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D IRETTIVA 2010/64/U E SUL DIRITTO ALL ’ INTERPRETAZIONE E ALLA TRADUZIONE DEI PROCEDIMENTI PENALI

3. L’evoluzione normativa e giurisprudenziale in tema di interpretazione e traduzione.

3.1 Il codice di procedura penale.

Come ricordato, la Convenzione per la salvaguardia dei

diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a

Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva in Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848, all’art. 6, terzo comma, lettera a), stabilisce che "ogni accusato ha diritto ( ..) a essere informato, nel più breve spazio di tempo, nella lingua che egli comprende e in maniera dettagliata, della natura e dei motivi dell'accusa a lui rivolta". La lettera e) prevede poi che ogni accusato ha diritto di “farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza”.

Si tratta inoltre dell’identica disposizione contenuta nell'art. 14, terzo comma, lettera a), del Patto internazionale

48

relativo ai diritti civili e politici, patto che è stato firmato

il 19 dicembre 1966 a New York ed è stato reso esecutivo in Italia con la legge 25 ottobre 1977, n. 881.

Inoltre, il codice di procedura penale, agli articoli 143- 147, riconosce il diritto per l’imputato (e l’indagato) che non conosce la lingua italiana di «farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di potere comprendere l'accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa». Sarà l’autorità procedente a provvedere alla nomina dell’interprete – attraverso il ricorso ad appositi albi tenuti presso il tribunale – ed a conferirgli anche il compito di procedere a traduzione di atti.

L’art. 109 c.p.p. disciplina inoltre, a pena di nullità, la lingua degli atti e, in particolare, prevede alcune garanzie per il cittadino italiano appartenente a una minoranza linguistica riconosciuta il quale, a richiesta, è interrogato o esaminato nella madrelingua; anche il relativo verbale è redatto in tale lingua; nella stessa lingua sono poi tradotti gli atti del procedimento a lui indirizzati.

Il diritto all’interprete nell’ambito di un processo penale costituisce quindi una condizione indispensabile per porre in essere un diritto fondamentale dell’imputato, quello alla difesa e alla «parità fra le parti».

49 L’art. 169 c.p.p., al terzo comma, stabilisce che l'invito a dichiarare o a eleggere domicilio nel territorio dello Stato rivolto all'imputato straniero deve essere redatto nella lingua dell'accusato quando dagli atti risulti che quest'ultimo non conosce la lingua italiana.

Una disposizione sugli interpreti è infine prevista dall’art. 119 c.p.p. con riguardo alla partecipazione del sordo, muto o sordomuto ad atti del procedimento.

Le spese per l’interpretariato e la traduzione sono anticipate dall’Erario e, in caso di condanna, sono recuperate (art. 49 del DPR 115/2002, Testo unico sulle spese di giustizia), come le altre spese ripetibili. E’ fatta eccezione per il caso in cui l’imputato benefici del patrocinio a spese dello Stato.

Il codice del 1988 ha profondamente innovato, rispetto al codice di rito del 1930, il ruolo e l’attività dell’interprete: alla tradizionale ed esclusiva funzione di assicurare, in qualità di ausiliario dell’autorità giudiziaria, la comprensione linguistica degli atti compiuti nel corso del processo, la disciplina vigente affianca, in posizione preminente, quella di garantire l’assistenza dell’imputato a chi non conosce la lingua

italiana, il quale tramite l’attività dell’interprete, viene posto

in condizione di poter comprendere l’accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa. A fronte di tale previsione il ricorso alla figura dell’interprete

50 deve essere inteso come oggetto di un diritto individuale

dell’imputato, diretto a consentirgli quella partecipazione

cosciente al procedimento che è parte ineliminabile del diritto di difesa46

La direttiva 2010/64/UE propone significative novità, sia sul versante del contenuto e sulla natura del diritto, sia su quello della sua estensione oggettiva. Da ultimo occorre ricordare che la direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisone quadro 2001/220/GAI, disciplina nell’art. 7 il diritto della vittima che non comprende o non parla la lingua del procedimento penale all’interpretazione e alla traduzione; a tale direttiva gli Stati membri devono conformarsi entro il 16 novembre 2015.

. A determinare tale mutazione genetica dell’attività e del ruolo dell’interprete ha certamente contribuito il riconoscimento del diritto all’assistenza linguistica contenuto nelle fonti internazionali, alle quali l’art.2 n. 102 delle legge delega rinvia per la disciplina dei diritti relativi all’uso della lingua nel processo. Più in particolare, l’art. 6 par. 3 lett. e. Cedu e l’art. 14 par. 3 lett. f. Pidcp, sanciscono il diritto dell’accusato che non comprende o non parla la lingua dell’udienza di farsi assistere gratuitamente da un interprete.

51 Accanto alla innovativa e principale funzione di assistenza gratuita dell’imputato, delineata nell’art. 143 c. 1, si colloca l’ulteriore e tradizionale funzione dell’interprete, volta al superamento degli ostacoli allo svolgimento del processo costituiti dall’incomunicabilità linguistica, alla quale si riferisce l’art. 143 c. 2 che prevede la nomina dell’interprete anche quando occorre tradurre uno scritto in lingua straniera o in un dialetto non facilmente intelligibile ovvero tradurre le dichiarazioni di persone ( diverse dall’imputato ) che non conoscono la lingua italiana.

Figura diversa da quella presa in considerazione e disciplinata nell’art. 143 è quella del cd. interprete di parte o

fiduciario, cioè a dire l’interprete nominato dalla parte

privata o dal suo difensore. Il ruolo dell’interprete di parte assume un’importanza fondamentale nell’ambito delle garanzie difensive dell’alloglotta, in quanto consente a quest’ultimo non solo di poter intendere il significato di tutti gli atti posti in essere nel corso del processo, ma anche di poter conferire liberamente con il proprio difensore al di fuori dell’attività di udienza. Trascurata dal legislatore, la figura dell’interprete di parte è stata, invece, valorizzata dalla Corte costituzionale che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 102 d.P.R 30/05/2002 n. 115, nella parte in cui non prevede la possibilità, per lo straniero ammesso al patrocinio

52 a spese dello Stato che non conosce la lingua italiana, di nominare un proprio interprete47

Sul ruolo e sull’attività dell’interprete fiduciario dovrà essere necessariamente intervenire il legislatore, il cui intervento è ormai improcrastinabile alla luce della direttiva 2010/64/UE, che all’art. 2 par. 2 impone agli Stati membri di assicurare il ricorso all’interprete anche per le comunicazioni tra indagati o imputati e il loro avvocato, direttamente correlate a qualsiasi interrogatorio o audizione durante il procedimento o alla presentazione di un ricorso o di un’altra istanza procedurale.

.

Requisito imprescindibile per il riconoscimento del diritto all’assistenza linguistica ex art. 143 comma 1 è che l’imputato

non conosca la lingua italiana. La formula adoperata dal

legislatore del 1988 non coincide con quella che ricorre nelle fonti internazionali, le quali esigono, ai fini dell’insorgenza del diritto all’interprete, che l’accusato non comprenda o non parli la lingua utilizzata nell’udienza. La differente formulazione utilizzata dal codice non sembra determinare, peraltro, il rischio di un indebolimento delle garanzie previste dalla normativa internazionale, dal momento che il concetto della non conoscenza della lingua italiana si presta ad includere entrambe le situazioni del “non comprendere” e del “non parlare”, con la conseguenza che l’assistenza linguistica

53 deve essere riconosciuta anche al ricorrere di una delle due fattispecie considerate.

La previsione dell’art. 143 comma 1 vale ad escludere che il diritto alla nomina del’interprete discenda automaticamente, come un atto dovuto e imprescindibile, dal mero “ status “ di straniero o apolide, essendo, invece, necessario che sia accertata l’ignoranza della lingua italiana48

48 C SU 29.5.2008, Ivanov, sent. n. 25932 Rev 239698 che ha ribadito che il diritto all’interprete non discende automaticamente, quale atto dovuto e imprescindibile, dal mero

status di straniero, ma richiede l’ulteriore qualifica della non conoscenza della lingua italiana,

ha preso atto che, con insindacabile apprezzamento di merito, il tribunale aveva elencato una serie di dati di fatto dimostrativi della acquisita dimestichezza dell’imputato con l’idioma nazionale; in tali condizioni, l’imputato avrebbe dovuto fornire la prova contraria alla presunzione stabilita dall’art. 143 c.p.p. e non limitarsi ad affermare puramente e semplicemente la sua ignoranza.

. A questo proposito, un primo problema interpretativo concerne il

livello di non conoscenza della lingua italiana che pone la

nomina dell’interprete. E’ opinione consolidata che non integri il requisito della non conoscenza della legge italiana la mancata comprensione del significato tecnico di elementi ed atti processuali, posto che una simile carenza è destinata ad essere colmata dall’attività del difensore. Per altro verso, si è correttamente affermato che non è sufficiente ad escludere l’ignoranza della lingua italiana una conoscenza del tutto elementare o sommaria che, pur consentendo alla persona di districarsi nelle fondamentali esigenze della vita quotidiana, non sia adeguata a consentire una partecipazione ed un intervento attivo nel procedimento; a fortori, non si potrà

54 prescindere dalla nomina dell’interprete a fronte di un livello di conoscenza meramente turistica. Alla stregua di tali indicazioni si deve ritenere che la nomina dell’interprete possa essere evitata solo quando l’imputato abbia una

conoscenza media della lingua italiana, ossia tale da

permettergli di comprendere senza apprezzabile difficoltà quanto gli viene portato a conoscenza.

Il diritto all’assistenza dell’interprete spetta non solo allo straniero e all’apolide alloglotta, ma anche al cittadino italiano che per svariate ragioni49

Posto che a proposito dell’imputato straniero non è espressamente prevista alcuna presunzione di ignoranza della legge nazionale, risulta problematico stabilire su chi grava

l’onere di dimostrare la non conoscenza della lingua nazionale. Un primo orientamento giurisprudenziale afferma

ignori la lingua nazionale: in questa prospettiva l’art. 143 comma 1 individua come soggetto destinatario del diritto all’interprete non già lo straniero, ma l’imputato che non conosce la lingua italiana. Peraltro, al fine di evitare strumentalizzazioni della garanzia in esame, il legislatore ha previsto a proposito del cittadino italiano una presunzione relativa di conoscenza della lingua

nazionale, superabile solo qualora l’interessato dimostri di

ignorare la lingua italiana.

49 Ad esempio è cittadino italiano iure coniugii o iure sanguinis ovvero perché comprende esclusivamente il dialetto.

55 che l’insufficiente conoscenza della lingua nazionale deve essere dimostrata o, almeno, dichiarata dal soggetto interessato50, al quale , pertanto, è rimessa la facoltà di decidere se chiedere o meno l’assistenza dell’interprete51. Un secondo orientamento, inaugurato dalla Corte costituzionale, ripartisce invece sia sull’imputato che sull’autorità giudiziaria l’onere dimostrativo della non conoscenza della lingua italiana, stabilendo che l’interprete debba essere nominato al verificarsi della circostanza della mancata conoscenza della lingua italiana da parte della persona nei cui confronti si procede, tanto se tale circostanza sia evidenziata dallo stesso interessato, quanto se, in difetto di ciò, sia accertata dall’autorità procedente52

In tema di accertamento della non conoscenza della lingua italiana, la giurisprudenza ha precisato che tale requisito non . Le posizioni espresse dalla giurisprudenza sono state criticate dalla dottrina, che ha evidenziato come entrambi gli orientamenti giurisprudenziali finiscano nella sostanza per introdurre una indebita e inaccettabile presunzione di conoscenza della lingua italiana anche per l’imputato straniero, nei confronti del quale, invece, dovrebbe valere una presunzione relativa contraria e cioè di non conoscenza della lingua ufficiale del processo.

50 C V 21.11.1996 n.3547, Romero, CED, n. 208188 . 51 C VI 2.7.1992, Sosic Zeliko n. 10373

56 sussista qualora l’imputato straniero mostri, in qualsiasi maniera, di rendersi conto del significato degli atti compiuti con il suo intervento o a lui indirizzati e non rimanga completamente inerte ma, al contrario, assuma personalmente iniziative rivelatrici della sua capacità di difendersi adeguatamente53

Quanto alla scelta della lingua da adottare, in assenza di esplicite indicazioni contenute nella norma ( diversamente da quanto previsto dall’art. 169 comma 3 c.p.p ), si ritiene che possa essere utilizzata anche una lingua diversa da quella di origine dell’imputato, purché di questa lo straniero abbia una buona conoscenza

.

54

L’unico soggetto processuale al quale il legislatore riconosce il diritto di nomina dell’interprete è l’imputato che non conosce la lingua nazionale. E’ pacifico, peraltro in dottrina ed in giurisprudenza che la garanzia in questione operi anche a favore dell’indagato: in tal senso depone, da un lato la

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53 Cass. S.U. n.12 31 maggio2000, Jakani, in Arch Nuova Procedura Penale 2000, 391 (RV 216258) inesistenza nel nostro ordinamento processuale di un principio generale su cui fondare il diritto indiscriminato dello straniero, in quanto tale, a giovarsi dell’assistenza dell’ interprete, essendo invece necessaria, ai fini dell’applicazione dell’art. 143 c.p.p., la prova dell’ignoranza della lingua italiana; ne deriva che, se lo straniero ha mostrato in qualsiasi maniera di rendersi conto degli atti compiuti con il suo intervento o a lui indirizzati e non è rimasto completamente inerte, ma al contrario ha assunto personalmente delle iniziative rivelatrici della sua capacità di difendersi adeguatamente, non sussiste alcun obbligo di traduzione degli atti.

54 Secondo una parte della dottrina qualora la lingua madre sia di scarsissima conoscenza in Italia, sarebbe più opportuno ricorrere alle lingue ad alta diffusione internazionale al fine di ottenere un più corretto ed efficiente funzionamento dei servizi di traduzione; si sottolinea comunque la necessità di accertare la sufficiente conoscenza di tale lingua da parte dell’imputato non italoglotta, le cui eventuali indicazioni alternative dovranno essere tenute in considerazione.

57 previsione di cui all’art. 61 c.p.p, che estende alla persona sottoposta alle indagini i diritti e le garanzie spettanti all’imputato, e , dall’altro, la stessa formulazione dell’art. 143 nella parte in cui colloca tra le autorità competenti a provveder alla nomina dell’interprete anche il p.m. e la p.g. Analoga estensione sembra sussistere, inoltre, nei confronti del condannato.

Attualmente il diritto all’interprete non è riconosciuto alle altre parti private e alla persona offesa55

Tra i titolari del diritto alla nomina dell’interprete si colloca anche il soggetto affetto da menomazioni fisiche “la cui inidoneità all’udito e/o alla parola impedisce un’effettiva partecipazioni agli sviluppi della vicenda processuale”. A

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55 Sulla tematica del diritto all’assistenza linguistica della persona offesa dal reato il legislatore dovrà intervenire, entro novembre 2015, al fine di conformare la disciplina interna alle previsioni della direttiva 2012/29/UE che, nell’ambito delle norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, colloca anche il diritto all’interpretazione e alla traduzione. Più in particolare l’art.7 della direttiva stabilisce, anzitutto, che gli Stati membri devono assicurare alla vittima che non comprende o non parla la lingua del procedimento penale l’assistenza gratuita dell’interprete “ almeno durante le audizioni o gli interrogatori della vittima nel corso del procedimento penale dinanzi alle autorità inquirenti e giudiziarie, inclusi gli interrogatori di polizia, così come la sua partecipazione attiva alle udienze, comprese le necessarie udienze preliminari”; deve essere fornita, gratuitamente, alla vittima che ne faccia richiesta “la traduzione delle informazioni essenziali affinché possa esercitare i suoi diritti nel procedimento penale in una lingua da essa compresa”; la vittima deve poter presentare una richiesta motivata per ottenere la traduzione di un documento considerato fondamentale; alla vittima deve essere riconosciuto il diritto di impugnare la decisione dell’autorità giudiziaria di non fornire l’interpretazione o la traduzione. L’assistenza linguistica è riconosciuta alla vittima anche nel momento della denuncia: l’art. 5 della direttiva impone agli Stati membri di assicurare la possibilità di presentare la denuncia utilizzando una lingua che comprende o ricevendo la necessaria assistenza linguistica; ed infine, qualora la vittima alloglotta ne faccia richiesta deve essere assicurata la traduzione gratuita dell’avviso di ricevimento scritto della denuncia da essa presentata.

58 proposito del sordo, muto o sordomuto56 la disciplina

originaria dettata dall’art. 119 ricollegava l’insorgenza del diritto all’interprete alla circostanza che tale soggetto non sapesse leggere o scrivere, sul presupposto che diversamente la comunicazione si sarebbe potuta realizzare attraverso le modalità di cui al comma 1 della norma richiamata. Finalizzata ad agevolare lo svolgimento del processo piuttosto che a garantire il diritto di difesa del portatore dell’handicap, la previsione dell’art. 119 è stata dichiarata incostituzionale, per violazione dell’art. 24 comma 2 Cost., nella parte in cui non prevede che l’imputato sordo, muto o sordomuto, indipendentemente dal fatto che sappia o meno leggere e scrivere, ha diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete, scelto di preferenza fra le persone abituate a trattare con lui, al fine di comprendere l’accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa57

56 La legge 20 febbraio 2006, n. 95 ha previsto che in tutte le disposizioni legislative il termine “sordomuto” sia sostituito con l’espressione “sordo”.

. La Corte costituzionale, ritenendo che le disposizioni dell’art. 119 fossero insufficienti a soddisfare le esigenze di garanzia del diritto di difesa dell’imputato sordo o muto, ha esteso, mediante la declaratoria di incostituzionalità di tipo additivo, agli imputati che si trovino nelle condizioni di cui all’art. 119,

59 la forma di tutela già prevista dall’art.143 per l’imputato che non conosce la lingua italiana.

Uno dei profili maggiormente controversi della disposizione in esame (art. 143 comma 1), concerne la tipologia degli atti rispetto ai quali opera la garanzia dell’assistenza linguistica. Un primo orientamento giurisprudenziale limitava l’ambito oggettivo di operatività dell’art. 143 comma 1 ai soli atti orali58. A tale conclusione si giungeva muovendo dal rilievo che l’obbligo di tradurre nella lingua dell’imputato alloglotta gli atti scritti, era contenuto solo in alcune previsioni, quali l’art. 109 comma 2 e l’art. 169 comma 359. Simile interpretazione è stata sconfessata dalla Corte costituzionale60 che, investita dal giudizio di costituzionalità dell’art. 555 e del combinato disposto dagli artt. 456 comma 2 e 458 comma 161

58 C VI 11.3.1993, Osagie Anuanru n. 5221

, ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale, proprio disattendendo il presupposto interpretativo di cui muovevano i giudici a quibus, ossia che la previsione dell’art. 143 fosse circoscritta agli atti orali e potesse, quindi, essere estesa alla notificazione degli atti scritti soltanto in riferimento ai casi

59 Dato, questo, dal quale si doveva desumere che l’intenzione del legislatore fosse quella di circoscrivere solo a quelle peculiari fattispecie la necessità di procedere alla traduzione dell’atto nella lingua dell’imputato che ne era destinatario.

60 C. Cost. 10/1993

61 Nella parte in cui non prevedevano l’obbligo di traduzione nella lingua nota all’imputato straniero del decreto di citazione a giudizio e dell’avviso, contenuto nel decreto di giudizio immediato, concernente la facoltà di richiedere il giudizio abbreviato.

60 espressamente previsti come eccezioni di quella regola. Più in particolare la Corte ha affermato che l’art. 143 comma 1 è “suscettibile di un’applicazione estensibile a tutte l’ipotesi in cui l’imputato, ove non potesse giovarsi dell’ausilio dell’interprete, sarebbe pregiudicato nel suo diritto di partecipare effettivamente allo svolgimento del processo penale”. Sulla base di tali considerazioni la Corte costituzionale ha precisato che la mancanza di un espresso obbligo di traduzione nella lingua nota all’imputato straniero sia del decreto di citazione a giudizio ( art. 555 c.p.p. ), sia dell’avviso, contenuto nel decreto di giudizio immediato, concernete la facoltà di richiedere il giudizio abbreviato ( artt. 456 2° e 458 1° ), “non può impedire la piena espansione della garanzia assicurata dall’art.143 comma 1 c.p.p., in conformità ai diritti dell’imputato riconosciuti dalle convenzioni internazionali ratificate dall’Italia e dall’art. 24 comma secondo della Costituzione”62

Tra gli atti suscettibili di traduzione si colloca anche l’ordinanza applicativa di una custodia cautelare personale, in quanto il provvedimento che dispone la custodia cautelare è

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62 La sentenza interpretativa di rigetto del 1993, pur essendo fortemente innovativa, non ha esplicitamente specificato i confini estremi dell’art. 143 comma 1 rispetto alla complessiva sequenza di atti scritti cui dà luogo il procedimento penale, la questione concernente l’individuazione degli atti che necessitano di traduzione ha continuato ad essere oggetto di contrastanti indirizzi giurisprudenziali. Ed invero, mentre alcune pronunce continuano ad affermare che il “diritto di difesa è assicurato dall’assistenza dell’interprete solo limitatamente agli atti orali “ come la pronuncia della Cass. sez. II 8.10.2003, Tegri; altre decisioni estendo l’obbligo della traduzione quantomeno anche a quegli atti scritti aventi funzione “conoscitivo-informativa e di contestazione dell’accusa”.

61 un atto rispetto al quale deve essere garantita la piena esplicazione del diritto di difesa il cui esercizio presuppone la comprensione dell’atto medesimo da parte dell’imputato che