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Il contributo della Cerva bianca

Dove situare la Cerva bianca all’interno del quadro rapidamente delineato

nelle pagine precedenti? Oppure: partendo dal presupposto già dichiara-

to dell’adesione fregosiana al pensiero neoplatonico, è possibile rintracciare

nell’opera elementi ascrivibili alla tradizione antierotica contemporanea? La

risposta è affermativa, e la formulazione delle istanze contro Amore è affidata

principalmente al discorso di Eubulo (i 47-64 e 79-84).

I punti principali dell’argomentazione del sant’uomo sono i seguenti: il

disprezzo di tutte le tentazioni secolari (vita di corte, amore, caccia, ricchez-

za, ambizione, onore, viaggi), motivato dal fatto che durante la vecchiaia il

tempo investito in esse sembra drammaticamente sprecato, e la resistenza da

opporre agli assalti di Amore attraverso il ricorso alla ragione. Ora, diversi

punti della perorazione di Eubulo presentano contatti (anche testuali) con il

dialogo di Pietro Edo. Ad esempio, il tema dell’amore in tarda età è trattato

dall’eremita in termini drastici (ott. 61):

Lascivo vecchio mai non ha riposo,

ché infetto ha il senil corpo e ancor la mente;

sempre d’altrui piacer è invidïoso

e fa come stallon fra le iumente

che è bolso e antiquo e nondimen focoso;

così se de Amor questo parlar sente,

lasciva fiamma lo arde e lo divora,

ché in secco legno il foco più lavora.

Lo stesso tema ricorre anche nel De amoris generibus (c. XIV rv):

Et huic divino muneri nihil tam adverset quam luxuria, quae (ut Cicero

inquit) cum omni aetati sit turpis, senectuti tamen foedissima est;

quid, quaeso, extincto pudore atque fama, restat homini quo gloriari

recte possit?

Ancora, ricorre in entrambi i testi l’opposizione tra appetito e ragione; nelle

battute finali del discorso dell’eremita (80, 5-8), questi sostiene che

Se appetito facesse quel offizio

che la ragion maestra in noi far debbe,

non poterebbe uno eccellente core

aver nel mondo il meritato onore

12.3 Il contributo della Cerva bianca

103

appetitus ille quoque qui est a sensibus, et si in homine antecedere

voluntatem ex eo maxime videtur, qui nonnunquam deliberationem

praestolatur rationis, eique tandem vel paret vel repugnat nihil tamen

horum efficere sine voluntate potest, quam eum sequi oportet.

Ma l’elemento di continuità che balza maggiormente all’occhio è nella

scelta di un esempio virtuoso da considerare, che per entrambi è trovato

nella figura di Ippolito. Nella Cerva bianca (ott. 84):

Dil che infiniti esempli potrei darte,

e se leger tu vòi, ne troverai

piene le antique e le moderne carte;

ma questo solo basteratti assai,

che Ippolito straziato a parte a parte

da’ cavalli esser vòlse, pria che mai

consentire al furor de la matregna,

perché Ragione a i suoi far così insegna.

Nel De amoribus generibus della figura di Ippolito si discute diffusamente

nella prima metà del secondo libro, e in particolare

quoniam pudicicia difficile retinetur conservaturque in urbibus, ubi

lenociniorum plena sunt omnia recte. Hippolitus, ut tuto viveret,

relinquenda quoque moenia putavit (c. XXXIII v).

Ippolito, dunque, si configura per entrambi come il miglior archetipo di re-

sistenza virtuosa all’appetito carnale; il che, considerando tutti gli esempi

possibili di tale resistenza offerti dalla letteratura classica e biblica, difficil-

mente può essere fortuito. Andrà, quindi, postulata una corrispondenza tra

la funzione didattica di Eubulo e quella attribuita al dialogo di Edo nel di-

battito del tempo (peraltro, il sacerdote di Pordenone e quello di Minerva del

poema fregosiano sono anche accomunati dal fatto di aver entrambi scelto la

vita religiosa).

Come si è visto nel capitolo 4.1, tuttavia, la Cerva bianca si presenta per

molti versi come un itinerarium mentis di marca totalmente neoplatonica:

come spiegare, allora, la presenza di simili tesi, tra l’altro considerate di

grande saggezza dal protagonista del poema? La spiegazione sta nel fatto che

queste tesi sono confinate all’interno del primo canto, e per quanto veneranda

possa apparire la figura di Eubulo, in un’opera dialettica quale la Cerva

le prime teorie hanno funzione meramente iniziatica, ma sono destinate ad

essere soppiantate presto da altre istanze più convincenti. In un certo senso,

a Fileremo viene offerta come prima possibilità quella di rifiutare in toto

104

Il dibattito rinascimentale sull’amore

Amore, ed egli in un primo momento sembra anche volerla cogliere – non

per niente si è notato in precedenza come egli, dopo la partenza dall’eremo,

sia interessato unicamente a recuperare i due cani, ignorando la cerva. Ma

l’incontro con Apuano, immediatamente successivo, e quello definitivo con

Filareto, convincono il cacciatore dell’assoluta bontà dell’amore platonico,

unico obiettivo perseguibile dal saggio.

All’interno del dibattito rinascimentale sull’amore, dunque, la Cerva bian-

ca si schiera chiaramente con la maggioritaria corrente ficiniana, ma rimane

di grande interesse la riproposizione delle tesi del partito storicamente per-

dente, che per quanto rifiutate da un punto di vista filosofico nel poema

vengono presentate in termini fortemente dignitosi.

Capitolo 13

Allusioni alla contemporaneità

L’aspetto in cui si rivela maggiormente l’apprendistato cortigiano di Fregoso

è l’occultamento, all’interno dell’opera, di un gran numero di riferimenti al

contesto sociale e paesaggistico in cui si muovevano sia lui che i suoi sodali.

Uno sguardo almeno panoramico ad alcune delle corrispondenze più marcate

con l’ambiente lombardo permetterà, dunque, da un lato di contestualizza-

re meglio la Cerva bianca nel proprio tempo, rinsaldando quindi la lettura

socio-politica di cui al capitolo 4.2, dall’altro di apprezzare come anche in

un’opera di matrice filosofica l’autore non rinunci ad agganci nel proprio

presente storico.

13.1

Eubulo

Eubulo è il primo personaggio di cui il protagonista fa conoscenza, nel primo

canto del poema. Le informazioni su di lui che possiamo reperire dal testo

scarseggiano: ci è dato sapere che è molto vecchio (i 41, 1), molto saggio (i

40, 8), che è sacerdote di Minerva (i 40, 1-3; quindi, forse, un filosofo), che –

come visto nel capitolo precedente – è avverso all’amore e propenso alla vita

celibataria, e che è zio di Apuano (ii 61, 7).

Difficile, sulla base di questi pochi elementi, stabilire una corrispondenza

sicura con un personaggio reale di cui siamo a conoscenza, e del quale ab-

biamo la certezza del rapporto con Fregoso; anche il nome stesso, traducibile

con ‘buon consiglio’, è troppo generico per essere di aiuto. La prima figura

a venire in mente di un anziano a cui l’autore era affezionato è quella di

Cicco Simonetta, ma va esclusa per un semplice motivo: che nella finzione

dell’opera non avrebbe avuto senso imparentarlo con Apuano, laddove a di-

sposizione c’è il vero nipote di Cicco, Bartolomeo, nascosto sotto le spoglie di

106

Allusioni alla contemporaneità

Filareto (infra). L’identificazione di Eubulo, quindi dipende sostanzialmente

da quella di Apuano, altrettanto complicata.

13.2

Apuano

Come per suo zio Eubulo, gli elementi forniti dall’autore sul personaggio di

Apuano sono pochissimi, ed è impossibile per il lettore moderno stabilirlo

con certezza; si possono tuttavia formulare alcune ipotesi.

La figura di Apuano ricorre non solo nella Cerva bianca, ma anche nel più

tardo poemetto De i tre peregrini, dal quale si possono reperire alcune infor-

mazioni supplementari. Dalla Cerva sappiamo che doveva essere più maturo

del Fregoso giovane, dato che si discute della legittimità del suo amore in età

avanzata (canto iv), che aveva un passato cortigiano (ii 23-24) e che ave-

va amato fortemente Mirina. Dall’opera successiva, l’elemento più rilevante

che possiamo desumere è che si trattasse di un aristotelico (Tre peregrini iii

35-36); troppo poco per un’individuazione sicura. Nondimeno, la caratteriz-

zazione del personaggio è tale per cui al lettore contemporaneo, almeno quello

della cerchia ristretta di Fregoso, doveva ricordare qualcuno. Tra i personaggi

nominati nelle altre opere dell’autore spuntano Antonio Telesio (che fu a Mi-

lano dal 1517 al 1521, e strinse amicizia con Fregoso verosimilmente in quel

torno d’anni: sufficiente per comparire nel Dialogo de musica, ma non qui)

e Lancino Curti, forse più probabile, ma sulla biografia del quale sappiamo

ancora troppo poco per notare assonanze. Il nome Apuano rimanda quasi

certamente alle Alpi Apuane, site tra le province di Lucca, Massa-Carrara

e La Spezia – luoghi natali di Fregoso stesso; in questo senso, si potrebbe

pensare ad un personaggio legato all’ambiente tosco-ligure, o almeno nato

in quella zona (un Fregoso del ramo di Carrara?). L’ultima ipotesi riguar-

da Apuano come proprietario del palazzo sull’isola (infra), come si vedrà

immagine letteraria della Cassina bianca di Gaspare Ambrogio Visconti: è

suggestivo pensare che nel personaggio Fregoso abbia voluto rendere omaggio

al migliore amico dei tempi milanesi, morto nel 1499. L’unica soluzione per

spiegare la scelta, peraltro credibile, è che la Cerva bianca sia ambientata

nell’ultimo decennio del Quattrocento: quando, cioè, Gaspare era ancora in

vita, ed era solito ritrovarsi nella residenza in campagna con i propri amici.

13.3

Il palazzo sull’isola

Le ottave iniziali del terzo canto sono dedicate alla descrizione dettagliata del

palazzo dove Apuano e Filareto trovano riparo dalla concitata vita urbana, e

13.3 Il palazzo sull’isola

107

hanno modo di trascorrere il proprio tempo in ozio e discorsi filosofici. Il fatto

che l’aspetto con della residenza sia descritto con dovizia di particolari lascia

credere di per sé che Fregoso avesse in mente un edificio reale al momento di

immaginarla; e quella residenza effettivamente esisteva, ed era la cosiddetta

Cassina bianca di Gaspare Ambrogio Visconti.

1

Il palazzo di Apuano ha all’interno una «gran sala» che «tutto il traversa»,

con «due gran porte» ai lati (iii 5); su ogni lato della sala ci sono «tre

camerette» (iii 6) con «due vaghe celle». La particolarità è che «la suprema

parte del bel loco / a la già soprascritta è quasi equale» (iii 7).

La villa di Visconti, ad oggi distrutta ma il cui aspetto è ricostruibile

attraverso due rilievi novecenteschi scoperti di recente da Edoardo Rossetti,

2

ad redatti dell’architetto Andrea Fermini negli anni Quaranta del Novecento.

Questa la descrizione riassunta da Rossetti:

3

Il massiccio blocco dell’edificio centrale su due piani era disimpegnato

da una scala addossata al corpo di fabbrica, in volta e forse a doppia

rampa affrontata. Internamente la villa presentava una planimetria

identica su entrambi i piani: un salone-galleria attraversava tutto l’e-

difico e ai suoi lati si disponevano tre stanze per parte; di queste came-

re le quattro angolari erano voltate ad ombrello e di forma quadrata,

mentre le due centrali erano più piccole di forma rettangolare. Al pia-

no superiore lo sviluppo planimetrico era identico, ma perpendicolare

a quello del piano terreno. Il salone-galleria si presentava ruotato di

novanta gradi rispetto a quello inferiore e i due camerini occupavano

lo spazio delle testate del salone terreno.

Sono troppe le similitudini per pensare ad una coincidenza, tanto più che non

si trattava di un modello architettonico particolarmente diffuso al tempo:

il salone-galleria, le tre stanze laterali con le due più piccole centrali, la

planimetria del secondo piano identica a quella del primo, solo ruotata di

novanta gradi.

Attraverso la sua minuziosa descrizione, dunque, Fregoso voleva ammic-

care ai vari frequentatori di una residenza all’epoca molto popolare (ne parla

anche Bandello, Novelle i 26), ambientandoci un dialogo erudito come

tanti, verosimilmente, ne venivano tenuti in quegli anni.

1

Me lo segnala Edoardo Rossetti. Della residenza parla lo stesso Gaspare Ambrogio nel suoDe Paulo et Daria amanti del 1495 (Milano, Filippo Mantegazza), nel libro quinto (c. I ii).

2

Rossetti, Ritratti di baroni in città e vedute urbane in campagna. Un inedito in- ventario di Gaspare Ambrogio Visconti (1499), in Squarci d’interni. Inventari per il Rinascimento milanese, a c. di E. Rossetti, Milano, Scalpendi editore, 2012, pp. 71-102.

108

Allusioni alla contemporaneità

13.4

Filareto

Rintracciare l’identità di Filareto, per quanto a differenza di Apuano abbia

un nome meno indicativo, è in realtà operazione di grande facilità, grazie a

un dettaglio inserito nel testo da Fregoso stesso: quando Fileremo ed Ergote-

le vengono fatti prigionieri dagli stradiotti di Anteros, parlando di Filareto il

protagonista lo definisce figlio «de un conditor de la sforziana istoria» (v 17,

8). E chi altri potrebbe essere questa figura di storico se non Giovanni Simo-

netta, fratello di Cicco e autore dei Rerum gestarum Francisci Sfortiae libri

XXXI, opera storiografica che avrebbe dovuto raccontare le gesta degli Sforza

da Francesco I al Moro? Filareto, quindi, andrà identificato con Bartolomeo

Simonetta, amico d’infanzia di Fregoso (si veda il capitolo 1.1), e protagoni-

sta anche del Dialogo de Musica e, evidentemente, anche del poemetto De i

tre peregrini.

13.5

Nilotico

Il «vecchione» egiziano che svela a Filareto i segreti della magia naturale

secondo Ermete Trismegisto e il pensiero ermetico è probabilmente figura

più letteraria che storica; contribuiscono a questa ipotesi il generico nome

(‘abitante dell’area del Nilo’) e l’assenza totale di testimonianze riguardo a

saggi africani nella Lombardia tardoquattrocentesca.

Tuttavia, una precisazione va fatta, dato che si potrebbe essere indotti a

pensare che la scelta di Fregoso sia puramente esotica (un egiziano emigrato

che insegna all’Occidente i millenari misteri della sua terra). In realtà, la

presenza di africani presso la corte milanese è ben documentata,

4

e pure

Gaspare Ambrogio Visconti disponeva di uno schiavo di colore, fatto arrivare

a Milano con grandi difficoltà da Tunisi attraverso Venezia.

5

Non si può

escludere a priori, quindi, che un filosofo nero potesse effettivamente essere

presente in quel contesto, e che la figura di Nilotico possa rimandare ad un

personaggio reale.

13.6

Erotopoli

L’idea di quest’ultimo paragrafo è che la città di Amore, meta finale del viag-

gio allegorico, non voglia rappresentare soltanto una città ideale (oggetto di

una trattatistica rinascimentale notevole) alla maniera della Sforzinda del

4

Cf. McGrath,Ludovico il Moro and his moors, pp. 71 ss.

13.6 Erotopoli

109

Filarete, ma che essa presenti diversi tratti in comune con Milano. Mi rife-

risco, in particolare, al paragone tra la zona commerciale e il Broletto (vii

12, 7), all’ospedale e al palazzo di Eros, che potrebbe richiamare il Castello

Sforzesco, dalle cui mura esterne si accede a un cortile «con portici e colonne

intorno intorno» (vii 29, 2), alle quali starebbero appese le spoglie dei vinti

da Amore. Per il tempio di Amore, che nella Cerva bianca è immaginato

in posizione elevata rispetto al resto della città, è difficile trovare un’equiva-

lenza – dato che il capoluogo lombardo è tutto in piano; ma la basilica di

San Lorenzo è effettivamente più in alto, tanto che nel Medioevo essa era

meta della via crucis cittadina, e forse potrebbe aver funto da modello per

il tempio del poema.

Poco più che suggestioni, volendo essere oggettivi, ma forse non del tutto

infondate; visto l’apporto del quotidiano nella strategia compositiva di Fre-

goso, non è inverosimile che la città a cui era più legato (e del quale sentiva

la nostalgia) abbia fornito l’idea per l’aspetto di quella dove il poema doveva

concludersi positivamente. In questo senso, la corrispondenza contribuirebbe

a una lettura politica della Cerva bianca, attraverso la quale l’autore, me-

diante l’arte allusiva, voleva anche far sapere a chi possedeva la chiave del-

l’allegoria che la vita in campagna gli dava noia, e che rimpiangeva i tempi

della fastosa corte sforzesca, di cui avrebbe desiderato la ricostituzione.

Parte III

Cerva bianca

Canto I

1

Inestinguibil sete mi sperona

a volgere il desio e la mia mente

in ver il sacro fonte de Elicona.

E la mia Musa in me tanto è potente,

5

che un pensier meco sempre mai ragiona

sì come secretario suo prudente,

1.4–6 Inestinguibil sete. . . : Le prime due ottave fungono da proemio all’intero poema, fornendo anche la cornice in cui collocare la scrittura del concetto (2, 7) amoroso che occupa il resto dell’opera. 1.1 sperona: ‘incita’, ‘stimola’; sorprende in parte l’impiego (tra l’altro in posizione incipitaria) di un verbo che normalmente ricorre in testi di ar- gomento cavalleresco (dove indica il gesto del cavaliere che sprona il cavallo, cf. per es. Boiardo,Inamoramento I ii 15, 7 «Fugie del prato e quanto può sperona»); si registrano però occorrenze quattrocentesche semanticamente analoghe a questa, come Malatesti, Rime 62, 11 «a la risposta ardente mi sperona», Boiardo, Timone iii 147 «Ma, quel che più ne l’ira me sperona» e soprattutto Visconti, Canzonieri clxxii 1 «Talor visto ho per molto speronare». 1.2 volgere: ‘rivolgere’, con richiamo a Dante, Pd. viii, 1 «Era già l’ora che volge il disio»;desio e mente sono gli strumenti conoscitivi successivamente allegorizzati nei due cani da caccia (Pensiero e Desio) che il poeta/cacciatore andrà inse- guendo – unitamente alla cerva – per tutto il poema. 1.3 sacro fonte: iunctura presente in Dante,Pd. xii, 62, dove però indica il fonte battesimale; l’associazione all’Ippocrene, sorgente dell’Elicona sacra alle Muse, sembra essere quattrocentesca (cf. Giusto,Canz. 212, 1, Lorenzo,Canz. 70, 10 o Sannazaro, Rime 89, 6.1). 1.4 mia Musa: espressione canonica nella poesia cortigiana per definire la donna amata, cf. Correggio,Rime 370, 32 «se tu, mia Musa, grazia non mi porgi» o lo stesso Fregoso, df 5, 15 «né la mia musa credo sì divina»; in questa occorrenza, tuttavia – e nonostante il petrarchescosecretario di poco successivo – sembra che il poeta si stia riferendo piuttosto alla poesia (cf. Te- baldeo,Rime 279, 2 «cercò farse sentir l’humil mia musa»), come confermato poco più avanti (i, 7, 1). 1.5 pensier . . . ragiona: cf. Dante, vn 27, 1-3 «Gentil pensero che parla di voi/. . . /e ragiona d’amor sì dolcemente». 1.6 secretario: evidente riferimento a rvf 168, 1-2 «Amor mi manda quel dolce pensero / che secretario anticho è fra noi due», dove come qui ha valore di ‘confidente’.

114

qual dice spesso a me: “Fregoso, scrive,

ché questo è quel che dopo morte vive”.

2

Da’ suoi recordi allor resto sì acceso

che tutto al fin mi par consunto in vano

il prezïoso tempo in altro speso.

Così con quel calor la penna in mano,

mosso dal mio fatale influsso, ho preso,

5

per scrivere con stile umile e piano

un mio concetto, il quale in mezzo il core

con la sua mano già gli impresse Amore.

3

Era nel tempo quando Filomena

su’ verdi rami dolcemente plora,

1.7 Fregoso, scrive: la rima scrive : vive è dantesca (Pg. xxxii, 103-105 e Pd. viii, 118-120); da rilevare l’autonominazione, molto frequente in Fregoso (il quale non impiega mai il nome proprio ma sempre il cognome, e talvolta il soprannome Fileremo secondo la consuetudine della lirica bucolica) nelle opere dialogiche (quali questa, ilRiso e il Pianto, ilDialogo de Fortuna e le Silve). 2.1 recordi: ‘ammonimenti’, ‘consigli’, in senso guicciar- diniano (Ricordi 9 «Leggete spesso e considerate bene questi ricordi, perché è più facile a conoscergli e intendergli che osservargli»). La clausola richiama Petrarca, tc iii 8 «e l’amor del saper che m’hai sì acceso». 2.4–6 che tutto al fin . . . speso: l’idea è che sia stato sprecato tutto il tempo non investito nel ragionamento amoroso, in questo capovol- gendo il luogo comune nella poesia dell’epoca di aver perso proprio quel tempo passato sotto l’insegna di Amore (cf. per es., con lessico analogo, Tebaldeo, Rime 482, 14-16 «ma poi ch’io ho il tempo consumato invano, / sempre biasmando andrò Fortuna rea, / il cielo e Amore instabile e villano»). calor: ‘entusiasmo’, ‘fervore’; è lo stesso calor presente nell’esordio di Stazio,Tebaide i 1-3 «Fraternas acies alternaque regna profanis / decertata odiis sontesque euoluere Thebas / Pierius menti calor incidit». la penna in mano: per l’immagine cf. rvf 120, 4 «che ratto a questa penna la man porsi» o – più vicino cronologicamente – Boiardo,Inamoramento I xxiii 43, 4 «Può far che prenda pur la péna in mano». 2.5 influsso: nella filosofia neoplatonica l’influsso indica l’effetto delle sfere celesti sul mondo sensibile; se l’influsso sui poeti discende direttamente dal Primo Mobile (cioè Dio) mediante ilfuror (cf. Landino, Comento, Proemio, 10) allora sarà da intendersi come ’ispirazione’. 2.6 umile e piano: diade petrarchesca (cf. in clausola rvf 42, 1 «Ma poi che ’l dolce riso humile et piano»). La dichiarazione di impiegare ilsermo humilis per l’opera è probabilmente da riferirsi alla sua natura (in parte) bucolica. 2.7 concetto: vale ‘pensiero’, ma è da notare come il concetto (< concept˘um) presupponga che il pensiero sia stato effettivamente “partorito” e processato dallamente dell’autore, cf. Landino,Comento, If. xxvi, 73-75 «concepto, cioè conceputo et compreso»; cf. rvf 155, 11 «mi scrisse entro un diamante in mezzo ’l core». 2.8 gli impresse Amore: l’immagine di Amore che scrive nel cuore del poeta rimanda ancora a Petrarca (rvf 195, 14 «ch’ Amor

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