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IL RUOLO DELLA RECIDIVA NELLA DETERMINAZIONE DELLA RISPOSTA SANZIONATORIA

1. La recidiva come circostanza aggravante del disvalore del reato nel sistema italiano.

1.1. La funzione delle diverse forme di recidiva nella commisurazione della pena.

La riforma del 2005, come sopra affermato, ha inciso notevolmente sull’art. 99, già modificato dalla novella del 1974, lasciando tuttavia immutata la distinzione delle tre forme di recidiva, semplice, aggravata e reiterata.

La recidiva semplice (art. 99 co. 1 c.p.), prima della legge 251/2005, si aveva quando un soggetto dopo essere stato condannato per un reato, ne commetteva un altro. In tali condizioni il giudice, nel determinare la pena, poteva operare un aumento fino ad un sesto della pena da infliggere per il nuovo reato.

La legge 251/2005, però, ha agito sia sull’an del riconoscimento, delimitando la rilevanza della ricaduta nell’illecito ai soli i delitti non colposi, che sul quantum elevando a un terzo l’aumento della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo in tema di recidiva semplice. Dunque, non solo l’elevazione dell’aumento di pena da un sesto ad un terzo, ma anche la previsione di un aumento in misura fissa e non discrezionale, cioè non più graduabile dal giudice380. Pur mantenendo il carattere discrezionale del riconoscimento della recidiva semplice, come si evince dal dettato del nuovo comma 1, laddove afferma «può essere sottoposto», il legislatore sembra, invece, aver imposto per l’aumento una misura fissa «di un terzo», non avendo utilizzato la consueta espressione “fino ad un terzo”381.

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Sembra opportuno rilevare, inoltre, come tale scelta legislativa ponga problemi di coordinam ento con altre disposizioni del codice penale rimaste invece immutate, come l’art. 162-bis, co. 3 c.p. che, nel precludere l’oblazione c.d. speciale, come noto riservata solo alle contravvenzioni, continua a fare riferimento alla recidiva reiterata, oggi riservata però ai soli delitti dolosi. Se oggi la dichiarazione di recidiva reiterata, ex art. 99, comma 4 c.p., può essere valutata solo in relazione alla commissione di delitti dolosi, appare alquanto irrazionale proseguire a ritenerla come una condizione ostativa all’esercizio discrezionale del giudice riguardo la concessione dell’oblazione destinata alle sole contravvenzioni.

380

Sui dubbi di legittimità costituzionale ingenerati dalle previsioni di pene fisse, sotto il profilo del principio rieducativo della pena e del principio costituzionale di eguaglianza, si veda MANTOVANI F., Diritto penale, parte generale, 2001, cit., p. 773.

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Come presupposto per la dichiarazione della recidiva è ancora richiesta la sussistenza di un precedente delitto accertato con sentenza irrevocabile di condanna, anche se siano intervenute cause di estinzione del reato o della pena (come ad esempio la prescrizione della pena o l’amnistia impropria,

In tema di recidiva aggravata (art. 99 co. 2 c.p.), la legge 251/2005 ha, inoltre, mantenuto l’originaria articolazione nelle tre distinte ipotesi della c.d. “recidiva specifica”, riconducibile ai casi nei quali il nuovo delitto non colposo commesso dal reo è “della stessa indole” di quello per il quale è già intervenuta condanna definitiva; della “recidiva infraquinquennale”, tradizionalmente distinta a sua volta in “recidiva aggravata vera” e “recidiva aggravata finta”.

Per quanto riguarda la “recidiva specifica” è importante precisare che il requisito della “stessa indole” trova ancora una definizione normativa nell’art. 101 c.p. che individua le caratteristiche di “stessa indole” criminosa sia nella violazione della medesima disposizione di legge sia nella violazione di fattispecie criminose le quali, pur essendo previste da disposizioni di legge diverse o da articoli diversi del codice penale, presentano, nei casi concreti, caratteri fondamentali comuni, tenuto conto della natura dei fatti che li costituiscono (come le effettive modalità di realizzazione o gli eventi lesivi provocati) o dei motivi che li determinarono382.

Si parla invece di “recidiva infraquinquennale” quando il nuovo delitto non colposo è stato commesso nei cinque anni dalla condanna precedente; di “recidiva aggravata vera”, quando il nuovo delitto è stato commesso durante o dopo l’esecuzione della pena applicata con la precedente condanna e infine di “recidiva aggravata finta”, se il nuovo delitto è stato commesso dal latitante o dall’evaso.

Al contrario di quanto previsto dalla disciplina ante riforma, che stabiliva un aumento fino ad un terzo, ora l’aumento per la recidiva aggravata, in qualsiasi delle diverse tipologie si manifesti, è previsto «fino alla metà» della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo. In questo caso, dunque, a differenza di quanto previsto al comma 1, alla maggiorazione dell’incremento di pena si accompagna il mantenimento del suo carattere flessibile, unito alla discrezionalità del suo riconoscimento («può essere aumentata»).

Pertanto, mentre nell’ipotesi di recidiva semplice l’eventuale aumento pari ad un terzo della pena applicabile per il nuovo delitto è “rigido”, nell’ipotesi più grave di recidiva aggravata l’aumento, che può essere spinto fino alla metà, è “elastico”.Individuare la ratio di etc.), con eccezione, invece, di quelle, come, ad esempio, la riabilitazione, che comportano l’estinzione di tutti gli “effetti penali della condanna” (art. 106 c.p.), tra le quali si annovera anche la recidiva.

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Cass. pen., sez. I, sent. n. 2097 del 12 luglio 1988 (dep. 29 settembre 1989) rv. 182174; Cass. pen., sez. III, sent. n. 2383 del 30 gennaio 1981 (dep. 17 marzo 1981) rv. 148122; Cass. pen., sez. III, sent. n. 3362 del 4 ottobre 1996 (dep. 5 dicembre 1996) rv. 206531.

questa differente scelta non è semplice383, ed appare fondato il sospetto che si tratti di opzione affetta da irragionevolezza ex art. 3 Cost.384. Un’interpretazione letterale della nuova disciplina contenuta nei commi 1 e 2 dell’art. 99 c.p. comporterebbe infatti conseguenze paradossali: il giudice in teoria potrebbe nei confronti dell’imputato, cui sia stata contestata la recidiva aggravata, contenere l’incremento sanzionatorio al minimo (ossia solo in un giorno), mentre al coimputato dello stesso reato cui sia invece contestata la fattispecie meno grave della recidiva semplice, dovrà irrogare l’aumento di pena fisso di un terzo385.

Proprio per evitare simili inaccettabili diseguaglianze di trattamento, perciò, parte della dottrina ha proposto un’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni di cui all’art. 99, commi 1 e 2 c.p.386. In caso di recidiva aggravata, si potrebbe ritenere infatti che ‹‹il conseguente aumento della pena applicabile per il nuovo delitto non colposo dovrà essere necessariamente ricompreso nella forbice da un terzo (variazione minima rigida imposta per la recidiva semplice) fino alla metà (variazione massima elastica prevista per la recidiva aggravata)›› 387. Tale interpretazione adeguatrice si basa fondamentalmente sulla constatazione che ‹‹le diverse figure di recidiva aggravata non rappresentano ipotesi autonome rispetto alla recidiva semplice, ma presuppongono sempre anche la necessaria integrazione di quest’ultima››388. Tuttavia, la suesposta esegesi della norma sembra incrinata dall’ultimo inciso del comma 5° dell’art. 99, laddove stabilisce un livello minimo di aumento di un terzo per l’ipotesi speciale ivi contemplata di recidiva monoaggravata “obbligatoria”. Quest’ultima norma, infatti, a meno di interpretarla come frutto non improbabile di una svista del legislatore, dovrebbe far ritenere che, al di fuori dei delitti di cui all’art. 407, co. 2 let. a),

383

Questo punto pone un problema interpretativo di particolare rilievo come già segnalato nel corso dei lavori preparatori. In tal senso si veda l’intervento del sen. Fassone, in sede di dibattito presso la Commissione giustizia del Senato, nella seduta del 13 gennaio 2005, e del sen. Calvi, nella seduta del 26 gennaio 2005.

384

Cfr. PISTORELLI, op. cit., p. 63 ss.; FIANDACA-MUSCO, Diritto penale, Parte generale, 2007, 5° ed, Bologna, p. 447.

385

PISTORELLI, ult. op. cit. loc. cit.

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E’ bene ricordare, infatti, come più volte affermato anche dalla Corte Costituzionale, che tra più soluzioni astrattamente possibili, l’interprete deve optare per quella che renda la disposizione conforme alla Costituzione, evitando così di investire la Corte Costituzionale (cfr. sentenza C. Cost., 20 aprile 2000, n. 113, e, ex plurimis, tra le ultime, le ordinanze n. 32 del 2007, n. 24 4, n. 64 e n. 34 del 2006).

387

MELCHIONDA A., La nuova disciplina della recidiva, in Dir. pen. proc., 2006, p. 180.

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richiamati dall’art. 99, co. 5°, per la recidiva aggravata il giudice possa normalmente aumentare la pena di una frazione anche inferiore ad un terzo.

Nelle due prime ipotesi di recidiva appena analizzate sembrerebbe dunque che la dichiarazione sia rimasta “facoltativa”, e quindi affidata in concreto alla valutazione discrezionale del giudice, il quale, oltre ai presupposti formali richiesti dai primi due commi dell’art. 99 (costituiti dalle precedenti condanne per delitti dolosi, dalla identità dell’indole, dallo status di latitante od evaso del recidivo), dovrà continuare ad accertare in concreto anche i presupposti sostanziali, vale a dire se la ricaduta nel delitto non colposo sia effettivamente espressione di una più marcata pericolosità del reo ovvero costituisca indice della sua maggiore colpevolezza389, così come richiesto, secondo la dottrina prevalente, già dopo la novella del 1974390.

L’attuale comma 3 dell’art. 99 c.p., continua, inoltre, a disciplinare la fattispecie della recidiva “pluriaggravata”, ipotesi ravvisabile nell’eventualità che il nuovo delitto non colposo venga congiuntamente ad integrare più situazioni di “recidiva aggravata”, rilevanti ai sensi del comma 2, art. 99 c.p..

A differenza però della versione precedente, in cui si prevedeva che l’aumento di pena poteva (‹‹può››) arrivare fino alla metà, ora invece si afferma — stando alla lettera della disposizione — che l’aumento di pena ‹‹è››, in misura fissa, della metà.

Le novità introdotte perciò sembrerebbero due: da un lato, l’aumento di pena sembra essere diventato obbligatorio, dall’altro, esso sembra imposto in misura fissa. Tuttavia, è bene ricordare che questo maggior rigore è mitigato dalla possibilità non solo del giudizio di equivalenza, ma anche di quello di prevalenza delle attenuanti, che, come si vedrà infra, è invece negato in caso di recidiva reiterata.

389

Così PISTORELLI L., op. cit., p. 61; MELCHIONDA A., ult. op. cit., p. 180.

390

Si deve tener conto tuttavia di un consistente difforme orientamento di parte della giurisprudenza che, nel vigore della precedente disciplina, riteneva che la “facoltatività” introdotta dalla riforma del 1974 avesse ad oggetto solo l’applicazione, o meno, dell’aumento di pena, fermo restando lo status di recidivo, che conseguirebbe automaticamente alla commissione del nuovo fatto di reato, con la conseguente automatica produzione di tutti gli altri effetti pregiudizievoli c.d. minori connessi alla recidiva (in tema di oblazione, di riabilitazione, amnistia, etc.). Per quest’ultima giurisprudenza, criticata dalla prevalente dottrina, si vedano Cass. penale, Sez. VI, 5 settembre 1974, in Cass. Pen., 1976, p. 163; Id., Sez. V, 22 novembre 1974, in Riv. it. dir. proc. pen., 1976, 303; Id., Sez. I, 18 settembre 1992, in Cass. Pen., 1994, p. 310 (in tema di oblazione discrezionale); Sez. IV, 16 marzo 2003, in Cass. pen., 2005, p. 2261 (in tema di oblazione speciale); si veda comunque più avanti il § 2.2..

Della restaurazione del regime obbligatorio in tema di recidiva pluriaggravata, così come era previsto originariamente nel codice Rocco, sembra tuttavia lecito dubitare alla luce delle considerazioni che verranno di seguito svolte con riferimento alla recidiva reiterata, attraverso un’interpretazione sistematica dell’intero art. 99, che prenda in considerazione i reciproci rapporti strutturali dei singoli commi del nuovo art. 99, specialmente riguardo al nuovo comma 5°.

Il comma 4 dell’art. 99 c.p., inoltre, ancora prevede la c.d. “recidiva reiterata”, che ricorre nelle ipotesi in cui colui che sia stato già dichiarato recidivo commetta un altro delitto non colposo.

Il previgente articolo 99 prevedeva tre ipotesi di recidiva reiterata: la recidiva reiterata “semplice”, che poteva comportare un aumento di pena fino alla metà; la recidiva reiterata c.d. “aggravata”, nei casi previsti dai nn. 1 e 2 del comma 2 art. 99 c.p., cui corrispondeva un aumento fino ai due terzi, ed infine, la recidiva reiterata “aggravata”, nel caso previsto dal n. 3, cui poteva corrispondere un aumento di pena da un terzo a due terzi.

La nuova disposizione prevede, al contrario, solo due ipotesi: la c.d. recidiva reiterata semplice, con aumento di pena della metà e la c.d. recidiva reiterata aggravata (in tutti e tre i casi sopra descritti in relazione alla recidiva aggravata), con aumento d i pena di due terzi.

Dal confronto con la previgente disposizione emerge che il legislatore ha inteso abbandonare la dimensione elastica degli aumenti di pena, stabilendo oggi una variazione fissa ‹‹della metà››, per il recidivo reiterato “semplice”, e di ‹‹due terzi››, per il caso di recidivo reiterato “aggravato”.

Una delle principali novità contenute nella legge 251/2005, tuttavia, è rappresentata dall’inserimento di un nuovo comma 5° all’art. 99 c.p., con il quale si prevede espressamente una nuova ipotesi di recidiva specifica ed obbligatoria, per i delitti rientranti tra quelli indicati all’art. 407, comma 2 lettera a) c.p.p. L’ultima parte della disposizione del comma 5°, inoltre, statuisce che nei casi di c.d. recidiva monoaggravata, previsti dal co. 2°, l’aumento non può essere inferiore a un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto rientrante appunto nella citata norma di rito.

Con questa previsione, secondo la dottrina prevalente, il legislatore di fatto avrebbe moltiplicato le ipotesi di recidiva e le sue possibili conseguenze commisurative, attraverso una «cervellotica e pedante frammentazione di più situazioni», in quanto si ritiene abbia creato una

sottofattispecie per tutti i tipi di recidiva previsti dall’art. 99, avente come unico elemento di specializzazione il fatto che il delitto oggetto di giudizio rientri nell’elenco dettato dall’art. 407, comma 2 lettera a) c.p.p.391.

Per ciascuna forma di recidiva (semplice, monoaggravata, pluriaggravata e reiterata), perciò, a seconda che il delitto oggetto di giudizio sia previsto nel succitato articolo del codice di rito, si avrà una corrispondente forma obbligatoria di recidiva. Il passaggio dal regime discrezionale a quello obbligatorio in queste ipotesi speciali, si spiegherebbe considerando la particolare gravità dei delitti indicati nell’art. 407, co. 2, let. a) c.p.p., che sarebbero stati selezionati proprio sulla base del maggiore allarme sociale che essi sono in grado di suscitare, tale da giustificare la privazione al giudicante di ogni spazio di discrezionalità.

Tuttavia, il richiamo a questa disposizione del codice di procedura penale, è stato unanimemente molto criticato dalla dottrina.

Innanzitutto, i criteri in base ai quali il legislatore del processo ha selezionato i delitti da includere nell’elenco di cui all’art. 407, rispondono a finalità esclusivamente processuali quali quelle, ad esempio, di elevare la durata massima delle indagini preliminari a due anni, o i termini della custodia cautelare. Pertanto, sembrano poco conciliabili con le esigenze politico- criminali che dovrebbero essere sottese alla disciplina di istituti, come la recidiva, di carattere sostanziale392. A ben vedere, proprio a causa della diversa ratio che ha mosso il legislatore a creare l’elenco di cui all’art. 407, co. 2, i delitti in esso contenuti non appaiono affatto omogenei tra loro, rimanendo esclusi infatti delitti di ancor maggiore disvalore e allarme sociale393. Inoltre, il rinvio a tale catalogo di reati comporterà sicuramente molti problemi interpretativi in ordine all’individuazione dei delitti in relazione ai quali dovrà scattare il regime obbligatorio della recidiva: non sempre infatti il legislatore del codice di rito ha utilizzato il criterio nominale, quanto piuttosto si è servito di clausole aperte di predeterminazione come ad esempio nel riferirsi a tutti i delitti «commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo».

391

Cfr, per tutti, MELCHIONDA A., La nuova disciplina della recidiva, op. cit., p. 182.

392

E’ la prima volta, fa notare PISTORELLI, op. cit., p. 62, che questo catalogo di reati viene assunto come punto di riferimento per la disciplina di un istituto di diritto sostanziale.

393

L’ultimo comma dell’art. 99 c.p., infine, riprendendo il comma 5 della precedente versione, prevede il limite di carattere generale all’aumento di pena conseguente alla dichiarazione di recidiva, introdotto con la novella del 1974, individuato nel ‹‹cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo››394. Si tratta di una norma di chiusura che, come risulta dalla sua stessa collocazione395, vale per tutte le tipologie di recidiva di cui ai commi precedenti, e dunque anche per quella c.d. obbligatoria di cui al comma 5°.

Ma è soprattutto in relazione alla disposizione di cui al comma 4, dell’art. 99 c.p., tuttavia, che sono finora emersi i maggiori problemi interpretativi per gli operatori del diritto, a causa dei numerosi effetti che la riforma ricollega proprio alla dichiarazione (e/o applicazione) della recidiva reiterata, che oggi condiziona pesantemente molti istituti commisurativi a base discrezionale, previsti non solo nel codice penale396.

La laconicità del nuovo testo normativo, unita alla scarsa coordinazione sistematica interna allo stesso art. 99, dovuta ad una certa sciatteria legislativa, hanno fatto sorgere incertezze interpretative circa la natura “obbligatoria” o meno del riconoscimento della recidiva reiterata (ma il problema si pone anche, come abbiamo visto, per quella pluriaggravata, seppur con minori ripercussioni pratiche).

Da subito, infatti, in dottrina si sono profilate due opposte soluzioni esegetiche: l’una favorevole a ritenere come obbligatoria solo la nuova ipotesi eccezionale, prevista dal comma 5 dell’art. 99, mantenendo perciò ancorate ad un regime di discrezionalità giudiziale le altre

394

In proposito la Cass. penale, Sez. II, sent. 16 maggio 1985, Tinnirello, in C.E.D. Cass, n. 170553, ha ritenuto che si dovesse fare applicazione dell’ultimo comma dell’art. 99 c.p. anche per determinare il termine di prescrizione.

395

Da quanto è emerso dai lavori preparatori, infatti, (così riferisce PISTORELLI, op. cit., p. 64) tale opportuno meccanismo di contenimento degli aggravamenti sanzionatori derivanti dalla recidiva è stato posizionato all’ultimo comma — dopo essere stato inizialmente invece collocato al co. 5 —, in modo da poter trovare applicazione, senza alcun dubbio, anche con riferimento alla nuova ipotesi di recidiva obbligatoria prevista per i delitti di cui all’art. 407, co. 2 let. a) c.p. p.

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Di cui in parte si è già parlato, come nel caso della limitazione al giudizio di bilanciamento o della commisurazione nel reato continuato o nel concorso formale di reati, mentre per altri si tratterà infra. Per un dettagliato excursus dei vecchi e nuovi “effetti collaterali” della recidiva, si veda il recente contributo di BERTOLINO M., Problemi di coordinamento della disciplina della recidiva: dal codice Rocco alla riforma del 2005, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, p. 1145 ss.

ipotesi previste dai primi quattro commi397; l’altra, invece, sostenitrice del carattere obbligatorio sia della recidiva pluriaggravata che di quella reiterata (commi 3 e 4 dell’art. 99 c.p.)398.

Quest’ultima interpretazione si basa sia su un’analisi ermeneutica di tipo letterale del novellato testo dell’art. 99, sia sulla verifica delle «implicazioni logico sistematiche» dell’eventuale accoglimento della tesi contraria. Sotto il primo profilo, appare un indice inequivocabilmente a favore dell’obbligatorietà, l’utilizzo del verbo indicativo ‹‹è›› nelle ipotesi di recidiva pluriaggravata e reiterata, in luogo del verbo «può», utilizzato al contrario per la forma semplice e monoaggravata399. Inoltre, all’argomento che fa leva sulla espressa previsione dell’obbligatorietà contenuta nel nuovo comma 5°, tale dottrina obietta che quest’ultima disposizione potrebbe essere interpretata «anche (e probabilmente solo)» nel senso di aver voluto rendere obbligatorie, nei casi di particolare allarme sociale, individuati nell’elenco dei delitti previsti dall’art. 407 co. 2 let. a) c.p.p., le sole ipotesi di cui ai commi 1 e 2, considerate certamente da sempre come facoltative. L’ipotesi speciale di recidiva obbligatoria introdotta nel nuovo comma 5° costituirebbe, perciò, una sottospecie eccezionale solo della recidiva semplice e monoaggravata, come sarebbe ulteriormente evidenziato dalla parte finale del co. 5°, laddove soggiunge che l’aumento obbligatorio «nei casi indicati al secondo comma, non può essere inferiore ad un terzo». Viceversa, la recidiva pluriaggravata e quella reiterata sarebbero da considerare sempre obbligatorie, pur nella loro genericità e perpetuità. A simili osservazioni testuali, se ne aggiungerebbero poi altre, per lo più basate sulla ratio dell’intervento riformatore che, come abbiamo già evidenziato, ha come «“bersaglio privilegiato”» di una restaurazione repressiva il recidivo, in particolare quello reiterato, nell’intento complessivo di porre rimedio al «deperimento applicativo» dell’istituto della recidiva. L’accoglimento della tesi che ritiene ancora facoltativo il riconoscimento della

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MELCHIONDA A., La nuova disciplina della recidiva, op. cit., p. 181; PISTORELLI, op. cit., p. 62; SCALFATI A., Cade il bilanciamento delle circostanze, op. cit., p. 40; PALAZZO F., Corso di diritto penale. Parte generale, cit., p. 532.

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PADOVANI T., Commento all’art. 4, L. 5.12.2005, n. 251, in Leg. Pen., 2006, p. 446 ss., laddove afferma che «al vincolo dell’obbligatorietà si sottraggono ancora la forma semplice (art. 99 co. 1 c.p.) e quella monoaggravata (art. 99, co. 2 c.p.), con l’eccezione — introdotta dal 5° comma dell’art. 99 c.p. — dei delitti indicati dall’art. 407, co. 2 let. a c.p.p., rispetto ai quali l’aumento di pena è in ogni caso obbligatorio». Di opinione analoga anche SALERNO, Un intervento in linea con la Costituzione, op.

cit., p. 47; non prende posizione invece GIUNTA F., Dal disegno di legge alla legge ex Cirielli, cit., p.

18 e seg.

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recidiva reiterata, infatti, comporterebbe un sostanziale svuotamento delle conseguenze di inasprimento previste dal provvedimento riformatore; e dunque un sostanziale mantenimento

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