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LE CITTA’GLOBALI COME NODI DI UN’UNICA RETE METROPOLITANA CHE AVVOLGE IL PIANETA

«Quando i paesi adottano le nuove regole del gio- co globale, i loro principali centri d’affari diventa- no le porte attraverso le quali il capitale e le altre risorse entrano ed escono dall’economia».28

Saskia Sassen

Ancora sulla globalizzazione/Nella Sezione A della tesi abbiamo cercato di rendere in maniera chiara ed esauriente l’evoluzione della forma urbana dalle origini fino al termine del secolo scorso. Abbiamo esaminato il suo essere si- mile ad un corpo che cresce e muta, le sue correlazioni col corpo sociale e biologico degli insiemi di uomini che la vivono e con ciò che abbiamo denomi- nato cervello sociale, di cui possiamo considerare l’arte cinematografica (e il mezzo tecnologico che la produce — nell’insieme il dispositivo cinematografico) nonché le reti informatiche prima esposte come alcune delle espressioni di tale cervello.

Ora, dopo questa necessaria e imprescindibile parentesi storica, siamo in grado di introdurre con maggior chiarezza quello che è il tema di fondo, strut- turale, del presente lavoro di ricerca: la metropoli globale, intesa nei suoi mol- teplici aspetti, sia come rete urbana che avvolge e permea l’intero pianeta e i suoi abitanti sia come involucro che si relaziona con i diversi spazi del vivere e dell’abitare e con le varie forme di vita che li popolano.

Pertanto, nel prequel cercavamo di affrontare e adoperare il concetto stes- so di globalizzazione sotto una luce diversa rispetto al coro delle opinioni che oggigiorno vanno per la maggiore, sostenendo la tesi che la considera nel suo insieme come un particolare punto della dinamica storica a cui è giunta la specie umana nel corso della propria evoluzione, certamente importante e non trascurabile affatto, visto che contribuisce a determinare la situazione in evo-

luzione che stiamo tutt’ora vivendo; è sempre stata presente, fin dalla cosid- detta notte dei tempi, dalla nascita dello scambio, inteso in senso lato, non pu- ramente commerciale, cosa impensabile se riferito alle società dell’antichità pre-classica. Non occorre quindi ritornarci sopra, basti dire che nella sua for- ma attuale è il prodotto in divenire del modo di produzione capitalistico, che per sua natura tende a essere globale, o meglio, a fare dell’intero globo la sua grande sede produttiva.

Il divenire corpo del Capitale/Sempre nel prequel avevamo paragonato lo stesso Capitale ad un corpo dotato di cervello, membra, organi, che necessita, per rimanere in vita, di un sistema di circolazione (e valorizzazione) continuo, e appunto globale: la rete produttiva e di distribuzione planetaria, mezzo di pro- duzione tra gli altri, collegata da strutture logistiche fisiche come strade, fer- rovie, navi, aerei, e interconnessa da canali telematici, informatici e satellitari portatori di informazione che annullano le differenze di spazio e tempo, è ciò che lo tiene in vita, in un mondo in cui i limiti dell’azienda coincidono con quelli dello stesso pianeta.

Così, attraverso la conquista del’intero globo il capitalismo tende a concen- trare la produzione materiale delle merci in quei paesi dove il costo del lavoro è più basso, mentre le prime forme di eccedenza di capitali del cosiddetto “Primo Mondo” vengono esportate verso una fascia di paesi del “Terzo”, inne- scando processi di industrializzazione che rappresentano l’inizio dei processi di deindustrializzazione nei paesi “Primo” e disegnando una nuova divisione internazionale del lavoro. Ciò produce vistosi effetti urbani e sociali che vedono protagoniste proprio le metropoli del “Terzo Mondo” quanto quelle del “Pri- mo”, ma su questo punto ritorneremo più oltre. Resta il fatto evidente che la condizione primaria perché tutto ciò si possa realizzare è poter spaziare ovun- que senza troppi vincoli geografici e/o normativi. Questo processo non è cosa nuova, la cui ultima tappa è rintracciabile nella seconda metà del secolo pas- sato, dopo la fine dei vecchi imperi coloniali. Comunque sia, in una situazione economica (e politica) che si va tuttora mondializzando, la dimensione nazio- nale passa — a gradi differenti — in secondo piano, e acquistano forza gli orga- nismi come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, veri e pro- pri organi e membra del corpo-Capitale.

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Lo Stato sotto trasformazione/In questo complesso quadro di interrela- zioni dei mercati a livello globale che ruolo gioca lo stato nazionale? Guardan- do agli ultimi cambiamenti nella struttura economica globale (tra cui rientra la nascita dei vari organismi di cui sopra) sembra che siano “costretti” a stare alle direttive di tali organismi sopranazionali; ad esempio anche le singole Banche Centrali di ogni paese si adeguano agli input del mercato mondiale e dei suoi portavoce. Oramai lo stesso sviluppo delle forze produttive appare sempre più compresso e soffocato dagli stati a base nazionale, che non pos- sono far altro che accodarsi alle decisioni dei vari organismi internazionali.

È tuttavia sbagliato credere che tali processi in corso non presentino dei ri- svolti negativi e “pesanti” per gran parte delle aree geografiche ed urbane del mondo; infatti attualmente una crisi non congiunturale ma “sistemica” sta scuotendo da un capo all’altro il pianeta. Abbiamo riportato due esempi, ma la stampa mondiale pullula di articoli che riportano quotidianamente gli effetti dell’”attuale” crisi. Le firme in calce poi sono tra le più prestigiose che la clas- se dirigente (mondiale) abbia a offrire. Infatti quello che si presenta come il ri- svolto della medaglia capitalistica fa mettere in bocca a sempre più numerosi suoi esponenti parole che tendono a rivalutare la funzione regolatrice dello Stato nei confronti del pur sempre osannato libero mercato (nella realtà mai esistito visto che per mantenerlo tale si ricorre alla funzione regolatrice dello Stato): tanto da auspicare la creazione di una sorta si “super-stato” mondiale29

(che voglia essere la tanto invocata governance di questi ultimi mesi?) e un “piano di produzione mondiale”, ma questo è tutto da vedere, se non impossi- bile in una realtà “anarchica” e caotica come quella dei mercati separati e in selvaggia concorrenza che si combattono a livello globale.30

Comunque sia, ciò non significa che lo Stato, nella sua veste nazionale, si estingue. Tutt’altro, e lo vediamo entrare in funzione proprio quando le cose si mettono inevitabilmente male per l’economia, globale o meno. Ma d’altro can- to è certo che tende a modificarsi, a mutare nelle sue strutture interne, a do- tarsi di esecutivi snelli ed efficaci pronti a legiferare in funzione del mercato come risposta alla nuova situazione mondiale, e così facendo nega se stesso in quanto entità, sottolineiamo, a base nazionale. Quindi lo Stato nella sua nuova veste in mutazione, che al contempo sembra evidenziare maggiormente i pro-

pri apparati repressivi interni ed esteri31

parallelamente al crescere delle crisi — come vedremo in seguito («gli stati continuano a contare e, ovunque ci sia

guerra [corsivo nostro], essi giocano un ruolo della massima importanza»32) —

non subisce passivamente i diktat degli organismi economici internazionali, ma determina in certa misura il modo e la forma del ciclo di valorizzazione del Capitale. Sempre nel prequel riportavamo l’esempio degli USA e del suo ruolo attuale, quello di difesa non dei semplici interessi dello Stato americano e del- la classe al potere, ma dell’intero modo di produzione capitalistico. Si forma così un vero e proprio “esercito” di funzionari-guardiani dei meccanismi della riproduzione del capitale che si connota per la sua natura in stretta sintonia con i settori capitalistici internazionalizzati.

Tutto ciò provoca numerosi risvolti più o meno incisivi sia sul piano nazio- nale che internazionale, e tale situazione riguarda in primo luogo i paesi di vecchia industrializzazione. Il carattere estremamente internazionalizzato del- la produzione si riflette su ogni territorio in maniera differente. Settori dello stato nazionale (regioni, comprensori, distretti) si muovono con velocità diver- se, attirando capitali e investimenti mentre a soli poche centinaia di chilometri la situazione può presentarsi in modo completamente differente.33

Ciò provoca squilibri di sviluppo tra aree geografiche di uno stesso stato, di cui quelle che lo sono maggiormente tendono ad aggregarsi con altre che non ne fanno par- te. D’altro canto, anche nei paesi cosiddetti “in via di sviluppo” assistiamo a politiche miranti a scavalcare la dimensione nazionale di ogni singolo stato e molti organismi (come il Mercosur o il S.A.D.C.) sembrano dimostrarlo.

Dice Castells che «[…] l’economia globale è caratterizzata da una sostan- ziale asimmetria tra paesi, in termini di livello d’integrazione, potenziale com- petitivo e quota di benefici derivanti dalla crescita economica. Tale differenzia- zione si estende alle regioni all’interno di ogni paese […]. La conseguenza di questa concentrazione di risorse, dinamismo e ricchezza in certi territori, è la crescente segmentazione della popolazione mondiale in seguito alla segmen- tazione dell’economia globale che, in definitiva, produce tendenze globali di disuguaglianza ed esclusione sociale crescenti. Questo modello di segmenta- zione è contraddistinto da un doppio meccanismo: da un lato, segmenti prezio- si di territori e popoli sono uniti alle reti globali di creazione del valore e ap-

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propriazione della ricchezza. Dall’altro, chiunque e qualunque cosa non abbia valore, in base alla valutazione nelle reti, o che cessi di avere valore, viene scollegato dalle reti stesse e, infine, abbandonato. È possibile che la posizione all’interno della rete subisca una trasformazione attraverso la rivalutazione o la svalutazione. Tale fenomeno comporta un costante movimento di paesi, re- gioni e popolazione, equivalente a un’instabilità strutturalmente indotta».34

Vediamo quindi che le differenti velocità di crescita e il legame più o meno proficuo col mercato mondiale comportano una crescente frantumazione del tessuto connettivo unitario che lo stato a base nazionale (inteso nella sua vec- chia veste) garantiva.

L’avvento delle città globali/«Se gli stati rimangono ancora [de]gli attori globali principali, essi hanno tuttavia perso almeno una parte del terreno eco- nomico, politico e simbolico a favore di altri attori».35

È in questo contesto che è possibile introdurre la teoria delle città globali così come esposta da Saskia Sassen e di cui accennavamo nel prequel. In una fase storica come quella at- tuale caratterizzata dal processo attraverso cui la forma-Stato si sgancia dalla sua base nazionale e precise aree geografiche e territori tendono a prevalere, anche le metropoli giocano il loro ruolo. La Sassen incomincia i suoi studi su tale tema durante gli anni Ottanta, studi che subiscono un’accelerata improv- visa (ma forse non affatto inaspettata) al loro termine, sull’onda emotiva e ma- teriale seguita al crollo del blocco sovietico. La fine della guerra fredda e l’avvento di un mondo unipolare ha trasformato e unificato ogni angolo del pianeta ela globalizzazione dell’economia, accompagnata da una cultura a sua volta globale, ha profondamente alterato il tessuto sociale, economico e politi- co degli stati nazionali, di vaste aree transazionali e, soprattutto, delle città.

Secondo la Sassen, è possibile quindi affermare che da venti anni a questa parte la composizione dell’economia mondiale ha subito una trasformazione, tutt’ora in corso, caratterizzata da un ruolo sempre maggiore di servizi e fi- nanza. In quest’ottica, si rilancia l’importanza delle principali metropoli del pianeta in quanto sedi di determinati tipi di attività e funzioni: «Nella fase che sta attualmente attraversando l’economia mondiale è appunto la combinazio- ne di dispersione globale delle attività economiche e di integrazione globale — in condizioni di crescente concentrazione della proprietà e del controllo — che

ha contribuito a creare il ruolo strategico di certe grandi città, che io definisco

globali. Sebbene alcune di esse siano da secoli centri commerciali e finanziari a livello mondiale, le città globali contemporanee sono: a) centri di comando nell’organizzazione dell’economia mondiale; b) luoghi e mercati essenziali per le industrie di punta; c) le principali sedi in cui queste industrie producono, fra l’altro, innovazioni. Parecchie città svolgono funzioni equivalenti anche su sca- la geografica minore, sia nelle regioni transazionali sia in quelle subnazionali. In più, a livello sia globale sia regionale, queste città inevitabilmente devono appoggiarsi le une alle altre, dal momento che le forme di crescita da loro sperimentate derivano da tali reti di città. Non esiste l’entità “città globale sin- gola”».36

Le grandi metropoli, sostiene la Sassen, si collocano oramai all’interno di

network transazionali e presentano più tratti in comune fra loro che in rappor- to ai rispettivi contesti regionali o nazionali. Essendo i luoghi base in cui si svolgono i processi di globalizzazione, tornano ad essere protagoniste di tale fase, legandosi tra di loro in network che si espandono al di la dei vecchi confi- ni nazionali:37

«alla metà del XX secolo molte delle nostre grandi città erano ormai vittime di un degrado fisico: stavano perdendo popolazione, attività eco- nomica, ruoli centrali nell’economia del paese e la propria quota di ricchezza nazionale. Allorché entriamo nel XXI secolo le città riemergono come luoghi strategici per un’ampia gamma di progetti e di dinamiche».38

Ed ancora: «ac- canto ai documentati fenomeni di dispersione spaziale delle attività economi- che, sono comparse nuove forme di accentramento territoriale delle funzioni superiori di direzione e di controllo. Sia i mercati nazionali sia quelli globali, come pure le attività integrate a livello internazionale, richiedono luoghi cen- trali dove realizzare e coordinare concretamente la globalizzazione. Le indu- strie dell’informazione inoltre necessitano di una vasta infrastruttura materia- le che comprende nodi strategici caratterizzati da un’iperconcentrazione di strutture. Infine, neppure le industrie dell’informazione più avanzate possono fare a meno di un processo produttivo, che è parzialmente legato a un luo- go».39

Ovviamente, come abbiamo già detto non tutte le città del mondo stanno sullo stesso piano nella gestione dei suddetti networks; vi fanno parte i princi-

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pali centri economici e finanziari, considerati luoghi strategici su scala globale. Sono questi che la Sassen definisce globali, i centri di comando nell’organizzazione dell’economia mondiale, dove si concentrano, tra le altre cose, la finanza e i servizi alle imprese.40

In questo quadro di concorrenza glo- bale, va da se che vi siano forti disparità tra una zona geografica e l’altra, da non intendersi con la moralistica divisione tra paesi ricchi del nord del mondo, e poveri al sud, ma a livello trans-nazionale, al di sopra dei rispettivi confini e delle direttive statali, per cui anche e soprattutto all’interno dei paesi cosiddet- ti sviluppati oggi troviamo zone in stato di forte degrado e recessione, e zone in cui si registra crescita.

Come dicevamo in precedenza attraverso la teoria delle reti, le città diven- gono hub incentranti su di sé gran parte delle transazioni dei flussi finanziari, di lavoro e soprattutto infrastrutture fisiche a contorno che accrescono le loro dimensioni: «Queste città, o piuttosto i loro quartieri finanziari, sono complessi di produzione di valore basati sull’informazione, dove le sedi centrali delle im- prese e le imprese finanziarie avanzate sono in grado di trovare sia i fornitori sia la manodopera specializzata e altamente qualificata di cui hanno bisogno. Costituiscono, infatti, reti di produzione e managment, la cui flessibilità non richiede l’internalizzazione dei lavoratori e fornitori, ma la capacità di accedere loro quando necessario, nei tempi e nelle modalità richieste da ciascun caso particolare. Flessibilità e adattabilità sono meglio servite dalla combinazione fra agglomerazione di queste reti nodali e interconnessione globale, attraverso telecomunicazioni e trasporto aereo, dei centri e delle loro reti ausiliarie dis- seminate».41

Differenze e squilibri tra territori/La stessa cosa avviene all’interno dei singoli territori metropolitani. Senza dimenticare il fatto che le due cose (la crescita e il degrado, o miseria) sono strettamente dipendenti l’una dall’altra.42

Continua la Sassen: «Tra i cambiamenti rilevanti verificatesi negli ultimi venti anni vi è stato l’aumento della mobilità del capitale, sia all’interno dei confini nazionali, sia, in particolare, fra diverse nazioni. Quest’ultimo tipo di mobilità del capitale determina forma specifiche di articolazione fra differenti aree ge- ografiche e trasformazioni del loro ruolo nell’economia mondiale. Tali tenden- ze determinano a loro volta la comparsa di vari tipi di localizzazioni per le

transazioni internazionali […]. Dobbiamo quindi chiederci in quale misura le grandi città costituiscano un tipo ulteriore, benché estremamente complesso, di localizzazione per le transazioni internazionali. […]. Alla mobilità del capitale si può attribuire anche lo sviluppo di un’ampia serie di innovazioni in tali setto- ri, le cui produzioni presentano come propria logica localizzativa la tendenza ad alti livelli di agglomerazione».43

I capitali viaggiano per tutto il globo, per poi essere accumulati, investiti, e le nuove tecnologie danno un contributo insostituibile. «Il capitale circola gior- no e notte in mercati finanziari globalmente integrati che, per la prima volta nella storia, operano in tempo reale: transazioni da miliardi di dollari si svol- gono in pochi secondi attraverso circuiti elettronici in tutto il globo. I nuovi si- stemi informatici e le tecnologie della comunicazione permettono il trasferi- mento di capitali da un’economia all’altra in tempo brevissimo, tanto che il ca- pitale, e quindi il risparmio e investimento, sono interconnessi a livello mon- diale, dalle banche ai fondi pensione, ai mercati borsistici e ai cambi. Pertanto, i flussi finanziari globali sono aumentati straordinariamente in termini di vo- lume, velocità, complessità e connessione».44

Dovendosi valorizzare, questi capitali dovranno per forza localizzarsi, con- centrarsi, e si valorizzano meglio dove c’è già una loro precedente accumula- zione, ovvero nelle città. Infatti, dalla dissoluzione della struttura economica della società feudale, che ha liberato gli elementi della capitalistica, si è avvia- to quel lungo processo di accumulazione che perdura tutt’oggi. Il fondamento di tutto il processo trova origine nell’espropriazione della popolazione rurale e la sua espulsione dalle terre verso i centri urbani, ovvero in quel processo che Marx stesso definì come l’arcano dell’accumulazione originaria «precedente l’accumulazione capitalistica: una accumulazione che non è il risultato, ma il punto di partenza del modo di produzione capitalistico».45

Comunque sia, tornando ad oggi «può darsi che alcuni aspetti dell’attuale dispersione territoriale delle attività economiche abbiano prodotto una certa dispersione dei profitti e della proprietà. Le grandi imprese, ad esempio, sono ricorse in misura crescente alla pratica del subappalto a unità più piccole ubi- cate in tutto il mondo, e molte imprese dei paesi di nuova industrializzazione sono cresciute rapidamente grazie agli investimenti effettuati da imprese este-

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re e all’accesso ai mercati mondiali, ottenuto spesso in virtù di accordi con imprese transazionali. Eppure anche questa forma di crescita in ultima analisi fa parte di una catena in cui un numero limitato di imprese continua a control- lare il prodotto finale e a incamerare la maggior parte dei profitti realizzati vendendo sul mercato mondiale».46

Ciò consente alla Sassen di vedere il mon- do come un’unica rete di nodi e snodi, le città appunto, senza più possibilità di rimanere al suo esterno. Oggi anche il più remoto contadino del più remoto

paese del “terzo mondo” non può non vedere dipendere la propria sopravvi-

venza dal mercato mondiale, «oggi persino quanti lavorano a domicilio per l’industria in remote zone rurali sono divenuti parte di questa catena. In queste condizioni la dispersione territoriale delle attività economiche, se deve accom- pagnarsi alla crescente concentrazione, crea l’esigenza di espandere il con- trollo e la direzione dal centro, esigenza che ha a sua volta contribuito a raffor- zare il ruolo strategico svolto dalle maggiori città nell’economia mondiale dei nostri giorni».47

Quindi «anche la localizzazione sul territorio dei processi economici […] ri- guarda le funzioni di coordinamento, di direzione e soprattutto di controllo del- le attività informatiche e telematiche. L’espansione della città così come è av- venuta ha certamente contraddetto le previsioni che preconizzavano la loro di- spersione totale: sono diventate invece i luoghi determinanti dove sorgono atti- vità e infrastrutture essenziali per realizzare la globalizzazione e le transazioni internazionali».48 Azzardiamo un paragone: così come nel basso Medioevo le

piazze dei Comuni erano i centri strategici dell’economia e del commercio di allora, oggi sono le stesse intere città «che fungono da luoghi di produzione e da piazze di mercato per il capitale globale»49