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La citazione dell'arche: alcuni parallel

TITOLO, ajrchv, uJpovqesi"

3. La citazione dell'arche: alcuni parallel

La pratica di affiancare la citazione dell'incipit alla titolatura è sicuramente callimachea9. Ateneo, ad esempio, rileva come Callimaco nei pinakes abbia inserito Cherefonte nella lista di coloro che scrissero sui banchetti, indicando di seguito l'arche della sua opera (eijq jejxh'" th;n ajrch;n uJpevqhken)10.

I più antichi esempi di uso dell'arche a scopo meramente identificativo si riscontrano in Aristotele, in riferimento rispettivamente a un giambo di Archiloco (Rhet. 1418b 29-30 ejn tw/' ijavmbw/ ou| ajrch; "ou[ moi ta; Guvgew") e a un'elegia di Solone (Ath. Pol. 5.2.4-5 th;n ejlegeivan h|" ejsti;n ajrchv: "gignwvskw, kaiv moi freno;" e[ndoqen a[lgea kei'tai"). Questa pratica

7 Su quelli papiracei è molto utile il contributo di Otranto 2000. 8 Su questi documenti si veda Otranto 2000: xii-xv, e infra, pp. 77-79. 9 Si vedano i frammenti 433, 436, 443, 444 Pfeiffer, e Pfeiffer 1968: 129-30. 10 Athen. 6.244a = Callim. fr. 436 Pfeiffer.

continua ad essere ampiamente diffusa nei secoli successivi per componimenti lirici e orazioni, che sono identificati non dal titolo ma esclusivamente sulla base dell'incipit. Ad esempio, in pieno II d.C., Elio Aristide, Ateneo e il grammatico Efestione si servono spesso dell'arche per designare componimenti poetici dei quali non indicano il titolo11. In alcuni casi, tuttavia, Ateneo include l'arche anche quando fa riferimento a poemi, discorsi e sottosezioni di trattati dei quali fornisce contestualmente il titolo, l'argomento o la numerazione: Athen. 1.7.5 ÆOyopoiiva//- ejpiko;n de; to; poivhma, ou| hJ ajrchv, 5.45.7 ti" eij" Lusivan ajnafevretai to;n rJhvtora peri; ejgguqhvkh" ejpigrafovmeno", ou| hJ ajrchv, 10.82.11-12 ïHrakleivdh" oJ Pontiko;" ejn trivtw/ peri; mousikh'", ou| ejstin ajrchv.

Un ulteriore uso dell'arche, ben attestato nella tradizione ipomnematica, risponde a un'esigenza di disambiguazione testuale. In un commentario papiraceo a testi lirici risalente agli inizi del II sec. d.C. sono citati gli inizi di due diverse palinodie di Stesicoro12:

dittai; gavr eijsi palinw/d[ivai] [dia]llavttousai, kai; e[stin hJ me;n ajrchv: deu'rÆ au\te, qea; filovmolpe, th'" dev: crusovptere parqevne, wJ" ajnevgraye Camail[evw]n.

Ci sono due diverse palinodie, e l'incipit dell'una è13: "qui, dea amante del

canto", quello dell'altra: "vergine dalle ali dorate", come registrò Cameleonte.

In questo passo la citazione dei due incipit è funzionale alla distinzione delle due opere, e l'esistenza stessa di due diverse archai conferma la tesi dell'esistenza di due palinodie. Interessante, inoltre, il riferimento all'autorità di Cameleonte, al quale l'anonimo autore del papiro attribuisce apparentemente la citazione dei due diversi inizi come mezzo di "registrazione" delle due diverse opere: indicativo in tal senso l'uso del verbo ajnagravfw.

Un altro esempio di citazione dell'incipit per distinguere due differenti versioni di un'opera o parte di essa, in questo caso un proemio spurio da uno genuino, si riscontra in un commento a Platone restituito da un papiro del II secolo d.C14.

11 Ael. Arist. 47.30 Keil to; ajrcai'on a/\sma, ou| hJ ajrchv ejsti, Heph. Enchir. p. 50, 21-22 Consbruch ÆAlkai'o" ejn a/[smati ou| hJ ajrchv, de poem. p. 65, 15-16 ejn tw/' parÆ ÆAlkaivw/ a/[smati ou| hJ ajrchv, Ath. 14.39.9 a/[smati ou| ejstin ajrchv, 14.76.14 Simwnivdh" mnhmoneuvei ejn ÆIavmbw/, ou| hJ ajrchv. Cfr. anche Dion. Hal. Din. 11.82-83, Comp. verb. 22.58, Strab. 10.3.13.

12 P. Oxy. 2506 fr. 26 col. 1 = Chamael. fr. 29.1 Wehrli.

13 A rigore, ci si aspetterebbe una correlazione del tipo th'" mevn... th'" dev: è da considerare la possibilità che il testo sia corrotto. Altri errori di copiatura (corretti in modulo minore supra lineam) sono presenti nel testo, ad esempio PAR in luogo di GAR in fr. 26 (e), r. 13.

La compresenza di titolo e arche è comunque più frequente in contesti marcatamente catalogici. L'autore del Certamen Homeri et Hesiodi, un'opera che, pur nella sua impostazione discorsiva, presenta uno spiccato carattere bio-bibliografico, menziona sia il titolo che l'arche della Tebaide e degli Epigoni, aggiungendo indicazioni sticometriche di chiara matrice callimachea15. Più avanti, nel riferirsi all'Inno ad Apollo, l'autore del Certamen ne cita anche l'incipit16: in tutti questi casi, la citazione dell'arche è regolarmente inserita all'interno di una proposizione relativa del tipo ou|/h|"/w|n hJ ajrchv. Ulteriori paralleli sono offerti dalla cosiddetta Vita Herodotea di Omero, dove sono indicati titolo e incipit dell'Iliade minore (r. 203 Allen), e dalle Vite di Diogene Laerzio, dove la citazione dell'arche, sebbene non regolare, ricorre sia in veri e propri elenchi di opere (ad esempio 5.27, 5.60), sia in altri contesti (1.119, 2.42, 8.36 ecc.).

La citazione dell'arche, molto frequente per carmi e orazioni, è invece piuttosto rara per i drammi: quando menzionati in altre opere, questi sono solitamente indicati mediante il solo titolo, che doveva dunque apparire sufficiente per l'identificazione dell'opera. I soli esempi a me noti di citazione dell'arche di un dramma a fini identificativi sono Athen. 8.28.5 dhloi' de; tou'to ÆAntifavnh" ejn Kiqarw/dw/', ou| hJ ajrchv, 13.8.42 Karkivno" dÆ oJ tragiko;" ejn Semevlh/, h|" ajrchv (in entrambi i passi non è citato il primo verso per esteso ma soltanto le prime parole) e sch. Eur. Med. 693, dove di un verso della Medea è segnalato che kai; ejn Peliavsin ejsti;n, w|n ajrchv(segue la citazione del primo verso del dramma in forma integrale). Altrove, la citazione dell'arche si applica a specifici passi. In Diodoro Siculo serve a delimitare i confini del passo delle Fenicie al quale l'autore fa riferimento17. In Plutarco Lys. 15.3 è citato per esteso il primo verso della parodo dell'Elettra, evidentemente al fine di identificare precisamente il canto: ejk th'" Eujripivdou ÆHlevktra" th;n pavrodon h|" hJ ajrchv. Questa pratica è diffusa già all'epoca di Senofonte, che la impiega in Mem. 2.6.11 in riferimento al canto delle Sirene dell'Odissea, identificato mediante la citazione dell'incipit (Od. 12.184).

i[swn | stivcwn. ou| ajrchv: | "a\rav ge, w\ pai', fevrei" to;n | [p]e[ri; Qe]aithvtou lovgonÉ" | to; de; gnhvsiovn ejstin, | o³u|³ ajrchv: "a[rti, w\ Teryiv|wn.

15 rr. 256 e 258 Allen. 16 rr. 317-18 Allen.

17 D.S. 10.9.8 kai; tou'to gnoivh a[n ti" ejpisthvsa" toi'" ejn tai'" Eujripivdou Foinivssai" stivcoi", ejn oi|" oiJ peri; to;n Poluneivkhn eu[contai toi'" qeoi'", w|n hJ ajrch; "blevya" ej" ÒArgo"" (Phoe. 1364) e{w" "eij" stevrnÆ ajdelfou' th'sdÆ ajpÆ wjlevnh" balei'n" (Phoe. 1375).

La rassegna appena condotta mostra, in primo luogo, la relativa rarità della citazione dell'arche dei drammi rispetto ad altri generi letterari, per i quali l'assenza o la possibile oscillazione del titolo rende necessario un espediente identificativo più efficace; in secondo luogo, indica due ambiti, indubbiamente interconnessi, nei quali la citazione dell'arche era contestuale a quella del titolo: quello pinacografico, ben esemplificato dalla prassi callimachea descritta all'inizio di questo paragrafo, e quello della critica testuale, in cui l'incipit è impiegato come marca specifica dell'identità testuale di una singola opera, anche all'interno di discussioni di autenticità.

Queste osservazioni nel loro complesso fanno luce su due aspetti fondamentali della nostra raccolta: in primo luogo, la funzione di titoli e archai sembra configurarsi come "anagrafica" o pinacografica rispetto a un'esistente edizione euripidea; in secondo luogo, le archai, che in presenza di titoli solitamente univoci non hanno la funzione denominativa osservata ad esempio per la lirica, appaiono piuttosto funzionali a definire l'identità testuale di ciascun dramma. Chi legge la hypothesis della Stenebea non solo è informato del fatto che sta leggendo la hypothesis della tragedia di Euripide intitolata Stenebea, ma è anche in grado di determinare, sulla base dell'arche, se il riassunto che sta per leggere rimandi al dramma così intitolato di cui eventualmente disponga. Il fatto che la citazione dell'arche sia fornita sistematicamente suggerisce che l'autore della raccolta prevedesse quanto meno la possibilità, ma più verosimilmente la necessità, della precisa identificazione del testo drammatico riassunto18.

Un'interessante formulazione teorica dell'utilità dell'arche in un contesto marcatamente editoriale si deve a Porfirio, che all'interno dell'introduzione biografica, bibliografica e metodologica alla propria edizione di Plotino, include un catalogo delle opere del maestro. Oltre ai titoli, l'editore ne cita regolarmente le archai, al fine, come lui stesso dichiara, di rendere ben riconoscibile ciascun trattato:

qhvsw de; kai; ta;" ajrca;" tw'n biblivwn, eij" to; eujepivgnwston ei\nai ajpo; tw'n ajrcw'n e{kaston tw'n dhloumevnwn biblivwn19.

Citerò anche gli incipit dei libri, perché ciascuno dei libri indicati sia ben riconoscibile dagli incipit20.

18 Su questo aspetto si vedano anche le conclusioni di Bing 2011. 19 Porph., Vita Plot. 4.

20 Subito prima di questo periodo Porfirio ha precisato che i titoli elencati corrispondono a quelli che si sono imposti tra i lettori di Plotino, il quale non aveva previsto titolature, favorendone così l'oscillazione. In

In linea con questa dichiarazione, tutto l'elenco delle opere di Plotino nell'introduzione porfiriana consta di numerazione, titolo e incipit. Si tratta di un vero e proprio indice deputato a introdurre l'edizione dell'opera omnia del filosofo curata dal suo allievo. L'intero scritto di Porfirio si presenta esplicitamente come introduttivo, e dunque era inteso per una fruizione congiunta a quella dell'edizione di Plotino. Il paragrafo conclusivo (§26), in cui Porfirio dichiara di accingersi alla diorthosis del testo, conferisce all'autore i tratti di un vero e proprio filologo. Da filologo Porfirio dichiara di aver corredato l'opera del maestro di un commentario selettivo (katabeblhvmeqa de; kai; ei[" tina aujtw'n uJpomnhvmata ajtavktw"), e aggiunge un'indicazione per noi molto importante:

ÆAlla; mh;n kai; ta; kefavlaia tw'n pavntwn plh;n tou' Peri; tou' kalou' dia; to; lei'yai hJmi'n pepoihvmeqa kata; th;n cronikh;n e[kdosin tw'n biblivwn.

Infine ho scritto kephalaia di tutti tranne "Sul bello", perché manca, secondo l'ordinamento cronologico dei libri21.

Anche la redazione di kephalaia fa dunque parte dell'operazione ecdotica porfiriana, sebbene nel caso specifico risponda all'esigenza di offrire un quadro cronologico dell'opera omnia di Plotino a margine di un'edizione che segue un ordinamento di tipo diverso. Nella compresenza di titoli, archai e riassunti, comunque, la raccolta oggetto del nostro studio presenta significative analogie con i tratti qui esaminati del lavoro ecdotico porfiriano. Non si dimentichi che, come l'opera di Plotino era disponibile a chi leggeva queste pagine di Porfirio, i papiri che ci restituiscono frammenti della nostra raccolta risalgono al primo, secondo e terzo secolo d.C., e sono dunque sicuramente contemporanei alla circolazione dell'opera euripidea, della quale l'Egitto ci ha restituito abbondanti frammenti di età romana22.

questo contesto, l'arche è indubbiamente essenziale.

21 Né gli uJpomnhvmata né i kefavlaia sono giunti fino a noi: per una breve discussione del problema e ulteriore bibliografia si veda la sintetica nota di Armstrong 1964: 85.

4. hJ d juJpovqesi"

Come già rilevato, la presenza di esposizioni della trama in un contesto catalogico non è un fenomeno frequente. I cataloghi di drammi euripidei sopra menzionati includono esclusivamente titoli, nella forma di un elenco asciutto ed essenziale. Tuttavia, veri e propri pinakes come quelli in stucco ritrovati a Taormina e probabilmente provenienti dalla biblioteca del ginnasio di Tauromenion, delineano un quadro più complesso. Datati al II secolo a.C., questi pinakes contengono nomi di autori (per lo più storiografi), brevi notizie biografiche e in un caso il riassunto dell'opera: secondo Battistoni, la loro funzione era "not only to record the library's holdings, but also to offer a quick overview of Greek literature, taking the single authors as a starting point"23.

Questa iscrizione dimostra che la presenza di altri elementi all'interno di un prodotto dal forte impianto catalogico non solo è possibile, ma è anche legata a un contesto librario e dunque alla fruizione diretta di libri. In modo analogo ai pinakes di Tauromenion, la nostra raccolta sembra offrire una registrazione catalogica dei contenuti di un'edizione euripidea, di cui fornisce anche una rapida "anteprima", in grado di orientare il lettore nella fruizione dell'opera.

L'analisi degli elementi paratestuali che accompagnano le hypotheseis papiracee e il loro inquadramento in un contesto più ampio suggeriscono le stesse conclusioni cui ha condotto, nella parte precedente di questo lavoro, la disamina complessiva di hypotheseis, kephalaia, tavole dei contenuti, prographai: le hypotheseis narrative rientrano a tutti gli effetti in una paraletteratura di accompagnamento, che svolge la funzione di "censire" l'opera euripidea, in modo spiccatamente catalogico, e nello stesso tempo di supportarne la lettura mediante l'esposizione preliminare dei contenuti.

I rotoli contenenti hypotheseis si configurano dunque come rotoli di accompagnamento a un'edizione euripidea. Se l'interesse per i riassunti fosse stato disgiunto da quello per i drammi, non si vedrebbe il motivo della presenza di una titolatura ampia e strutturata, tale da occupare una parte piuttosto consistente dello specchio di scrittura pur in edizioni non certo di pregio, confezionate in molti casi su rotoli di riuso (ad esempio P. Oxy. 2457+3650, P. Köln 1, P. Oxy. 4017, P. Mil. Vogl. 2,44, P. Oxy. Inv. 465b48E(3)a+b).

Questa conclusione, sebbene non ovvia di fronte all'apparente circolazione a sé delle hypotheseis, non è affatto sorprendente. In primo luogo, la fruizione congiunta di hypothesis e dramma è regolarmente prevista nei codici medievali, dove le hypotheseis svolgono in tutto e per tutto il ruolo di introduzioni; inoltre, come si è visto, paralleli di data più alta sono attestati per le opere storiografiche, in risposta a un'esigenza orientativa avvertita, mutatis mutandis, anche dai fruitori delle opere drammatiche. In secondo luogo, la possibilità che un testo di accompagnamento non occupi lo stesso supporto scrittorio del testo di riferimento è ampiamente confortata dal tipico formato degli hypomnemata, la cui fruizione indipendente da quella del testo commentato è ovviamente da escludere. Proprio come i commentari impiegano i lemmi per richiamare il testo principale, così le hypotheseis hanno i loro peculiari lemmi nelle articolate titolature che le introducono, un sistematico e univoco rimando ai drammi che riassumono. Non si può infine escludere, in linea teorica, che le hypotheseis della raccolta fossero originariamente collocate nei rotoli dei drammi, ciascuna subito prima o subito dopo il testo tragico riassunto, e che solo secondariamente siano state accorpate in una collezione continua.

Il papiro della fine del II sec. d.C. contenente la hypothesis del Dionisalessandro di Cratino (P. Oxy. 663, n. 22 VRS) - una hypothesis che pur non essendo meramente narrativa comprende un'articolata esposizione della trama della commedia - offre un esempio di hypothesis copiata sullo stesso rotolo del relativo testo, di contro alla più ampia attestazione di hypotheseis comiche dello stesso tipo su rotoli a sé, separati dai testi drammatici24: non mi sembra improbabile che una pratica del genere sia stata osservata più o meno occasionalmente anche per le hypotheseis euripidee.

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