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Kuwait durante il conflitto del Golfo

CAPITOLO 3 IL CNN EFFECT COME LE IMMAGINI TELEVISIVE HANNO CAMBIATO LA PERCEZIONE DELLA

3.5 Variazioni concettuali del CNN Effect

3.5.3 CNN Effect come agenda-setting

Un altro dei potenziali effetti dei media è quello che presume come l'agenda di politica estera degli Stati Uniti si componga di riflesso alle notizie pubblicate. Questo non vuol dire – scrive Livingston nel suo paper – che le questioni all'ordine del giorno siano create ex-novo dai media, ma piuttosto che le priorità siano riordinate sulla base della copertura giornalistica. L'ex segretario di stato James Baker dichiarò in un'intervista a Steven Livingston come l'arbitrarietà dei criteri di notiziabilità ponga un interrogativo sulla questione molto importante:

“All too often, television is what determines what is a crisis. Television concluded the

216 New York Times, edizione del 5 maggio del 1991 217 Dunsmore, The Next War: Live!, 1996

break-up of the former Yugoslavia and the fighting in the Balkans was a crisis, and they began to cover it and cover it. And so the Clinton administration (was left) to find a way to do something. (Yet) they didn’t do that in Rwanda where the excesses were every bit as bad, if not worse. And so, you have to ask yourself, does that mean you should do foreign policy by television? Are we going to define crises according to what is covered, by what the editors decide to cover? I don’t think we should do that”218.

La questione posta da Baker divenne una costante nel dibattito interno che si sviluppò negli Stati Uniti dalla fine della Guerra Fredda in poi. James Schlesinger affermò ad esempio che “la politica nazionale [americana] è determinata dal ginepraio dei curdi o dalla carestia in Somalia, così come appare sullo schermo”219. E sulle pagine del Washington Post l'8 marzo del 1994 Jessica Mathews in un articolo dal titolo “Policy Vs TV” riuscì ad esprimere il concetto in maniera ancora più chiara:

“The process by which a particular human tragedy becomes a crisis demanding a response is less the result of a rational weighing of need or of what is remediable than it is of what gets on nightly news shows”220.

Gli interventi americani dalla fine della Guerra in poi – Somalia, Haiti e Bosnia – sono stati fatti in nome dell'interventismo umanitario, un approccio che Micheal Mandelbaum ha definito sulle pagine di Foreign Affairs “una politica estera alla Madre Teresa”221. In questa nuova accezione della politica estera vista come “lavori sociali”, si accusò l'amministrazione Clinton di mettere al centro delle questioni periferiche per l'interesse nazionale:

“It intends to relieve the suffering caused by ethnic cleansing in Bosnia, starvation in Somalia, and oppression in Haiti. Historically the foreign policy of the United States has centered on American interests, defined as developments that could affect the lives of American citizens. Nothing that occurred in these three countries fit that criterion”222.

In altre parole, porre la questione in termini di media come agenti di agenda-setting vuol dire sostenere che le scelte fatte dai leader politici politica estera sono pesantemente influenzate da ciò che viene raccontato in televisione dalla CNN o

218 Livingston, An Examination of Media Effects According to Type of Military Intervention, 1997

219 James Schlesinger, Quest for a Post-Cold War Foreign Policy, 1995

220 Washington Post, edizione del 8 marzo 1994.

221 Mandelbaum, Foreign Policy as Social Work, Foreign Affairs, Edizione gennaio 1996 222 Mandelbaum, Foreign Policy as Social Work, Foreign Affairs, Edizione gennaio 1996

dagli altri network, così come da radio e carta stampata. Opinione non condivisa dall'ex consigliere per la Sicurezza nazionale Zbigniew Brzezinski il quale sostenne come sia la Casa Bianca a dettare l'agenda ai media, e non il contrario:

“I think in an administration, if it's activist, - and ours was in the area of foreign policy, it tends to determine agenda for the press. Not exclusively, and certainly many events transpire over which you have no control. But by and large we set the agenda”223.

Ma se nel 1996 le Nazioni Unite indicarono in 42 milioni il numero delle persone che in tutto il mondo erano a rischio di malattie e carestia – quindi necessitavano di un intervento umanitario – questo numero nel 2012 è diventato di 76 milioni secondo i dati del Global Humanitarian Assistance224. Questo vorrebbe dire che dare per buona la visione dei media come agenti di agenda-setting significherebbe accettare l'ipotesi per cui se i riflettori si accendessero in Zimbawe – il paese indicato dal report come il più bisognoso di aiuti – gli Stati Uniti sarebbero disposti a vagliare la possibilità di un intervento in Zimbawe, così come in Liberia, o in ogni altra parte del mondo. Basti pensare al dato dei conflitti attivi nel mondo. Nel 2012, i conflitti armati attivi nel mondo sono 32, a fronte dei 37 registrati225 nell’anno precedente. A rilevarlo è uno studio226 condotto dal PRIO - International Peace

Research Institute di Oslo – in collaborazione con l’UCDP – Uppsala Conflict Data Program – dell’università svedese di Uppsala. Per conflitto armato – come da

definizione227 riportata dall’istituto svedese - si intende l’utilizzo di forze armate tra due parti – dove almeno uno dei due attori è il governo di uno Stato – che provochi la morte di almeno 25 persone in un anno. Ora, nel 2012 l’Uppsala Conflict Data

Program stima che ci siano state 37.941 vittime nel mondo legate a conflitti armati.

Un numero così alto nei ventiquattro anni trascorsi dalla fine della guerra fredda si era registrato soltanto altre sei volte. Citare questi numeri è utile per capire una distinzione fondamentale: intervenire in un conflitto – citando Carl von Clausewitz - “viene fuori sempre da una situazione politica e viene suscitato soltanto da un

223 Citazione tratta da: O'Heffernan, Mass media and American Foreign Policy, 1991 224 http://www.globalhumanitarianassistance.org/wp-content/uploads/2013/07/GHA-Report-

20131.pdf

225 http://www.pcr.uu.se/digitalAssets/167/167156_version-history-brd-v5-2013.pdf 226 Report consultabile online all'indirizzo:

http://jpr.sagepub.com/content/early/2013/06/28/0022343313494396.full.pdf

motivo politico. E' dunque un atto politico”228. La lezione di Clausewitz ci serve a mettere i paletti per capire come un intervento militare sia da considerare un atto politico mosso da interessi politici ed economici, e i media fanno da cornice a questo quadro, decidendo in che maniera essere protagonisti, ma mai registi. Altrimenti, per una “politica estera alla madre Teresa” come quella di cui parlava Mandelbaum, basta staccare un assegno da 3,8 miliardi di dollari come fatto nel 2012 dagli Stati Uniti. Per comprovare questa affermazione andremo adesso a sfatare il “mito” della CNN e dell'intervento a favore dei curdi nel nord dell'Iraq.

3.6 Valutare l'impatto dei media sulla guerra: l'operazione Provide