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Il cliente al primo posto

2. Crisi e Responsabilità Sociale d’Impresa

2.4. Il cliente al primo posto

Capire ciò che rappresenta un valore per i clienti e concentrarsi sulla loro costante soddisfazione è una formula di ottimizzazione migliore.

Ovviamente le aziende sono soggette a dei vincoli ovvi riguardo la soddisfazione della clientela, se rendessero più felici i clienti abbassando sempre più i prezzi a fronte di costi sempre più alti andrebbero subito incontro al fallimento.

I dirigenti dovrebbero dunque cercare di massimizzare sì la soddisfazione del cliente, ma garantendo al tempo stesso che gli azionisti ottengano un rendimento accettabile per il capitale investito, corretto per tenere conto del rischio.

Si consideri Johnson & Johnson, società con una chiara visione della responsabilità aziendale. La società ha da sempre dimostrato la dichiarazione di intenti più significativa nel mondo del business, diffondendo e rispettando quello che è il suo

“credo”, rimasto immutato da quando venne creato dal leggendario presidente Robert Wood Johnson. Egli nel 1943 scrisse e pubblicò il “Credo di Johnson & Johnson”, che recita in sintesi: “Crediamo che la nostra prima responsabilità sia nei confronti dei medici, degli infermieri e dei pazienti, delle madri e dei padri e di tutti coloro che utilizzano i nostri prodotti e servizi… Siamo responsabili nei confronti dei nostri dipendenti, uomini e donne, che lavorano con noi in tutto il mondo… Siamo

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responsabili nei confronti delle comunità in cui viviamo e lavoriamo, ma anche della comunità mondiale… La nostra responsabilità finale è verso i nostri azionisti… Se opereremo in base a questi principi, gli azionisti dovrebbero riuscire a ottenere un giusto rendimento”.

Il credo spiega senza mezzi termini qual è l’ordine gerarchico dei vari stakeholder: i clienti vengono per primi, e gli azionisti per ultimi. Tuttavia, Johnson & Johnson è convinta che, quando la creazione di valore del cliente viene messa al primo posto della lista, gli azionisti ne ricaveranno vantaggi.

Fino ad oggi questo modo di operare ha ripagato l’azienda. Nel 1982 sette consumatori dell’area di Chicago morirono avvelenati in seguito all’assunzione di alcune capsule manomesse di Tylenol, un farmaco della casa Johnson & Johnson.

L’ex amministratore delegato James Burke gestì l’accaduto da manuale, mostrando di essere a capo di una società responsabile, in grado di fare la cosa giusta a prescindere dall’impatto sui profitti. Burke, infatti, dispose subito il ritiro di tutte le capsule di Tylenol in tutti gli Stati Uniti, sebbene il Governo non l’avesse richiesto e i decessi fossero avvenuti solo nell’area di Chicago. Il Tylenol rappresentava un quinto dei profitti della Johnson & Johnson, e dopo il ritiro le vendite crollarono.

I media restarono sorpresi dal fatto che un amministratore delegato di una società quotata in borsa avesse gettato dei profitti al vento, ed elogiarono Burke per la sua posizione morale esemplare. Ma la decisione dell’ex presidente forse era dettata più dal credo dell’azienda che dalla sua morale personale: gli obiettivi di Johnson &

Johnson erano chiaramente definiti e Burke li stava semplicemente rispettando da bravo amministratore delegato. I clienti venivano per primi e gli azionisti stavano solo al quarto posto, così egli agì di conseguenza: non mise in cima alla sua lista la soddisfazione delle aspettative di profitto trimestrale, la sacrificò lasciandola per ultima.

Nel lungo periodo, questa politica non danneggiò affatto la Johnson & Johnson.

Infatti la fidelizzazione verso il Tylenol aumentò dopo che la società dimostrò che la sicurezza dei clienti veniva prima di tutto, dopo che, prima al mondo, introdusse una confezione innovativa, a prova di manomissione, per i prodotti per la salute venduti senza ricetta medica.

Nel 2009, nonostante la crisi finanziaria, la capitalizzazione di mercato della Johnson

& Johnson è stata di 167 miliardi di dollari, la nona più alta del mondo. La Johnson

& Johnson sembra quindi avere fornito più di un “giusto ritorno” agli azionisti nel lungo termine. Ma non si tratta dell’unica società ad aver favorito il rendimento per gli azionisti evitando di metterli al primo posto. Procter & Gamble, la più grande società al mondo di prodotti di consumo, ottava per la capitalizzazione di mercato, ha messo il consumatore al centro dell’universo molto tempo fa e mostra un costante impegno verso lo sviluppo sostenibile25. La dichiarazione di obiettivi, principi e valori della Procter & Gamble, concepita nel 1985, descrive una politica molto simile a quella della Johnson & Johnson:

“Forniremo prodotti di marca e servizi di qualità e di valore superiore che migliorano la vita dei consumatori di tutto il mondo. Di conseguenza, i consumatori ci ricompenseranno dandoci la leadership in termini di fatturato, profitti e creazione del valore, consentendo alle nostre persone, ai nostri azionisti e alla comunità in cui viviamo e lavoriamo di prosperare”.

In questo caso, un valore maggiore per gli azionisti è una conseguenza dell’essersi concentrati sulla soddisfazione del cliente, e chiaramente non è la principale priorità.

Tutto questo non vuol dire che le società che hanno perseguito il massimo valore per gli azionisti come obbiettivo centrale abbiano agito male. Non è stato certamente così per la già citata General Electric, che si trova ancora fra le 25 imprese migliori del mondo per capitalizzazione di mercato. Durante l’epoca guidata da Welch, la società ha accresciuto il valore delle azioni in modo più veloce rispetto all’indice S&P 500; il tasso di crescita annuo composto dell’insieme dei profitti degli azionisti della General Electric è stato del 12,3% rispetto al 10% dell’indice26. Ma la General Electric nel lungo termine non è riuscita a creare più valore per gli azionisti rispetto ad altre società leader che, senza mezzi termini, impongono agli azionisti di rimanere all’ultimo posto negli interessi dell’impresa. Johnson & Johnson e Procter &

Gamble, nei rispettivi settori, hanno creato il maggior valore per gli azionisti. E quando le si compara con la General Electric, nel periodo successivo alla nomina di Jack Welch ad amministratore delegato, le performance risultano ancora migliori: il

25www.pg.com

26Harvard Business Rewiew Italia

tasso composto di crescita annuo è stato del 15,2% per Procter & Gamble, del 14,5%

per Johnson&Johnson e del 12,3% per General Electric.