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3. IPERTENSIONE INTRACRANICA E UTILIZZO DEL TCD NELLE PATOLOGIE ENCEFALICHE

3.2. EMORRAGIA SUBARACNOIDEA ANEURISMATICA

3.2.3. CLASSIFICAZIONE RADIOLOGICA

Tipicamente la classificazione delle SAH veniva effettuata tramite reperto radiologico, secondo una scala proposta da Fisher et al. Nel 1980 [79], con l’obiettivo principale di predire la probabilità di insorgenza di vasospasmo in base alla quantità ematica visibile alla TC. Questa scala è stata poi modificata nel 2006 da Claassen et al. [80]. Un ulteriore metodo molto utilizzato nella classificazione delle SAH è quello proposto dalla World Federation of Neurosurgical Societies nel 1988 [81] (tab. 3.2), in cui si classificano 5 gradi di malattia in base a Glasgow Coma Scale e deficit motori (con particolare attenzione ai disturbi focali).

3.2.4. FISIOPATOLOGIA

Gli aneurismi solitamente si formano a livello delle diramazioni dei grossi vasi del poligono di Willis. La lesione si forma come un’estroflessione della parete vascolare (a seguito di alterazioni della tonaca media), la quale tende a espandersi a causa della pressione idrostatica generatasi come conseguenza della pulsatilità del flusso e delle turbolenze che si accentuano sempre nei punti di biforcazione dei vasi arteriosi [82]. Nell’aneurisma maturo, la tonaca media viene rimpiazzata da connettivo e si ha un impoverimento dello strato elastico.

La probabilità di rottura è direttamente correlata dalla tensione che si sviluppa a livello della parete vascolare in sede aneurismatica. Secondo la legge di Laplace:

𝑇 = 𝑃𝑇𝑀 × 𝑟

la tensione T dipende direttamente dal raggio r dell’aneurisma e dalla pressione transmurale

PTM.

Un aneurisma con diametro  5 mm ha un rischio di rottura del 2%, mentre un aneurisma con diametro di 6-10 mm andrà incontro a rottura prima della diagnosi nel 40% dei casi.

I vasi più colpiti dalla rottura aneurismatica sono l’origine dell’arteria comunicante posteriore dalla carotide interna (41%), l’arteria comunicante anteriore/cerebrale anteriore (34%) e l’arteria cerebrale media (20%).

Quando il vaso si rompe, il sangue sospinto dalla pressione arteriosa fuoriesce nello spazio subaracnoideo e si spande rapidamente tramite il liquido cerebrospinale nello spazio intracranico e nel canale midollare, causando irritazione meningea e del midollo spinale stesso. L’emorragia causa, inoltre, un aumento globale della pressione intracranica (ICP).

Reperti anatomopatologici su pazienti morti rapidamente dopo SAH da rottura di aneurisma cerebrale (aSAH) hanno evidenziato la presenza di danni ischemici, suggerendo che, nelle prime fasi dopo il sanguinamento, il flusso ematico cerebrale (CBF) vada incontro a una repentina riduzione. E’ stato poi dimostrato che questa rapida riduzione avviene secondariamente all’aumento dell’ICP che si sviluppa entro i primi minuti dal sanguinamento, stabilendo quindi una consequenzialità tra l’aumento della pressione endocranica, la riduzione della pressione di perfusione cerebrale (CPP) e la diminuzione del CBF responsabile dell’insulto ischemico al parenchima cerebrale. Altri fattori potenzialmente coinvolti nell’incremento dell’ICP in seguito ad aSAH sono: l’ostruzione alla circolazione liquorale da parte di un coagulo (idrocefalo non comunicante), la presenza di vasoplegia e la vasodilatazione delle arteriole distali.

Tuttavia, una diminuzione del CBF può essere dovuta anche a un precoce vasospasmo dei piccoli vasi e quindi non necessariamente essere legata a una riduzione della CPP. In questa fase precoce, il vasospasmo si associa a una diminuzione del CBF (che può durare alcune ore), a una maggiore perdita emorragica e a un persistente aumento dei livelli di glutammato nel liquido extracellulare (prognosi peggiore). Questa condizione è riscontrabile angiograficamente nel 10% dei pazienti con aSAH.

Un altro meccanismo responsabile della riduzione del CBF è la diminuzione del metabolismo cerebrale, che si palesa in una diminuzione del consumo di ossigeno cerebrale a seguito di un abbassamento della richiesta metabolica di ossigeno (CMRO2). Questo fenomeno, a livello

cellulare, si accompagna a una modificazione dei metaboliti associati allo stato energetico ossidativo delle cellule e, precisamente, a un aumento dei livelli di lattato e glutammato nel liquido extracellulare in associazione a una contemporanea diminuzione dei livelli di fosfocreatina ed esochinasi. Questi rilievi suggeriscono che la diminuzione del metabolismo cerebrale in assenza di ischemia o disfunzione mitocondriale sia un importante meccanismo di riduzione della perfusione cerebrale nelle fasi precoci dell’emorragia subaracnoidea.

Studi più recenti hanno focalizzato l’attenzione sulla fisiopatologia dell’Early Brain Injury (EBI) [83], focalizzandosi sui meccanismi pro-apoptotici che seguono al sanguinamento e che potrebbero essere implicati con un ruolo importante nella genesi sia delle complicanze acute sia del Delayed Brain Injury (DBI). Questi meccanismi possono essere considerati vie di protezione

dell’encefalo nel tentativo di contenere l’area necrotica e non danneggiare in maniera ancor più estensiva il parenchima cerebrale ancora sano. Meccanismi pro-apoptotici possono essere innescati dalla fase di ischemia globale che si verifica a livello intracranico a seguito al sanguinamento e che può portare all’apoptosi le cellule più sensibili al deficit di ossigeno (ad esempio le cellule ippocampali). Le vie che maggiormente sono risultate implicate nell’EBI sono quelle associate a:

 TNFα e al FAS-Ligando;

 p53, che può attivare sia una via caspasi indipendente che una via caspasi-dipendente (in quest’ultima l’attivazione della famiglia Bcl-2 induce il mitocondrio al rilascio del Citocromo c, che, attraverso la sua capacità di clivaggio ATP-dipendente degli apoptosomi, esita nell’attivazione della via delle caspasi e quindi alla morte cellulare).

Figura 3.11. Meccanismi di early brain injury.

Tutte queste alterazioni possono avere quindi un ruolo anche nella genesi dell’edema conseguente ad aSAH: quest’entità, nonostante sia clinicamente sottovalutata, si rende evidente come edema globale nell’8% delle TC di ammissione, e si manifesta clinicamente nei 6 giorni successivi all’evento in un ulteriore 12% (Claassen et al., 2002). Questa complicanza sembra essere dovuta a diversi meccanismi, di cui il fondamentale è la lesione della BEE, con meccanismi ancora non del tutto chiari, che porta alla formazione del classico edema vasogenico. E’ stata

tuttavia mostrata evidenza anche dell’instaurarsi di edema citotossico (Sibon et al., 2004; Orakcioglu et al., 2005), indicativo del danno ischemico globale che si verifica nel momento del sanguinamento.

La natura doppia dell’edema porta quindi a supporre che, nel periodo immediatamente successivo allo sviluppo di SAH, ci sia un’iniziale rottura della barriera ematoencefalica (BEE) che comporta un aumento dell’ICP: questo determina una diminuzione del CBF portando a ischemia. L’ischemia determina l’impossibilità di funzionamento delle pompe Na+/K+, con un ulteriore

danneggiamento della BEE e l’instaurarsi dell’edema citotossico, nonché l’avvio delle cascate apoptotiche. La morte cellulare e la conseguente perdita di cellule endoteliali comporta, oltre all’edema, un aumento dei volumi ventricolari (Laszlo et al., 1995), contribuendo all’aumento dell’ICP.

Effetti tardivi della SAH sul CBF

Delle complicanze tardive della SAH, il vasospasmo è quella che grava maggiormente sull’outcome del paziente: vede un picco di incidenza tra il VI e l’VIII giorno e la risoluzione è graduale nel tempo e della durata variabile di 2-4 settimane. A causa della riduzione del CBF regionale indotta dal vasospasmo, può verificarsi l’insorgenza di deficit neurologici focali (Delayed Ischaemic

Neurological Deficit o DIND). Le aree dell’encefalo ipoperfuse possono andare incontro a infarto

vero e proprio qualora il CBF rimanga sotto soglia troppo a lungo; il danno neurologico a tal punto diventa definitivo e il parenchima cerebrale non è più salvabile. Ecco perché una diagnosi precoce e un intervento aggressivo sono fondamentali.

La probabilità di sviluppare vasospasmo sembra essere legata alla gravità di presentazione della SAH, al concomitante instaurarsi di disfunzione ventricolare sinistra (Tako-Tsubo o edema polmonare neurologico) come conseguenza dello “storm” catecolaminergico indotto dal sanguinamento intracranico, a un pregresso stato di ipertensione arteriosa. La severità dello spasmo può essere associata anche ad altre complicanze della SAH stessa, quali lo sviluppo di spessi coaguli ematici nelle cisterne basali, la disfunzione dei piccoli vasi causata dall’infiammazione, la trombosi in situ e l’embolia.

Quindi, una temibile conseguenza dell’SAH sul versante emodinamico cerebrale è rappresentata dall’alterazione dei fisiologici meccanismi di autoregolazione cerebrovascolare [84] [85] [86]: una perdita di questa proprietà determina la diretta dipendenza del CBF dalla CPP, che aumenta il rischio di sviluppare un danno ischemico del parenchima cerebrale.

Il vasospasmo è una delle maggiori complicanze associate a SAH: la sua insorgenza è strettamente legata ad alterazione dei meccanismi di autoregolazione vascolare, ovvero ciò che permette un

mantenimento stabile del flusso ematico cerebrale indipendentemente dalle condizioni di pressione arteriosa sistemica. La fisiopatologia di questa alterazione del tono vascolare è tuttora oggetto di studi. Ciò che finora si è scoperto è che nell’ambito del vasospasmo sussistono diverse alterazioni patologiche: contrazione della muscolatura liscia vascolare (tramite un meccanismo Ca2+-dipendente), disfunzione endoteliale, alterazioni infiammatorie e, infine, alterata espressione

genica (Rothoerl e Ringel, 2007). Si ipotizza, inoltre, un ruolo importante di vari mediatori quali endotelina-1, NO, proteine infiammatorie e molecole di adesione; studi più avanguardistici mostrano come anche gli astrociti possano eventualmente esercitare un ruolo nella patogenesi del vasospasmo.

Rialzo della pressione intracranica

L’ipertensione endocranica è una condizione spesso presente nei pazienti con SAH e può essere dovuta a molteplici meccanismi. In primo luogo la presenza stessa di sangue libero in sede subaracnoidea comporta un rialzo pressorio, inoltre, la formazione di coaguli di dimensioni e densità elevata può impedire la normale circolazione del CSF, causandone l’accumulo. Concomitanti alterazioni nell’emodinamica dei vasi intracerebrali possono essere motivo di rialzo pressorio: la perdita dell’autoregolazione del tono vasomotore della parete vascolare induce un disaccoppiamento tra il CBF e la CPP, con un aumento dell’ICP determinato dall’incremento del volume ematico cerebrale secondario all’instaurarsi della vasoparalisi. Nelle fasi più avanzate, l’aumento della pressione intracranica può dipendere dall’instaurarsi dell’edema citotossico secondario all’insulto ischemico cerebrale.