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Tra città e campagna, e la nostalgia di Milano

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Tra città e campagna, e la nostalgia di

Milano

Un’ulteriore possibile lettura per la Cerva bianca è di natura politica, ed è

strettamente legata con la biografia dell’autore. Abbiamo già visto, infat-

ti, come la sua intera produzione letteraria sia frutto di una meditazione

avvenuta in un forzato esilio nel contado.

Significativo è che, a mio avviso, alla descrizione degli ambienti in cui

si svolge la narrazione sia dedicato ampio spazio, e altrettanto rilevante è il

fatto che ci sia una netta migrazione dalla scena agreste a quella urbana. La

vicenda della Cerva prende le mosse in una foresta e termina in una città;

anche metaforicamente è un segnale abbastanza indicativo di quello che per

Fregoso costituiva la giusta evoluzione umana. L’autore si allinea, sotto

questo aspetto, al principio delle Stanze di Poliziano: anche nel poemetto

incompiuto per Giuliano de’ Medici il principio di fondo era un’allegoria di

elevazione sociale, e difatti la trama si svolgeva cominciando in una selva

e concludendosi in città, dove Iulio avrebbe compiuto il proprio destino di

rampollo mediceo.

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Ma è soprattutto indicativo dell’inversione venutasi a creare nel Quattro-

cento sul rapporto tra città e campagna, in particolare rispetto a Petrarca:

questi infatti, sotto molti aspetti, vedeva il contesto urbano in termini negati-

vi (basti il rimando ad Avignone-Babilonia, rvf 136-138), preferendo di gran

lunga la solitudine trovata nella placida Valchiusa. Ma se lo stesso Fregoso,

nelle prime due operette, dà l’impressione di volersi schierare con l’autore del

De vita solitaria – attraverso il dileggio o la disperazione di fronte alla follia

della società umana –, nella Cerva bianca sembra complessivamente ribaltare

questo punto di vista, procedendo vettorialmente dal contado alla città (per

quanto nei primi canti l’azione si svolga effettivamente tra saggi e lontano

dal secolo). In un certo senso, insomma, l’intero poema può essere letto e

interpretato come una migrazione da uno stato rurale a uno urbano.

Rispondono a questa lettura diversi elementi. La metamorfosi subita da

Mirina, divenuta una cerva per punizione di Diana, ha un chiaro sottotesto

sociale: trasformarsi in una bestia significa essere esclusi dal genere umano,

con tutte le complessità che questo comporta, ma anche dai suoi privilegi (la

Caccia di Diana di Boccaccio è fondamentale per lo sviluppo di quest’idea).

Una bestia non può amare, o diventare saggia: per questo motivo Ficino par-

la di amore bestiale,

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totalmente privato dell’uso della ragione. E il ricorso

7

Cf. il capitolo 5, su Poliziano, nella prima parte di questo lavoro.

8

Il filosofo toscano distingue tre tipi di amore: «L’amore del contemplativo s’accosta più al demonio suppremo che all’infimo, quello del voluptuoso più all’infimo che al suppremo,

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Un poema allegorico

a Ragione è esattamente la chiave di volta del poema, ciò che permette a Fi-

leremo di completare il proprio viaggio. In tal senso, si può leggere il poema

non solo come l’allegoria di un’evoluzione etica, secondo quanto detto nella

sezione precedente, ma anche come percorso di elevazione sociale, da uno

stato di solitudine a uno di collettività: Fregoso non disprezza la società, pur

non risparmiandole critiche anche severe,

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come fanno Eraclito e Democrito

nei due poemetti del suo esordio letterario, ma ne avverte evidentemente la

nostalgia, dato che l’obiettivo del viaggio metaforico viene raggiunto in una

città, o, ancora meglio, in una corte, che è la massima espressione di società

dell’epoca. L’origine di questa nostalgia è chiaramente rintracciabile nell’e-

sperienza personale dell’autore, che al momento di scrivere si trovava lontano

da Milano contro la propria volontà, e sperimentava per la prima volta «l’im-

provvisa irrilevanza sociale dell’esule».

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Non per niente, per quanto relegato

in campagna, Fregoso non cessò mai di frequentare i cenacoli letterari di Ceci-

lia Gallerani e Ippolita Sforza Bentivoglio, come si è detto nel primo capitolo;

quest’ultima, addirittura, fa la sua comparsa nel poema stesso, proprio come

guida del protagonista all’interno di Erotopoli.

A proposito di personaggi storici, potrebbe sorprendere abbastanza, sem-

pre nell’ultimo canto, l’apparizione di Jacques de Chabannes de la Palice,

colto mentre contempla le spoglie di Marte nel palazzo di Eros. In realtà, la

menzione del generale francese risponde chiaramente a una precisa volontà

politica, vale a dire quella di ingraziarsi l’establishment transalpino, che ave-

va sì permesso a Fregoso di mantenere il titolo di cavaliere nell’occasione del

giuramento di fedeltà a Luigi xii, ma che l’aveva anche spogliato formalmente

del feudo di Sannazzaro, in Lomellina.

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La Cerva bianca, quindi, da questo

punto di vista si trasforma anche in un’occasione per cercare di recuperare

credibilità e favore presso i nuovi dominatori del ducato milanese, tentati-

vo di cui non si conosce l’esito con certezza, ma che con tutta probabilità

non andò a buon fine, dato che l’autore non mise più piede stabilmente nel

capoluogo.

In sostanza, quindi, sotto molti aspetti la Cerva si configura anche come

un poema dallo spiccato sottotesto sociopolitico, senz’altro meno immedia-

to rispetto a quello filosofico, ma al quale, forse, l’autore era addirittura

maggiormente legato.

quello dell’activo s’accosta equalmente all’uno come all’altro. Questi tre amori tre nomi pigliano: l’amore del contemplativo si chiama divino, dello activo humano, del voluptuoso bestiale» (Libro dell’amore VI viii).

9

Si vedano, per esempio, cb i 52, ii 59, 5 e iii 65.

10

I. Brodskij,Dall’esilio, Milano, Adelphi, 2014, p.

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