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La Cerva bianca è un poema strutturato in regni (Diana, Anteros, Eros), che

di conseguenza procede con un andamento narratologicamente dialettico. I

modelli di riferimento, quindi, sono essenzialmente due: la Commedia di

Dante Alighieri e i Trionfi di Francesco Petrarca. Che il capolavoro dantesco

sia verosimilmente il precedente letterario con cui Fregoso è più fortemente

in debito è manifesto non solo nella tripartizione geografica dell’opera,

7

ma

anche da un punto di vista meramente testuale; in proposito rimando al

commento per i prestiti e i calchi sparsi un po’ dovunque nel testo, e mi

limito a riportare qui il dantismo più marcato, posto nell’esordio del settimo

canto, nell’iscrizione all’ingresso di Erotopoli (vii 1-2):

“Per me si va ne la città piacente,

per me si va fra singular piacere,

per me si va fra la amorosa gente.

7

Va rilevato come però il procedere dialettico dei regni non sia perfettamente sovrap- ponibile tra i due autori e le due opere: se nella Commedia il susseguirsi di Inferno, Purgatorio e Paradiso rappresentavano fondamentalmente l’uno il superamento dell’altro (è del resto lo stesso modello trionfale petrarchesco) e il percorso del pellegrino era di fat- to un vettore ascendente, nellaCerva bianca il procedere richiama piuttosto un modello dialettico hegeliano, laddove il regno di Anteros, il peggiore di tutti, è il secondo.

10.2 Modelli letterari

83

Dal gran Motore de le eterne sfere

io fui creata, ben che in primamente

da lo infinito eterno suo sapere

in grembo a Caos il mio gran signore

fu retrovato, ed è chiamato Amore.

Per quel tutte le cose fûr create,

che hanno vita mortale in questo mondo.

Lasciate ogni tristezza, o voi che intrate”.

L’assonanza con l’analoga iscrizione all’ingresso dell’Inferno della Commedia

(If. iii 1-9) non sarebbe sfuggita nemmeno al più distratto frequentatore

di poesia in volgare: figurarsi al colto pubblico di Fregoso, abituatissimo

all’imitatio dei grandi modelli trecenteschi. Di seguito, comunque, do per

comodità una tabella delle corrispondenze:

Cerva bianca vii 1-2

Inferno iii 1-9

Per me si va. . .

Per me si va. . .

città piacente

città dolente

singular piacere

etterno dolore

amorosa gente

perduta gente

gran Motore

alto fattore

Dal gran Motore . . . creata

fecemi la divina potestate

infinito eterno suo sapere

somma sapienza

tutte le cose fûr create

non fuor cose create

che hanno vita mortale

se non etterne

Lasciate ogni tristezza, o voi che intrate Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate

Piuttosto interessante è, in realtà, il fatto che Fregoso operi allo stesso tempo

un calco del testo e un’inversione completa del contenuto, secondo una ten-

denza riscontrabile in più di un’occasione negli ultimi due canti (si vedano le

note di commento a vi 41, 2, vi 53, 1 e vii 1, 1). Si tratta di un impiego delle

fonti maturo, che trascende il principio della lessicalizzazione formulato da

Marco Santagata

8

– del resto ben presente in altri luoghi della Cerva bianca,

soprattutto nei confronti di Petrarca – e che si discosta in particolare dalla

prassi compositiva cortigiana. Volendo, il fatto che il rovesciamento dei mo-

delli ricorra nei canti conclusivi (e quindi in prossimità della meta finale del

8

A proposito dell’area meridionale, cf. M. Santagata,La lirica aragonese. Studi sulla poesia napoletana del secondo Quattrocento, Padova, Antenore, 1979, p. 91.

84

Stile e modelli

viaggio) potrebbe rinsaldare l’ipotesi di una lettura metaletteraria del poema

stesso: se ne parlerà nel capitolo successivo, ma è bene fin da ora tenerlo a

mente.

Per quanto riguarda Petrarca, l’altro grande bacino stilistico a cui Fregoso

ha evidentemente attinto, i richiami testuali hanno probabilmente una densi-

tà molto maggiore rispetto ai dantismi, ma hanno avuto un peso minore nella

costruzione narrativa: in sostanza, laddove Dante era ben presente all’autore

come fonte di allegorie e microintrecci,

9

a Petrarca viene in un certo senso

riservata la funzione di contenitore di iuncturae e immagini cristallizzate, di

cui fornisco un campione nelle corrispondenze seguenti:

cb i

3, 4-5

e Zefiro [. . . ] / il bel tempo sereno a noi rimena

rvf

310, 1

Zephiro torna, e ’l bel tempo rimena

cb i

5, 1

Così giacean fra fior vermigli e bianchi

cb vi

44, 2

di fior vermigli o bianchi e de ogni guisa

rvf 46, 1

L’oro et le perle e i fior’ vermigli e i bianchi

cb i

21, 7

fermaimi in una via tutto pensoso

tf iii

77

e Democrito andar tutto pensoso

cb i

43, 8

“La vita il fine e il dì loda la sera”

rvf

23, 31

La vita il fine e il dì loda la sera

cb i

84, 3

piene le antique e le moderne carte

rvf

28, 77

volte l’antiche et le moderne carte

tc iv

12

o per antiche, o per moderne carte

cb i

84, 7

consentire al furor de la matregna

tc i

110

consentir al furor de la matrigna

cb ii

56, 5

per la selva, qual cerva fuggitiva

rvf

212, 7

et una cerva errante et fugitiva

cb iii

24, 1

E questo è quel che più ch’altro mi spiace

rvf

84, 12

Or questo è quel che più ch’altro n’atrista

cb iv

49, 1

Questo fu quel che te trafisse il core

rvf

112, 11 qui co’ begli occhi mi trafisse il core

cb v

55, 6

e sul dritto camino il revolgeva

rvf

25, 5

Or ch’al dritto camin l’à Dio rivolta

9

Ad esempio: lo smarrimento nella selva iniziale; la comparsa di Eubulo modellata su quella di Virgilio; la tripartizione del viaggio; il fiume da attraversare; l’iscrizione alle porte di Erotopoli di cui si è parlato poco sopra.

10.2 Modelli letterari

85

vii

67, 2

erano di piropo fiammegiante

tf i

43

Poi fiammeggiava a guisa d’un piropo

Come si vede, la ripresa da Petrarca è molto più pedissequa rispetto a quella

da Dante, e il motivo è che la poesia di Petrarca, per quanto in un momento

storico precedente alla canonizzazione da parte di Bembo, già nel Quattro-

cento aveva subito un processo di cristallizzazione. I risultati di tale processo

sono ben visibili nella quasi totalità delle opere contemporanee a Fregoso

(delle quali Canzoniere e Trionfi costituiscono la filigrana stilistica), e la

Cerva bianca non fa eccezione.

Più limitato, ma comunque non indifferente, l’apporto di altri testi della

tradizione, in primis il Boccaccio in versi:

cb i

14, 7

ma poi che al prato vidde me giacere

Teseida v 68, 1

Ma poi che elli il vide pur giacere

cb i

65, 1

Con umil voce e con demesso volto

Rime 55, 13

con umil voce e con atti piacenti

cb ii

8, 2

forte a sonare io cominciai il corno

Ninf. fies. 20, 5

ed a sonar incominciò un corno

cb ii

17, 1

Già rossegiava il ciel ne l’occidente

Ninf. fies. 209, 4

e rosseggiava l’aria in occidente

cb ii

54, 7-8

Cercar dovrebbe ormai tuo cor riposo,

e sei come fanciullo appetitoso

Ninf. fies. 44, 7-8 ma com’uom vile stai tristo e pensoso

quando cercar dovresti il tuo riposo

cb iv

48, 6

il qual securo e senza alcun suspetto

Teseida v 78, 5

e in tal guisa, senza alcun sospetto

Altrettanto significativo è l’influsso di Poliziano e Lorenzo de’ Medici, con

numerosi rimandi testuali nel corso di tutto il poema. Dei due, in particolare

il primo è fondamentale, dato che costituisce il precedente più vicino ad aver

impiegato il simbolo della cerva bianca in un’allegoria venatoria, che poi

Fregoso sviluppa autonomamente in una formula odeporica; ma i fiorentini

sono fondamentali soprattutto per ragioni metriche, avendo contribuito a

dare dignità all’ottava – metro altrimenti legato alla tradizione canterina –

86

Stile e modelli

come manifestato in una nota di Palladio Bellon Decio in conclusione della

princeps della Cerva bianca:

10

Molti saranno forse, ai quali parerà inconveniente che lo Autore abbia

composto questa presente opera in stanze, per esser stile pedestre e

umile. Ma non si maravigli alcuno, imperò che non si è sdegnato il

Magnifico Laurenzio Medice e il facondissimo Mesere Angelo Poliziano,

e altri assai, descendere a tal bassezza, sperando col suo leggiadro stile

dare reputazione a questa ottava rima, come ora il nostro Fregoso si è

sforzato de fare, imitando la autoritate de tali scrittori eccellentissimi.

Inutile specificare come anche il contributo dei cortigiani contemporanei

abbia notevole peso nel tessuto testuale: particolare attenzione è stata riser-

vata, nel commento, ad Antonio Tebaldeo, Serafino Aquilano (per il quale

Fregoso scrisse anche un testo in morte nelle Collettanee curate da Achilli-

ni, e ora edito nelle Rime), Galeotto del Carretto, e gli altri due «generosi

cavallieri» della corte sforzesca: Gaspare Ambrogio Visconti e Niccolò da

Correggio.

Da ultimo, mi preme segnalare un debito insolito per un testo del genere,

vale a dire quello contratto con Pulci. Dal Morgante, infatti, la Cerva bianca

ha prelevato addirittura l’incipit, ed è quanto mai curioso che nella dichia-

razione iniziale di un poema allegorico il rimando letterario sia ad un testo

comico, quale quello di Pulci:

Cerva bianca i 3

Morgante i 3

Era nel tempo quando Filomena

Era nel tempo quando Filomena

su’ verdi rami dolcemente plora

con la sorella si lamenta e plora,

che se ricorda di sua antiqua pena,

ché si ricorda di sua antica pena,

e Zefiro con la sua vaga Flora

e pe’ boschetti le ninfe innamora,

il bel tempo sereno a noi rimena,

e Febo il carro temperato mena,

e che ogni cosa viva se innamora,

ché ’l suo Fetonte l’ammaestra ancora,

e virtù piove da l’aurate corna

ed appariva appunto all’orizonte

del Bue celeste, che la terra adorna tal che Titon si graffiava la fronte

Una spiegazione per la scelta di Fregoso può essere, in accordo con quanto

già abbozzato a proposito di Dante, una lettura metaletteraria dell’intera

opera, quindi dall’incipit del primo canto che guarda alla letteratura comica

10

10.2 Modelli letterari

87

a quello del settimo, che è modellato invece sulla Commedia; ma di questo

si discuterà maggiormente nel capitolo successivo.

Nel complesso, dunque, la Cerva bianca appare significativamente collega-

ta con le opere in volgare che l’hanno preceduta; a queste andranno affiancate

numerose riprese dai classici latini (Virgilio, Ovidio e Orazio su tutti), co-

struzioni bibliche spesso dall’aspetto proverbiale, richiami a testi transalpini,

verosimilmente di grande successo nella Milano francese. In particolare, ai

già citati Livre du Cuer d’Amours Espris e Ospital d’Amours andrà aggiunto

almeno il Roman de la Rose, il cui protagonista è egli stesso personaggio del

poema nel canto settimo.

11

La Rose ha anche il merito di aver fornito la

cornice onirica entro cui si situa la narrazione, cui del resto deve aver con-

tribuito anche la più recente Hypnerotomachia Poliphili – e non si esclude,

anche in questo frangente, un apporto della stessa Commedia.

12

11

Sulla fortuna delRoman de la Rose nella letteratura italiana – e in particolare nella Cerva bianca – si veda L. F. Benedetto, Il Roman de la Rose e la letteratura italiana, soprattutto le pp. 219 ss.

12

Cf. T. Wlassics, L’onirismo dell’"incipit": appunti su Inferno I, 1-63, «Letture classensi» 18 (1989), pp. 31-39.

Capitolo 11

Un poema allegorico

Il tema in questo caso è rappresentato da un itinerarium che muove

dall’amore carnale verso la conoscenza del vero Amore, secondo una

prospettiva a grandi linee neoplatonica.

Così Marco Corradini,

1

che ha tracciato il più recente profilo letterario della

Milano cinquecentesca, ha rapidamente liquidato la Cerva bianca e lo scio-

glimento della sua allegoria. Oggettivamente non c’è nulla di sbagliato in

queste poche righe, anzi: l’interpretazione del viaggio del protagonista come

declinazione in chiave neoplatonica del medievale itinerarium mentis in Deo,

un viaggio, quindi, che vede nell’Amore celeste la sua destinazione finale, è

senz’altro la spiegazione più immediata ed evidente, nonché maggioritaria.

Una lettura del poema più approfondita, tuttavia, rivela a mio avviso

significati sottesi al testo non immediatamente riconoscibili, di cui in parte si

è già dato conto nelle pagine precedenti. Di seguito, quindi, mi concentrerò

sullo scioglimento della complessa allegoria della Cerva bianca, cominciando

sì con l’interpretazione neoplatonica, ma osservandola anche da specole che

mostrano altri elementi occultati dall’integumentum, meno immediati ma

comunque rilevanti sia per un discorso di poetica dell’autore che per la sua

stessa biografia.

11.1

Itinerarium mentis

Che Fregoso si ponga sotto l’egida della riflessione neoplatonica generata

dall’Accademia di Marsilio Ficino non è solo lampante a prima vista, ma

addirittura esplicitato dall’autore stesso con l’appellativo «divin Plato» (cb

iii

71, 2). A questo si affianca un buon numero di termini propri di quella

1

Corradini,Dal Moro a san Carlo, p. 74.

90

Un poema allegorico

speculazione: influsso (cb i 26, 5), appetito (cb i 54, 5), formato (cb i 68,

4), fantasia (cb ii 38, 4), magia (cb iii 47, 2), due Venere (cb iv 44, 2). La

tendenza, come si vede, è sincretistica rispetto ai vari approcci dei pensatori

fiorentini, e mira ad accostare la riflessione ficiniana (soprattutto quella sul-

l’amore, in particolare riprendendo la teoria delle due Veneri formulata nel

commento al Simposio) a quella cabalistico-ermetica di Pico della Mirandola

(mediante i riferimenti alla magia e alla funzione mediatrice dei demoni).

Ma veniamo alla vicenda narrata. All’inizio del poema, il cacciatore File-

remo (manifestamente alter ego di Fregoso) parte per una battuta di caccia

all’alba, accompagnato da due segugi rossi come il fuoco: Pensiero e Desio.

Il momento della giornata è topico, ed è lo stesso in cui ha inizio la caccia di

Iulo nelle Stanze di Poliziano; come nel caso di Giuliano, anche per Fregoso si

può ipotizzare che l’eroe della Cerva riprenda l’archetipo del giovane di belle

speranze, coraggioso e abile nella caccia ma totalmente digiuno in materia

amorosa.

2

Fileremo, quindi, è giovane e aitante, e il fatto che abbia con sé

entrambi i segugi significa che è in equilibrio dal punto di vista intellettuale

(Pensiero) e delle aspirazioni (Desio). La comparsa della cerva bianca, tut-

tavia, cambia tutte le carte in tavola: aizza i due cani e il cacciatore stesso,

che si lancia al suo inseguimento e crede di catturarla facilmente tendendo

una rete, soltanto per ritrovarsi presto solo nella foresta, di notte, e avendo

perso in un colpo solo bracchi e preda. La cerva, che in una fortunatissima

tradizione in volgare è metamorfosi letteraria della donna amata, ha in que-

sto caso un’ulteriore connotazione neoplatonica: essa costituisce la bellezza,

il desiderio della quale è il primo fondamentale passo dell’elevazione spiritua-

le verso l’amore celeste. Illuminante, in questo senso, la spiegazione offerta

da Girolamo Benivieni nel commento a una delle proprie canzoni, con ogni

probabilità noto a Fregoso:

3

Io seguitavo el corso d’un leggier cervo: Ciò è di epsa belleza sensibile,

la quale meritamente per non partirmi dalla già presa translatione del

bosco, del colle et delle acque, è rispecto alla sua velocità significata

in questo luogo per el cervo.

La tensione verso la cerva, dunque, rappresenta un motivo iniziatico, l’ele-

mento che consente all’eroe Fileremo di intraprendere un viaggio che, sotto

2

Cf. Poliziano,Stanze i 11, 7-8 «così, chiamando amor lascivia umana, / si godea con le Muse e con Diana»; è lo stesso archetipo cui corrisponde Guigemar nell’omonimo lai di Marie de France, di cui s’è discusso nella prima parte di questo lavoro.

3Commento di Hieronymo Benivieni sopra a più sue canzone et sonetti dello amore et

della belleza divina. Impresso in Firenze per S. Antonio Tubini & Lorenzo di Francesco Venetiano & Andrea Ghyr. da Pistoia. A dì viii di Sepempbre MCCCCC, c. XXXv. Lo stesso passo è ricordato, a proposito di Poliziano, da Martelli, Simbolo e struttura, p. 94.

11.1Itinerarium mentis

91

l’allegoria odeporica, intende un’evoluzione di tipo morale. La prima cosa

che si verifica, però, è la solitudine nella selva oscura, altra celebre metafora

per la perdizione etica; a salvare il protagonista interviene Eubulo, sacerdote

di Minerva ed eremita nei boschi, che accoglie Fileremo nella sua umile ca-

panna, lo rifocilla e gli offre ospitalità per la notte. Eubulo (buon consiglio,

come si legge a margine del suo nome nella princeps, cf. il commento a i 40,

4) è l’archetipo del vecchio saggio reso celebre nelle agiografie e nei romanzi

d’area francese, e che in Italia ha fatto una comparsa vicinissima a Fregoso,

a cui non si può non rimandare: l’eremita che conclude gli Asolani di Pietro

Bembo.

4

Torniamo, con Bembo, al neoplatonismo, e infatti Eubulo non si

limita a offrire salvezza al protagonista, ma gli impartisce anche una lezione

morale: il suo pensiero condensa, sostanzialmente, le istanze del medievale

contemptus mundi, e invita Fileremo a disprezzare ogni bene terreno (amo-

re compreso) e a dedicarsi esclusivamente al proprio spirito e al culto della

ragione.

Per Fileremo è il momento iniziale della sua formazione, ed è indicativo

che al momento del commiato questi non si mostri tanto interessato al ritro-

vamento della cerva, quanto piuttosto a quello dei propri segugi (i due motori

intellettuali). Il successivo incontro con Apuano e, poco più tardi, con Filare-

to, è il motivo tutto umanistico dell’amicizia virtuosa e del dialogo tra saggi,

attraverso il quale il protagonista verrà edotto sui fondamenti della teoria

neoplatonica: l’amore come consonanza di spiriti e di influsso dei demoni,

come mezzo di elevazione verso la divinità piuttosto che manifestazione di

bassi istinti terreni. Il dialogo con Ergotele, materia del quarto canto, non è

che un contrappunto del lunghissimo scambio del terzo, e in chiave dialetti-

ca (e didattica) mostra come Fileremo abbia fatto proprie le tesi esposte in

precedenza, e sia ora pronto a intraprendere il viaggio verso la destinazione

finale.

La prima tappa è il regno di Diana, dea casta della caccia e dei boschi, che

rappresenta la negazione stessa dell’amore – anche in termini neoplatonici.

Qui, tuttavia, il protagonista ed Ergotele non riescono a fermarsi a lungo,

perché vengono fatti prigionieri dai soldati di Anteros, vale a dire l’amore

carnale. In un’ottica allegorica, vale a dire che essi vengono tratti in tenta-

zione, nel tentativo di irretirli verso un amore bestiale, dal quale ci si può

salvare solo mediante il ricorso alla ragione. E Ragione stessa infatti corre

in loro soccorso, parlamentando con il capo delle guardie (che hanno tutte

nomi significativi, cf. il cap. 2.2). La nuova guida, sul modello del Virgilio

4

Cf. Bembo,Asolani III xi «Dove come io fui, così dall’uno de’ canti mi venne una capannuccia veduta, e poco da lei discosto tra gli alberi un uom tutto solo lentamente passeggiare, canutissimo e barbuto e vestito di panno simile alle corteccie de’ querciuoli, tra’ quali egli era».

92

Un poema allegorico

dantesco,

5

accompagnerà i due pellegrini attraverso le insidie del regno di

Anteros, salvandoli dai pericoli costituiti da Ormi, Pantolmo e Imero (la lus-

suria, la temerarietà e il desiderio smodato), fino a ripararsi per la notte in

un boschetto di allori, metafora per la poesia amorosa che è salvezza contro

la disperazione causata dall’amore sensuale.

Sempre dantesco è il fiume che divide il regno di Anteros da quello di

Eros, l’amore virtuoso: ma se per Dante l’acqua di Letè ed Eunoè «a tutti

gli altri sapori [. . . ] è di sopra»,

6

quella del fiume della Cerva bianca è

amarissima, e alimentata dalle lacrime degli amanti disperati. In ogni caso,

per oltrepassarlo i due devono salire su di una gondoletta, troppo leggera per

trasportare un carico così pesante come Ragione, che quindi dovrà trovare

un’altra via per la città di Amore; nuova guida sarà Giovinezza, nocchiera

della piccola imbarcazione. L’attraversamento, quindi, ha i connotati di una

palingenesi: dopo aver superato i primi due regni, Fileremo è ora in uno

stato di giovinezza più metaforica che anagrafica, ma comunque preparato

all’ultima aventure che lo aspetta.

Prima tappa nel regno di Amore è il tempio di Letizia, dove giovani

ballano e festeggiano senza sosta; questo è il punto in cui Ergotele abbandona

il gruppo, «ché altro mai non cercai in vita mia / se non letizia» (cb vi

42, 2-3), mostrandosi coerente con il ruolo attribuitogli dall’autore nella sua

ottica aristocratica: un sottoposto brillante ma pur sempre sempliciotto,

troppo legato ai beni terreni per compiere una maturazione etica completa.

Fileremo, invece, prosegue con Giovinezza verso Erotopoli dove, una volta

giunto nel palazzo di Amore, contemplerà questi assiso in trono con Venere,

Voluttà e Natura, e verrà a sapere che cerva e cani sono stati recuperati da

Adone; ma ormai la sua maturazione è completa, e di questi si disinteressa.

Secondo la teoria neoplatonica sull’amore, quello che Fileremo ha raggiunto

è l’Amore terreno (non volgare), a sua volta figlio della Venere terrena, vale

a dire le manifestazioni sensibili dei concetti ideali di Amore e Venere. Per

raggiungere questi l’eroe ha bisogno di un ultimo intervento di Ragione, che si

manifesta proprio a questo punto, e che lo guida nel tempio rialzato rispetto

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