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La visione carcerocentrica del sistema sanzionatorio italiano e il problema della c.d «fuga dalla sanzione».

LA DISCREZIONALITÁ GIUDIZIALE TRA CORNICI EDITTALI, CIRCOSTANZE E FUNZIONI DELLA PENA

1. a) L’inadeguatezza delle previsioni edittali di pena e il ruolo supplente del giudice.

1.1. La visione carcerocentrica del sistema sanzionatorio italiano e il problema della c.d «fuga dalla sanzione».

L’accettazione del principio dell’extrema ratio implica che la minaccia della sanzione penale occupi l’ultimo posto nella scala delle misure a disposizione del legislatore, e all’interno di una scelta di penalizzazione, la sanzione detentiva, sub specie del carcere, a sua volta, deve risultare residuale, dovendo essere destinata a fatti di criminalità medio-grave.

Se è vero, infatti, che la pena detentiva rimane la pena “regina” per i reati di maggiore gravità, è ormai acquisizione pacifica l’effetto invece desocializzante e anzi criminogeno dell’esecuzione di pene detentive per talune tipologie di reati e di autori, soprattutto se di breve durata100

.

Non a caso, proprio per evitare che per reati puniti in via edittale con il carcere, ma attualmente ritenuti non gravi, si aprano le porte della detenzione, che realmente non comporta nessun beneficio nè per il soggetto, nè per la collettività, dalla seconda metà degli anni ’70 si è assistito al fenomeno che è stato felicemente definito come «fuga dalla sanzione detentiva»101, per via dell’introduzione legislativa di istituti di esecuzione alternativa102

, oppure sostitutivi delle pene detentive brevi103

, o attraverso l’aumento dei limiti entro i quali è concedibile la sospensione condizionale della pena, dei quali però nel tempo si è fatta un’eccessiva e meccanica applicazione giudiziale104, ampliando ancora di più la discrezionalità giudiziale105.

100

Su questo aspetto da ultimo cfr. MENGHINI A., Le sanzioni penali a contenuto interdittivo. Una proposta de iure condendo, Giappichelli, 2008.

101

Espressione coniata già dal BRICOLA F., Le misure alternative alla pena nel quadro di una “nuova” politica criminale, in Pene e misure alternative nell’attuale momento storico , Giuffrè, 1977, p. 363.

102

Si tratta della legge 26 luglio 1975, n. 354, che ha introdotto il “nuovo ordinamento penitenziario”, potenziato in seguito dalla c.d. legge Gozzini del 1986 e dalla riforma dell’esecuzione penale avvenuta con la legge c.d. Simeone del 1998. Tutte novelle legislative con le quali fu notevolmente incrementato il potere discrezionale giudiziale, anche sul versante della esecuzione della pena, attraverso l’introduzione di misure alternative alla detenzione, tra le quali il giudice dell’esecuzione, in modo piuttosto “flessibile”, poteva scegliere quella ritenuta discrezionalmente più adatta alla finalità rieducativa del trattamento.

103

Ad opera della legge 24 novembre 1981, n. 689 (capo III «sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi», in particolare art. 58).

104

Su tali aspetti si veda DOLCINI E., Pene detentive, pene pecuniarie, pene limitative della libertà personale: uno sguardo sulla prassi, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2006, p. 95 ss.

Questa situazione è dipesa, a ben vedere, principalmente dal nostro vetusto sistema carcerocentrico, che concepisce la sanzione edittale solo come misura della pena detentiva, anche per reati di lieve entità. Ma il legislatore penale, invece di incidere sulle comminatorie edittali, per adeguare la risposta sanzionatoria all’indispensabile esigenza di flessibilità, che discende dal dettato costituzionale di cui all’art. 27, comma 3 Cost., in quanto funzionale all’individualizzazione della pena, ha trasferito tale compito sul giudice dell’esecuzione e di sorveglianza, andando ancora di più a determinare quello scollamento tra previsione astratta e pena in concreto106

, di cui abbiamo già ampiamente trattato nei paragrafi precedenti.

A pene sempre più severe in astratto, corrisponde infatti una tipologia di esecuzione indulgenziale, talvolta anche per tipologie di reati puniti con pene elevate, incrementando una complessiva sfiducia nel sistema, che non può certo essere ridotta attraverso il solo incremento sanzionatorio107

.

Una simile visione della funzione della pena legale prevalentemente, se non esclusivamente, come minaccia, intimidazione e dunque in senso generalpreventivo, contrasta ormai, tra l’altro, con la dominante concezione polifunzionale della pena, accolta sia dalla Corte Costituzionale, che dalla prevalente dottrina108

.

Il problema delle possibili sanzioni alternative al carcere, e dunque della risoluzione di tutti i problemi che esso comporta in termini anche di diritti umani e di costi sociali, è sentito d’altronde anche a livello internazionale, come dimostra l’azione intrapresa dall’O.N.U., ed in particolare dall’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (U.N.O.D.C.), che il 23 ottobre 2008 ha tenuto una discussione informale tra esperti sulle «alternatives to imprisonment», un argomento che è sempre stato tra i principali nodi della giustizia penale all’attenzione delle Nazioni Unite, da quando è stato discusso al VII Congresso dell’O.N.U. sulla “Crime Prevention and Criminal Justice”, svoltosi a Milano nel 1985.

105

Per un’analisi degli istituti che hanno contribuito alle cause della ineffettività del sistema sanzonatorio italiano, cfr. VASSALLI G., La pena in Italia, oggi, in Studi in memoria di P. Nuvolone, vol. I, Giuffrè, 1991, p. 619 ss.

106

DI MARTINO A., La sequenza infranta. Profili della dissociazione tra reato e pena , Giuffrè, 1998.

107

Cfr. Su questo punto, ad esempio, CORBETTA S., Restituire credibilità all’apparato repressivo: se non ora, quando?, in Corriere mer., 2008, p. 269 ss.

108

Cfr. FIANDACA G., Scopi della pena tra comminazione edittale e commisurazione giudiziale, in Diritto penale e giurisprudenza costituzionale, cit., p. 131 ss.

In quel tempo la carcerazione (the “imprisonment”) costituiva indubbiamente la pietra angolare del sistema punitivo penalistico nella maggior parte dei paesi109. Lo scopo della pena era d’altronde incentrato tutto sulla natura retributiva del sistema penale, alla quale la tipica graduabilità della sanzione detentiva si adeguava perfettamente: i colpevoli erano puniti principalmente attraverso la negazione dei loro diritti e libertà fondamentali, in modo proporzionato ai diversi gradi di disvalore dell’illecito, e nel modo più democratico ed egalitario possibile, incidendo su un bene primario che appartiene a chiunque110

.

Da allora però molto è cambiato nelle legislazioni penali moderne, che hanno via via previsto delle sanzioni alternative alla detenzione carceraria per i reati di minor disvalore (come ad esempio il lavoro di pubblica utilità, (“community service”)), visti come l’unica risposta all’incremento dei costi, in termini sia finanziari che umani, dovuti al sovraffollamento carcerario.

Tuttavia, come dimostrato da un gruppo di esperti del “Strategic Planning Unit” dell’UNODC: «retribution is still very much in demand» nella pubblica opinione. Perciò, anche se le tipologie di pena alternative, insieme alle risoluzioni alternative del processo

109

Come noto l’affermarsi della privazione della libertà personale come sanzione penale si sviluppa nel pensiero dei riformatori illuministi della seconda metà del XVIII sec., quale strumento capace di offrire una risposta punitiva graduabile, che attinge al bene della libertà personale, di cui chiunque è dotato, ma soprattutto come importante gesto di civiltà, rispetto alle pene corporali e alla tortura, pratiche allora piuttosto diffuse. Per un’ampia analisi anche storiografica delle ragioni del successo dell’ascesa della pena detentiva, cfr. PADOVANI T., L’utopia punitiva: il problema delle alternative alla detenzione nella sua dimensione storica, Giuffrè, 1981. Sul tema, amplius, FOUCAULT M.,Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, trad. di Tarchetti A., Einaudi, 1993.

110

Sui rischi di sperequazioni che comporterebbe una massiccia opera di sostituzione della pena detentiva, con riferimento però al problema delle misure alternative alla detenzione previste dall’ordinamento penitenziario, si veda BRICOLA F., Le misure alternative alla pena nel quadro di una ''nuova'' politica criminale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1977, p. 27, ove l'A. sottolinea in realtà gli aspetti di possibile disuguaglianza insiti nell'applicazione di identiche misure alternative a soggetti diversi, che in ragione della differente situazione personale, potrebbero percepire in maniera assai divergente la limitazione di beni “alternativi” alla libertà personale, poiché diversamente disponibili e “preziosi”. si nota inoltre come la scelta stessa della misura alternativa piuttosto che della detenzione in carcere venga a dipendere dalla stessa esistenza in capo al reo di ulteriori beni rispetto alla libertà personale, con un netto sfavore delle persone in condizioni più disagiate, prive di interessi da “barattare” con quello della libertà personale. Cfr. anche DOLCINI E., Le misure alternative oggi: alternative alla detenzione o alternative alla pena?, in Riv. it. dir. proc. pen., 1999, p. 875-876. Con riferimento alle sanzioni del giudice di pace, si veda in argomento PAVARINI M., Le attuali tendenze della penalità: residualità del carcere e pene alternative di fronte alla competenza penale del giudice di pace , in Picotti-Spangher (a cura di), Competenze penali del giudice di pace e 'nuove' pene non detentive, cit., p. 52-53.

(come la mediazione o il risarcimento), stanno divenendo sempre più popolari, il numero dei detenuti è continuato a salire (number of prisoners per 100,000 people) 111.

Un’altra problematica emersa in occasione dell’incontro di esperti appena citato riguarda d’altronde i possibili effetti collaterali dell'introduzione di alternative al carcere, che a ben vedere potrebbero tradursi in una pesante ingerenza da parte dello Stato nella vita dei cittadini (l’effetto c.d. “net-widening”112).

Uno dei principali risultati emersi dalla discussione riguarda, infatti, la necessità di effettuare maggiori ricerche per comprendere il reale impatto delle pene alternative, sia sul sistema di giustizia penale, che sulla società più in generale. E’ stato inoltre proposto che i giudici debbano essere consapevoli dei costi associati alle diverse opzioni, compresa la reclusione, nel loro compito di sentencing113

.

Occorre sottolineare, inoltre, come l’introduzione delle numerose alternative al carcere, a seguito del nuovo ordinamento penitenziario, e la generalizzata ed indiscriminata indulgenza della linea di politica criminale dei tribunali dell’esecuzione e di sorveglianza italiani, hanno però nel tempo portato inevitabilmente a lasciare insoddisfatte le esigenze di prevenzione generale e di difesa sociale, conducendo in ultima analisi anche ad un notevole aumento della criminalità comune.

La spinta emotiva suscitata nell’opinione pubblica ha così portato il legislatore italiano ad intervenire, in una logica puramente repressiva, con provvedimenti urgenti durante la stagione della legislazione dell’emergenza: con l’inasprimento dei limiti edittali per alcuni delitti comuni sentiti dall’opinione pubblica come gravi ed odiosi (rapina a mano armata, sequestro, estorsione, ecc.); con l’introduzione di un’aggravante speciale per i reati commessi

111

Dirk van Zyl Smit, segnala però come questo possa essere dovuto all’applicazione di condanne più lunghe, e non ad un incremento dei casi portati davanti alle Corti. Cfr. VAN ZYL SMIT D., Handbook of Basic Principles and Promising Practices on Altern atives to Imprisonment, by UNODC, 2007.

112

Letteralmente “rete che si allarga”.

113

A dimostrazione del grande rilievo nel dibattito internazionale del superamento di una visione carcerocentrica nella giustizia globale, gli argomenti trattati costituiranno specifico oggetto di discussione durante la prossima Commissione sulla prevenzione del crimine e giustizia penale, che si terrà nel mese di aprile 2009, nonché in due seminari al dodicesimo Congresso delle Nazi oni Unite, che si terrà a Salvador, Brasile, nel mese di aprile 2010.

per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine costituzionale; attraverso l’introduzione di nuove fattispecie di reati associativi, sia in materia di criminalità politica che mafiosa114.

Ma il recupero delle istanze di prevenzione generale e di difesa sociale è avvenuto soprattutto attraverso l’uso distorto della carcerazione preventiva. Un dilagare sempre più in contrasto con il principio costituzionale di presunzione di non colpevolezza sino all’ultimo grado di giudizio115.

Questo ampliamento dello strumento cautelare della custodia in carcere è stata l’unica risposta che di fatto il legislatore italiano ha saputo trovare all’ineffettività della sanzione penale, tradottasi, nella c.d. “fuga dalla sanzione”116

. L’eccessiva lunghezza dei processi, col rischio di impunità per i criminali, a causa di prescrizioni, amnistie o indulti, hanno deluso l’aspettativa dei cittadini sull’effettiva applicazione della pena attraverso un regolare processo, unitamente all’uso indulgenziale dei benifici penitenziari, e ha contribuito a trasformare la carcerazione preventiva in un vera e propria pena anticipata117

. E ciò si dimostra facilmente se

114

Per una ampia analisi di questi provvedimenti legislativi cfr. PALAZZO F., La recente legislazione penale, Cedam, 1985.

115

Sugli effetti controproducenti e pericolosi di “fatale corruttela” della carcerazione preventiva si veda già Francesco Carrara nel suo Immoralità del carcere preventivo, in Opuscoli di diritto criminale, vol. IV, Lucca, 1874, p. 299 ss., come sottolineato da GREVI V., Francesco Carrara e l’“immoralità” del carcere preventivo, in Studi in memoria di P. Nuvolone, vol. I, Giuffrè, 1991, p. 717 ss., che riferisce come il “motto” posto in epigrafe allo studio del Maestro fosse: «se è vero che le società civili «debbono studiare i modi onde ottenere che la punizione corregga», a maggior ragione esse «dovrebbero altresì studiare i modi per impedire che la prevenzione corrompa».

116

Cfr. DOLCINI E., La pena in Italia, oggi, tra diritto scritto e prassi applicativa, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di Dolcini E. e Paliero C. E., v. II, Giuffrè, 2006, p. 1073 ss.

117

Ad ampliare l’ambito della carcerazione preventiva hanno contribuito diversi strumenti legislativi, quali il prolungamento dei termini massimi di durata della stessa e l’aumento dei casi di cattura obbligatoria; l’estensione del divieto di concessione della libertà provvisoria anche per i reati più gravi, l’inclusione delle esigenze di tutela della collettività fra i criteri idonei a giustificare la carcerazione preventiva facoltativa, che può essere disposta anche per i reati meno gravi. Giova peraltro ricordare che tale norma — in precedenza era limitata ai soli più gravi delitti di mafia — è stata più volte impugnata dinanzi alla Consulta e alla CEDU per violazione dei principi di ragionevolezza, uguaglianza, diritto all'equo processo (accusatorio) e diritto alla difesa, nonché per violazione della presunzione di innocenza. Va anche ricordato che la Consulta ha ritenuto che tale principio non sia di per sé violato dalla custodia cautelare, nella misura in cui essa risponda ad esigenze strettamente processuali e non rappresenti invece un’anticipazione della pena. Così come va ricordato che entrambe le citate Corti hanno “salvato” tale norma (figlia del vecchio mandato di cattura obbligatorio) solo in quanto limitata esclusivamente ai delitti di mafia. E' infatti evidente l'irragionevolezza di una disciplina, quale quella di cui all’art. 275, comma 3, c.p.p., fondata sull’opzione secca tra custodia cautelare in carcere (presunta come misura adeguata nei confronti dell’imputato raggiunto da gravi indizi di colpevolezza per delitti di mafia) e assenza di ogni altra misura in presenza della prova positiva in ordine alla totale insussistenza di esigenze cautelari: caso nel quale il giudice non potrebbe

solo si considera che la posizione dell’imputato è più afflittiva di quella del condannato: se il secondo può beneficiare dei benefici penitenziari (quali le misure alternative alla detenzione), per il primo questi sono espressamente vietati118

.

A questa stessa logica di recupero di istanze di prevenzione generale e difesa sociale sembra ispirarsi il nuovo Decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio 2009, recante “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonche´ in tema di atti persecutori”, che introduce l’obbligatorietà dell’arresto in flagranza e della custodia cautelare in carcere per i delitti di violenza sessuale, di gruppo e monosoggettiva (salvi i casi di minore gravità), nonché per quelli di pornografia e prostituzione minorili, iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile (c.d. turismo sessuale) e atti sessuali con minore ultrasedicenne.

applicare una misura più tenue della detenzione in carcere ante judicium, essendo quindi costretto a scegliere tra misura custodiale in carcere e libertà.

118

L’uso ormai diffuso della carcerazione preventiva come vera e propria (se non unica) forma di risposta punitiva è evidenziato chiaramente dai dati statistici. Sono 50.851 i reclusi nelle carceri italiane, il 60% è in attesa di giudizio. Il 35% è straniero e il 23,4% tossicodipendente. Nelle carceri italiane ci sono più imputati che condannati. Ogni dieci detenuti sei sono in attesa di giudizio. Soltanto 20.190 dei 50.851 detenuti è stato condannato. Questi gli ultimi dati aggiornati del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, relativi al 21 febbraio 2008. Nelle carceri italiane (o meglio istituti penitenziari), nonostante l’indulto, è di nuovo sovraffollamento. Ad oggi sono detenute 7.702 persone in più rispetto alla capienza. L’indulto aveva liberato più di 25mila persone. Così dai 61.264 detenuti del 30 giugno 2006 si era passati al minimo storico dei 33.326 nel settembre 2006. Ma le leggi su ll’uso di stiupefacenti, sulla lotta all’immigrazione clandestina e sul contrasto alla recidiva hanno continuato a far aumentare gli ingressi in carcere, con un’incremento di 1.000 persone al mese. La capienza regolamentare di 43.149 posti è stata superata il 30 giugno 2007 con 43.957 presenze ed è continuata ad aumentare fino alle 48.693 unità del 31 dicembre e le oltre 50.000 del 21 febbraio 2008. Eppure , per completezza, occorre segnalare che il tasso di carcerazione in Italia è tra i più bassi in Europa: 94 detenuti ogni 100.000 abitanti. Meno di un terzo dei 321 dell’Estonia, che detiene il primato seguita da Lettonia, Lituania e Polonia. Ma anche molto meno della Spagna (146) o della Gran Bretagna (145). Un dato tipico della popolazione carceraria italiana però, e forse il più inquietante, è quello dei detenuti in attesa di giudizio: sono il 60%, 29.166 persone, più dei condannati, complice la lentezza dei procedimenti penali nel nostro Paese. Tra i condannati, il 29,5% sconta una pena per reati contro il patrimonio, il 16,5% contro la persona, il 15,2% per violazioni della legge su gli stupefacenti, il 3,7% per reati contro l’amministrazione e il 3,2% per associazione mafiosa. Le donne rappresentano il 4% dell’intera popolazione carceraria. Per loro non vale il problema del sovraffollamento, visto che le detenute sono 2.278 su 2.358 posti disponibili. Tuttavia sono ancora 50 le detenute madri con bambini al seguito, di età inferiore ai tre anni. I detenuti stranieri sono il 35% della popolazione. Nel 1990 erano solo l’8%. Perlopiù si tratta di africani. Il 23,4% dei detenuti è tossicodipendente e il 4% in trattamento metadonico. Un altro 2% ha problemi di alcolismo. Per quanto riguarda la durata delle pene, il 31,9% dei detenuti sconta pene inferiori ai tre anni, che dunque avrebbero potuto astrattamente usufruire delle misure alternative. Il 21,3% sconta pene tra i tre e i sei anni ed il 46,8% sconta pene di durata superiore.

Il decreto-legge citato estende inoltre ai reati a sfondo sessuale la disciplina prevista in materia di benefici penitenziari relativamente al crimine organizzato (art. 4 bis legge 354/1975). Da un lato infatti - e con un’innovazione solo parziale rispetto alla legge 38/2006 - i delitti di fruizione della prostituzione minorile, divulgazione di materiale pedopornografico, turismo sessuale, violenza sessuale nelle ipotesi di minore gravità e di atti sessuali con minore ultrasedicenne, sono ricompresi tra quelli per i quali i benefici penitenziari sono concessi solo in assenza di elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata terroristica o eversiva (art. 4-bis, comma 1, quarto periodo). Dall’altro lato, i delitti di sfruttamento di minori nella prostituzione o nella produzione di materiale pedopornografico, nonché quelli di violenza sessuale (salvi i casi di minore gravità), anche aggravata e di gruppo e di atti sessuali con minorenne, sono ricompresi tra quelli per i quali i benefici penitenziari sono ammessi solo in caso di collaborazione (ancorché impossibile o inutile), che, tuttavia, se particolarmente rilevante ai fini dei delitti di criminalità organizzata, è meno conforme alle caratteristiche di delitti monosoggettivi come quelli di violenza sessuale.

1.2. L’attuazione di una polifunzionalità della pena in senso forte: una caratterizzazione

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