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Clandestinità, riservatezza ed estraneità

L’ATTUALE REGIME GIURIDICO

1.2 Clandestinità, riservatezza ed estraneità

80G. Illuminati, La disciplina processuale delle intercettazioni, Giuffrè, Milano, 1983, pag. 37.

81C. Parodi, Le intercettazioni, Profili operativi e giurisprudenziali, Giappichelli, Torino, p. 23 e ss.

Il requisito della clandestinità deve essere verificato in relazione a due categorie generali di situazioni, in costante rapporto con il requisito della riservatezza82.

In primo luogo la stessa presuppone che la captazione della comunicazione o conversazione sia avvenuta approfittando dello strumento utilizzato dai soggetti intercettati, ossia di un mezzo di comunicazione ontologicamente tale da assicurare la riservatezza della trasmissione.

Tipico tra questi, lo strumento telefonico: chi utilizza un sistema di telefonia fissa ovvero cellulare ha una legittima aspettativa di poter comunicare senza che soggetti terzi possano prendere cognizione di quanto riferito o appreso83; questa valutazione non

viene certamente meno per il sol fatto che deve ritenersi notoria la possibilità di interferenze “occasionali” e/o accidentali, la cui episodicità e casualità non modifica la “scelta” dell’ambito riservato nel quale l’autore delle comunicazioni decide di operare.

L’uso del telefono è quindi espressivo di una volontà inequivoca di “escludere” i terzi, così che qualsiasi forma intenzionale presa di cognizione di tali forme di comunicazione, per non essere ricondotta alla fattispecie prevista dall’art. 617,1’ co., c.p. (Cognizione, interruzione o impedimento illecito di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche) ed eventualmente alle ulteriori ipotesi previste dalla sezione V capo III del libro II c.p. dovrà essere autorizzata con le forme previste dagli artt. 266 ss. c.p.p..

La clandestinità e la riservatezza possono essere prese reciprocamente in considerazione anche in rapporto a comunicazioni 82A. Camon, Le intercettazioni nel processo penale, Giuffrè, Milano, 1996, pag. 16.

83P.F. Bruno, Intercettazioni processuali e nuovi mezzi di ricerca della prova, Giappichelli, 1993, pag. 179.

orali poste in essere tra soggetti presenti, anche se in tal caso occorre verificare alcune variabili, quali la natura del luogo ovvero le stesse modalità di comunicazione utilizzate dai soggetti passivi della captazione.

Laddove in effetti due soggetti vengano a colloquio ad alta voce in un pubblico locale, si deve ritenere che abbiano implicitamente rinunciato alla riservatezza della comunicazione, così che non potrà ovviamente ritenersi clandestino l’apprendimento della comunicazione da parte dei soggetti presenti nella zona limitrofa, la cui possibilità di percezione è ravvisabile in re ipsa84.

Diverso il caso in cui un soggetto, posizionato nell’angolo opposto del locale con un microfono direzionale, capti la comunicazione, ovunque, nascondendosi in una stanza accanto, avvalendosi di strumentazione apposita, cerchi di apprendere le frasi pronunciate.

Ciò significa che non è solo e necessariamente lo svolgimento in un luogo pubblico di una conversazione a renderla possibile oggetto di intercettazione: una conversazione può infatti essere non “riservata” – ossia svolgersi pubblicamente – e nondimeno essere clandestinamente captata, ogni qual volta la presa di conoscenza derivi dall’utilizzo di strumenti particolari da parte di soggetti che non si erano venuti a trovare nella condizione di poter ascoltare con l’implicito consenso degli autori della stessa. Secondo la S.C. per altro l’ascolto casuale di un colloquio deve ritenersi legittimo ogni qual volta si verifichi in conseguenza dell’avere gli interlocutori parlato ad alta voce ovvero senza preoccuparsi di evitare interferenze di terzi, avendo con tali comportamenti tali soggetti implicitamente

84P.F. Bruno, Intercettazioni processuali e nuovi mezzi di ricerca della prova, Giappichelli, 1993, pag. 197.

rinunciato alla tutela apprestata dall’ordinamento alla segretezza delle comunicazioni85.

Valutazioni in parte differenti devono essere formulate nei casi in cui la conversazione si svolga in una abitazione privata ovvero in uno studio professionale. In tali situazioni, salva l’espressa “ammissione” di terzi al colloquio, deve egualmente ritenersi inequivoca la volontà degli autori della conversazione di agire in regime di “riservatezza”, così che qualsiasi intenzionale intromissione diretta al fine di captare i suoni dovrà ritenersi “clandestina” e come tale illecita86; ciò sia nel

caso che quest’ultima avvenga utilizzando strumentazione apposita, sia laddove avvenga con il mero utilizzo “clandestino” degli organi sensoriali, non potendosi aprioristicamente limitare il concetto di intercettazione a quegli atti realizzati con l’ausilio di apparati tecnologici di qualsiasi tipo, essendo, per portare un esempio anacronistico e paradossale, assolutamente sufficiente il classico “bicchiere” appoggiato ad una parete.

Per altro anche una comunicazione effettuata avvalendosi di onde radio su frequenze accessibili ad una generalità di soggetti deve ritenersi non riservata, in quanto destinata a trovar luogo in uno “spazio” liberamente accessibile da parte di tutti coloro che risultino forniti di idonee strumentazioni.

L’intercettazione deve essere inoltre effettuata da un soggetto estraneo rispetto agli autori della comunicazione o conversazione. Nei casi sopra menzionati proprio l’intrinseca ricerca di riservatezza porta con facilità ad escludere i soggetti “terzi” rispetto alle comunicazioni del novero di quelli che possono legittimamente disporre del contenuto delle stesse.

85Cass. Sez. I, 28.2.1979, Martinet, CPMA. 1982, pag. 598.

Al proposito tuttavia è necessario soffermare l’attenzione su una problematica di carattere generale posta dalla giurisprudenza di merito in relazione alla possibilità per un soggetto al quale la comunicazione era destinata – ovvero ad uno degli autori di una conversazione – di “documentare” con strumenti tecnici all’insaputa del proprio interlocutore - e verosimilmente contro la volontà di questi – l’esatto contenuto del colloquio.

La giurisprudenza assolutamente maggioritaria del S.C. ha riconosciuto non solo l’assoluta legittimità di tali comportamenti, ma soprattutto la natura di “documenti” degli esiti di tali registrazioni; l’interpretazione alternativa proposta, seppur mossa da apprezzabili intenti garantistici, in forza di richiami alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4.11.1950 e resa esecutiva con l. 4.8.1955, n. 848, non può allo stato ritenersi condivisibile.

Al proposito appaiono pertinenti alcune considerazioni di carattere generale in relazione all’ultimo requisito generale sopra indicato, consistente nella formalizzazione dell’atto.

Come è noto l’art. 234, 1’co., c.p.p. prevede che ‹‹è consentita l’acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo››; si tratta di un articolo compreso nel titolo riguardane i mezzi di prova, laddove le disposizioni in tema di intercettazioni – art. 266 ss. c.c.p., sono ricomprese nel titolo III – con oggetto i mezzi di ricerca della prova.

Ragioni di ordine logico – sistematico derivanti da questo particolare - impongono quindi in termini inequivoci di individuare la differenza ontologica tra i due istituti; documenti, sequestri, ispezioni, perquisizioni, sono diretti a far entrare nel procedimento prove che esistono al di fuori del medesimo e, si può ritenere, a

prescindere da questo; la realtà esterna entra così nel procedimento ed assume una valenza probatoria.

Al contrario, l’intercettazione “forma” un materiale probatorio che non “preesiste” al procedimento e che si sostanzia – nelle sue materialità – solo a seguito di una serie tassativa di atti giurisdizionali.

La stessa bobina che riporta la voce di due soggetti sarà quindi documento se preesistente al procedimento ovvero formatosi a prescindere da quest’ultimo ovvero diretta a documentare una conversazione della quale l’autore della registrazione era parte diretta; negli altri casi sarà invece modalità di documentazione dell’atto di ricerca della prova costituito dall’intercettazione.

Alla luce dei principi generali sopra sinteticamente riportati, l’interprete deve quindi accertare – per valutare la necessità di procedere all’intercettazione con le forme previste dagli artt. 266 ss. c.p.p. – in quali situazioni in concreto le forme di apprendimento delle altrui comunicazioni e conversazioni avvengano in presenza dei requisiti tassativi elencati; logico corollario di tale premessa è costituito dal fatto che in assenza di tali requisiti l’attività di ricerca della prova, pur dovendo avvenire nel rispetto delle previsioni generali del codice di procedura, deve ritenersi estranea al regime di garanzie formali previste dal sistema “intercettazioni”87.