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Il controverso fondamento della recidiva e gli strumenti politico criminali per contrastarla.

IL RUOLO DELLA RECIDIVA NELLA DETERMINAZIONE DELLA RISPOSTA SANZIONATORIA

0. Il controverso fondamento della recidiva e gli strumenti politico criminali per contrastarla.

1.1. La funzione delle diverse forme di recidiva nella commisurazione della pena. 1.2. Da Status soggettivo sintomo di maggiore colpevolezza e/o pericolosità a strumento di politica criminale di controllo sociale e sicurezza: la riforma italiana del 2005 e quella spagnola del 2003. 1.3.L’influenza delle leggi americane dei “three strikes and you are out” sui sistemi continentali sia di common che di civil law. 1.4.Il fallimento delle politiche del “mandatory sentencing”.1.5. L’attuale disciplina della recidiva e la crisi del principio rieducativo.2.Il ripudio della recidiva come elemento di aggravamento della pena: il caso isolato del sistema tedesco. 2.1. La recidiva come indice di pericolosità sociale e requisito di applicazione di una misura di sicurezza.

0. Il controverso fondamento della recidiva e gli strumenti politico criminali per contrastarla.

E’ veramente significativo notare come, a distanza di oltre un secolo, la descrizione dello stato della scienza penalistica sul tema della recidiva di uno dei maggiori esponenti della Scuola Classica sia ancora ampiamente valida ed attuale: «la recidiva, che appare a taluno sterile tema, e suscettibile appena di essere costruito a teoria, porge argomento ad importantissimi ed eleganti problemi, che richiamano le attente meditazioni dei criminalisti e dei legislatori. Ciò si dimostra, a parer mio senza fallo, mercé una rapida escursione intorno le divergenze e questioni che su cotesto proposito dividono non solo le scuole, ma anche i Codici modernamente preposti ai vari Stati d’Europa. Avvegnaché mi sembri incontrastabile, che quando sovra un punto di gius discordano legislazioni sorte sotto le ispirazioni progressive del secolo presente, sia necessità convenire che su tal punto la scienza non abbia ancora detto la sua ultima sillaba»331

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331

CARRARA F., Stato della dottrina sulla recidiva, in Opuscoli di diritto criminale, 5º ed., vol. II, Casa Editrice Libraria “Fratelli Cammelli”, 1898, p. 127 (corsivi dell’A.).

La difficoltà di rintracciare un chiaro ed univoco fondamento alla recidiva332, visto il suo carattere ontologicamente bidimensionale, e il suo stretto collegamento con il fenomeno stesso della criminalità e dunque con le diverse ideologie sulle finalità della pena dominanti nei vari periodi storici, non poteva non riflettersi anche sulle diverse misure politico-criminali apprestate dai governi per prevenirla e contrastarla333

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Nella diversità dei contesti e delle tradizioni culturali, tuttavia, è possibile scorgere delle costanti nella trattazione del fenomeno criminale della recidiva.

Si è passati da una fase storica in cui dominavano le tesi “abolizioniste” ad una fase, soprattutto a cavallo dei secoli XIX e XX, in cui invece si è parlato in merito alla disciplina della recidiva addirittura di una “ossessione creatrice”334

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La recidiva, infatti, pur essendo conosciuta già nelle più arcaiche concezioni oggettivistiche del diritto penale, fu contrastata dai fautori della concezione classico- retributiva, in quanto andava a spezzare l’equazione reato-pena fondata sulla gravità del singolo illecito. In base a questa dottrina c.d. abolizionistica335, infatti, la pena doveva necessariamente essere proporzionata al male commesso, senza poter tener conto di elementi soggettivi336

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332

Per una ricostruzione di tipo storiografico dell’istituto cfr. MARCHETTI P., L'armata del crimine. Saggio sulle origini della recidiva, Cattedrale, 2008.

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Cfr. infatti già STILE A.M., Discrezionalità e politica penale giudiziaria, cit., p. 290, nota 32: «È certo, intanto, che un uso corretto e controllabile della discrezionalità nella irrogazione degli aumenti di pena per la recidiva presupporrebbe accertata, oggi, la funzion e della pena (...), il che certamente non è, così in dottrina come ancor più, nella prassi. Proprio per queste ragioni (...) la nuova disciplina della recidiva non sembra proporre problemi di politica della pena (e di arbitrio giudiziario) diversi da quelli tradizionali».

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Tesi fondamentale della dottrina abolizionistica è quella per cui un diritto penale retributivo, che considera la pena quale retribuzione del ‹‹fatto››, della singola azione delittuosa, non può tener in alcuna considerazione la recidiva: questa infatti si risolverebbe nel porre nuovamente a carico dell’agente un’azione per la quale l’agente ha già risposto, con palese violazione del ‹‹ ne bis in idem››

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Per capire le ragioni sottostanti alle teorie che negavano qualsiasi tipo di effetto allo stato di recidivo, basta ricordare la IX disposizione in materia penale formulata da Morelly più di due secoli fa nel Code de la nature: «terminata la pena sarà proibito a ogni cittadino di farne il minimo rimprovero alla persona che l’ha scontata o ai suoi parenti, d’informarne le persone che l’ignorano e anche di mostrare il minimo rimprovero alla persona che l’ha scontata o ai suoi parenti, d’informarne le persone che l’ignorano e anche di mostrare il minimo disprezzo per i colpevoli, in loro presenza o assenza, sotto pena di subire la stessa punizione» Così riferito da FERRAJOLI L., Diritto e ragione - Teoria del garantismo penale, cit., p. 759.

Dopo aver superato però queste antiche resistenze, la recidiva ha fatto il suo ingresso nella maggior parte delle codificazioni penalistiche principalmente per poter soddisfare esigenze di prevenzione generale.

Risalendo al diritto dei popoli antichi si nota come il concetto di recidiva fosse in realtà già conosciuto337.

Il diritto mosaico adottava una concezione retributiva dell’istituto, come anche le legislazioni indiane che prevedevano, accanto ad una recidiva generica, alcune ipotesi di recidiva specifica per i reati di furto e adulterio.

Nel diritto penale romano, secondo alcuni autori338, si distingueva già addirittura tra recidiva e semplice reiterazione nel reato, in quanto si richiedeva, per la sussistenza della prima, l’avvenuta espiazione della pena inflitta per il precedente illecito.

Nonostante il diritto romano punisse i recidivi a seconda del tipo di reati con pene diverse, si deve precisare, tuttavia, che il Corpus Juris non elaborò una vera e propria costruzione giuridica della recidiva come circostanza aggravante del reato.

Si arrivò ad un maggiore approfondimento teorico dell’istituto nel diritto intermedio, grazie soprattutto all’opera dei giureconsulti del tempo. Interessanti appaiono i principi affermati da Farinaccio: non poteva sussistere recidiva se prima non vi fosse stata condanna ed espiazione della pena in ordine al precedente delitto.

Disposizioni piuttosto severe erano previste, poi, nei vari Statuti penali preunitari in caso di recidiva339. Ma, come affermato anche dal Manzini ‹‹il regolamento giuridico della recidiva, fino agli ultimi anni del secolo XVIII, fece scarsissimi progressi››340.

Il codice delle Due Sicilie del 1819 modificò l’impostazione ora esposta, secondo cui era necessaria, ai fini della sussistenza della recidiva, la previa espiazione della pena inflitta

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Etimologicamente da “rursus cadere” (cadere di nuovo) nella accezione preferita da ANDREOTTI, Recidiva, in Enc. Giur. Italiana, vol. XIV, p. 283 ss,; avversata da BRUSA, Studi sulla recidiva, Milano, 1886, p. 11 ss., il quale ritiene che derivi dal verbo “recidere”, che indica il ripullulare delle cose.

338

BRUSA, Studi sulla recidiva, cit., p. 57 ss.

339

Ad Ancona, per esempio, si prevedeva la fustigazione nudi; a Pavia, Ferrara e Milano si applicava la pena di morte.

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MANZINI V., La recidiva nella sociologia, nella legislazione e nella scienza del dir. penale, Torino, 1890.

per il precedente reato, affermando che fosse elemento sufficiente anche la sola precedente sentenza di condanna, purché irrevocabile (art. 78)341.

Il codice penale del 1889, conosciuto come codice Zanardelli, collocava la disciplina della “Della recidiva” in un titolo autonomo (Titolo VIII), dopo quello relativo al concorso di reati e di pene, e impostava la recidiva quale circostanza aggravante della pena (non del reato) prevedendo “dosimetrie sanzionatorie” a seconda del tipo di recidiva, stabilendo inoltre, con altrettanta precisione, che cosa si dovesse intendere per reati della stessa indole (art. 82 c.p. 1889)342. L’art. 80 del codice penale del 1889, nel disciplinare la forma semplice di recidiva, fissava al comma 1, due termini, decorrenti dal giorno in cui la pena fosse stata scontata o la condanna estinta, oltre i quali la recidiva non aveva alcun rilievo: dieci anni, se la pena era superiore ai cinque anni di durata; non oltre cinque anni negli altri casi. La recidiva semplice, come venne definita più tardi, ovvero quella per cui è sufficiente che il reo compia solo due reati, veniva pertanto configurata dal Codice Zanardelli come una recidiva temporanea, sebbene generica, non comportante, fra l’altro, un aumento di pena, quanto invece un effetto commisurativo intraedittale, poichè il giudice non poteva punire il recidivo «con il minimo della pena incorsa per il nuovo reato» (art. 80, comma 1); salvo nell’ipotesi di recidiva specifica, ovvero che «il nuovo reato sia della stessa indole di quello per il quale è stata pronunciata la precedente condanna» (art. 80, comma 2), nel qual caso, invece, il giudice doveva aumentare la pena in modo proporzionato alla gravità del nuovo reato, in base ad una serie di regole commisurative particolareggiate.

In sintonia dunque con la concezione classico-garantistica, il codice del 1889 ha così ritenuto di prevedere una recidiva, sì obbligatoria, per garantire a tutti i recidivi eguale trattamento, ma nello stesso tempo, nella generalità dei casi, specifica (anche nel caso di recidiva reiterata (art. 81)), in base alla antica convinzione che recidivo sia solo chi ricade in un reato della stessa natura, in quanto, solo in presenza di un nuovo reato omogeneo, si può ritenere che la pena sofferta si sia rivelata insufficiente; e altresì, temporanea, in quanto

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Distingueva infatti la recidiva dalla reiterazione, la quale ultima era ravvisabile ‹‹quando il colpevole di un misfatto, per il quale non è stato ancora legalmente condannato, commette altro misfatto; o il colpevole di delitto commette altro delitto; o il colpevole di contravvenzione c ommette altra contravvenzione››. Invero, come si osserva, la reiterazione si poteva configurare solo quando veniva commesso più volte lo stesso genere di reati. Nei casi di concorso di reati, diversi dalla reiterazione, si applicava invece la sola pena pre vista per il reato più grave.

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l'astensione dal delitto per un certo numero di anni depone a favore della sufficienza della pena.

Nella struttura originaria del codice del 1930, in linea con la concezione autoritaria dell’epoca, la recidiva era disciplinata, invece, in maniera assai più severa che nel codice previgente.

Le nuove Scuole di pensiero, che emergevano in quegli anni, portarono tuttavia allo smantellamento della massima, formulata nel diritto comune, secondo cui ‹‹consuetudo delinquenti est circumstantia aggravandi delictum et puniendi delinquentem acrius››: si faceva strada la tesi per cui la recidiva non potesse sempre assumersi necessariamente solo come indice di maggiore colpevolezza, ma che dovesse, invece, essere studiata in rapporto all’uomo e alla sua innata proclività al delitto.

Un postulato simile, tipico del positivismo, si riconnetteva alla nuova concezione del reato, divenuto “elemento sintomatico di una personalità socialmente pericolosa343”.

Il legislatore del 1930, perciò, cercando un compromesso tra le istanze classico- retributive e le nuove tendenze positivistiche, conferì a tale istituto le caratteristiche di genericità, obbligatorietà e perpetuità.

Il codice penale Rocco è stato oggetto però, nel corso degli anni, di importanti riforme in tema di recidiva, come quella dell’aprile 1974344 e quella ancor più recente del dicembre 2005345 che saranno esaminate nel paragrafo a seguire.

La disciplina risultante da tutta questa serie di modifiche si presenta perciò non sempre coerente, ed organica, e offre ancora adito alle più svariate ricostruzioni, così come dimostra la giurisprudenza italiana prevalente che, nel disorientamento generale, individua il fondamento della recidiva indistintamente sia nella maggiore colpevolezza per il fatto, in senso diagnostico-retributivo, che nella maggiore pericolosità dell’autore, in senso prognostico- specialpreventivo: questa incertezza sembra d’altronde dovuta anche alle divergenze ancora esistenti sulle finalità della pena e sul conseguente trattamento da riservare ai delinquenti

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Così la Relazione del Guardasigilli giustificava l’accoglimento del sistema della recidiva a tempo indeterminato: ‹‹seppur rigoroso, siffatto principio si presentava necessario per un Progetto, che tiene in considerazione tutta la vita antecedente del colpevole, non soltanto agli effetti di dichiarazione di abitualità e professionalità nel reato, ma anche agli effetti dell’applicazi one della pena in concreto, entro i limiti del potere discrezionale del giudice›› .

344

D.L. 11 aprile 1974, n. 99, convertito nella l. 7 giugno 1974, n. 220.

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pericolosi, che, a ben vedere, riguardano più a monte il rilievo che dovrebbe assumere la valutazione della “capacità a delinquere” nella determinazione della risposta sanzionatoria.

Nonostante la dottrina italiana prevalente in tema di recidiva, rintracci il fondamento dell’aumento di pena che l’ordinamento ancora vi ricollega nella maggiore “colpevolezza” dell’autore346; questa ricostruzione, sebbene fondata su argomenti assai suggestivi, non sembra però più del tutto convincente, perché non riesce a spiegare quale criterio dovrebbe guidare il giudice nell’aumentare la pena, rimanendo, anche dopo la novella del 2005 — come vedremo per interpretazione costante ormai sia in dottrina che in giurisprudenza —, una circostanza a carattere discrezionale, sia nella forma pluriaggravata che reiterata347, non essendo d’altronde in alcun modo d’ausilio il tralatizio richiamo all’art. 133 c.p..

Come dovrebbe procedere il giudice, se — come avviene, tra l’altro, di frequente — il retroterra criminologico del reo evidenzi una spiccata capacità criminale per la sua professionalità nel commettere reati, di vita dunque dedita al delitto, insieme però ad una condizione familiare, sociale ed esistenziale, capaci, al contempo, di attenuare quel giudizio di colpevolezza, dovuta ad una minore comprensione dei valori dell’ordinamento? Come potrà il giudice escludere l’aumento in base alla sola colpevolezza, nonostante ci si trovi di fronte ad

346

In tal senso, seppure con diversi accenti ed argomentazioni, si vedano, AMBROSETTI E. M., Recidiva e recidivismo, Cedam, 1997, p. 238 ss; DASSANO F., Recidiva e potere discrezionale del giudice, p. 176 ss.; LATAGLIATA A. R., Contributo allo studio della recidiva, Jovene, 1958; Contra, DONINI M., Alla ricerca di un disegno. Scritti sulle riforme penali in Italia , Cedam, 2003, p. ....; ID., Il volto attuale dell’illecito penale. La democrazia penale tra differenziazione e sussidiarietà, Giuffrè, 2004, p. 266 s. (in particolare nt. 67); PADOVANI T., Diritto penale, Giuffrè, 2006, p. 254, che invece, contestando, duramente la novella, arriva alla stessa conclusione partendo però da un presupposto differente, basato cioè sulla disciplina concreta dell’istituto, distinguendo: tra una recidiva generica, perpetua e discrezionale, necessariamente proiettata al futuro e perciò basata su una prognosi di maggiore pericolosità sociale, intesa come maggiore probabilità di ricaduta futura nell’illecito;

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In questo senso - oltre a DOLCINI E., Le due anime della legge «ex Cirielli», in Corr. del mer., 2006, p. 56 (nt. 26); CORBETTA S., Il nuovo volto della recidiva: "tre colpi e sei fuori"?, p. 75 ss.; MELCHIONDA A., (nt. 42), p. 180 s.; PISTORELLI L., Ridotta la discrezionalità del giudice, in Guida dir. p. 62 (nt. 65); SCALFATI, Cade il bilanciamento delle "circostanze", ivi, p. 40. Ritengono invece che, per effetto della riforma del 2005, la recidiva pluriaggravata e la recidiva reiterata ex art. 99 commi 3 e 4 c.p. abbiano assunto carattere obbligatorio, BATTISTA, Recidiva: dalla nuova legge un pericoloso ritorno al passato, in Dir. giust., 2005, 46, p. 105; PADOVANI T., Una novella piena di

contraddizioni, cit., p. 32; SALERNO, Un intervento in linea con la Costituzione, in Guida dir. (nt. 65),

p. 47. In quest'ultimo senso v. anche FIANDACA G:- MUSCO E., Diritto penale, pt. gen., 4ª ed., cit., p. 870. Sembra lasciare aperto il problema, segnalando argomenti che militano a favore dell’una e dell’altra soluzione, PALAZZO F., Corso di diritto penale, pt. gen., cit., p. 532

una elevata prognosi di futura commissione di altri reati della stessa indole, e dunque di una maggiore pericolosità?348

Se si seguisse la tesi prevalente nella dottrina italiana, il giudice dovrebbe riconoscere l’esistenza dell’aggravante, con il conseguente aumento di pena solo ove ravvisi una maggiore “colpevolezza”, intesa come maggiore rimproverabilità, con la conseguenza, nel caso sopra prospettato, di escludere sia l’aumento di pena che i connessi effetti sanzionatori e commisurativi, oggi ricollegati al riconoscimento di questa aggravante (in particolare nella forma reiterata, che è poi quella più comune). Normalmente, invece, la giurisprudenza di merito mostra di applicare distintamente o congiuntamente al criterio della maggior rimproverabilità, anche quello della maggiore propensione al delitto del reo, in senso spiccatamente specialpreventivo. Per questa ragione non manca in dottrina chi, propugnando l’instaurazione di un diritto penale nuovo e differenziato, anche per tipi d’autore, oltre che per tipologie di illecito, sostiene che il giudice ne dovrebbe tenere conto, più correttamente in una chiave esclusivamente specialpreventiva, per aumentare la pena come già proporzionata alla colpevolezza per il fatto (all’interno della c.d. cornice di colpevolezza, come sottospecie di quella legale), ed eventualmente, meglio, per applicare una risposta differenziata.

Ma ciò che rende ancora attuale il tema in oggetto è constatare che l’oscillazione, che ha caratterizzato le epoche passate, tra tesi “riduzionistiche” (o “abolizioniste”) e concezioni che ne suggeriscono invece una rivalutazione, si ripropone quasi negli stessi termini anche nell’epoca contemporanea.

Parte della dottrina italiana, già prima della novella del 2005, criticava duramente la disciplina della recidiva, disciplinata come aumento di pena extraedittale, proprio sottolineando che, laddove il fondamento di questa categoria venisse individuato nella maggiore colpevolezza del reo, questa dovrebbe incidere e trovare rilievo solo entro il limite massimo di colpevolezza che il legislatore ha fissato per quel determinato reato, ovvero entro il massimo edittale. L’opzione legislativa posta alla base della recidiva appariva dunque, già prima dell’ultima riforma, non conforme con il volto moderno del diritto penale poichè «l’accentuazione del ruolo delle qualificazioni soggettive di pericolosità sociale rischia di conferire uno spazio eccessivo all’autore del reato, a scapito del fatto di reato e della sua

348

Cfr. DONINI M., Il volto attuale dell’illecito penale. La democrazia penale tra differenziazione e sussidiarietà, op. cit., p. 266 (nota 67).

doverosa centralità in un diritto penale moderno, secondo un’istanza oggi ribadita anche dalla nostra Costituzione»349. Perciò, taluni autori, in prospettiva de iure condendo ritenevano si dovesse addirittura valutare l’opportunità di eliminarla del tutto350.

Questa visione “abolizionista”, tuttavia, è stata negli ultimi anni smentita dalle scelte legislative dei principali stati di origine romano-germanica — come la Francia, la Spagna e l’Italia —, che invece hanno rivalutato molto questa categoria dommatica, sebbene attraverso accorgimenti giuridici diversi, facendone il principale strumento di lotta alla criminalità, forse anche sotto l’influenza delle politiche criminali dei paesi di common law: ennesimo frutto di una nuova tendenza alla globalizzazione anche delle politiche penali.

Seguendo una concezione c.d. polifunzionale della pena, che dia spazio dunque anche a politiche di tipo preventivo, e non solo retributivo, è inevitabile, d’altronde, a nostro parere, attribuire rilievo anche all’aspetto della capacità criminale dell’autore.

La sfida che ogni ordinamento giuridico moderno si trova a dover affrontare è infatti se sia giusto ed opportuno, da un punto di vista del raggiungimento dello “scopo”, adottare un trattamento differenziato per gli autori pericolosi, e in che modo possa essere accertata la loro “pericolosità”, e segnatamente, se la recidiva possa essere considerata appunto un indice di questa maggiore pericolosità351.

Questa esigenza non è certo recente, ed è strettamente collegata alla problematica della commisurazione della pena, come dimostra la Raccomandazione (92) n. 17 del Consiglio di Europa che, attraverso una commissione di esperti (prevalentemente giudici) sulle tecniche di sentencing, dettando degli standards sulla commisurazione della pena, cui tutti gli Stati membri dovrebbero uniformarsi, per evitare le diseguaglianze e gli arbitrii giudiziari — ma che invece, come sappiamo, non è affatto vincolante — in un paragrafo ha preso specificamente in considerzione anche il ruolo che dovrebbero ricoprire le precedenti

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ROMANO M.- GRASSO G., Pre-Art. 99, in Commentario sistematico del codice penale, vol. II, 3ª ed., Giuffrè, 2005, p. 85. Pur criticando invece la scelta tecnica di ancorare la considerazione della speciale capacità criminale del recidivo ad un aumento extraedittale di pena, Donini, Il volto, cit., ritiene, invece, debba darsi risalto anche alla valutazione della personalità dell’autore nella commisurazione della pena, tanto quanto quella del fatto, tralasciando la visione etico-retribuzionista della possibilità di commisurare la pena di un autore alla colpevolezza per il fatto, che invece dovrà costituire il limite interno alla cornice edittale.

350

Cfr. così esplicitamente, ROMANO M.- GRASSO G., Pre-Art. 99, op. cit. loc. cit., nt. 48.

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CALABRIA A., Sul problema dell’accertamento della pericolosità sociale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, p. 782 ss.

condanne nella commisurazione della pena, puntualizzando delle direttrici e principi di buon senso, che i legislatori degli Stati membri successivamente, come vedremo tra poco, hanno

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