebbe essere abolito o notevolmente ridotto per certe tipologie di reati —, ma piuttosto il limite massimo che detta il massimo sacrifico della libertà o di altri diritti fondamentali dell’individuo richiesto, e ritenuto proporzionato, dall’ordinamento in base al massimo grado di gravità che si immagina possa raggiungere la realizzazione della singola fattispecie di reato. Il limite minimo, e con esso le diverse circostanze attenuanti, al più, indicano invece il margine inferiore massimo verso il quale il giudice può spingere la commisurazione della pena verso il basso tenendo conto anche delle esigenze di specialprevenzione, sia nel senso positivo della risocializzazione, che nel senso negativo della neutralizzazione (come avviene nel caso in cui si adottino dei minimi di pena fissi).

E’ proprio l’analisi della ragione fondante della prescrizione del reato, se non addirittura la sua stessa previsione all’interno dei moderni ordinamenti penali, a confermare, ove ce ne fosse ancora bisogno, il definitivo tramonto delle concezioni c.d. assolute della pena186

, come quella retributiva, che «per definizione non tollererebbe cedimento alcuno rispetto alla costante necessità che al reato commesso consegua la pena»187

.

Il fatto di ancorare l’istituto estintivo della prescrizione, ai soli limiti massimi di pena e alle sole circostanze aggravanti ad effetto speciale o indipendente, con esclusione di quelle

e pena»; BECCARIA C., Dei delitti e delle pene, cit., p. 71. Anche la Corte Costituzionale ha più volte

affermato che l’effetto estintivo della prescrizione trova ragione «nell’interesse generale di non più perseguire i reati rispetto ai quali il lungo tempo decorso dopo la loro commissione abbia fatto venir meno, o notevolmente attenuato, [...] l’allarme della coscienza comune» (vedi sentenze n. 202 del 1971 e n. 254 del 1985).

186

Sulla distinzione tra teorie assolute e teorie relative della pena cfr. CATTANEO M. A., Pena, diritto e dignità umana. Saggio sulla filosofia del diritto penale, Giappichelli, 1990, p. 56.

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Così ROMANO M.- GRASSO G.- PADOVANI T., op. cit. loc. cit. Ancora una volta un forte potere esplicativo circa la funzione che idealmente dovrebbe svolgere la pena nelle teorie c.d. assolute, che la ricollegherebbero ad una risposta dell’ordinamento in senso etico-retributivo per il male commesso, è svolto dal noto esempio Kantiano: «Se anche il consorzio civile si sciogliesse con il consenso di tutti i suoi membri (se ad esempio gli abitanti di un’isola decidessero di separarsi e di disperdersi per il mondo), dovrebbe prima essere giustiziato l’ultimo assassino che si trovi in prigione, affinchè a ciascuno tocchi ciò che i suoi atti meritano e la colpa del crimine non resti impressa sul popolo, che, non avendo reclamato la punizione, potrebbe essere considerato responsabile di questa pubblica l esione della giustizia», tratto da DE VERO G.,Corso di diritto penale, cit., p. 10

attenuanti e dello stesso bilanciamento188, sebbene da alcuni criticata, può invece ritenersi, a nostro avviso, espressione di una certa coerenza sistematica189.

La questione di costituzionalità dell’art. 157, secondo comma, del codice penale, come novellato dall’art. 6, comma 1, della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui non prevede che per determinare il tempo necessario a prescrivere si tenga conto anche delle circostanze attenuanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e di quelle ad effetto speciale, sollevata dal Giudice del Tribunale di Roma, è stata infatti giudicata non fondata dalla Corte Costituzionale, sulla base di motivazioni ampiamente condivisibili. La scelta di considerare, ai fini del calcolo del termine di prescrizione dei reati, solo l’aumento di pena derivante dall’applicazione delle circostanze aggravanti con previsione speciale di pena o ad effetto speciale e non la corrispondente diminuzione derivante dall’applicazione delle circostanze attenuanti della stessa natura è stata ritenuta dalla Consulta «espressione del legittimo esercizio della discrezionalità legislativa e non [contraria al] principio di ragionevolezza»190

. La legge n. 251 del 2005, nel riformare la disciplina della prescrizione, ha confermato la tendenziale correlazione, già accolta nel codice del 1930, tra il tempo necessario a prescrivere e la gravità del reato, ancorando il criterio per la determinazione del termine di prescrizione del reato alla entità della sanzione per esso prevista, indice del suo maggiore o

188

Cfr. BRICHETTI R., Un nuovo criterio fìssa la gravità dei reati, cit., p. 67.

189

Ritiene che la riforma, legando il tempo di prescrizione alla pena stabilita per ciascuna fattispecie di reato, abbia attribuito un fondamento generalpreventivo alla prescrizione, BARGIS M., La prescrizione del reato e i “tempi” della giustizia penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2005, p. 1402: «Da un canto, può avere un senso legare la prescrizione, in rapporto al criterio della prevenzione generale, alla singola fattispecie di reato, ma l’opzione può destare dubbi in un sistema come il nostro che non è stato ancora in grado di “rivisitare” l’armamentario di sanzioni pensate per un contesto politico-sociale ben diverso; d’altro canto, si è sostenuto che la scelta, ponendo un così rigido collegamento fra pena edittale e prescrizione, si tramuta in un fattore di instabilità, perché “qualsiasi riforma delle pene” si rifletterebbe sul “tempo” di prescrizione». In quest’ultimo senso cfr. PULITANÒ, Tempi del processo e diritto penale sostanziale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2005, p. 528 s., il quale osserva che anche «il sistema delle fasce di gravità non esclude[va] effetti sulla prescrizione, derivanti da un mutato approccio di politica penale; ma l'identificazione rigida fra pena edittale e tempi di prescrizione, frammentando il sistema dei termini di prescrizione, lo rende strutturalmente più instabile». Ma a ben vedere la critica era principalmente rivolta al sistema precedente che agganciava la prescrizione alle scelte discrezionali del giudice, in relazione alla concessione delle attenuanti generiche e al bilanciamento fra circostazne eterogenee, che invece oggi, proprio a seguito della novella del 2005, non hanno più alcun rilievo ai fini della determinazione del termine estintivo. D’altronde non si vede come sia possibile stabilire un termine prescrizionale stabile e prevedibile se non ancorandolo alla gravità del reato in astratto, prestabilita dal legislatore attraverso la misura dei limiti massimi di pena, su cui influiscono inevitabilmente le circostanze aggravanti del reato ad effetto speciale , quelle indipendenti, o autonome.

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minore disvalore. Il primo comma dell’art. 157 cod. pen. novellato collega, infatti, il termine di prescrizione alla misura della pena massima edittale. Nel dettare tali regole, il legislatore può, peraltro, nell’esercizio della propria discrezionalità, ponderare i vari interessi coinvolti dalla complessa disciplina della prescrizione e, ciò facendo, può anche escludere la considerazione di alcuni fattori, pure suscettibili di incidere sull'entità della pena, con il solo

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