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4. PROTOCOLLO SPERIMENTALE

4.3. PAZIENTI E METODI

4.3.3. DISPOSITIVI DI MONITORAGGIO INVASIVI

Drenaggio ventricolare esterno (EVD)

Il drenaggio ventricolare esterno, che consiste nel posizionamento di un catetere all’interno di uno dei ventricoli attraverso un foro praticato nel cranio, è attualmente considerato il gold

standard tra le metodiche di monitoraggio dell’ICP [114] [115] [116]. Oltre a misurare la pressione

intracranica, questa tecnica permette il drenaggio del CSF e la somministrazione di medicinali in sede intratecale (per esempio: antibiotici in caso di ventriculiti conseguenti al posizionamento del monitoraggio stesso). In altri casi, il drenaggio ventricolare esterno può essere indicato per drenare gli esiti di emorragie post-traumatiche.

In caso di drenaggio liquorale prolungato nel tempo tramite EVD, può formarsi progressivamente edema di volume tale da comprimere il compartimento ventricolare e bloccare il drenaggio stesso. Nonostante sia considerata la metodica gold standard, è necessario prestare attenzione all’applicazione di questa tecnica nel caso in cui lo stato di ipertensione intracranica sia determinato da una massa anomala: in questo caso, infatti, il drenaggio acuto liquorale può dislocare le strutture intracraniche, fino a causare episodi di subincarcerazione [117].

Il posizionamento chirurgico del catetere è generalmente considerato una procedura di chirurgia minore con pochi rischi, tuttavia è stato associato a complicazioni di carattere emorragico e infettivo. Per quanto riguarda la tecnica chirurgica, il metodo di scelta è rappresentato da un foro di accesso coronale in corrispondenza del punto di Kocher, con la punta del catetere allocata nel terzo ventricolo; esistono tuttavia altri approcci, come l’accesso di Frazier, in sede occipito- parietale, il punto di Keen (in zona parietale posteriore) e il punto di Dandy (occipitale): quale sia effettivamente l’accesso migliore rimane ancora materia di dibattito nel campo [118]. Il posizionamento dell’EVD può essere più o meno complesso in base alle dimensioni dei ventricoli, soprattutto nei pazienti più giovani, che presentano un apparato ventricolare più sottile (fig. 4.2a), a differenza di quelli più anziani che invece generalmente presentano ventricoli di dimensioni aumentate a causa di un processo di atrofia età-dipendente (fig. 4.2b).

Figura 4.2. Differenze TC nel sistema ventricolare di pazienti giovani (a) e anziani (b).

Per quanto riguarda l’emorragia post-operatoria, una review [119] che comprende articoli dal 1970 a oggi ha rilevato complicanze emorragiche nel 5,7% dei pazienti in media. Questo numero riassume tuttavia significative differenze nella reale incidenza, dipendendo dall’eventuale esecuzione di una TC dopo la procedura: l’emorragia infatti veniva più frequentemente ritrovata in quei pazienti che venivano sottoposti a TC (10,6%) piuttosto che in quelli che non venivano routinariamente sottoposti a tale procedura dopo la chirurgia (1,53%). La maggioranza delle emorragie riscontrate, tuttavia, non era di importanza clinica: sul totale dei sanguinamenti registrati, lo 0,61% era effettivamente clinicamente rilevante, manifestandosi attraverso deficit neurologici, richiedendo intervento chirurgico o, addirittura, essendo fatali. In un altro studio condotto su un totale di 188 pazienti [120], ognuno dei quali sottoposto a TC post-procedurale, si è evidenziata la presenza di emorragie post-chirurgiche nel 41% dei casi, di cui solo il 10,6% aveva un volume superiore ai 15 ml o presentava una componente intraventricolare.

Un’ulteriore complicanza associata al trattamento con EVD è la colonizzazione batterica del catetere, con conseguente infezione retrograda, comprendendo con questa denominazione un ampio spettro di condizioni, da un’infezione dello scalpo di carattere benigno, a ventriculiti, meningiti e setticemia fatale. Diverse review su questo argomento [121] [122] hanno mostrato una frequenza di infezioni associate a catetere nel range dello 0-27%, ma la definizione di “infezione associata a catetere” non poteva essere considerata omogenea tra i diversi dati

analizzati [122]: la maggioranza degli articoli considera una coltura liquorale positiva ottenuta dall’EVD o drenata tramite puntura lombare, ma è importante notare come una coltura positiva possa essere conseguente a una contaminazione proveniente da diverse fonti, ad esempio da quella cutanea nel processo di rimozione. I fattori che sembrano predisporre a un aumentato rischio di infezione sono:

 il trattamento con EVD prolungato oltre 5 giorni,

 il campionamento frequente di liquor,

 la presenza di emorragie intraventricolari o subaracnoidee,

la presenza di fratture con leakage liquorale,

 un’inserzione del catetere non sterile [122] [123].

Per minimizzare l’influenza di tali fattori predisponenti, Dasic et al. [124] hanno praticato la procedura di inserzione del catetere tramite uno stretto controllo di sterilità attuato tramite l’utilizzo di campo sterile, antibioticoterapia profilattica, e l’accortezza di tunnelizzare il catetere per una lunghezza di almeno 10 cm dal foro. Hanno inoltre diminuito drasticamente l’abitudine al drenaggio liquorale e al cambiamento del catetere, riservando queste pratiche solo a quando clinicamente indicato. L’utilizzo dell’antibioticoterapia profilattica è stato tuttavia fonte di dibattito nel mondo scientifico: Beer et al. [121] hanno criticato questo approccio a causa del maggior rischio di infezioni causate da microorganismi più virulenti, oltre che a un teorico aumento dei fenomeni di resistenza. Un altro fattore che può contribuire all’aumento del rischio di infezione è uno scorretto posizionamento del catetere o un suo eventuale spostamento: Saladino et al. [125] hanno mostrato tramite uno studio retrospettivo che il 12,3% di tutti i cateteri erano in realtà in posizione errata, sia con deviazione in senso intraparenchimale che extraventricolare. Questo ha comportato il più delle volte la necessità di rioperare tali pazienti, e ciò ha contribuito a un aumento del numero di infezioni. Oltre a ciò, il malposizionamento può causare danni in importanti strutture cerebrali, ad esempio i nuclei della base, il talamo, la capsula interna e anche la penetrazione del terzo ventricolo. Per diminuire il rischio di

misplacement, si è introdotto l’utilizzo della cosiddetta “guida di Ghajar”, che è stato dimostrato

aumentare il numero di cateteri inseriti correttamente rispetto all’inserimento manuale [126]: comunque, solo il 3% delle guide è utilizzato correttamente [127]. E’ stato inoltre riscontrato che fino al 6,3% della quota di cateteri difettosi è dovuto a un posizionamento intraparenchimale, un’ostruzione causata da pezzi di materiale cerebrale e coaguli ematici [128] [129].

Cateterismo intraparenchimale

Questo gruppo di device può essere suddiviso in cateteri con tecnologie a fibra ottica, a microtrasduttori di tensione e sensori pneumatici. I primi, il cui principale esponente è rappresentato dal monitoraggio cosiddetto “Camino”, trasducono la luce attraverso un cavo a fibre ottiche verso uno specchio dislocabile. I cambiamenti nella pressione intracranica muovono lo specchio e le differenze nell’intensità della luce riflessa sono trasformate nel valore di ICP rilevato al monitor. Appartengono alla famiglia dei trasduttori di tensione attraverso effetto piezoelettrico i microsensori Codman, i Raumedic Neurovent-P ICP e i Pressio. Quando il trasduttore è flesso a causa dell’ICP, la sua resistenza cambia e tramite questo cambiamento è possibile calcolare il valore di pressione intracranica. I sensori a tecnologia pneumatica (Spiegelberg), invece, sfruttano un palloncino nella porzione distale del catetere per registrare i cambiamenti pressori, permettendo anche di misurare in maniera quantitativa la compliance intracranica.

Per misurare l’ICP in sede intraparenchimale il catetere è solitamente posizionato nella regione frontale di destra con una profondità di  2 cm; questo posizionamento, comunque, può essere modificato in caso si sospetti la presenza di gradiente pressorio tra i compartimenti intracranici. Le complicanze associate all’utilizzo di questi dispositivi sono, come per l’EVD, il rischio emorragico e infettivo. In uno studio retrospettivo condotto su 1.000 pazienti con monitoraggio tipo “Camino” [130], è stato evidenziato che sui 574 cateteri analizzati, 8,5% erano positivi alla crescita batterica in coltura. Una TC di controllo è stata effettuata nel 92,2% dei pazienti e ha mostrato un’incidenza di emorragia nel 2,5% dei casi, ma solo in 6 casi (0,66%) è stata riscontrata un’emorragia clinicamente significativa. Errori tecnici sono stati rinvenuti nel 4,5% dei casi, spesso relativi al cavo delle fibre ottiche stesso. Anche il microsensore “Codman” è stato analizzato in diversi studi: Hong et al. [131] hanno rilevato un’incidenza di emorragia post-operatoria pari a zero (con una percentuale di esecuzione della TC pari all’85% dei 120 pazienti studiati), riportando inoltre che in nessun paziente era stata diagnosticata infezione. In uno studio più ampio [132], Koskinen e Olivecrona hanno riportato che su 1.000 interventi di inserzione del catetere, solo in 3 casi si è rilevata l’incidenza di emorragia post-chirurgica e nessuno dei pazienti ha avuto infezione. Per quanto riguarda il Reumedic Neurovent-P, da uno studio di Citerio et al. [133] emerge che da 99 sensori testati in un uguale numero di pazienti, non è stato registrato nessun caso di infezione, due pazienti hanno presentato piccoli focolai emorragici ma senza necessità di intervento. Il sensore di Spiegelberg è stato testato da Lang et al. [134], senza registrare incidenza di emorragia in nessuno degli 87 pazienti studiati. Nessuno ha avuto segni di meningite. In tre pazienti, tuttavia, si è registrata una perdita di dati legata a una non corretta misurazione da parte del sensore. Un’altra caratteristica che lega i sensori Neurovent-P, Spiegelberg e Codman è la loro

compatibilità con la risonanza magnetica senza esporre il paziente a rischi. Il Camino e il Pressio, invece, contengono dei componenti ferromagnetici che non permettono ai pazienti che usufruiscono di tali device di essere esaminati tramite RM [135] [136]. E’ generalmente ritenuto che i microtrasduttori abbiano la stessa accuratezza nel rilevare l’ICP rispetto alla metodica EVD [134] [137]. Tuttavia, i microtrasduttori mostrano il comune svantaggio di non potersi ricalibrare autonomamente ogni ora. L’EVD, al contrario, ha la caratteristica di poter essere ricalibrata in ogni momento, semplicemente resettando il trasduttore sul livello del cosiddetto punto 0 di riferimento (in corrispondenza di forami di Monro o del trago). La quantità di liquor drenato dipende dal gradiente pressorio all’interno della cavità liquorale e dalla resistenza del drenaggio stesso, definita come il gradiente pressorio che il liquor deve superare per raggiungere il livello della camera di gocciolamento. Questo significa che la posizione della camera di sgocciolamento relativamente a quella dello spazio liquorale è il fattore cruciale per determinare la quantità di liquor drenato. E’ inoltre fondamentale che quando si misura l’ICP, il sistema di drenaggio sia chiuso, altrimenti verrebbe calcolata la pressione di drenaggio stessa. Spesso anche in questo caso possono sopraggiungere dei problemi dati da uno scorretto set up del sistema, che sfociano nella registrazione di un falso gradiente e quindi in un insufficiente drenaggio, oltre che a una scorretta misurazione della pressione intracranica. La perdita della capacità di ricalibrare continuamente può portare il sensore a ritrovare dei valori di ICP imprecisi: la differenza tra l’ICP di partenza quando il sensore è calibrato (di effettivamente 0 mmHg), e il valore di ICP che è misurato quando il sensore è rimosso è chiamato “zero drift”. Un’ampia differenza tra questi valori sta a indicare che l’ICP misurata quando il catetere è stato impiantato non è più la “vera” ICP misurata in qualsiasi altro momento, e questa differenza pressoria accumulandosi nel tempo può avere importanti implicazioni per il trattamento e la prognosi dei pazienti. I test effettuati sia sulla tecnologia a fibre ottiche (“Camino”) che sulla tecnologia a microsensori di tensione (“Codman”) hanno mostrato uno spostamento del punto zero di meno di 0,8 mmHg in 24 h [138]. Ulteriori test di laboratorio, effettuati su cateteri parenchimali con microsensori di tensione con un circuito a ponte di Wheatstone completo incorporato sulla punta (“Raumedic Neurovent-P”), hanno dimostrato che in questi dispositivi lo zero subisce uno shift medio di 0,6 mmHg in 5 giorni [139]. I dettagli riguardanti questi device sono riassunti nella tabella 4.1.

Tabella 4.1. Comparazione dei diversi device che utilizzano microtrasduttori nel monitoraggio ICP [139].

Altri metodi

Tra le altre metodiche che storicamente vengono associate alla misurazione della pressione intracranica riscontriamo le tecniche di cateterismo epidurale, sottodurale e subaracnoideo. Nonostante i moderni sensori epidurali siano molto più affidabili rispetto a quelli utilizzati 10 anni fa, il quesito principale è quanto efficacemente e in quante circostanze la pressione nel compartimento epidurale rifletta l’ICP, che rimane tuttora irrisolto. A causa quindi della loro inaffidabilità, esse sono state abbandonate. La pressione del CSF a livello lombare è misurata molto raramente in ambito rianimatorio: questa forma di valutazione della dinamica liquorale viene utilizzata più di frequente in caso di idrocefalo o ipertensione intracranica benigna, ma è necessario enfatizzare che il valore così ottenuto può essere poco accurato in caso di monitoraggi della durata minore di 1 h e, nel caso in cui si ricorra all’analisi manometrica, variazioni rapide e significative della pressione liquorale possono alterare il risultato dell’analisi stessa.