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11.3

Una questione di poetica

L’ultima lettura dell’allegoria fregosiana che voglio tentare, infine, è di natu-

ra metaletteraria. Due elementi, in particolare, colpiscono immediatamente

l’occhio del lettore, anche quello meno avvertito: l’esordio del primo canto,

modellato su quello del Morgante di Luigi Pulci, e quello del settimo e ultimo,

ricalcato invece sui versi iniziali del terzo canto della Commedia dantesca.

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Se, come si è visto, il modello di Dante è quello maggiormente seguito non

solo nel caso di prestiti testuali sparsi nell’intero testo, ma soprattutto nello

stesso impianto strutturale del poema, il rimando a un testo comico come

quello pulciano può apparire a prima vista insolito e inspiegabile.

In realtà, sono convinto che non si tratti di una scelta casuale o pura-

mente estetica, ma che risponda ad una precisa istanza ideologica. Si è visto

come l’allegoria della Cerva bianca, sia dal punto di vista etico-filosofico sia

da quello sociale-politico, articoli la narrazione di un’elevazione: dall’assenza

di amore al raggiungimento di quello virtuoso nel primo caso, dalla solitudine

della campagna alla società urbana nel secondo. Da un punto di vista meta-

letterario si può intendere l’opera negli stessi termini: come il cambiamento –

in meglio – da una letteratura di tipo comico-realistico a una fatta di «arcani

et occulti, ma al tutto divinissimi sensi»,

13

qual è appunto la Commedia di

Dante. La stessa struttura dell’opera concorre a corroborare questa ipotesi:

una suddivisione dei canti in un modello 3 + 1 + 3, con il quarto a fungere

da chiave di volta, mostra un chiaro mutamento di ordine letterario. I pri-

mi tre canti, infatti, rispettano le caratteristiche della produzione bucolica:

l’ambientazione è pastorale (la selva, la fonte nella radura, l’eremo, l’isoletta

sul fiume), i personaggi – quasi certamente reali – sono occultati da un nome

fittizio (Eubulo, Apuano, Filareto, Ergotele) e la maggior parte delle ottave

è di natura dialogica. Gli ultimi tre, al contrario, vedono la perdita totale dei

soprannomi umanistici per le figure che prendono parte all’azione, che diven-

tano invece prosopopee (Dolce-risguardo, Bellezza, Fama, Maniera-accorta,

Leggiadria, Ragione, Gioventù), e un deciso spostamento dello scenario, me-

no assoluto rispetto agli agglomerati urbani e tendente piuttosto ai dintorni

di questi (castello di Diana, regno di Anteros, Erotopoli). L’opposizione

strutturale rispecchia, quindi, anche un mutamento di riferimenti letterari:

dalla poesia comica di Pulci, quindi, accostata a quella umile della bucolica

(e non va trascurato un accenno, nella figura di Mammia, a quella piscatoria,

decisamente precoce per quei tempi trattandosi di una tradizione che darà

i massimi frutti nel Cinquecento maturo), alla poesia allegorica tout-court,

12

Per i riscontri testuali si veda il capitolo 3.2 di questa introduzione.

13

96

Un poema allegorico

ispirata chiaramente a modelli più ambiziosi quali il Roman de la Rose, il

Quadriregio di Federigo Frezzi, l’Hypnerotomachia Poliphili e, ovviamente,

la Commedia.

È dunque in questo modo, attraverso i due macrorichiami testuali in

apertura e in chiusura della Cerva bianca, e accanto alla bipartizione della

struttura in cui ognuna delle due sezioni risponde a precisi modelli letterari,

che si rivela l’intento metapoetico di Fregoso: assieme al pattern di elevazione

morale e politico, sottintendere anche quello autoriale da una produzione

umile a una sublime, con il quale non contrasta il realismo di cui ho scritto

al capitolo 3.1, diffuso in tutta l’opera. La scelta fregosiana non è di stile,

ma di adesione poetica nella quale si sublima la maturità dell’autore, e negli

elementi appena presentati mi sembra evidente come essa sia magari non

immediata, ma comunque manifesta.

Capitolo 12

Il dibattito rinascimentale

sull’amore

Pur non essendo questo un lavoro di ricerca in campo filosofico, vale adesso

la pena dedicare qualche pagina al dibattito pro e contro Amore sviluppatosi

negli ultimi decenni del Quattrocento, al quale la Cerva bianca ha sicuramen-

te contratto un importante debito speculativo, e nel quale essa si inserisce a

buon diritto. Pur non apportando novità sostanziali alla riflessione erotica, la

peculiarità dell’opera rispetto agli altri contributi è quello di aver tradotto la

questione in versi; in tal modo, Fregoso fa una scelta ideologica ben precisa,

annullando l’inevitabile distanza che si viene a creare tra un pubblico ampio

e una forma fredda come il trattato. Seguendo, quindi, il principio lucrezia-

no di rendere allettante la medicina cospargendo la coppa di miele,

1

il poeta

tenta una formulazione delle diverse istanze sul tema rendendole appetibili

presentandole nella forma del poema in ottave.

Dopo una presentazione – per forza sommaria – dei principali protagonisti

del dibattito, il capitolo si propone di dare una collocazione della Cerva

bianca al suo interno.

2

1

Lucrezio,De rerum natura I 936-938 «sed vel uti pueris absinthia taetra medentes / cum dare conantur, prius oras pocula circum / contingunt mellis dulci flavoque liquore».

2

Le prime due sezioni non hanno alcuna pretesa di esaustività, e si limitano a riportare gli elementi delle diverse riflessioni utili all’unico obiettivo di contestualizzare l’opera di cui mi sto occupando. Riguardo agli autori maggiormente letti in quegli anni (per la prima parte Marsilio Ficino, Giovanni Pico della Mirandola, Pietro Bembo, Cristoforo Landino, per la seconda Pietro Edo, Battista Fregoso, Bernardino Corio e il Platina) esiste del resto una bibliografia imponente, di cui fornisco un breve campione di riferimento in quella in coda a questo lavoro.

98

Il dibattito rinascimentale sull’amore

12.1

Amore celeste, amore terreno e amore be-

stiale

La tripartizione che dà il titolo a questo primo paragrafo è in un passo già

ricordato altrove del Libro sull’amore di Marsilio Ficino, e ha il merito di

riassumere in un enunciato buona parte della riflessione erotica di matrice

neoplatonica. Per il fondatore dell’Accademia esistono, infatti, tre tipi di

amore, cui corrispondono tre diverse inclinazioni di vita:

3

Di qui nascono quegli tre amori, per che noi siamo generati e allevati

con inclinatione all’una delle tre vite, cioè o alla vita contemplativa, o

attiva o voluptuosa. Se noi siamo fatti inclinevoli alla contemplativa,

subito per lo aspecto della forma corporale ci inalziamo alla conside-

ratione della spiritale e divina; se alla voluptuosa, subito dal vedere

caschiamo nella concupiscentia del tacto; se all’activa e morale, noi

solamente perseveriamo in quella dilectatione del vedere e conversare.

E primi sono tanto ingegnosi che altissimamente s’innalzano, gli ultimi

sono tanto grossi che ruinano all’infimo, quegli di mezzo nella mezza

regione si rimangono. Adunque ogni amore comincia dal vedere, ma

l’amore del contemplativo dal vedere surge nella mente, l’amore del vo-

luptuoso dal vedere discende nel tacto, l’amore dell’activo nel vedere

si rimane.

Come si vede, il principale motore dell’eros è l’atto di vedere, in quanto azione

più immediata di comprensione del mondo sensibile: questo, neoplatonica-

mente, altro non è se non l’immagine terrena del mondo divino. C’è, quindi,

un’idea del mondo aprioristicamente positiva, almeno in potenza: l’uomo

può, infatti, scegliere sia di limitarsi a rimanere nel livello mediano (sensibi-

le), sia di elevarsi verso quello divino per mezzo della contemplazione, o di

sprofondare nella lussuria qualora la vista, da potenza, si trasformi in atto.

Naturalmente, ciò che attira l’attenzione del vedere umano è la bellezza, vale

a dire «una certa gratia la qual maximamente el più delle volte nasce dalla

conrispondentia di più cose»;

4

dietro la bellezza c’è, dunque, una profonda

idea di concordia e armonia, che sono le caratteristiche della dimensione tra-

scendente; non a caso il regno divino si contraddistingue attraverso queste due

proprietà, così come le sue manifestazioni celesti (su tutte, l’idea di armonia

delle sfere, centrale nelle ricerche astronomiche rinascimentali e in particolare

del pensiero di Pico della Mirandola). La bellezza, dunque, è il mezzo attra-

verso il quale Dio si manifesta in modo da poter essere colto dall’uomo, e col

3

Ficino,Libro dell’amore VI viii.

12.1 Amore celeste, amore terreno e amore bestiale

99

quale l’anima dell’uomo può ambire a ritornare presso Dio stesso. Scegliendo

di contemplare detta bellezza si potrà comprendere come essa sia manifesta-

zione divina sulla terra, e quindi elevarsi; scegliendo invece di prenderla in

termini sensuali non si farà che coglierne il lato più propriamente terreno,

escludendo di conseguenza ogni possibilità di salvazione.

Tornando ai tre amori, una classificazione era già nel De natura deorum

di Cicerone, nel quel veniva anche fornita una genealogia:

5

Cupido primus Mercurio et Diana prima natus dicitur; secundus Mer-

curio et Venere secunda; tertius, qui idem est Anteros, Marte et Venere

tertia.

Un primo Amore, quindi, originato da Mercurio e da Diana, da intendersi

come quella che verrà definita Venere celeste nel Rinascimento, caratterizzata

dall’idea di purezza; un secondo nato da Mercurio e Venere, che corrisponde

all’amore terreno dei neoplatonici, e un terzo amore, quello volgare o sensuale,

nato da Venere e Marte, e che del padre ha ereditato tutti i tratti bellicosi

e feroci; sul nome Anteros, attribuito da Cicerone e che vale ‘negazione di

amore’, tornerò nella sezione successiva del capitolo.

La classificazione dei diversi amori permette anche di avvicinare la teoria

delle due Veneri, l’una celeste e l’altra terrena. Così come Eros si configura

come metafora dell’amore che spinge l’uomo a desiderare la bellezza,

6

Venere

si pone come ciò che genera la bellezza stessa:

Sieno adunque due Venere nell’anima, la prima celeste, la seconda vul-

gare, amendua abbino l’amore: la celeste abbi l’amore a cogitare la

divina bellezza, la vulgare abbi l’amore a generare la bellezza medesi-

ma nella materia del mondo, perché quale ornamento quella vede tale

questa vuole, secondo el suo potere, dare alla macchine del mondo.

Anzi l’una e l’altra è trasportata a generare la bellezza, ma ciascuna

nel modo suo: la celeste Venere si sforza di ripignere in sé medesima,

con la intelligentia sua, la expressa similitudine delle cose superiori; la

volgare si sforza nella mondana materia parturire la bellezza delle cose

divine, che è in lei conceputa per l’abbondanza de’ semi divini.

7

Secondo i neoplatonici, riassumendo, l’amore si presenta come forza posi-

tiva che permette all’uomo di compiere un percorso di elevazione personale,

partendo dalla realtà sensibile intesa come immagine riflessa del mondo divi-

no. Ovviamente, l’eros neoplatonico va considerato esclusivamente in termini

non sensuali ma soltanto contemplativi.

5

Cicerone,De natura deorum III 60.

6

Cf. Ficino,Libro dell’amore I iv «Quando noi diciamo amore, intendete desiderio di bellezza, perché così apresso di tutti e philosaphi è la diffinitione d’amore».

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Il dibattito rinascimentale sull’amore

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