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La disciplina delle intercettazioni telematiche art 266 bis c.p.p.

L’ATTUALE REGIME GIURIDICO

V.1 Il concetto di intercettazione del flusso di comunicazion

3.3 La disciplina delle intercettazioni telematiche art 266 bis c.p.p.

L’art. 266 bis c.p.p. (Intercettazioni di comunicazioni informatiche o telematiche) è stato introdotto dal legislatore con L. 23 dicembre 1993, n. 547, anni prima della diffusione capillare delle comunicazioni telematiche nel nostro Paese, dimostrando una certa lungimiranza.

Infatti, oggi le forme di comunicazione per via telematica hanno un ruolo centrale ed irreversibile nella nostra società, in questo senso l’informatica non può essere considerata “un” modo di organizzazione e scambio di idee, ma piuttosto il linguaggio tipico della nostra forma di società99.

L’art 266 bis c.p.p. recita:

‹‹Nei procedimenti relativi ai reati indicati nell'articolo 266, nonché a quelli commessi mediante l'impiego di tecnologie informatiche o telematiche, è consentita l'intercettazione del flusso di comunicazioni relativo a sistemi informatici o telematici ovvero intercorrente tra più sistemi››.

L’articolo in esame ha fatto sorgere grossi problemi interpretativi; a tal proposito la dottrina ha elaborato due opposte tesi, una “restrittiva” e l’altra “estensiva”.

99C. Parodi, La disciplina delle intercettazioni telematiche, in “Diritto Penale e

La tesi restrittiva, sostenuta tra gli altri da Ugoccioni100 e Filippi101,

sostiene che la tassatività delle ipotesi ricavata da una lettura combinata dell’art 266 c.p.p. con l’articolo 266 bis c.p.p. non può venire meno, altrimenti, si potrebbe ravvisare una disparità di trattamento tra diversi imputati di uno stesso reato commesso con modalità tecniche differenti, le une legittimanti e le altre no le intercettazioni telematiche102.

La tesi estensiva, sostenuta da Buonomo103 e Camon104, invece,

sostiene che l’art. 266 bis c.p.p. ha una portata più ampia, poiché non richiede che l’uso delle tecnologie informatiche sia l’elemento costitutivo del reato, ma si limita ad esigere che esso sia commesso con l’uso di strumenti informatici105.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha chiarito la questione affermando che la novità dell’art. 266 bis c.p.p. sta proprio nell’aver esteso l’ambito di ammissibilità delle intercettazioni ai procedimenti aventi ad oggetto i “computer crimes”, ma anche, nell’avere 100L. Ugoccioni, Criminalità Informatica, in “Legislazione Penale”, pag. 140 – 144.

101L. Filippi, L'intercettazione di comunicazioni, Giuffrè, Milano, 1997.

102C. Di Martino, T. Procaccianti, Le intercettazioni telefoniche, Cedam, Padova, pag. 47.

103G. Buonuomo, AA. VV. Profili penali dell'informatica, Giuffrè, Milano, 1994.

104A. Camon, Le intercettazioni nel processo penale, Giuffrè, Milano, 1996.

105C. Di Martino, T. Procaccianti, Le intercettazioni telefoniche, Cedam, Padova, pag. 47.

consentito l’intercettazione di flussi di dati (bit), nell’ambito dei singoli sistemi, oppure intercorrenti tra più sistemi106.

Uniforme invece è il giudizio sul significato da attribuire alle espressioni “sistema informatico” e “sistema telematico”. Secondo la dottrina, un sistema informatico è un complesso costituito da più elaboratori elettronici collegati tra loro per scambiare dati, ma può essere costituito anche da un solo elaboratore, purché collegato ad una serie di altre macchine informatiche, dette periferiche, per la realizzazione specifica di una funzione o applicazione. Invece, un sistema telematico è un sistema in cui gli elaboratori non sono in permanenza collegati tra loro da un cavo di connessione, ma utilizzano cavi telefonici e modulatori di toni, satelliti artificiali. Ciò che distingue il sistema informatico dal sistema telematico è dunque soltanto il metodo utilizzato per la trasmissione dei dati a distanza: i sistemi informatici sono collegati direttamente attraverso il cavo, i sistemi telematici sono collegati attraverso le linee telefoniche107.

La discriminante quindi tra sistema informatico e sistema telematico secondo la dottrina maggioritaria è la presenza o l’assenza del cavo.

Allora come si considerano i collegamenti tra due computer basati sul bluetooth e sul wireless?

Vanno considerati telematici o informatici?

Il pensiero dottrinale ci imporrebbe di catalogarli come collegamenti telematici.

106Cassazione Sezioni Unite, 24 settembre 1998, in “La giustizia penale”, 1999, III, pag. 614.

107C. Di Martino, T. Procaccianti, Le intercettazioni telefoniche, Cedam, Padova, pag. 44 – 45.

Questa definizione tecnica di sistema informatico e sistema telematico diverge dalla definizione che viene data dall’ ingegneria delle telecomunicazioni che intende come sistema informatico una serie di altre macchine informatiche, meglio dette periferiche collegate tra loro per la realizzazione specifica di una funzione o applicazione.

Quindi la discriminante non deve essere il collegamento, ma la funzione di dipendenza delle macchine verso un unico scopo correlato dalla dipendenza dell’una e dell’altra macchina per l’espletamento delle loro funzioni o di una determinata funzione. Quindi in questo caso può essere considerato sistema informatico anche un singolo computer con periferiche (scanner, stampante, monitor, riproduttori audio) o anche più computer che dipendono dal funzionamento l’uno dell’altro come i terminali “stupidi”108 per la

consultazione di informazioni situate in “remoto” e quindi da considerare come una periferica del sistema centrale.

Il sistema telematico è la interconnessione di più sistemi informatici, che avvenga tramite cavo o tramite qualsiasi altro sistema (wireless, bluetooth) o tramite cavi telefonici, l’elemento di differenza sta nel fatto che sono unità operative indipendenti l’una dall’altra capaci di scambiare informazioni e di comunicare tra loro, adempiendo alla loro funzione o applicazione indipendentemente l’una dall’altra109.

108N. Palazzolo, Corso di informatica giuridica, Torre, Catania, 1998, pag. 5.

109Couch Leon, Fondamenti di Telecomunicazioni, Apogeo, Milano, 2002, pag. 38 – 41.

4. I presupposti dell’intercettazione ex art. 267 c.p.p.: i gravi indizi di reato; e l’intercettazione come atto assolutamente indispensabile

In passato, l’obiettivo perseguibile mediante l’intercettazione era indicato alquanto confusamente. Nel 1973 la Corte costituzionale lo individuò nell’ “esigenza di prevenire e reprimere i reati”110.

Le intercettazioni si distinguono, a seconda della loro finalità, in preventive e processuali.

Le prime hanno una funzionalità di pubblica sicurezza e mirano alla prevenzione del reato.

Le seconde hanno la funzione di consentire la prosecuzione delle indagini oppure di agevolare le ricerche del latitante.

Riguardo all’intercettazione a fini d’indagine l’art. 226-ter, introdotto nel 1974 nel codice del 1930, ne indicava il presupposto alternativamente in ‹‹seri e concreti indizi di reato, da indicarsi specificamente nel decreto, oppure sussista effettiva necessità nei confronti dell’indiziato di limitare la libertà delle comunicazioni ai fini dell’acquisizione di prove, non altrimenti conseguibili, per l’accertamento del fatto per cui si procede››.

L’art. 267 comma 1 del vigente codice esige invece due concorrenti presupposti: l’esistenza di ‹‹gravi indizi di reato›› e insieme l’ ‹‹assoluta indispensabilità ai fini della prosecuzione delle indagini›› in ordine ad uno dei reati indicati dagli artt. 266 e 266-bis c.p.p.

110Corte cost. n. 34 del 1973, cit. L’Assemblea costituente aveva in un primo tempo approvato un emendamento all’attuale art. 15 che aggiungeva l’inciso ‹‹ed in pendenza di procedimento penale››, inciso che fu poi eliminato in sede di coordinamento (cfr. V. Italia, Libertà e segretezza della corrispondenza e delle

comunicazioni, cit., p. 113). Sulla previgente disciplina delle intercettazioni v. pure

P. Pisa, Intercettazioni telegrafiche e telefoniche, in Enc. Giur. Treccani, vol. XVII, 1989, pag. 1 e ss.

Il presupposto dei ‹‹gravi indizi di reato›› consiste nella sussistenza di elementi che fanno ragionevolmente presumere la commissione del reato, senza necessità che ne sia individuato l’autore111.

Poiché l’art. 267 comma 1 c.p.p. è esplicito nell’esigere solo la “gravità” degli indizi , questi non devono essere anche ‹‹precisi e concordanti››, come l’art. 192 comma 2 c.p.p. esige ai fini del giudizio.

L’ ‹‹assoluta indispensabilità›› ai fini della prosecuzione delle indagini significa che la prova non può essere acquisita con mezzi diversi dall’intercettazione.

Il testo del progetto preliminare del codice (‹‹le prove non possono essere altrimenti acquisite››) fu modificato per le preoccupazioni espresse da più parti circa le obiezioni che tale perentoria formula avrebbe probabilmente suscitato112.

Ma il significato del nuovo testo non si distacca dal precedente giacché l’intercettazione è “assolutamente indispensabile” solo quando la prova non sia altrimenti acquisibile113.

Pertanto nei procedimenti per reati d’ingiuria, minaccia, molestia o disturbo delle persone col mezzo del telefono potrebbe eventualmente ravvisarsi l’ “indispensabilità” dell’intercettazione telefonica, mentre sicuramente sarebbe eccessiva quella domiciliare o telematica.

111Nel senso che il presupposto consiste in “gravi indizi di reato” e non di colpevolezza v. Cass. 10 luglio 1996, in Riv. Pen., 1997, pag. 242.

112G. Conso, V. Grevi, G. Neppi, Il nuovo codice di procedura penale dalle leggi

delega ai decreti delegati, Modena, vol. IV, pag. 637, sub art. 266.

113G. Spangher, La disciplina italiana delle intercettazioni di conversazioni o

L’assoluta indispensabilità ‹‹ai fini della prosecuzione delle indagini›› presuppone che le indagini preliminari siano avviate, ed esclude che l’intercettazione possa essere autorizzata quale primo atto d’indagine.

L’ ‹‹inviolabilità›› della segretezza delle comunicazioni e quindi l’eccezionalità dell’intercettazione vietano il ricorso a questo mezzo di ricerca della prova come punto di partenza dell’indagine.

Se la conversazione avviene nel domicilio o in luoghi di privata dimora114, l’art. 266 comma 2 c.p.p. (pur parlando impropriamente di

‹‹comunicazioni tra presenti›› mentre è più corretto definirle conversazioni) esige un presupposto ulteriore, cioè il ‹‹fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa››115.

114Qualche incertezza è sorta sulla nozione di domicilio. Infatti, se è agevole l’individuazione del concetto di “abitazione”, più problematica è quella relativa al luogo di “privata dimora” di cui all’art. 614 c.p. L’art 14 Cost., distaccandosi sia dall’art. 43 c.c. (domicilio come “sede principale degli affari e interessi”) sia dall’art. 614 c.p. (domicilio come privata dimora ma anche stabilimenti industriali e pubblici servizi) tutela ”ogni luogo di cui si disponga ‹‹a titolo privato››, ma anche nel quale non necessariamente si svolgono attività domestiche” e perciò si estende “dalla caverna allo stabilimento industriale, dall’appartamento alla camera d’albergo, dalla baracca alla tenda, dalla roulotte al ‹‹cabinato››. Si estende altresì alle “appartenenze di tali luoghi” (cantine, rimesse, balconi, ecc.). Non si estende, invece né all’automobile, né al fondo rustico (e simili), infatti l’una e l’altro soddisfano esigenze diverse da quelle tutelate dall’art. 14 Cost.” (A. Pace,

Problematica, cit., pag. 198 s.). Corte cost. 1 marzo1987, n. 88 (in Giur. cost.,

1987, I, p. 682) ritiene tutelato ex art. 14 Cost. l’abitacolo dell’autovettura, che la Corte di cassazione ha invece escluso dalla protezione dell’art. 614 c.p. (Cass. 17 febbraio 1996, in Riv. pen., 1996, p.1025; Cass. 19 febbraio 1981, in Cass. pen., 1982, p. 1529). I locali aperti al pubblico per l’esercizio di attività commerciali sono talvolta esclusi dalla tutela ex art. 14 Cost. (Cass. 23 marzo 1993, in Giust. pen. 1994, c. 356, esclude che sia privata dimora un deposito di carni durante l’orario di apertura al pubblico; Cass. 2 dicembre 1991, in Arch. nuova proc.pen., 1992, p. 620), talvolta ricompresi (Cass. 19 ottobre 1992, in Cass. pen., 1995, p. 990, con nota di A. Scella, Dubbi di legittimità costituzionale e questioni

applicative in tema di intercettazioni ambientali compiute in luogo di provata dimora, che considera privata dimora un’agenzia di trasporti); mentre è stata

esclusa la camera di un ospedale pubblico, di cui il degente non ha la disponibilità esclusiva (Cass. 22 gennaio1996, Campeggio, inedita).

115F. Cordero, Procedura penale, cit., pag. 718, parla in proposito di “garantismo iperbolico”.

Tale requisito, consistente nella flagranza del reato, ossia lo stesso presupposto che autorizzerebbe l’invasione nel domicilio mediante la perquisizione, è dettato dal legislatore a maggiore tutela della segretezza della conversazione svolgentesi nel domicilio.

L’art. 14 Cost. assicura infatti di per sé la segretezza di quanto avviene entro le mura domestiche: si tratta di uno dei casi in cui l’art. 14 Cost. estende “la propria tutela a favore di diritti che sono già costituzionalmente protetti, ma che in tal modo vengono ulteriormente assicurati”116.

Il presupposto consistente nella flagranza del reato è stato criticato in dottrina perché di difficile realizzazione, esigendo la contemporaneità tra la consumazione del reato e l’intercettazione, la quale ultima è tipica attività d’indagine post delictum e quindi difficilmente compatibile con la flagranza117.

Perciò il presupposto è stato dilatato, ricomprendendovi anche la condotta di progettazione, istigazione, accordo e preparazione materiale dell’azione criminosa118.

Se così dovesse intendersi, il presupposto praticamente svanirebbe perché, ad esempio, nel caso di riunione in un’abitazione di tre o più persone pregiudicate o sottoposte a indagine sarebbe facilmente ipotizzabile il “fondato motivo” che l’attività criminosa sia in atto. Poiché le intercettazioni processuali presuppongono un reato già commesso, esse sono ammesse nel domicilio solo per reati la cui commissione, già iniziata al momento del decreto di autorizzazione, 116A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali., Cedam, 2003, pag. 197; P. Barile e E. Cheli, voce Domicilio (libertà di), pag. 860.

117F. Caprioli, Intercettazione e registrazione, pag.172; F. Cordero, Procedura

penale, Giuffrè, 1995, pag. 739.

si protragga (quali reati “di durata”, cioè a condotta frazionata nel tempo, ad esempio un’estorsione attuata attraverso una serie di telefonate minatorie, quelli abituali, quali lo sfruttamento della prostituzione o permanenti, come i reati associativi o il sequestro di persona)119.

Il rigore del presupposto si spiega con la formidabile invadenza della captazione domiciliare, la quale sopprime la privacy nella sua forma più intima e gelosa del “segreto domestico”120.