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CNN Effect come ostacolo al raggiungimento di obiettivi geopolitic

Kuwait durante il conflitto del Golfo

CAPITOLO 3 IL CNN EFFECT COME LE IMMAGINI TELEVISIVE HANNO CAMBIATO LA PERCEZIONE DELLA

3.5 Variazioni concettuali del CNN Effect

3.5.2 CNN Effect come ostacolo al raggiungimento di obiettivi geopolitic

“Se i media possono far andare la politica più velocemente, devi accettare il fatto che possano renderla più difficile”212. Sono parole di Henry Kissinger, che con impareggiabile sintesi introducono l'effetto dei media come ostacolo al raggiungimento di obiettivi geopolitici. Steven Livingston nei suoi studi indica come ci siano almeno due tipi di impedimenti geopolitici legati alla presenza ingombrante dei media. Uno è radicato nell'effetto inibitorio dovuto al carico emotivo che possono trasmettere determinate immagini di guerra, e l'altro è invece radicato nella potenziale caratteristica propria dei media di far saltare il velo di segretezza di determinate operazioni militari.

Per quanto riguarda il primo impedimento, legato all'effetto inibitorio dei media, è utile richiamare le parole di George H. Bush all'indomani del successo in Iraq dell'operazione Desert Storm. Il presidente nel marzo del 1991 si lasciò andare ad un commento particolarmente utile per questa ricostruzione: “By God, we’ve

kicked the Vietnam syndrome once and for all”213. Per il presidente era una liberazione, una volta e per tutte aveva scacciato via la sindrome del Vietnam.

210 Beschloss, Presidents, Television and Foreign Crises, 1993

211 Ricostruzione tratta da: Livingston, An Examination of Media Effects According to Type of

Military Intervention, 1997

212 Citazione tratta da: O'Heffernan, Mass media and American Foreign Policy, 1991 213 Citazione tratta da: http://www.english.illinois.edu/maps/vietnam/postwar.htm

Fantasmi questi che torneranno ad essere rievocati due anni dopo quando le immagini di un soldato americano trascinato per le strade di Mogadiscio – come abbiamo già visto in precedenza – scossero l'America intera. Durante la Guerra del Golfo, la paura di una presentazione troppo cruda della guerra fu alla base degli sforzi militari perché si istituissero delle apposite zone per la stampa, le cosìddette

press pools. John Fialka, reporter del Wall Street Journal inviato in Iraq durante la

Guerra del Golfo, raccontò molto chiaramente da dove si tennero lontani i giornalisti e le videocamere:

“We were escorted away from most of the violence because the bodies of the dead chopped up by artillery, pulverized by B-52 raids, or lacerated by friendly fire don’t play well, politically”214.

Ufficialmente si disse c'era un pericolo per la sicurezza dei giornalisti ai quali non venne dato accesso libero alle zone dove si svolsero i conflitti. Ma la realtà ricostruita ci parla invece di un timore da parte dell'amministrazione americana che i media provocassero sdegno e risentimento nell'opinione pubblica e si scagliassero contro gli orrori della guerra. Ted Koppel, uno dei volti più celebri del giornalismo americano, si è espresso sulla questione in questo modo:

“I’m not sure the public’s interest is served by seeing what seems to have been such a painless war, when 50,000 to 100,000 people may have died on the other side. Obviously this was done so they could maintain the closest possible control over public opinion, to increase support for the war”.

In questo modo la Guerra del Golfo non ebbe aspetti negativi ma venne per lo più celebrata per la tecnologia all'avanguardia messa in campo. Agli editori la cosa non piacque, così come riportato dal New York Times il 21 febbraio del 1991:

“The pictures coming out of the pool arrangements are quite ordinary," Maria Mann, the director of photos for North and South America for Agence France-Presse, said yesterday. She said the service's 14-member photographic staff in the war zone has been excluded from Pentagon press pools. 'There are no negative aspects to the war' that the photographers been able to shoot, she added”215.

L'altro impedimento al raggiungimento di obiettivi geopolitici di cui parla

214 John Fialka, Hotel Warriors: Covering the Gulf War, 1991

215 New York Times. Edizione del 21 febbraio del 1991. Versione online consultabile su:

Livingston è quello legato alla possibilità che i media mettano a rischio determinate operazioni militari. Il rischio è quello che divulgando dettagli sulle operazioni in corso si possa informare il nemico, soprattutto al giorno d'oggi con le trasmissioni in diretta via satellite in tutto il mondo. Non è più come una volta, e a confermarlo è il generale Colin Powell con un paragone chiarissimo che scomoda il generale Patton:

“It isn’t like World War II, when George Patton would sit around in his tent with six or seven reporters and muse with the results transcribed and reviewed before being released. If a commander in Desert Shield sat around in his tent and mused with a few CNN guys and pool guys and other guys, it’s in 105 capitals a minute later”216.

Questo non implica una complicità dei giornalisti nel fare saltare operazioni o nel mettere a rischio la sicurezza dei soldati americani. Piuttosto l'ex generale Norman Schwarzkopf ne parlò in termini meramente pratici:

“It was reported (by an American television network] that at this time, right now, we are witnessing an artillery duel between the 82nd Airborne Division and the Iraqis. If they (the Iraqis) had any kind of halfway decent intelligence, they would have made note of the time and through their intelligence network they would have pinpointed the location of the 82nd Airborne. Until that time everything they ever saw of the 82nd was on the east coast. All of a sudden they would have found the 82nd way to the west and it would certainly have telegraphed something to them”217.