L’ATTUALE REGIME GIURIDICO
III. INTERCETTAZIONI INFORMATICHE
2. Acquisizione da remoto di dati digitali nel procedimento penale: evoluzione giurisprudenziale e prospettive d
2.11 Questioni irrisolte e prospettive de iure condendo A fronte delle varie questioni, ancora aperte, che connotano
l’impiego del captatore informatico nelle indagini preliminari, si pone la necessità di considerare le proposte di riforma susseguitesi in materia alla luce delle indicazioni provenienti dalla Costituzione e dagli atti sovranazionali, nonché dalla giurisprudenza interna ed europea.
Appare opportuna una sintetica ricognizione delle iniziative parlamentari allo scopo di verificare se le diverse proposte siano idonee o meno a soddisfare le esigenze operative risolvendo le criticità che via via sono emerse e che si possono ricondurre a tre ambiti di riflessione: la tutela dei diritti fondamentali, la tutela dell’attendibilità dell’accertamento probatorio, la predisposizione di garanzie difensive.
Le prime due proposte di riforma, di analogo tenore, inquadrano la tecnica del captatore informatico nella disciplina delle intercettazioni telematiche.
In primo luogo si ricorda la proposta di modifica dell’art. 266-bis c.p.p. mediante l’inserimento delle parole «anche attraverso l’impiego di strumenti o programmi informatici per l’acquisizione da remoto delle comunicazioni e dei dati presenti in un sistema informatico», presentata, ma non approvata, in sede di lavori 227L. Giordano – A. Venegoni, La Corte Costituzionale tedesca.
parlamentari per la conversione del d.l. 18 febbraio 2015, n. 7 recante «Misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale» convertito con modificazioni dalla l. 17 aprile 2015, n. 43. L’altra iniziativa è oggetto della proposta di legge C. 3740 depositata il 2 dicembre 2015 e intitolata di «Modifica all’art. 266- bis c.p.p. in materia di intercettazione di comunicazioni informatiche e telematiche
» che, nell’intento di incrementare l’efficacia di indagini connesse al perseguimento di reati con finalità terroristiche, propone di aggiungere all’art. 266 bis, comma 1, c.p.p., le seguenti parole: «anche attraverso l’impiego di strumenti o programmi informatici per l’acquisizione da remoto delle comunicazioni
e dei dati presenti in un sistema informatico».
Si presenta ben più articolata la più recente proposta di legge C 3762 depositata il 20 aprile 2016 e intitolata «Modifiche al codice di procedura penale e alle norme di attuazione, coordinamento e transitorie del codice di procedura, in materia di investigazioni e sequestri elativi a dati e comunicazioni contenuti in sistemi informatici o telematici».
Si tratta di un’iniziativa ambiziosa volta a bilanciare il dato tecnico e quello giuridico, come emerge dalla Relazione di accompagnamento che, dopo aver definito “captatore legale” il programma informatico da impiegare nelle indagini, illustra la le varie attività che il programma informatico consente, ognuna delle quali è ricondotta all’istituto tipico al quale risulta maggiormente assimilabile.
In particolare l’art. 1 disciplina le perquisizioni a distanza con riferimento ai reati di cui all’art. 51 c.p.p., commi 3 bis, 3 quater e 3 quinquies all’art. 407 c.p.p. e ai delitti contro la pubblica amministrazione; segue la proposta di regolamentazione del sequestro da remoto di dati diversi da quelli relativi al traffico
telefonico o telematico (art. 2).
Apprezzabile appare la previsione contenuta nell’art. 5 di modificare l’art. 268 c.p.p. stabilendo che i dati informatici acquisiti siano conservati con modalità tali da assicurare l’integrità e l’immodificabilità dei dati raccolti nonché la loro conformità all’originale.
Infine meritano menzione la proposta di aggiungere nelle disposizione di attuazione un art. 89 bis che indica i contenuti del decreto ministeriale sulle caratteristiche tecniche dei captatori (art. 6) e l’adeguamento delle intercettazioni preventive previste dall’art. 226 disp. att. c.p.p. al nuovo strumento di captazione.
Infine, occorre ricordare la delega per la riforma della disciplina delle intercettazioni contenuta nel il disegno di legge n. 2067-S (c.d. Riforma Orlando) nel testo unificato adottato dalla
Commissione per raccogliere vari altri disegni di legge. In particolare si prevede di integrare la disciplina delle intercettazioni di comunicazioni e conversazioni tra presenti mediante l’immissione di captatori informatici in dispositivi elettronici portatili, alla luce delle seguenti linee direttive.
Hanno caratura tecnica le prime due previsioni: l’attivazione del microfono deve avvenire soltanto mediante un apposto comando inviato da remoto nel rispetto dei limiti stabiliti dal decreto di autorizzazione; la registrazione audio deve essere avviata dalla polizia giudiziaria o dal personale ausiliario incaricato ai sensi dell’art. 348 comma 4 c.p.p. su indicazione della polizia giudiziaria operante che deve indicare l’ora di inizio e di fine della registrazione da attestare nel verbale descrittivo delle modalità esecutive di cui all’art. 268 c.p.p.
Viene inoltre delineato l’ambito di ammissibilità: l’impiego del captatore informatico è ammessa sempre quando si procede per i delitti di cui all’art. 51, commi 3 bis e 3 quater, c.p.p. e, fuori da tali
casi, nei luoghi di cui all’art. 614 c.p. soltanto qualora ivi si stia svolgendo l’attività criminosa, nel rispetto dei requisiti ex art. 266, comma 1, c.p.p.; si aggiunge che in ogni caso il decreto autorizzativo deve adeguatamente motivare le ragioni della necessità di impiego di tale specifica tecnica di intercettazione.
A tutela della originalità e dell’integrità delle registrazioni, invece, si indica la necessità che il trasferimento delle stesse avvenga soltanto verso il server della Procura e che, al termine, della registrazione il captatore venga disattivato su indicazione della polizia giudiziaria operante.
Inoltre, al fine di tener conto dell’evoluzione tecnica del programma spia, si prevede l’utilizzazione di programmi informatici conformi a determinati requisiti tecnici stabiliti con decreto ministeriale.
Con riferimento all’aspetto procedurale si delinea una procedura, limitata ai delitti di cui all’art. 51, commi 3 bis e 3 quater c.p.p.: il pubblico ministero dispone le operazioni in casi di urgenza, salvo successiva convalida del giudice al massimo entro quarantotto ore. Quanto all’utilizzabilità dei risultati dell’indagine informatica, essi non restano confinati nel procedimento penale in cui si sono prodotti, ma possono essere utilizzati in procedimenti diversi a condizione che siano indispensabili per l’accertamento dei delitti di cui all’art. 380 c.p.p.
Infine a tutela della riservatezza di soggetti estranei ai fatti per cui si procede, è posto il divieto relativo alla conoscibilità, divulgazione e pubblicazione dei risultati delle intercettazioni.
Anche se dall’analisi delle varie proposte di legge emerge un notevole affinamento della sensibilità verso la tematica delle indagini informatiche occulte, tuttavia si evidenzia un’attenzione limitativa al fenomeno del captatore informatico, inteso come tecnica di indagine
da sussumere nell’ambito dell’istituto codicistico che risulta maggiormente affine.
Infatti molte attività riconducibili al captatore informatico, attualmente note, restano fuori; inoltre, le varie proposte di legge non appaiono convincenti sul piano del controllo giudiziario sul mezzo: forse, sono proprio le caratteristiche tecniche del virus spia che lo rendono incontrollabile.Allora se da un lato, stante la specificità del captatore informatico, appare preferibile elaborare un modello autonomo di disciplina e tipizzare un ulteriore mezzo di ricerca della prova, da un altro lato si deve prospettare la possibilità che un’eventuale disciplina sia destinata a non cogliere la totalità delle implicazioni tecnico-giuridiche di uno strumento difficilmente governabile dal giudice.
IV. DDL 2067
SOMMARIO: 1. PREMESSA 2. ITER PARLAMENTARE 3. I CONTENUTI DEL PROVVEDIMENTO 3.1 QUADRO GENERALE 3.2 LA DISCIPLINA DELLE INTERCETTAZIONI 4. RIFORMA ORLANDO, DELEGA SULLE INTERCETTAZIONI 5. PIU’ FACILE E FREQUENTE L’UTILIZZO DI TROJAN 6. L’UTILIZZO DEI CAPTATORI INFORMATICI: LE INDICAZIONI DELLE S.U. 7. I PROFILI TECNICI DELLA DELEGA 8. L’AMBITO DI APPLICAZIONE DELLE DISPOSIZIONI 9. IL COORDINAMENTO CON LE DISPOSIZIONI DI NATURA PROCEDURALE
1. Premessa
È stato approvato definitivamente dalla Camera nella seduta del 14 giugno 2017 il DDL 2067, “Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale per il rafforzamento delle garanzie difensive e la durata ragionevole dei processi e per un maggiore contrasto del fenomeno corruttivo” .
Il provvedimento, dopo il maxiemendamento approvato il 15 marzo 2017 al Senato- è approdato alla Camera ed è giunto all’approvazione pochi giorni fa.
Tra gli innumerevoli aspetti sui quali il provvedimento interviene- direttamente o prevedendo deleghe – uno dei più delicati e discussi riguarda certamente la materia delle intercettazioni, per la disciplina della quali è prevista un’articolata delega.
A partire dall’agosto 2016, la delega, rispetto alla precedenti versioni del disegno di legge, si è notevolmente arricchita, avendo inglobato almeno due tematiche nuove, delicate ed urgenti: la disciplina in tema di deposito degli atti e tutela della riservatezza (già prevista, ma con ben minore portata) e quella sull’uso dei cdd “ captatori informatici” o “trojan”.
Originariamente il termine per l’esercizio della delega era di un anno per tutti gli interventi, ma il testo approvato prevede un termine di soli tre mesi per i decreti legislativi su alcuni tematiche delle intercettazioni, disciplinate al comma 84 alle lettere a, b, c, d, e. Le prese di posizione e le polemiche che hanno accompagnato il dibattito sul tema giustificano evidentemente – o forse addirittura impongono- ulteriori riflessioni, per altro del tutto comprensibili, vista le peculiarità della materia.
In un’epoca di globale ripensamento dei delicati equilibri tra esigenze di accertamento di fatti penalmente rilevanti e rispetto dei diritti dei cittadini, la disciplina delle intercettazioni telefoniche assume un particolare significato.
L’assoluta centralità alla tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni quale espressione primaria della personalità dei singoli si scontra in effetti, alle volte con drammatica intensità, con rilevanti quanto legittimi “sacrifici” di tali diritti, ogni qual volta la repressione (nonché in alcuni casi la prevenzione) di fatti di penale rilevanza può risultare condizionata da un corretto, tempestivo ed esaustivo utilizzo dello strumento di ricerca della prova costituito dalle intercettazioni.
Poche altre disposizioni, previste dal codice di procedura, possono essere considerate in grado di determinare, con altrettanta efficacia, l’effettiva possibilità di accertamento di un reato.
Conseguentemente, prevedere la possibilità “astratta” di intercettare significa ammettere – in concreto - una ragionevole possibilità di repressione di uno specifico comportamento penalmente rilevante.
Non è - in tutta franchezza- cosa da poco.
Il regime particolarmente rigoroso delle intercettazioni di comunicazioni e conversazioni - sia sotto il profilo dei presupposti sostanziali che di quelli strettamente formali- si giustifica proprio in
relazione alle gravi forme di “compressione” di diritti riconosciuti dalla carta costituzionale, che costituiscono l’inevitabile corollario della previsione di ammissibilità delle stesse.
Una compressione che si verifica in relazione al diritto alla “libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione”, definite “inviolabili” dall’art.15, 1° co., Cost, e per le quali il secondo comma del medesimo articolo prevede che forme di limitazione possano avvenire “soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria” con le garanzie stabilite dalla legge. Occorre in questo senso considerare sul piano strettamente giuridico – nonché su quello logico e psicologico - il ruolo del pubblico ministero.
Il rappresentante dell’accusa deve contemperare la massima legittima “espansione” di tale strumento di accertamento delle responsabilità non solo con l’assoluto e rigoroso rispetto delle norme, ma anche con gli interessi dei soggetti coinvolti nell’attività di intercettazione; ciò sia nel caso in cui tali soggetti risultino estranei ai fatti, che laddove ne sia ipotizzabile un coinvolgimento diretto, ogniqualvolta gli elementi accertati non rilevino ai fini dell’indagine. E ciò a fronte di un quadro normativo che indubbiamente presenta lacune sul piano della “scansione” sulla verifica degli interessi che – al contrario- dovrebbero essere globalmente garantiti.
Non sono possibili valutazioni di sintesi - che non suonino come ovvietà- circa le prospettive di utilizzo in generale delle intercettazioni quale mezzo di ricerca della prova, anche e soprattutto in rapporto alle recenti e vivaci polemiche inerenti l’incidenza di tali atti sulla vita di relazione e sulla privacy di soggetti estranei ad ambienti delinquenziali “incidentalmente” intercettati, direttamente o all’atto di comunicazioni effettuate su utenze o account poste sotto controllo.
Sul punto si può solo rilevare come sempre meno frequentemente coloro che “professionalmente” esercitano attività criminose utilizzino di fatto lo strumento telefonico o telematico quale mezzo di comunicazione; e allora, proprio le intercettazioni rivolte ad acquisire elementi “indiretti” di prova - ove possibili- devono ritenersi, in prospettiva, quelle caratterizzate dalla maggiore oggettiva utilità.
Più che una modifica legislativa, parrebbe opportuno un chiarimento sui principi che dovrebbero improntare l’applicazione della vigente legge.
Si deve partire da un presupposto difficilmente confutabile: il legislatore non ha posto - e si deve presumere per una precisa scelta- limiti inerenti ai soggetti da intercettare, in presenza di particolari presupposti procedurali e di specifiche e tassative tipologie di reati; né, come vedremo, tali limiti paiono essere oggetto della delega contemplata dal DDL 2067.
Rebus sic stantibus, il P.M. non ha una semplice facoltà, ma verosimilmente un preciso obbligo di porre in essere tutte le attività di ricerca della prova consentite dalla legge che possano consentire un corretto, efficace e tempestivo esercizio dell’azione penale, alla luce dell’art.112 Cost; obbligo che non può essere confuso o frainteso con la verifica del presupposto della “assoluta indispensabilità ai fini delle indagini” prevista dall’art. 267, 1° co., c.p.p..
Certamente il pubblico ministero- e il giudice per le indagini preliminari – devono valutare se i risultati delle investigazioni possano essere ottenuti con strumenti meno “invasivi” per le persone coinvolte negli accertamenti, nonché se i risultati stessi possano rivelarsi rilevanti ed innovativi, piuttosto che semplicemente confermativi, rispetto al quadro probatorio già venutosi a determinare.
Al contrario non pare condivisibile la tesi che vorrebbe subordinare l’attività di captazione al fatto che “sia conveniente l’impiego delle intercettazioni telefoniche in relazione alla gravità ed all’allarme sociale suscitato dai rati su cui si sta investigando”228.
Invero, si tratta di una valutazione aprioristicamente effettuata dal legislatore, per la quale supporre opportune o addirittura necessarie ulteriori valutazioni discrezionali da parte degli organi giurisdizionali, tenuti sul punto piuttosto ad una “obbligazione di mezzi”, non può ritenersi conforme alla spirito generale del sistema. Deve piuttosto essere valorizzato, e in effetti la riforma interviene sul punto, il momento di “scelta” degli atti rilevanti ai fini dell’accusa e della difesa, da effettuare con le procedure del contraddittorio e con uno specifico controllo da parte del giudice sull’ipotetica pretestuosità o irrilevanza nel merito di intercettazioni, il cui inserimento nel “circuito“ processuale potrebbe nuocere a terzi senza giovare in alcun modo alle parti.
Resta sullo sfondo il problema delle cd. “fughe” di notizie derivanti da intercettazioni non ancora formalmente trascritte o per le quali comunque sia ancora in corso la valutazione sull’utilizzabilità e sulla stessa rilevanza: si tratta in realtà di un vizio patologico, e non strutturale del sistema, la cui risposta sino a oggi non poteva che trovare luogo nelle opportune sedi penali e/o disciplinari e per il quale, al contrario, nuove prospettive si aprono con la delega di cui al DDL 2067.
Il problema, tuttavia, non è ovviamente solo nelle manifestazioni “patologiche”, quanto in quelle fisiologiche, derivanti dall’uso di intercettazioni depositate e come tali non più coperte da segreto, il cui uso “improprio”. rectius extraprocessuale, può essere tale da
228V. Grevi, “Insegnamenti, moniti e silenzi della Corte Costituzionale in tema di
determinare gravi forme di nocumento ai soggetti nelle medesime coinvolti, siano essi imputati come privati estranei alle contestazioni. Quest’ultima notazione, soprattutto in chiave di deontologia personale da parte dell’organo dell’accusa, impone allo stato - anche in una possibile ottica de iure condendo - di riflettere sul fatto che l’attività di intercettazione, la cui legittimità risulta condizionata all’autorizzazione di un organo giurisdizionale, risulta tuttavia di esclusiva competenza - a livello di richiesta, esecuzione, modalità ed utilizzo dei risultati – da parte del pubblico ministero.
Numerosi sono stati negli ultimi venti anni i progetti di intervento “globale” sul tale materia.
Nondimeno, salvo alcune “correzioni“ specifiche, l’impianto generale del sistema non è stato di fatto sostanzialmente modificato rispetto a quanto originariamente stabilito con il codice di procedura vigente.
Con la presente legge, il legislatore ha deciso di intervenire su alcuni specifici aspetti, aventi a oggetto in particolare il regime di deposito delle intercettazioni - anche con riguardo alla fase cautelare - e i mezzi tecnici utilizzati per alcune particolari forme di captazioni. Sul primo punto, come vedremo, dovranno essere predisposte norme per evitare la pubblicazione di conversazioni irrilevanti ai fini dell’indagine e comunque riguardanti persone completamente estranee attraverso una selezione del materiale intercettativo nel rispetto del contradditorio tra le parti, e fatte salve le esigenze di indagine.
Non è stato inserito alcun “intervento” sulle tipologia di reato per le quali la captazione è ammessa, e anzi è stata indicata una semplificazione del ricorso alle intercettazioni per alcuni reati contro la pubblica amministrazione.
Inoltre, non vi è stata inserita alcuna previsione di pene carcerarie a carico dei giornalisti, circostanza questa che non è servita a
“smorzare” esaustivamente le polemiche su natura e finalità della riforma.
È prevista, infine, nella delega, una sanzione sino a 4 anni a fronte della diffusione delle captazioni fraudolente di conversazioni tra privati al solo fine di recare a taluno danno alla reputazione e all’immagine.
In tali casi la punibilità sarebbe tuttavia esclusa quando le riprese costituiscono prova di un processo o in un procedimento amministrativo o sono utilizzate per l’esercizio del diritto di difesa o di cronaca.
2. Iter parlamentare
3. I contenuti del provvedimento