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Note al testo

1.2. Musonio Rufo

Una probabile dipendenza dalla hypothesis di tradizione medievale si riscontra in un passo di Musonio Rufo, filosofo stoico vissuto nel I secolo d.C. Nel discorso di Rufo intitolato eij ejmpovdion tw'/ filosofei'n gavmo", riportato da Stobeo (4.22a.20 = Muson. rel. 15, p. 70 Hense), viene addotta, a riprova del fatto che la philia tra moglie e marito è la più forte di tutte, la storia di Admeto e Alcesti:

[Admhto" dovsin tauvthn labw;n para; qew'n, eij paravscoi to;n ajnq'eJautou' teqnhxovmenon, zh'sai diplasivw crovnon tou' tetagmevnou aujtw/', tw'n me;n gonevwn oujk e[tucen ejqelovntwn proapoqanei'n aujtou' kaivtoi geghrakovtwn: hJ gunh; de; hJ gameth; [Alkhsti", komidh'/ neva ou\sa, ejdevxato eJtoivmw" to;n qavnaton pro; tou' ajndrov".

Admeto, avendo ricevuto dagli dei il dono di vivere per un tempo doppio rispetto a quello a lui assegnato se avesse offerto chi morisse al suo posto, non trovò i genitori disposti a morire per lui, per quanto vecchi: la moglie e sposa Alcesti, invece, pur essendo giovanissima, accettò volentieri la morte in sostituzione del marito.

Secondo l'editore Hense, in [Admhto" dovsin tauvthn labw;n para; qew'n è da riconoscere una riminiscenza del v. 1071 dell'Alcesti, dove il coro impiega il nesso qeou' dovsin in riferimento al dono ricevuto da Admeto. Molto più forte è la somiglianza tra la frase eij paravscoi to;n ajnq jeJautou' teqnhxovmenon di Musonio e l'espressione o{pw" paravsch/ to;n

uJpe;r eJautou' eJkovnta teqnhxovmenon della hypothesis3. Inoltre, in entrambi i testi compare un dato non ricavabile dal dramma euripideo: nella hypothesis la frase i{na i[son tw/' protevrw/ crovnon zhvsh/ aggiunge una determinazione temporale alla descrizione del dono ricevuto da Admeto, e lo stesso concetto è veicolato in Rufo dall'infinitiva zh'sai diplasivw crovnon tou' tetagmevnou aujtw/'.

In Musonio Euripide è citato e nominato più volte ma non c'è evidenza che il filosofo lo leggesse direttamente. L'andamento di questo passo tuttavia è così strettamente somigliante alla hypothesis che, escluso come è ragionevole che la nostra hypothesis si sia servita di Musonio Rufo come fonte del dato erudito, viene da pensare che Musonio, o la sua fonte, disponesse di questo riassunto. Tale circostanza offrirebbe un interessante puntello per la datazione della hypothesis. Musonio Rufo operò a Roma - e altrove, dal momento che abbiamo notizia di due suoi esilii - nel I secolo d.C.: alla fine dello stesso secolo risale P. Oxy. 2457. Purtroppo il papiro non preserva la prima parte della hypothesis, e dunque non sappiamo se i dati che quella medievale condivide con Musonio fossero presenti anche in quella versione. Se le due versioni vanno intese come alternative (ma non ne abbiamo alcuna evidenza), e se la versione "ampia" era quella in circolazione nella prima età imperiale, come indicherebbe P. Oxy. 2457, la spiegazione più plausibile delle consonanze tra Musonio e la hypothesis dei codici è che gli stessi dati fossero presenti anche nella versione del papiro.

Tuttavia altre spiegazioni restano possibili: ad esempio, che la hypothesis e Musonio abbiano attinto a una fonte comune. Allo stato attuale delle nostre conoscenze non è possibile accertare l'origine del dato. Lo scolio al v. 1 dell'Alcesti afferma che quella di cui si servì Euripide è hJ dia; stovmato" kai; dhmwvdh" iJstoriva peri; th'" jApovllwno" qhteiva" par' jAdmhvtw/, introducendo, con la prospettiva della trasmissione orale, un importante caveat riguardo alle nostre possibilità di ricostruire la storia di questo mito. L'idea che il dono ricevuto da Admeto implicasse una dilazione del momento della morte, pur senza alcuna precisazione quantitativa, compare anche in Libanio (Prog. 2, 15: ajnabavllei to;n qavnaton aujtou' oJ qeo;" dehqei;" tw'n Moirw'n).

3 Si noti che il participio è nei soli codici euripidei VPTr, mentre BO hanno l'infinito ajpoqanei'n. A questa variante si aggiunge il tina to;n di PTr prima del participio in luogo del solo to;n che si legge in BOV.

Commento (recensio bizantina)

1-3 ÆApovllwn... zhvsh/: i contenuti della prima parte della hypothesis sono ricavabili dal

prologo, in cui il dio racconta della concessione ricevuta dalle Moire per Admeto (vv. 11-14 paido;" Fevrhto", o}n qanei'n ejrrusavmhn/ Moivra" dolwvsa": h[/nesan dev moi qeai;/ [Admhton {Aidhn to;n parautivk j ejkfugei'n,/ a[llon diallavxanta toi'" kavtw nekrovn), e delle difficoltà di Admeto nel trovare chi affrontasse la morte al suo posto, finché la moglie si offre al sacrificio (vv. 15-18 pavnta" d j ejlevgxa" kai; diexelqw;n fivlou",/ patevra geraiavn q jh{ sf je[tikte mhtevra,/ oujc hu|re plh;n gunaiko;" o{sti" h[qelen/ qanw;n pro; keivnou mhkevt jeijsora'n favo"). Nel racconto della concessione da parte delle Moire, la hypothesis tralascia però sia la componente dell'inganno (v. 12 Moivra" dolwvsa"), sia i motivi dell'iniziativa del dio, enunciati nei versi precedenti: di conseguenza resta fuori il tema dell'ospitalità, che ritornerà nel dramma con l'arrivo di Eracle, e la caratterizzazione di Admeto come uomo pius.

h/jthvsato... o{pw": il verbo aijtevomai qui usato ricorre anche in sch. A Alc. 34, che spiega il termine tevcnh/, con cui Thanatos indica l'espediente usato da Apollo per ingannare le Moire, con la frase mequvsa" ga;r aujta;" h/[thse par j aujtw'n ajnti; jAdmhvtou a[llon ajpoqanei'n.

La costruzione di aijtevomai con parav+gen. e o{pw" non appare attestata nel greco classico. Nel V secolo, aijtevomai con o{pw" è attestato soltanto con l'accusativo della persona cui si chiede (Antiph. 1.23: ejgw; dÆ uJma'" uJpe;r patro;" toujmou' teqnew'to" aijtou'mai, o{pw" panti; trovpw/ dw/', Aristoph. Eq. 1255 s.: kaiv sÆaijtw' bracuv,/ o{pw" e[somaiv soi Fa'no"), mentre le prime attestazioni del costrutto della hypothesis sono più tarde: Sept. Tob. 4.19 (parÆ aujtou' ai[thson o{pw"...) e Plut. Philop. 17.6 (aijtoumevnou de; para; tw'n ÆAcaiw'n, o{pw" ejavswsi).

Una costruzione simile in riferimento a questo stesso momento del mito di Alcesti è in Apd. Bibl. 1.106 (ÆApovllwn... h/jthvsato para; moirw'n i{na, o{tan ÒAdmhto" mevllh/ teleuta'n, ajpoluqh'/ tou' qanavtou, a]n eJkousivw" ti" uJpe;r aujtou' qnhvskein e{lhtai), un passo che mostra forti analogie con l'attacco della nostra hypothesis.

ÒAdmhto": la variante di PTr a[dmhto" è superiore a oJ a[d- di BOVSch.: cfr. ÒAlkhsti" al r. 3 e ïHraklh'" al r. 6. Anche nelle hypotheseis narrative certamente appartenenti alla raccolta alfabetica i nomi propri alla loro prima comparsa non sono normalmente preceduti dall'articolo.

eJkovnta: l'aggettivo, assente in PTr, introduce un aspetto importante della vicenda e adombra un nodo tematico del dramma: è chiaro infatti che il sostituto di Admeto dovrà accettare il sacrificio (cfr. Apd. Bibl. 1.106 a]n eJkousivw" ti" uJpe;r aujtou' qnhvskein e{lhtai, Lib. Prog. 2.5 ejzhvtoun de; o}" ajnt jejkeivnou to;n qavnaton uJposthvsetai). Tuttavia il passo di Musonio Rufo sembra presupporre un testo senza eJkovnta: Musonio scrive infatti eij paravscoi to;n ajnq'eJautou' teqnhxovmenon. In questo fraseggio si nota comunque l'uso di to;n come in BOVSch., contro il tina; to;n del ramo tricliniano.

i{na... zhvsh/: come già rilevato, il dettaglio, non deducibile dal testo del dramma, è condiviso con Musonio Rufo.

3 kai; dh;: il nesso, mai attestato nelle hypotheseis della raccolta, a parte in hyp. Phoe.

(vulg.), rr. 15-16 kai; dh; kai; e[praxe, dove è però un indebito ampliamento di alcuni codici, ricorre invece in hyp. III Soph. Ant. r. 3.

5-6 metÆ ouj polu;... paragenovmeno" : la morte di Alcesti non è raccontata, ma è

implicita nel termine sumforav. Questo segmento invece descrive direttamente l'arrivo di Eracle (vv. 477 ss.), senza spiegarne le motivazioni che l'eroe racconta al coro. Per la movenza cfr. Arist. Ath. Pol. 6, 2: metÆouj polu; th'" tw'n crew'n ajpokoph'" genomevnh".

paragenovmeno": per l'ampio uso di questo participio nelle hypotheseis narrative vedi infra, pp. 494-500.

6-7 kai;... ÒAlkhstin: tralasciati il dialogo tra Eracle e Admeto, il centrale silenzio da

parte dell'ospite sulla reale entità della sventura che affligge la casa, e l'agone tra Admeto e Ferete, la hypothesis passa direttamente al momento in cui Eracle apprende la verità dal servo (v. 821).

7-8 ejporeuvqh... poihvsa": l'episodio della lotta tra Eracle e Thanatos non è messo in

scena da Euripide, ma è preannunciato da Eracle ai vv. 843 ss. e ricordato ai vv. 1141-2, nell'ambito del dialogo finale tra Eracle e Admeto. L'evento è raccontato nella hypothesis in quanto necessario raccordo nell'esposizione della trama, senza che ne sia rilevato lo statuto particolare all'interno del dramma. La sequenza ejporeuvqh ejpi; to;n tavfon - to;n Qavnaton

ajposth'nai poihvsa" ricalca a mio avviso la struttura dei vv. 843 ss. ejlqw;n d ja[nakta to;n melavmpeplon nekrw'n/ Qavnaton fulavxw.../ ka[nper locaiva" aujto;n ejx e{dra" suqeiv"/ mavryw.

L'uso di poreuvomai con ejpiv è molto caro a Senofonte, che lo impiega essenzialmente in contesti militari col significato di "marciare" (Xen. Hell. 4.6.6, Anab. 2.4.25, 4.4.3, 4.5.2; cfr. anche D.S. 11.29.4); la connotazione militare è invece assente in Eratosth. Catast. 1.4, in cui l'espressione è usata proprio per Eracle, che ejpi; ta; cruvsea mh'la ejporeuvqh.

8-9 ejsqh'ti kaluvptei th;n gunai'ka : il gesto non è ricavabile dal dettato del dramma,

che non offre alcun appiglio per una simile precisazione. L'ejsqhv" di Alcesti è menzionato in due punti della tragedia, nella descrizione dei preparativi per la morte (v. 161 ejsqh'ta kovsmon t jeujprepw'" hjskhvsato) e nella scena finale (v. 1050: Admeto deduce la giovane età della donna dal suo ejsqhv" e kovsmo"), ma non vi è alcuna connessione tra questi passi e il recupero di Alcesti da parte di Eracle. È interessante notare che sch. A Alc. 1050 deduce proprio dall'ejsqh'ti che la donna fosse perikekalummevnh: kai; ga;r neva faivnetai wJ" ejk th'" ejsqh'to": h\n ga;r perikekalummevnh. Parker (2007: 251) afferma recisamente che "there is no reason to ask why Alkestis is veiled", e precisa che "if a woman who is supposed to have died appears on stage to be reunited with her husband or lover, she must be disguised in some way". Non mi sembra però che l'uso di un velo, al quale per altro il testo non fa riferimento, sia l'unico possibile accorgimento affinché la scena tenga: per ulteriori considerazioni su questo aspetto si veda la nota al r. 11.

9 to;n... threi'n: cfr. v. 1020 gunai'ka thvnde moi sw'son labwvn.

10 eijlhfevnai... e[lege: cfr. vv. 1030-32 i{ppou" a[gesqai, toi'si dÆau\ ta; meivzona/

nikw'si, pugmh;n kai; pavlhn, boufovrbia:/ gunh; dÆ ejpÆaujtoi'" ei{petÆ:.

10-11 mh; boulomevnou de; ejkeivnou: la hypothesis accenna alla resistenza di Admeto di

fronte all'offerta di Eracle (vv. 1042 ss.), senza però fare alcun riferimento né alle sue motivazioni né agli effetti drammatici che ne risultano.

già Antiph. 2.2.4, Is. 5.16, Demosth. 3.8 (LSJ B 6); questo uso è in linea con la variante di PTr mhdetevrouin luogo di oujdetevrou al r. 4.

11 ajpokaluvya" e[deixen h}n ejpevnqei : il dato secondo cui Eracle consegna Alcesti

velata ad Admeto, e la svela quando lui acconsente, alla fine, ad accoglierla, non è ricavabile dal testo del dramma. Come rileva Parker (2007: 47), “the author of the Alc. hyp. recounts the end of the play in more detail than the rest, but he does not recount it accurately. He tells us that 'when Adm was unwilling to receive [the woman], he [Heracles] revealed her for whom he had been grieving'. This might seem the natural way to end the play, but it is not quite how Eur chose to end it”. Più propriamente, questa descrizione della parte finale veicola una specifica interpretazione della scena.

Il participio ajpokaluvya" è nei soli PTr, mentre è omesso da BOV e dallo scolio platonico. Dalla disamina del comportamento di PTr relativamente alla sola hypothesis in questione non risulta una tendenza all'inserimento (o alla conservazione) di forme omesse in tutti gli altri testimoni. Anzi, avviene spesso il contrario: al r. 2 PTr omettono eJkovnta riportato dagli altri codici, e lo stesso accade per il genitivo tou' jAdmhvtou al r. 4 e per aujthvn al r. 9. La presenza di ajpokaluvya" è dunque tanto più significativa in quanto non riconducibile a una particolare tendenza di questi due codici. Una caduta accidentale potrebbe essere intervenuta in uno degli antenati di BOV, ma non è da escludere che siano in gioco due diverse interpretazioni della scena finale: il participio implica infatti l'idea che Admeto apprenda l'identità della donna solo quando Eracle ne scopre il volto, mentre l'assenza del participio – come l'assenza di indicazioni sulle modalità del riconoscimento di Alcesti nella tragedia euripidea – lascia aperta questa possibilità di organizzazione della scena ma non esclude tutte le altre. Tuttavia, la lettura della scena col testo di PTr ben si accorda col precedente ejsqh'ti kaluvptei, anch'esso, come si è visto, non deducibile dal dramma: il termine ejsqhv" è usato al v. 1050 dell'Alcesti per indicare l'abbigliamento di Alcesti, che insieme al kovsmo" permette ad Admeto di rendersi conto della giovane età della donna, ma il testo non indica che questo ejsqhv" serva a celare l'identità della donna. Già ai vv. 161-2, infatti, la serva che racconta i preparativi della donna per la morte menziona questi due elementi (ejsqh'ta kovsmon t jeujprepw'" hjskhvsato).

guardare la donna: v. 1121 blevyon pro;" aujthvn, ei[ ti sh'/ dokei'n prevpein/ gunaikiv (cfr. Dale 1954: 128 "Heracles unveils Alcestis"). Precedentemente Admeto aveva rilevato la somiglianza tra le due donne chiamandone in causa morfh'" mevtra e devma" (vv. 1061 ss. su; d j, w\ guvnai,/ h{ti" pot jei\ suv, tau[t je[cous j jAlkhvstidi/ morfh'" mevtr ji[sqi, kai; proshvixai devma".../ dokw' ga;r aujth;n eijsorw'n gunai'c joJra'n/ ejmhvn), ma se questo vada ricondotto all'impossibilità di vederne il volto per la presenza di una copertura (ejsqhv" comunque non può indicare un velo) o piuttosto all'atteggiamento di Admeto o alla posizione reciproca dei personaggi non è deducibile da questi versi. Tuttavia, poco prima del blevyon pro;" aujthvn, quando Admeto cede all'invito di Eracle a toccare la donna, il fraseggio del protagonista suggerisce che in quel punto del dramma Alcesti sarebbe stata riconoscibile a chi la guardasse in volto: Admeto infatti acconsente a tendere la mano verso la donna Gorgovn j wJ" karatomw'n (v.1118), come dovendo tagliare la testa alla Gorgone, la quale – com'è noto – pietrificava con lo sguardo, e dunque andava decapitata evitando di guardarla (cfr. sch. A ad loc.: tau'ta levgei ajpestrammevno"). Questo espediente psicologico sembra essere volto a preservare la verosimiglianza del mancato riconoscimento.

Non si può escludere che nella formulazione della hypothesis sia da vedere un'interferenza delle modalità in cui il dramma era rappresentato sulla scena, ma le rappresentazioni figurative superstiti non sembrano andare nella direzione di ajpokaluvya". Se infatti Alcesti ha spesso il capo coperto da un velo, sia quando è raffigurata tra gli dei dell'oltretomba (LIMC, s.v. Alkestis, vol. I, p. 536, n° 16; p. 539, n° 49 - sarcofagi del II-III sec. d.C.), sia quando se ne rappresenta il ritorno nel mondo dei vivi (p. 536, n° 17, rilievo di Cirene del V a.C. in cui Eracle è raffigurato nell'atto di guidare Alcesti), il suo viso è sempre scoperto, e sono piuttosto il contegno della donna, che tiene il capo chino (p. 537, n° 27; p. 538, n° 33 e n° 39), e la posizione reciproca di Eracle, Admeto e Alcesti a garantire la 'distanza' della donna: Eracle è di solito al centro, e tiene un braccio dietro Alcesti come per avvicinarla finalmente ad Admeto (p. 537, n° 23, n° 24, n° 25), oppure la tiene per mano e la conduce (p. 539, n° 48).

Non ci sono casi in cui Eracle sembri togliere il velo ad Alcesti in presenza di Admeto. Soltanto il rilievo di un sarcofago di Proserpina conservato agli Uffizi e risalente all’età degli Antonini (p. 538, n° 30: per la datazione cfr. Mansuelli 1958: 238-9) rappresenta Eracle forse

nell'atto di togliere il velo che le copre il capo, ma la lettura della scena non è sicura4, e in ogni caso non è rappresentato il momento della restituzione di Alcesti ad Admeto, che non compare nel rilievo, bensì – a quanto sembra – quello in cui Eracle conduce Alcesti fuori dall'oltretomba, come mostra lo sguardo dell'eroe rivolto dietro le spalle della donna.

L'interpretazione della scena presupposta nella hypothesis può sussistere in parte anche senza ajpokaluvya": già infatti il precedente kaluvptei rappresenta un'innovazione della hypothesis rispetto al testo euripideo, e una volta rilevato che la donna è avvolta in un ejsqhv" (ma ci aspetterebbe piuttosto un velo!), l'e[deixen della frase conclusiva può indurre facilmente a immaginare le stesse modalità di svolgimento della scena presupposte da ajpokaluvya". È dunque possibile che il participio sia un ampliamento (comunque di data alta, come suggerisce la presenza di una forma analoga in P.Oxy 2457), eventualmente finalizzato a indicare lo svolgimento della scena con maggior chiarezza, e a spiegare in particolare l'e[deixen dopo kaluvptei, ma è anche plausibile che la forma sia originaria e che la coppia kaluvptei/ajpokaluvya" sia stata prevista già dall'epitomatore. In tal caso, la sua assenza in BOV può spiegarsi o con una caduta accidentale, oppure con la scelta di un editore nata da una diversa interpretazione della scena finale.

4 Secondo Weitzmann 1943, ad esempio, il gesto di Eracle sarebbe analogo a quello di Hermes nella tipologia «Hermes con defunto»: il dio, con tale gesto, chiuderebbe gli occhi del morto oppure, ed è questa l’ipotesi più accreditata, calerebbe un velo sul suo volto. La particolarità di questa rappresentazione è colta dalla stessa curatrice della voce del LIMC, M. Schimidt, che la definisce una «Sonderform».

Ai[olo"

P. Oxy. 2457

Ai[olo", ou|[ajr]chv: hJ deina; kai; duvsgnwsta boul[euvei qeov"

hJ de; uJpovqesi":

Ai[olo" p̣ara; qew'n e[cwn th;n tw'n ajnevmwn d[unasteiv/-

an w[/khsen ejn tai'" kata; Tụrrhnivan nhvso[i" uijou;" e}x 5 kai; qugatevra" ta;" i[sa" gẹg̣ẹnnhkwv". ṭ[ouvtwn d joJ

newvtato" Makareu;" mia'"̣ tw'n ajdeḷ[fw'n Kanavkh" ej- rasqei;" dievfqeiren: hJ d j e[gkuo" genh[qei'sa

to;n tovkon e[krupten tw'/ nosei'n pr[ospoih-

tw'": oJ de; neanivsko" e[peise to;n patevr[a ta;" qu- 10 gatevra" sunoikivsai toi'" u[ij]oi'": oJ de; sugkạ[taqev-

meno" klh'ron tou' gavmou pa'sin ejxevq̣ḥ[ken. ptaivsa" de; peri; to;n pavlon oJ tạu'tạ ṃ[hca- nhsavmeṇo" hjtuvcei: th;n ga;r uJpo; touvtou ẹj[fqar-

mevnḥṇ ọJ ḳḷh'̣ro" pro;" a[llou sumbivws[in ejnum- 15 fagwv[g]ei: sundramovnte" d jeij" to; aujt[

ḳọụṭ..[...]ṇ to; me;n gennhqevn hJ trofo;"[

. . . .

1-2 suppl. Turner || 4-5 d[unasteiv-]|an w[/khsen Diggle : d[espoteiv-]|an w[/khsen Kassel apud Austin : d[ioivkesin]| ajnwv/khsen Turner || 5-6 suppl. Turner || 7 ajdel[fw'n Kanavkh" ej- suppl. Van Rossum Steenbeek : ajdel[fw'n ... ej- Turner || 8 suppl. Turner || 9 suppl. Lloyd-Jones || 10 suppl. Turner || 11 fin. sunk- pap. | sugkạ[taqevmeno" supplevi : sugka[lesavmeno" Barrett et Kassel apud Austin || 12 ejxevq̣ḥ[ken Snell apud Austin : ejxevf̣ạ[ivneto Turner || 13 suppl. Turner || 14 touvtou [dievfqar- Turner || 15 suppl. Morel apud Lloyd- Jones || 17 ḳọụṭ.[...]ọi to; Turner : ḳọut..[..].i to; Kannicht : .. ut..[..(.)]ṇ to; Van Rossum Steenbeek : ṭou'tọṇ [k]ai; to; Luppe

Traduzione: Eolo, avendo ottenuto dagli dei la signoria dei venti, andò ad

abitare nelle isole al largo della Tirrenia dopo aver generato sei figli maschi e lo stesso numero di figlie femmine. Il più giovane di questi, Macareo, innamoratosi di una delle sorelle, Canace, la violentava. E quella, rimasta incinta, teneva nascosta la gravidanza fingendo di essere malata. Il giovane persuase il padre a dare in matrimonio le figlie ai figli; e lui, avendo acconsentito, propose a tutti l'estrazione a sorte delle nozze. Avendo perso nell'estrazione, colui che aveva architettato questo piano non aveva fortuna: la sorte assegnava la giovane che aveva violato alla convivenza nuziale con un altro. Convenuti nello stesso/nel suo... la nutrice … il neonato...

Commento

2 hJ... qeov": TrGF 13 a. Orione (V d.C.) cita il trimetro hJ polla; kai; duvsgnwsta

bouleuvei qeov" nel suo florilegio, senza assegnarlo a un'opera specifica (Eur. 3, p. 55, 23 Schneidewin). È possibile che si tratti dello stesso verso, con la variante pollav in luogo di deinav, ma non è da escludere che si tratti di due versi differenti, considerando che il fenomeno del riuso di versi identici o molto simili è ampiamente attestato in Euripide: si veda a tal proposito Harsh 1937.

4 para; qew'n e[cwn: cfr. Xen. Hell. 6.3.12 e[cwn para; basilevw" crhvmata, Demosth.

Ep. 1.1.7 ejlpivdÆ e[cwn para; tw'n qew'n, Arist. Ep. 272 para; qeou' dw'ron tou'tÆ e[cwn, D.S. 15.74.3 e[cwn de; para; qew'n lovgion. Secondo Apollodoro, fu Zeus ad assegnare ad Eolo il potere sui venti: Ep. 7.10 ou|to" (scil. Ai[olo") ejpimelhth;" uJpo; Dio;" tw'n ajnevmwn kaqesthvkei. Cfr. anche la più generica formulazione di Od. 10.2, in cui Eolo è detto fivlo" ajqanavtoisi qeoi'si.

4-5 d[unasteiv]an w[/khsen: Diggle (1989: 10-11) propone questa integrazione sulla base

della massiccia presenza del tema dunast- nelle hypotheseis narrative. Un ulteriore elemento a sostegno di questa proposta, non rilevato da Diggle, è a mio avviso il parallelo di Luc. 45.46,

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