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"The Roadmap on procedural rights. Percorso europeo sul diritto processuale penale; in particolare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri ed i diritti dell'imputato nel territorio europeo."

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Introduzione.

Sommario: 1.Storia della cooperazione giudiziaria in materia penale nell’Unione europea. 2.Il diritto ad un processo equo, art. 6 CEDU e art. 111 Cost.. 3.Le garanzie processuali dell’imputato nell’UE..

1. Storia della cooperazione giudiziaria in materia penale nell’Unione europea.

Con l’espressione cooperazione giudiziaria si intendono le attività che l’autorità giudiziaria di uno Stato realizza in relazione ad un procedimento penale pendente o già celebrato in uno Stato straniero.

L’esigenza di sperimentare forme di cooperazione giudiziaria internazionale nel settore penale deriva dalla sempre più crescente libertà e facilità di circolazione delle persone e dall’abbattimento delle frontiere economiche. I primi passi in avanti significativi in tema di cooperazione risalgo all’adozione del Trattato di Maastricht, ma è con il Trattato di Lisbona che la materia viene regolata nei suoi profili generali, attraverso le disposizioni riguardanti lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, dall’art. 67 all’art. 76 TFUE, e attraverso norme espressamente dedicate alla cooperazione giudiziaria e di polizia nel settore penale, artt. 82 e 83 TFUE.

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2 Muovendo l’analisi alle disposizioni in materia di diritto penale processuale e sostanziale, bisogna analizzare il dettame dell’art. 82 par. 1, TFUE. Questa norma esordisce ponendo a fondamento della cooperazione europea nel settore penale il principio del reciproco riconoscimento, che diviene essenziale criterio ispiratore dell’attività dell’Unione e degli Stati membri, capace di sollecitare una crescente coerenza fra gli ordinamenti nazionali nella repressione di fenomeni criminali di rilievo continentale ed internazionale. Al riguardo, la riforma dei Trattati è in linea con la direzione più volte indicata dalle istituzioni europee circa la necessità di rafforzare il principio1,al fine di assicurare l’impulso all’integrazione europea attraverso il raggiungimento di livelli minimi di armonizzazione, ma nel rispetto delle peculiarità dei singoli sistemi penali2

1 In particolare, si fa riferimento alle conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Cardiff del 15

e 16 giugno 1998, al punto 39: “ Il Consiglio europeo sottolinea l’importanza di un’efficace cooperazione giudiziaria nella lotta contro la criminalità transnazionale. Esso riconosce che occorre potenziare la capacità dei sistemi giuridici nazionali di operare in stretto contatto e chiede al Consiglio di determinare in quale misura si debba estendere il riconoscimento reciproco delle decisioni dei rispettivi tribunali”. Dello stesso tenore le conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999.

. Allo stesso tempo, questa impostazione incontra la perplessità da parte della dottrina, che, adottando un approccio sostanziale, rileva le forti resistenze degli Stati nel negoziare nuovi strumenti di

2Il reciproco riconoscimento è lontano dall’imporre l’uniformazione degli ordinamenti interni, consente

la permanenza di margini di diversità sulle opzioni di tutela penale sostenute al livello nazionale e sulle misure adottate per attuare tali scelte, muovendo dal dato presupposto della fiducia reciproca degli Stati membri in ordine alla equivalenza delle singole soluzioni normative ed alla adeguatezza degli apparati giurisdizionali ed amministrativi interni.

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3 reciproco riconoscimento e l’insoddisfacente grado di attuazione delle norme già in vigore da parte degli Stati membri.

In questo contesto gli artt. 82 e 83 TFUE disciplinano l’adozione di direttive volte a fissare norme comuni minime di diritto processuale penale e di diritto penale sostanziale, con l’obiettivo di riavvicinare in questi due settori il diritto degli Stati membri. In quest’ottica questi due articoli prevedono la possibilità di attivare il cd. freno di emergenza, che consente ad uno Stato, ove un progetto di direttiva incida su profili fondamentali del sistema penale interno, di chiedere che il Consiglio europeo sia investito della questione, al contempo sospendendo l’iter legislativo. Entro quattro mesi dalla sospensione e previo ulteriore confronto politico sul punto, il Consiglio europeo può approvare per consensus l’eventuale accordo raggiunto a superamento della criticità sollevata dallo Stato, rinviando il progetto al Consiglio per la ripresa della procedura decisionale. Tuttavia, qualora il termine decorra infruttuosamente, un numero minimo di nove Stati può chiedere di instaurare una cooperazione rafforzata sulla base del progetto di direttiva rigettato. In questa ipotesi l’autorizzazione a procedere della cooperazione rafforzata si considera concessa senza specifiche formalità, essendo

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4 sufficiente informare preventivamente di tale intenzione il Parlamento europeo, la Commissione e il Consiglio3

L’art. 82 TFUE è incentrato sulla disciplina processuale penale: il paragrafo 1, secondo periodo, confermando la centralità del principio, investe anzitutto i Legislatori europei nel compito di adottare misure intese a rafforzare il reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie, senza specifiche limitazioni circa il contenuto o la tipologia dei provvedimenti nazionali interessati. Gli ulteriori obiettivi di cui vengono investiti il Consiglio ed il Parlamento sono la prevenzione e la risoluzione dei conflitti di giurisdizione, la formazione dei magistrati e degli operatori giudiziari ed il supporto alla cooperazione fra le autorità competenti dei Paesi membri. Inoltre sempre allo scopo di favorire l’affermazione del principio del reciproco riconoscimento, il paragrafo 2 legittima l’adozione di direttive di contenuto minimo, rispettose delle differenze fra le tradizioni giuridiche degli ordinamenti nazionali

.

4

3Il meccanismo completo ha dunque una duplice natura: da un lato, consente di invocare l’ “emergency

brake”, onde scongiurare indebite ingerenze sui sistemi penali interni; dall’altro, predispone anche un “accelerator”, grazie al quale gli Stati membri che vogliono approfondire la cooperazione in un determinato settore possono superare l’empasse ed avviare una cooperazione rafforzata.

. In particolare questi atti posso riguardare

4In questo senso l’art. 82 par. 2 TFUE, è formulato in coerenza con l’art. 67 par.1 TFUE che inaugura il

Titolo V del Trattato e che fissa quali condizioni generali per la realizzazione di uno Spazio di libertà, sicurezza e giustizia il “rispetto dei diritti fondamentali nonché dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri”. Le due formulazioni non sono del tutto coincidenti, perché l’art. 67 TFUE, richiamando il termine “rispetto” pone in capo all’Unione il dovere di astenersi dal violare le prerogative e le peculiarità degli ordinamenti nazionali. L’art. 82 TFUE, invece, supera la dimensione meramente negativa, sollecitando l’Unione europea non solo ad esercitare un prudente

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5 l’ammissibilità delle fonti di prova, i diritti dell’imputato e delle vittime della criminalità. In forza del paragrafo 2, secondo periodo, l’introduzione di norme minime comuni non priva gli Stati dalla possibilità di mantenere o introdurre livelli di tutela più elevati.

Per quanto riguarda l’art. 83 TFUE, dedicato alla competenza dell’Unione all’adozione di norme penali sostanziali, il Consiglio e il Parlamento sono investi del potere di stabilire norme minime per la definizione dei reati e sanzioni per fenomeni criminali di accentuata gravità. L’art. 83 TFUE chiarisce subito il proprio ambito operativo, conferendo competenza all’Unione europea in una serie di ipotesi tassativamente elencate: terrorismo, tratta di esseri umani, sfruttamento sessuale di donne e di minori, riciclaggio di denaro, corruzione. Peraltro, il terzo periodo del paragrafo 1 contiene una clausola estensiva di tale competenze, la cui applicazione è subordinata all’insorgenza di eventuali ulteriori esigenze di tutela. Il secondo paragrafo dell’art.83 TFUE conferisce invece alle istituzioni europee il potere di adottare direttive recanti norme penali minime nell’ambito di diverse politiche dell’Unione, ed in particolare nei settori interessati da misure di armonizzazione. L’adozione di tali norme minime self-restaint al cospetto delle norme penali interne, ma altresì a tenerle in debito conto nell’adozione di atti di diritto derivato.

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6 richiede la procedura legislativa ordinaria o speciale prevista dal Trattato per lo specifico settore extrapenale di volta in volta interessato, pur essendo in ogni caso possibile, a norma dell’art. 76 TFUE, che un gruppo costituito da almeno un quarto degli Stati membri formuli una proposta di atto5

Nel corso degli anni, la cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale è stata promossa anche attraverso l’istituzione di organismi dotati di specifiche competenze nel settore. Alcuni di questi, come Eurojust ed Europol, hanno avuto origine nell’ambito del terzo pilastro.

. Le disposizioni conclusive dell’art.83 TFUE, infine, disciplinano il già citato meccanismo del c.d. freno di emergenza, che, a differenza di quanto disposto nell’art. 82 TFUE, trova ora applicazione in tutte le ipotesi di esercizio della potestà legislativa dell’Unione in materia di diritto penale sostanziale, senza limitazione di sorta.

2. Il diritto ad un processo equo, art. 6 CEDU e l’art.111 Cost..

L’art. 6 CEDU riconosce che ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed

5Il disposto del Trattato non consente di chiarire in via definitiva se le norme penali debbano essere

contenute in un atto ad hoc separato o se possono essere adottate quali emendamenti a misure già in vigore.

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7

entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale

deciderà della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta; aggiunge che la sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l'accesso alla sala d'udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità può pregiudicare gli interessi della giustizia6

La previsione elenca inoltre una serie di diritti fondamentali dell’accusato:

a. quello di essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in un modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico

.

7

6 Si tratta della disposizione che contempla altresì il principio della presunzione di non colpevolezza, secondo cui "ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata

;

7 Si dà rilievo alla conoscenza dell’accusa, il cui soddisfacimento condiziona un efficace svolgimento dell’attività difensiva. La stessa Corte europea afferma che “un’informazione precisa e completa degli addebiti che gravano su un accusato, ivi compresa la qualificazione giuridica di cui il giudice potrebbe fargli carico, è una condizione essenziale della correttezza della procedura. Corte eurpea, 25 marzo 1999, Pellissier e Sassi c. Francia, par. 52.

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8 b. quello di disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa; c. quello di difendersi personalmente o di avere l'assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato, quando lo esigono gli interessi della giustizia; d. quello di esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico; e. quello di farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata all'udienza.

L’articolo 6 della CEDU rappresenta all’interno della Convenzione di Roma, il principale punto di riferimento per l’individuazione di uno standard minimo di garanzie della persona in rapporto all’esercizio della giurisdizione8

8 Chiavario, Commento all’art. 6 CEDU, in BARTOLE – RAIMONDI, Commento alla Cedu, Padova, 2001, p. 153 ss.

. Tale disposizione garantisce sostanzialmente il diritto ad un processo equo e quindi il diritto per chiunque sia sottoposto alla giustizia ad una buona amministrazione della stessa. Ben sapendo che all’interno della Convenzione si è cercato di bilanciare gli equilibri tra l’interesse generale della collettività e la salvaguardia dei diritti fondamentali, la buona amministrazione della giustizia occupa di certo un ruolo

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9 rilevante che non si può sacrificare per mera opportunità, a meno che non si voglia far decadere le garanzie previste in una società democratica, come la stessa Europa tende a divenire con il passare del tempo. Proprio per questo, l’articolo in esame è un parametro di riferimento per tutti gli Stati firmatari e non può non influenzare da vicino l’esperienze giuridiche dei vari ordinamenti nazionali.

Si parla di equo processo. In ambito europeo, la definizione è applicabile sia per il processo civile che per quello penale, anche se il vero corpus iuris scaturente dall’analisi approfondita dell’art. 6 appare riferibile solo all’ambito penale. Si deducono in tal senso una copiosa quantità di principi generali di interpretazione e almeno due ordini di garanzie fondamentali: quelle organiche, che rendono possibile la conduzione di un processo equo, come il diritto alla pubblicità del processo e ad un tribunale indipendente ed imparziale; e quelle di funzionamento, caratterizzate da una concezione dinamica del processo e dall’uguaglianza tra le parti che deve regnare durante tutta la durata dello stesso. Quest’ultime sono le garanzie che esprimono meglio quel carattere di equità che dovrebbe permeare la conduzione di

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10 un processo civile o penale e che spiega il senso della definizione di cui sopra9

Nell’analisi dell’articolo 6 CEDU, formato da tre commi ricchi di previsioni, il rischio maggiore è quello di considerare alcuni diritti prevalenti sugli altri. In particolare, questo articolo sembra diviso in due grandi parti: la prima, quella formata dal solo primo comma, fornisce un quadro delle c.d. garanzie processuali “oggettive”, ossia che riguardano in particolare il processo in quanto sequenza di atti, finalizzati ad un atto finale che produce effetti nella sfera giuridica sostanziale di un determinato destinatario

.

10

9 J.C.SOYER,M.DE SALVIA, Article 6, in L.PETITTI,E.DECAUX,P.H.IMBERT (a cura di), La Convention européenne des droits de l’homme. Commentaire article par article, Paris,

1995, 258-270.

; è questa la parte che maggiormente ci interessa, perché le garanzie del giusto processo sono in primis oggettive mentre i diritti inerenti il processo e spettanti ad ogni singolo individuo sono di difficile inquadratura; la seconda parte, formata dai due commi successivi, racchiude le garanzie processuali “soggettive”, inerenti il singolo soggetto imputato di un reato e che tale sia il soggetto lo capiamo proprio dal tipo di garanzie che gli vengono elencate, dai diritti di difesa (assistenza di un avvocato, esame testimoni a carico, convocazione testimoni a

10 C.FOCARELLI, Equo processo e convenzione europea, pp. 267-268; G.F. RICCI, Principi di diritto processuale generale, Torino, 1998, 1-4.

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11 discarico, essere informato delle accuse a suo carico) alla presunzione d’innocenza.

La prima garanzia è l’equità processuale con la quale si intende la configurazione che deve possedere ogni processo per potersi definire effettivamente tale e non esserne soltanto un’apparenza. Rappresenta un insieme di caratteri, alcuni specificati nel prosieguo della stessa disposizione, la cui individuazione non può però soltanto rimanere cristallizzata in una disposizione scritta. Questa individuazione è compito dell’interprete e da ciò ricaviamo come l’enumerazione contenuta nell’articolo 6 in tutti e tre i commi, non sia esaustiva e costituisca un catalogo aperto. Questa funzione di interpretazione è lasciata per di più alla Corte europea che in alcune sentenze11

Molto è stato scritto sulle ragioni della pubblicità del processo. Non sarà oggetto dei capitoli successivi, ma deve ritenersi che questa sia una garanzia di base a cui non si può rinunciare se non su richiesta esplicita del soggetto imputato ha ribadito come nell’analisi delle vicende sottoposte al suo giudizio essa faccia affidamento non soltanto al primo comma, ma riconduca la sua interpretazione alla luce degli stessi commi 2 e 3, nell’ottica del combinato disposto di ciascuno di essi proprio con il comma 1.

11 Corte europea sent. Sejdovic c. Italia 1° marzo 2006, n. 56581, Corte europea sent. Drassich c. Italia 11 dicembre 2001, ricorso n. 25575.

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12 e se ne esistono i presupposti specifici ritenuti idonei dal giudicante. Essenzialmente si ritiene che non avrebbe senso il riconoscimento dei diritti di difesa (art. 6, c. 3, CEDU) e della indipendenza ed imparzialità del soggetto decidente se non esistesse la possibilità di verificare se, nella decisione, si sia tenuto conto delle ragioni del destinatario della stessa. Per questo, il diritto alla pubblicità del processo ha lo scopo di rendere il processo controllabile all’esterno, per cui il miglior controllo in una “società democratica” sembra essere quello della verifica da parte della stessa comunità. Se è pur vero che la pubblicità del processo ha questa ineludibile funzione di controllo, dall’altra comporta anche qualche aspetto negativo, perché ben potrebbe l’esposizione al pubblico costituire un danno alla persona, al suo diritto alla riservatezza e al diritto alla presunzione d’innocenza. È una garanzia dalla quale scaturiscono altre non contenute direttamente nell’articolo 6. Ancora una volta, è la Corte europea che, quando viene chiamata in causa per presunte violazioni di questo diritto, assicura una risposta efficiente nel senso di favorire l’opzione del controllo a quella della lesione della riservatezza. Lo fa agganciando il diritto alla pubblicità del processo al diritto alla motivazione della decisione che rende pubblico e controllabile il ragionamento del soggetto decidente e affermando in modo solenne che quando il diritto

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13 alla pubblicità contrasti con altri diritti ritenuti di maggiore importanza come il diritto alla durata ragionevole del processo, esso possa venire disconosciuto per motivi di efficacia e di economia.

Quello della durata ragionevole del processo è un problema che ha risvolti teorici e pratici molto complicati e che la Corte europea ha cercato di semplificare ritenendo che la durata ragionevole vada commisurata con la complessità della causa e il comportamento dell’imputato in udienza e dell’autorità giudiziaria nell’organizzazione del proprio lavoro12

La Corte europea ha chiarito che il termine ragionevole si computa a partire dal momento in cui una persona viene accusata, vale a dire dal momento in cui riceve la notifica dell’atto di avvio del procedimento penale da parte

. Nella complessità della causa viene prestata assoluta attenzione alla gravità del reato e alla difficoltà nelle acquisizioni probatorie; nel comportamento dell’imputato si tiene conto della sua concreta attività processuale, assenze, richieste, eccezioni ed impugnazioni; nell’attività dell’autorità giudiziaria si analizzano le responsabilità dei magistrati nella scansione dei tempi processuali, nell’organizzazione del carico di lavoro e si guarda al concreto aiuto proveniente dagli uffici che lavorano per e con il giudice.

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14 dell’autorità competente13

Ugualmente per il diritto al tribunale indipendente ed imparziale. Questo diritto appare come principio indefettibile per ogni sistema processuale che non intenda porsi ai margini della comunità internazionale. È indiscutibile che il carattere dell’imparzialità sia connaturale alla stessa qualità di giudice; e appare altrettanto indiscutibile che all’imparzialità sia collegato in maniera diretta anche il carattere dell’indipendenza. Ciò che la Corte europea ha cercato di definire meglio con le sue pronunce è far comprendere cosa davvero si intenda con i termini “imparzialità” e “indipendenza”. Da tale sforzo interpretativo è emerso che l’imparzialità si riferisce all’assenza di legami tra giudice e parti, alla indifferenza rispetto agli interessi in conflitto e al risultato della disputa, alla sua mancanza di pregiudizi in relazione al thema decidendi e alla sua posizione di equidistanza rispetto alle parti, in definitiva al suo essere

super partes.

. La sintesi di tutto questo complesso risultato è che compete al singolo Stato evitare il protrarsi eccessivo nel tempo delle vicende processuali e che alla Corte europea compete capire quando lo Stato sia direttamente responsabile delle violazioni a questo principio-diritto fondamentale.

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15 Con riguardo alla garanzia dell’indipendenza la giurisprudenza europea afferma che per stabilire se un tribunale possa ritenersi indipendente ai fini dell’articolo 6 CEDU, occorre prendere in considerazione l’esistenza di una protezione rispetto alle pressioni esterne in particolare dell’esecutivo14

Alla luce di quanto sopra esposto, autorevole dottrina è intervenuta ad analizzare l’articolo 6 CEDU.

. Nella sentenza Kyprianou c. Cipro ( par. 118 – 121 ) il giudice europeo precisa il significato della garanzia dell’imparzialità che presenta un requisito soggettivo ed uno oggettivo: “l’impartialitè se definit d’ordinaire par l’absence de préjugé ou de parti pris. La Cour distingue donc entre une démarche subjective, essayant de déterminerce que tal juge pensait dans son for intérieur ou quel était son intérêt dans une affaire particulière, et un démarche objective”.

Nel corso dell’incontro trilaterale delle Corti costituzionali italiana, spagnola e portoghese, tenutosi a Madrid in data 13 – 15 ottobre 2011, Randazzo15

14 C. eur. dir. uomo sent 25 febbraio 1997, Findlay c. Regno Unito § 73, C. eur. dir. uomo sent. 9 giugno 1998, Incal c. Turchia § 65.

ha precisato come secondo la Corte europea le garanzie del processo equo si applichino a tutte le fasi del procedimento penale.

15 “I principi del diritto e del processo penale nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo” – quaderno predisposto in occasione dell’incontro trilaterale delle Corti costituzionali italiana, spagnola e portoghese. B. Randazzo – Madrid 13 – 15 ottobre 2011.

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16 Con riguardo alla fase preliminare al processo (inchiesta ed istruttoria) la Corte ha chiarito che la garanzia della durata ragionevole del processo e del diritto alla difesa rileva anche in questo stadio del procedimento, quando l’equità risulta viziata da un’essenziale inosservanza di tali requisiti. Gli atti compiuti dal giudice istruttore influiscono direttamente sull’equità del procedimento successivo. Pertanto l’art 6 CEDU può applicarsi al procedimento istruttorio condotto dal giudice istruttore.

Le garanzie previste, si applicano in linea di principio al ricorso per cassazione ed ai procedimento costituzionali quando essi costituiscono una fase ulteriore del relativo procedimento penale e i loro esiti possono essere decisivi per le persone condannate. Al contrario l’articolo 6 CEDU non si applica alla procedura volta alla riapertura di un procedimento, perché la persona che, dopo il passaggio in giudicato della propria condanna, chiede la riapertura non è accusata di un reato ai sensi del suddetto articolo. Solo i nuovi procedimenti, dopo l’autorizzazione alla riapertura del procedimento, possono essere ritenuti riguardanti la determinazione della fondatezza di un’accusa in materia penale. Tuttavia i profili di revisione che comportano la modifica di una decisione emessa in ultimo grado, rientrano nel profilo delineato dall’articolo 6 CEDU.

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17 La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha avuto un ruolo fondamentale per l’inserimento di alcuni principi, tra i quali quelli del giusto processo, nelle principali Carte costituzionali europee. Secondo alcuni, è proprio grazie all’enorme lavoro di questa Corte che oggi si può parlare di “esigenza costituzionalizzata” e può essere considerata la più profonda tra le revisioni sinora realizzate sul testo della Costituzione repubblicana16

In Italia si parla di “giusto processo” regolato dall’art.111 Cost., modificato dalla legge costituzionale n. 2 del 1999 e per effetto di questa modifica. I primi due commi dell’art. 111 Cost. interessano il processo in genere non solo quello penale, al primo comma si prevede il riconoscimento del giusto processo regolato dalla legge. Il concetto di giusto processo si riferisce ad un concetto ideale di giustizia, che preesiste rispetto alla legge e che è direttamente collegato a quei diritti inviolabili di tutte le persone coinvolte nel processo, che lo Stato, in base all’art.2 Cost., si impegna di riconoscere.

.

La nozione di “ giusto processo” è interamente desumibile dai principi costituzionali e di conseguenza ogni processo regolato da un legge non incostituzionale sarà

16 Enrico Marzaduri, Appunti sulla riforma costituzionale del processo penale, in Scritti in onore di Antonio Cristiani 2002, 433.

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18 necessariamente giusto17. Definire “giusto” il processo che si costituzionalizza ha senso in quanto si ripetuti “ingiusto” quello finora praticato18. Una sifatta conclusione non appare tuttavia condivisibile; in quanto si potrà subito apprezzare una ben più ampia sfera di significati del principio del giusto processo, principio rispetto al quale le specifiche garanzie previste nella Costituzione costituiscono soltanto esplicitazioni e determinazioni che vanno intese come la base comune e che non possono esaurirne i contenuti virtuali19

Nel processo ritenuto giusto, non potranno ammettersi situazioni che sviluppano in modo unilaterale profili di tutela dell’accusato fino al punto da provocare delle compressioni degli interessi di altri soggetti coinvolti nel processo

.

20

L’art. 111 comma 1 Cost., inoltre, potrà rappresentare il riferimento costituzionale per i diritti che non hanno ancora trovato un’espressa traduzione nella Carta fondamentale, come avviene per la pubblicità processuale

.

21 e che dovrebbero caratterizzare un processo giusto22

17 P. Ferrua, Il processo penale, cit.; 50 s.

.

18 P. Ferrua, Il processo penale, cit.; 50 s.

19 M. Chiavario, Commento all’ 6, cit., 20 s; M. De Silva, Compendium della CEDU, Napoli 2000, 143; sen. Pera Atti Senato, Res. sten., 18/2/1999, 45.

20 G. Tarzia, Le garanzie generali del processo nel progetto di revisione costituzionale, cit., 92. 21 G.P. Voena, Mezzi audiovisivi e pubblicità delle udienze penali, Milano 1984, 115 ss. 22 P.Ferrua, Il processo penale, cit.; 51 s.

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19 Quanto ai contenuti del comma secondo dell’art. 111 Cost. fanno riferimento ad un processo che si svolga nel contradditorio delle parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale. Per quanto riguarda queste necessità la giurisprudenza costituzionale ha già riconosciuto tali principi come momenti indefettibili del “ giusto processo”, sulla base degli artt. 3, 24 co. 2, 25 co. 1 e 101 co. 2 Cost. Quando si parla di contradditorio in relazione a questa norma, si fa riferimento all’intervento dialettico delle parti23

La previsione non permette che un processo si concluda senza che le parti siano state messe in condizione di essere sentite dal giudice.

non coinvolgendo il momento di formazione della prova.

Il riferimento ad una condizione di parità nelle quali vanno collocate le parti davanti al giudice, fa si che si noti subito la differenza che intercorre tra la pubblica accusa e la difesa, differenza che si sviluppa sul piano istituzionale e processuale.

Il diritto alla parità delle parti non deve essere frainteso: “accusa e difesa non possono essere impari”, mentre ciò che

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20 deve essere assicurata è la “reciprocità dei diritti in ordine alla prova”24

La regola della parità svolge una duplice funzione; una diretta, con riferimento alle modalità di attuazione del contradditorio davanti al giudice, una indiretta, con riferimento alla determinazione complessiva dei poteri della difesa, poteri che dovranno essere sempre misurati in vista del raggiungimento di un equilibrio tra le parti al cospetto dell’organo giurisdizionale chiamato a decidere il processo

.

25

Inoltre il terzo e fondamentale momento costitutivo del modello delineato dall’art. 111 comma 2 Cost., è che il processo deve svolgersi davanti ad un giudice terzo ed imparziale, vale a dire che l’organo chiamato a decidere debba essere equidistante dalle parti e soprattutto non avere interessi nella causa che è chiamato a risolvere.

.

Indipendenza ed imparzialità se pur concettualmente appaiono tra di loro distinte, difficilmente possono affermarsi l’una senza l’altra26

24 Direttiva n. 3 della legge 16 febbraio 1987 n.81, recante delega legislativa al Governo per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale, dove si allude ad una partecipazione dell’accusa e della difesa su basi di parità in ogni stato e grado del procedimento.

. L’imparzialità del giudice deve annoverarsi tra quei principi non scritti che preesistono all’esercizio del potere costituente. Anteriormente alla riforma

25 E. Marzaduri, Scritti in onore di Antonio Cristiani, cit., 447. 26 M. Chiavario, Processo e garanzie, cit., 44.

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21 si tendeva ad un uso promiscuo dei due termini, dopo la riforma si è precisato che la terzietà indicherebbe la connotazione istituzionale del giudice, diverso ed equidistante rispetto alle parti; l’imparzialità riguarderebbe le connotazioni soggettive di tale organo, che deve essere esente da pregiudizi al momento della decisione.

L’ultimo principio sancito dall’art. 111 comma 2 Cost., è quello della ragionevole durata del processo, dove il processo va inteso nel senso più generico27. Si tratta del recepimento di un precetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Vi è una notevole differenza tra la formulazione della Cedu “ogni persona ha diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole” e l’art. 111 comma 2 Cost. “la legge assicura la ragionevole durata del processo”. La Convenzione attribuisce un vero e proprio diritto soggettivo immediatamente azionabile, la Costituzione pone il vincolo alla legge ordinaria28

27 CIAVARELLA D., Il contraddittorio nel giusto processo tributario e penale, in Atti del convegno di Studi di Bari il 6 maggio 2000, in La Rivista di Finanza, ed. IN.ED.IT.

. Per la violazione di questo principio è prevista un’equa riparazione del soggetto che ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale, ed è

28 Come è stato osservato, “la scelta è conseguente il tipo di controllo svolto dalla Corte Costituzionale che, non può sindacare la durata del singolo processo, ma esclusivamente le disposizioni che prevedono tempi lunghi, inutili passaggi di atti da un organo all’altro, formalità superflue, non giustificate né da esigenze repressive, né da garanzie difensive”. Ferrua, “ Il giusto processo” Bologna, 2005, pag 26 ss.

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22 compito della Corte d’Appello di provvedere sulla domanda di riparazione del danno provocato.

Il legislatore, a seguito delle pressioni del Consiglio d'Europa, ha riconosciuto attraverso la L. 24 marzo 2001, n. 89 il diritto ad un'equa riparazione nel caso in cui il cittadino che abbia intrapreso un processo ritenga che sia durato troppo. La

Legge 24 marzo 2001 n. 89 c.d. Legge Pinto, sancisce

l’espresso diritto a un’equa riparazione per il danno patrimoniale o non patrimoniale subito per effetto della violazione della Convenzione europea, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole. La norma non stabilisce in astratto un preciso parametro temporale, ma rinvia la valutazione, caso per caso, al giudice in base ai seguenti criteri: complessità del caso, comportamento delle parti e del giudice del procedimento, comportamento di ogni altra autorità chiamata a concorrere o a contribuire alla sua definizione. In linea di massima si può affermare che i criteri elaborati dalla Convenzione Europea per i Diritti dell’ Uomo sono di tre anni per il primo grado e due per il secondo29

Per ciò che concerne nello specifico il processo penale alla luce dell’art. 111 Cost., bisogna sottolineare il diritto a conoscere l’accusa da parte della persona accusata di un

.

29 Cass. 13 aprile 2006 n. 8717 Cass. 26 aprile 2005 n. 8585, anche per i processi previdenziali e assistenziali: Cass. 7 aprile 2004 n. 6856.

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23 reato; quindi l’esigenza di un’informazione sulla natura e sui motivi dell’accusa a carico della persona accusata, riconosciuta fin dalle prime fasi del procedimento.

Per “natura” dell’accusa s’intende il riferimento alla qualificazione giuridica dei fatti materialmente addebitati all’accusato, i quali consentiranno di individuare i motivi dell’accusa medesima30

La norma sottolinea che l’informazione debba avvenire nel più breve tempo possibile, questo non significa che siamo davanti ad una violazione di suddetto articolo se l’informazione differisce nel tempo, perché il riferimento cronologico al “più breve tempo possibile” non impedisce la considerazione di interessi contrastanti con quello dell’accusato

.

31

Il diritto ad essere informato potrà essere compresso solo se il P.M. avrà adeguatamente motivato circa la sussistenza di specifiche cautele attinenti all’attività di indagine, sulla falsariga di quanto stabilito nell’art. 335 comma 3 bis c.p.p. per apposizione del segreto sulle iscrizioni nel registro delle notizie di reato

.

32

30 Corte europea Pélisser e Sassi, cit., § 51.

.

31 E. Marzaduri, Tutti i rischi legati all’attuazione dei principi, in GD 1999, 39 s. 32 Grevi, Quelle rigidità, cit., 12.

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24 Altro tema fondamentale collegato al diritto di informazione è costituito dal diritto dell’accusato di disporre “ del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa”.

Questa previsione fa si che la discovery attuata mediante l’avviso emesso ai sensi dell’art. 415 bis, assuma un ruolo importante finalizzato ad ottenere un epilogo favorevole delle indagini ed introdurre elementi utili per una futura definizione del processo nelle forme alternative33

L’art. 111 comma 3 costituzionalizza un altro diritto, quello della persona accusata in vinculus ad avere contatto con il proprio difensore ( art. 104 co 1 c.p.p. ).

.

Nel caso di un differimento, previsto per un massimo di 5 giorni, del primo contatto tra difensore ed assistito, si deve accertare la sussistenza di specifiche ed eccezionali ragioni di cautela. Questa formula è letta in chiave alla possibilità del pericolo di inquinamento della prove.

Per concludere è opportuno enunciare il diritto all’assistenza di un interprete art. 111 comma 3 Cost., che sarà un tema centrale dei seguenti capitoli.

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25 L’art. 111 comma 3 della Cost. prevede l’assistenza dell’interprete se non si comprende o non si parla la lingua impiegata nel processo.

A livello europeo sarà la Direttiva 2010/64/UE ad occuparsi del tema prevedendo il diritto all’interpretazione ed alla traduzione, come un diritto primario e pregiudiziale rispetto agli altri diritti.

3. Le garanzie processuali dell’imputato nell’Ue.

Nel percorso posto in essere dall’Unione europea per attuare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri, bisogna sottolineare la necessità di rafforzare i diritti processuali dell’indagato e dell’imputato.

Nell’ambito del Consiglio europeo svoltosi a Tampere il 15 e il 16 ottobre 1999 si è stabilito che il principio del

reciproco riconoscimento delle sentenze e delle decisioni di autorità giudiziaria deve diventare il

fondamento della cooperazione giudiziaria dell’Unione europea in materia civile e penale. Pertanto, il 29 novembre 2000 il Consiglio europeo ha adottato un programma di misure per l’attuazione di tale principio, secondo il quale il reciproco riconoscimento “deve consentire di rafforzare non

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26 solo la cooperazione tra Stati membri, ma anche la

protezione dei diritti delle persone”.

Il 19 febbraio 2003 viene approvato il Libro verde sulle

garanzie procedurali a favore di indagati e imputati in procedimenti penali nel territorio dell’UE che prevede:

l’accesso all’assistenza legale (nella fase preparatoria e in quella processuale), l’accesso ad un interprete e/o traduttore, la comunicazione a indagati o imputati dei loro diritti, una particolare protezione per indagati e imputati appartenenti a categorie “vulnerabili” e l’assistenza consolare a stranieri fermati o arrestati.

La Proposta di Decisione quadro avente ad oggetto il

diritto all’interpretazione e alla traduzione ( 8 luglio

2009) mostra un approccio più prudente e graduale sul tema. Si focalizza l’attenzione soltanto sulla garanzia all’assistenza di un interprete e sul diritto alla traduzione che costituisce un “ diritto primario, quasi pregiudiziale a tutti gli altri”. Si rileva, infatti, che solo la comprensione degli atti del processo consente di esercitare gli altri diritti. Nell’imminenza dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il Consiglio ha, tuttavia, deciso di riproporre l’iniziativa sotto forma di Direttiva e non di decisione quadro. Nello stesso periodo, 30 novembre 2009 è stato approvato un documento contenente la “Tabella di marcia per il rafforzamento

(27)

27

dei diritti procedurali di indagati o imputati nei procedimenti penali” (“ROADMAP”), recepita dal

Programma di Stoccolma del 10 dicembre 2009, individua sei priorità per la protezione dei diritti dell’indagato o imputato:

• Misura A: diritto alla traduzione e all’interpretazione. • Misura B: diritto a riceve informazioni relative ai diritti

e all’accusa.

• Misura C: diritto alla consulenza legale e assistenza legale gratuita.

• Misura D: diritto alla comunicazione con i familiari, datori di lavoro e autorità consolari.

• Misura E: garanzie speciali per indagati o imputati vulnerabili.

• Misura F: il libro verde sulla detenzione preventiva.

Il quadro attuale delle iniziative dell’Unione europea comprende la Direttiva 2010/64/UE sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali recepita il 27 ottobre 2013. La Direttiva 2012/13/UE sul diritto all’informazione nei procedimenti penali, termine di recepimento 2 giugno 2014. La Direttiva 2013/48/UE relativa al diritto di avvalersi di un avvocato nei procedimenti penali, dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 26 ottobre 2016.

(28)

28

CAPITOLO 1

DIRETTIVA 2010/64/UE SUL DIRITTO ALL’INTERPRETAZIONE E ALLA TRADUZIONE DEI PROCEDIMENTI PENALI.

Sommario: 1. La Direttiva europea 2010/64/UE sul Diritto all’interpretazione e alla traduzione dei procedimenti penali. 2. La qualità dell’interprete. 3. L’evoluzione normativa e giurisprudenziale in tema di interpretazione e traduzione. 3.1. Il codice di procedura penale. 4. La delega per l’attuazione della direttiva. 5.Il caso di Yasmin Akter, ergastolo per colpa dell’interprete. 5.1 Il fatto. 5.2. Errori inscusabili dell’interprete.

1. La Direttiva europea 2010/64/UE sul Diritto all’interpretazione e alla traduzione dei procedimenti penali.

Un grande passo avanti sul piano dell’interpretazione e della traduzione in ambito legale è stato compiuto a livello europeo grazie alla Direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 ottobre 2010 sul diritto all’interpretazione e alla traduzione dei procedimenti penali. Con questa direttiva sono infatti stati stabiliti alcuni

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29 provvedimenti importanti per l’attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni in materia penale da parte degli Stati membri, oltre al dovere degli Stati stessi di garantire forme di assistenza linguistica adeguata e all’impegno a istituire un registro, o dei registri di traduttori o interpreti. Questa Direttiva riveste un significato particolare in quanto si tratta del primo strumento normativo ad efficacia vincolante adottato dall’Unione europea nel campo del diritto penale dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona34

Questo comporta che, contrariamente agli strumenti normativi adottati in precedenza – ed in particolare le Decisioni quadro -, non si applicano a questa Direttiva le regole transitorie previste dall’Articolo 10 del Protocollo 36 al Trattato di Lisbona. Ciò implica che allo scadere del termine fissato per il recepimento della Direttiva

.

35

34 Per riprendere le parole pronunciate dalla relatrice della Commissione Libertà civili, giustizia e affari interni Sarah Ludford si può senz’altro affermare: “ it is historic, being the first criminal

justice measure negoziate under codecision and the first EU fairl trial law”. Mitja Gialuz,

“Diritto penale contemporaneo” pag 2.

, tanto la Corte di Giustizia quanto la Commissione europea potranno esercitare appieno i poteri previsti dal Trattato: la Commissione,

35 Il termine di recepimento è stato previsto per il 27 ottobre 2013. Questa Direttiva il 27 ottobre scorso è stata recepita dagli Stati membri. Questo termine di 3 anni dalla pubblicazione dello strumento è un termine lungo che costituisce il compromesso raggiunto in sede legislativa da alcuni Stati membri che, preoccupati per le ricadute organizzative ed economiche dello strumento, avevano chiesto un periodo di recepimento di 48 mesi. Come parte del compromesso, in sede di adozione formale dello strumento il Consiglio dell’UE ha adottato una dichiarazione che invita comunque gli Stati membri a recepire la Direttiva anche prima del termine previsto, precisando comunque che l’inusuale termine triennale non costituisce un precedente in relazione alle future Direttive che saranno adottate in conformità della “Tabella di marcia”.

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30 valutando il recepimento da parte degli Stati membri e dando il via, se del caso, a procedimenti di infrazione ai sensi dell’art. 258 – 260 TFUE per omesso o errato recepimento; la Corte di Giustizia, interpretando le norme della Direttiva su ricorso in via pregiudiziale delle Autorità giudiziarie degli Stati membri arrivando, ove necessario, a dichiarare l’incompatibilità di eventuali disposizioni di diritto interno configgenti con quelle parti della Direttiva che possono avere immediata applicazione, imponendosi al giudice nazionale l’obbligo di disapplicare la norma interna.

Nella parte introduttiva della direttiva viene ribadito l’impegno dell’Unione europea di mantenere e sviluppare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in modo tale da consentire il necessario ravvicinamento delle legislazioni per così facilitare la cooperazione tra le autorità competenti e la tutela giudiziaria dei diritti dei singoli. Vale la pena inoltre ricordare come il diritto alla traduzione e all’interpretazione per coloro che non parlano o non comprendono la lingua del procedimento è sancito dall’art. 6 della CEDU (Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) e che lo scopo della Direttiva del 2010 è quello di assicurare tale diritto al fine di garantirne un altro, ovvero il diritto ad un processo equo.

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31 L’obbligo di dedicare un’attenzione particolare ad indagati o imputati in posizione di potenziale debolezza ( dovuta alla non conoscenza o comprensione della lingua del procedimento) costituisce infatti il fondamento di una buona amministrazione della giustizia.

Data l’importanza di questo documento e i cambiamenti che porterà nel giro di pochi anni – l’art 9 prevede infatti che gli Stati membri mettano in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi entro il 27 ottobre 2013 - è bene analizzare in modo più approfondito il contenuto , che si divide in dodici articoli.

La direttiva si applica alle persone che sono messe a conoscenza dalle autorità competenti di uno Stato membro, mediante notifica ufficiale o in altro modo, di essere indagate o imputate per un reato, fino alla conclusione del procedimento, ossia fino alla decisione definitiva che stabilisce se hanno commesso il reato, inclusi, se del caso, l’irrogazione della pena e l’esaurimento delle istanza in corso (art.1 § 2). La direttiva si applica anche in caso di irrogazione di una sanzione da parte di un’autorità diversa da una giurisdizione competente in materia penale, limitatamente al procedimento di impugnazione dinanzi a tale giurisdizione (art.1 § 3).

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32 In particolare gli articoli 2 e 3 sono dedicati proprio alla traduzione e alla interpretazione dei documenti fondamentali. Parlando di interpretazione al primo comma dell’art. 2 si legge: “ gli Stati membri assicurano che gli indagati o imputati che non parlano o non comprendono la lingua del procedimento [ … ] siano assistiti senza indugio da un interprete nei procedimenti penali dinnanzi alle autorità inquirenti e giudiziarie, compresi gli interrogatori di polizia e in tutte le udienze, comprese le necessarie udienze preliminari”.

Emerge fin da subito un’importante novità rispetto al passato e alla normativa vigente nel nostro paese, ovvero l’estensione del diritto all’interpretazione36

36 Così come il diritto alla traduzione previsto all’art. 3.

durante l’intero procedimento. Se necessario per tutelare l’equità del procedimento, gli Stati membri devono assicurare che l’interpretazione sia disponibile per le comunicazioni tra indagati o imputati e il loro avvocato, direttamente correlate a qualsiasi interrogatorio o audizione durante il procedimento o alla presentazione di un ricorso o di un’altra istanza procedurale ( § 2 ). Gli Stati membri devono, inoltre, assicurare che, secondo le procedure della legislazione nazionale, gli indagati o gli imputati abbiano il diritto di impugnare una decisione che dichiara superflua l’interpretazione e, nel caso in cui l’interpretazione sia stata

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33 fornita, abbiano la possibilità di contestare la qualità dell’interpretazione in quanto insufficiente a tutelare l’equità del procedimento ( § 4 ).

Un altro aspetto fondamentale è quello trattato dal comma 8 dell’art. 2 in cui viene precisato che “ l’interpretazione […] dev’essere di qualità sufficiente a tutelare l’equità del procedimento in modo tale che i soggetti interessati siano in grado di esercitare i loro diritti alla difesa” 37

Il tema della qualità viene ripreso anche nell’art. 5 in cui viene stabilito che sono gli stessi Stati membri ad adottare misure atte a garantire che l’interpretazione e la

traduzione fornite rispettino la qualità richiesta.

Sempre nell’art. 5 viene precisato l’impegno degli Stati membri ad istituire un registro o dei registri di traduttori e interpreti indipendenti e debitamente qualificati. L’aspetto qualitativo è fortemente sottolineato all’interno della Direttiva, precisando che è compito degli Stati garantire un’assistenza linguistica di qualità sufficiente, fornita da professionisti debitamente qualificati. A sostegno di questo impegno nei confronti dell’aspetto qualitativo dell’interpretazione e traduzione, all’art. 6 della Direttiva, viene specificatamente espresso che “gli Stati membri richiedono ai responsabili della formazione di giudici,

.

(34)

34

procuratori e personale giudiziario coinvolti nei procedimenti penali, di prestare particolare attenzione alle specificità della comunicazione assistita da un interprete in modo da garantire l’efficacia e l’efficienza”.

Partendo da basi fondamentali come la tutela dell’equità del procedimento e l’esercizio del diritto di difesa, la Direttiva 2010/64/UE ha apportato alcune interessanti innovazioni, tra cui il tema dell’adeguatezza all’assistenza linguistica, la garanzia di un livello di qualità sufficiente, il controllo dell’adeguatezza da parte degli Stati membri, l’istituzione obbligatoria di un registro degli interpreti e dei traduttori per terminare con il controllo e l’intervento sul piano della formazione di questi professionisti.

Per quanto riguarda il diritto alla traduzione ( art.3 ), invece, gli Stati membri devono assicurare che gli indagati o gli imputati che non comprendono la lingua del procedimento penale ricevano, entro un periodo di tempo ragionevole, una traduzione scritta di tutti i documenti che sono fondamentali per garantire che siano in grado di esercitare i loro diritti della difesa e per tutelare l’equità del procedimento ( § 1 ). Tra i documenti fondamentali rientrano le decisioni che privano una persona della propria libertà, gli atti contenenti i capi di imputazione e le sentenze ( § 2); le autorità competenti possono decidere sul carattere fondamentale di ulteriori

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35 documenti, e anche gli indagati e gli imputati ovvero i loro avvocati possono presentare una domanda motivata a tale fine ( § 3 ). Non è necessario tradurre i passaggi di documenti fondamentali che non siano rilevanti allo scopo di consentire agli indagati o agli imputati di conoscere le accuse a loro carico ( § 4 )38

38 Sentenza Kamasinski c. Austria § 74 della Corte di Strasburgo, secondo la quale non è indispensabile garantire la traduzione integrale dei documenti fondamentali.

; tuttavia, gli Stati membri devono assicurare che, secondo le procedure della legislazione nazionale, gli indagati o gli imputati abbiano il diritto di impugnare una decisione che dichiara superflua l’interpretazione di documenti o di passaggi degli stessi e, nel caso in cui una traduzione sia stata fornita, abbiano la possibilità di contestare la qualità della traduzione in quanto non sufficiente a tutelare l’equità del procedimento ( § 5 ). Allo stesso modo, nell’ambito del procedimento di esecuzione di un mandato di arresto europeo, lo Stato membro di esecuzione deve assicurare che le proprie autorità competenti forniscano la traduzione scritta del mandato di arresto europeo a chiunque non comprenda la lingua in cui il mandato è redatto ( § 6 ). La direttiva prescrive, inoltre, che qualsiasi rinuncia al diritto alla traduzione di documenti è soggetta alle condizioni che gli indagati o gli imputati abbiano beneficiato di una previa consulenza legale o siano venuti in altro modo pienamente a conoscenza delle conseguenze di

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36 tale rinuncia e che la stessa sia inequivocabile e volontaria ( § 8 ).

I costi della interpretazione e della traduzione derivanti dagli obblighi prescritti dalla direttiva sono a carico degli Stati membri, indipendentemente dall’esito del procedimento (art. 4), come ha precisato la Corte europea sin dalla sentenza relativa al caso Luedicke, Belkacem e Koç c. Germania (§ 42 ), solo riconoscendo la gratuità dell’interpretazione anche in caso di condanna si garantisce l’effettiva parità tra l’imputato alloglotta e l’imputato che conosce la lingua del procedimento e si assicura che il timore di ripercussioni economiche non condizioni negativamente le scelte processuali dell’imputato39

Nelle premesse, la Direttiva richiama la necessità di attuare i diritti ad un processo equo e alla difesa; delinea norme minime comuni nell’ambito dell’interpretazione e della traduzione nei procedimenti penali

. Gli Stati membri devono, inoltre, assicurare che lo svolgimento di un’attività di interpretazione o traduzione in conformità alla direttiva risulti da apposita verbalizzazione (art. 7 ).

40

39 Mitja Gialuz, “ Processo penale e Giustizia scenari, novità sovranazionali” , n.2- 2011 pag. 12.

. Il diritto all’interpretazione e alla traduzione per gli imputati

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37 alloglotti41

L’assistenza linguistica deve essere adeguata e gratuita, tempestiva o comunque fornita in tempi ragionevoli, nella lingua madre o in altra ben conosciuta dall’interessato, e dovrebbe riguardare anche le comunicazioni tra l’imputato e il difensore. Essa dovrebbe essere verificabile e contestabile sia nell’adeguatezza che nella completezza.

, deve essere assicurato a spese degli Stati membri, a prescindere dell’esito del procedimento. L’imposizione di tale costo all’imputato in caso di condanna, infatti, creerebbe una ingiusta discriminazione tra condannato alloglotta e condannato non alloglotta, il quale evidentemente non ha bisogno di interprete o di traduzioni.

Alcuni documenti processuali vanno sempre tradotti, quanto meno nelle parti rilevanti, perché fondamentali ai fini della difesa, mentre l’essenzialità di altri documenti è stabilita dalle legislazioni nazionali. In particolare, l’art. 3 par. 2 della direttiva definisce fondamentali le decisioni che privano della libertà personale, gli atti contenenti i capi di imputazione e le sentenze; in tutti gli altri casi, invece, l’essenzialità va stabilita dall’autorità giudiziaria, anche sulla base di richiesta motivata dell’imputato o del suo difensore. La traduzione è di regola scritta, ma può essere anche orale se non è pregiudicata l’equità del procedimento; l’imputato può rinunciarvi purché

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38 inequivocabilmente e quindi, deve ritenersi in via personale e non per procura. L’oralità della traduzione e la rinuncia vanno comunque verbalizzate.

Al fine di assicurare la qualità del servizio, devono istituirsi dei registri di traduttori e interpreti “indipendenti e debitamente qualificati”, tenuti alla riservatezza rispetto al servizio fornito. La formazione dei magistrati e del personale giudiziario coinvolti nei procedimenti penali42

Sia le premesse che il testo della direttiva rendono manifesta la necessità di un netto cambiamento culturale rispetto al processo con imputati alloglotti, reso sempre più frequente dal diffondersi dei fenomeni migratori.

, deve renderli consapevoli dell’importanza e della specificità della comunicazione assistita da un’interprete.

Una situazione caratterizzata da frequenti traduzioni di provvedimenti cautelari e di sentenze dovrebbe imporre ai giudici italiani di motivare i provvedimenti non soltanto in “linguaggio che sia chiaro e comprensibile”, come recita il punto 63 della Raccomandazione CM/Rec (2010), ma anche di adottare tecniche di argomentazione simili a quelle adoperate in altri Paesi, e cioè intese alla valutazione dei soli fatti specifici rilevanti e alla interpretazione delle norme solo

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39 in quanto controversa, rinunciando a quella scorta di inutili quanto diffuse “parti generali”.

La necessità che la formazione dei magistrati e del personale giudiziario si soffermi sulla specificità della comunicazione assistita da un’interprete è del resto la spia della consapevolezza del significato culturale della direttiva da parte dei suoi autori. Elenchi di traduttori ed interpreti già adesso sono utilizzati dagli uffici giudiziari e di polizia giudiziaria43

2. La qualità dell’interpretazione.

.

L’interpretazione è un processo complesso e soggetto a limitazioni. Innanzi tutto, se si tiene conto delle inevitabili differenze che le lingue coinvolte presentano, è fondamentale tener presente che ciò che il parlante dice potrebbe in ogni momento risultare ambiguo. Ed è proprio questa ambiguità che spesso impedisce all’interprete di produrre una versione accurata e precisa del messaggio originale. E’ inoltre doveroso considerare l’elevato numero di ostacoli che possono influire sul lavoro dell’interprete, come ad esempio

43 Mitja Gialuz, “Processo penale e Giustizia, scenari e novità sovranazionali” pag. 13,

n.2 anno 2011. Da questa ricognizione della genesi e del contenuto della Direttiva 2010/64/UE si evince come il legislatore europeo abbia voluto sostanzialmente codificare i principi fondamentali elaborati in materia della giurisprudenza di Strasburgo; ma da una rapida lettura della direttiva sorge una preoccupazione: quella che i richiami ripetuti all’equità del procedimento possano essere utilizzata dagli Stati membri per svuotare tale garanzia.

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40 l’acustica di un’aula di tribunale o rumori provenienti dall’esterno. Si tratta in questi casi di elementi esterni, ma non mancano anche i cosiddetti elementi interni che possono influenzare la qualità dell’operato dell’interprete. Questi aspetti riguardano ad esempio la familiarità dell’interprete con l’argomento trattato in un particolare processo, oltre alla possibilità di prepararsi all’argomento trattato. A influenzare la qualità dell’interprete contribuiscono la competenza dell’interprete relativamente alle lingue utilizzate in aula e la sua capacità strettamente interpretativa legata alla scelta tecnica dell’interpretazione. La cosa lecita che ci si deve domandare è: che cosa rende un interprete, un buon interprete, e cosa rende un’interpretazione di qualità? La qualità dell’interpretazione può essere definita o percepita in modi diversi, ma vi sono alcuni concetti chiavi fondamentali sui quali tutti gli esperti sono d’accordo. Questi concetti sono

precisione, chiarezza e fedeltà. Ciò che viene quindi

chiesto all’interprete è pensare e agire nella prospettiva della lingua e, soprattutto, del testo di arrivo, il quale dovrebbe presentare un’immagine fedele, una riproduzione praticamente perfetta del messaggio originale. Ed è proprio per questo che risulta fondamentale effettuare scelte espressive precise.

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41 In merito alla chiarezza, essa esprime un altro importante aspetto della qualità interpretativa, ovvero l’orientamento nei confronti di chi ascolta e percepisce l’interpretazione. Scopo ultimo del traduttore è quello di effettuare scelte accurate che garantiscono da un lato la piena comprensione del messaggio e dall’altro la realizzazione di un messaggio fedele all’originale.

Le critiche rivolte all’interprete sono piuttosto diffuse. Quando all’interno di un processo comunicativo – in cui è presente un’interprete – si verifica una qualche incomprensione, spesso è proprio l’interprete ad essere incolpato ed accusato. Se da un lato è vero che gli interpreti vengono ingiustamente ritenuti responsabili del “fallimento comunicativo” tra le parti, è altrettanto vero che proprio ad essi spetta il compito di migliorare le proprie capacità ed incrementare le proprie competenze, in modo da garantire un adeguato livello qualitativo.

In Italia sembra mancare ancora una generale consapevolezza dell’importanza del ruolo dell’interprete nell’ambito del procedimento penale, divenuto negli anni ormai bilingue o plurilingue. Questo è dovuto dallo scarso riconoscimento normativo ed economico del ruolo svolto dall’interprete forense. Inoltre l’Italia non dispone di un albo di interpreti e traduttori che possa garantire la professionalità

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42 del loro operato. Questo fa si che il nostro paese si trovi in una posizione piuttosto arretrata rispetto ad altri paesi europei, o del resto del mondo.

3. L’evoluzione normativa e giurisprudenziale in tema di interpretazione e traduzione.

Il bisogno di interpretazione nei processi penali si è manifestato a lungo nel corso del tempo e della storia. Si tratta di un’esigenza che si presenta in situazioni di pluralismo, ovvero in casi in cui all’interno di una nazione si parlino più lingue, ma solo una di queste sia riconosciuta dalla legge. Un altro aspetto non trascurabile e che contribuisce ad aumentare il bisogno di interpreti in ambito legale, è la presenza sempre più forte di stranieri, che spesso non hanno una conoscenza adeguata della lingua parlata all’interno di un paese e quindi anche del suo sistema giuridico e giudiziario.

Con il codice del 1913 viene attribuito all’interprete il ruolo di perito, di specialista, di esperto della lingua. Lo stesso codice inoltre sottolineava la necessità di un atteggiamento imparziale e di una condotta morale impeccabile da parte della persona chiamata ad agire in qualità di interprete e traduttore. Il codice Rocco del 1930 sottolinea una profonda differenza rispetto ai codici precedenti, perché all’interno di

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43 questo codice l’interprete viene considerato come uno strumento al servizio delle autorità, indipendentemente dalle esigenze dell’imputato.

Nel momento in cui il nostro Paese ha ratificato i trattati internazionali44, è stato quindi riconosciuto ufficialmente il diritto delle persone che non parlano e non comprendono la lingua italiana di essere assistiti da un interprete nel corso del procedimento penale in cui sono coinvolte45

Questo diritto è previsto all’art. 3 comma 1 della Costituzione della Repubblica Italiana “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di

sesso, di razza, di lingua[…]. Questo principio è rivolto a

“tutti gli uomini” a prescindere dal fatto che si tratti di cittadini o stranieri.

.

Un’ulteriore forma di tutela prevista nella nostra Costituzione è prevista per le Minoranze Linguistiche Riconosciute, contenuta nell’art. 6.

E’ infine importante segnalare quanto previsto nell’art. 111 Cost. riguardante le norme sulla giurisdizione: “la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge [ … ]. Nel processo penale la legge assicura che

44 CEDU, Patto Internazionale per i diritti civili e politici.

45 Garwood C. ( 2012 ), Court Interpreting in Italy. A daily violation of a fundamental human right.

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44

la persona accusata di un reato [… ], sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua del processo.

All’interno del processo esiste sempre uno scontro verbale in cui le parti affermano, negano, formulano domande. Il processo ha bisogno di un mezzo di comunicazione comune alle parti, così da rendere più agevole i rapporti tra loro e garantire ordine e funzionalità. Il principale strumento di comunicazione del processo penale è la lingua italiana, non sempre conosciuta dalle parti coinvolte nel procedimento. L’unico strumento per sanare una situazione di incomprensione linguistica è proprio la previsione di un traduttore e di un interprete, che faccia da mediatore tra le parti.

Le norme del nostro codice di procedura penale che incidono in materia linguistica sono: l’art. 109 c.p.p. , in apertura della normativa sugli atti, al primo comma afferma che gli atti del procedimento penale sono compiuti in lingua italiana. Gli artt. 143-147 c.p.p. che riguardano la traduzione degli atti. L’art. 169 c.p.p. riguardante le notificazioni all’imputato all’estero, nel quale al comma 3 specifica che tutto ciò che viene notificato deve essere redatto nella lingua dell’imputato straniero quando dagli atti non risulta che egli conosca la lingua italiana. L’art. 142 c.p.p., concernente la traduzione

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45 dei documenti, al primo comma specifica che quando è acquisito un documento redatto in lingua diversa dalla lingua italiana, il giudice ne dispone la traduzione in base all’art. 143 c.p.p. Le disposizioni oggi vigenti, debbono essere lette in combinato con gli articoli 178 comma 1 lett c), l’art. 179 comma 2 e infine con gli articoli 181 e 182 c.p.p.

Si tratta di una valutazione indispensabile tenuto conto della direttiva sul diritto all’informazione e sulla lettera dei diritti, la cui mancata applicazione potrebbe aprire profili di nullità assoluta o relativa.

Sotto un certo profilo gli articoli richiamati consentono di sostenere che il codice di procedura prevede già disposizioni che costituiscono standard minimi.

Alla luce della sentenza n.10/1993 la Corte Costituzionale ha riconosciuto lo stretto legame che lega indissolubilmente il diritto all’interprete al modello internazionale del cosiddetto “giusto processo”. In particolare è stata riconosciuta l’importanza dell’interprete immediatamente al verificarsi della circostanza della mancata conoscenza della lingua italiana da parte dell’imputato, tanto se tale circostanza sia evidenziata dall’interessato quanto se sia accertata dall’utorità procedente. Con questa decisione della Corte si impone un ulteriore progressivo allineamento alle disposizioni tendendo

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46 conto della affermazione espressamente prevista dalla direttiva e basilare nella legislazione comunitaria, ovvero che nessuna disposizione della direttiva può essere interpretata in modo tale da limitare o derogare ai diritti e alle garanzie procedurali offerti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, dalla Carta di diritti fondamentali dell’Unione europea, da altre pertinenti disposizioni di diritto internazionale o dalle legislazioni degli Stati membri che assicurano un livello di protezione più elevato.

L’implementazione della presenza dell’interprete e del traduttore fin dalla fase investigativa, la traduzione dei documenti, diventano presupposti di procedibilità in alcuni casi, di legittimità in altri e potrebbero essere rilevate come nullità assolute se in grado di viziare ab origine il procedimento, rilevabili di ufficio e sanabili con una rinnovazione di atti specifici in certi fasi ovvero, nei casi più gravi e insanabili, con la regressione del procedimento al primo atto utile. Va infatti ricordato che l’art. 2 della Direttiva 2010/64/UE al comma 1, demanda agli Stati membri il dovere di assicurare che “gli indagati o gli imputati che non parlano o non comprendono la lingua del procedimento penale in questione, siano assistiti senza indugio da un interprete e nei procedimenti innanzi alle autorità inquirenti e giudiziarie,

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47 inclusi interrogatori di polizia, e in tutte le altre udienze, comprese le necessarie udienze preliminari”.

In Italia i servizi di interpretazione vengono previsti dal codice di procedura penale all’art. 146 comma 2, il quale però si limita a porre come requisito alla traduzione/interpretazione il fatto che essa debba essere resa “bene e fedelmente”.

3.1 Il codice di procedura penale.

Come ricordato, la Convenzione per la salvaguardia dei

diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a

Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva in Italia con la legge 4 agosto 1955, n. 848, all’art. 6, terzo comma, lettera a), stabilisce che "ogni accusato ha diritto ( ..) a essere informato, nel più breve spazio di tempo, nella lingua che egli comprende e in maniera dettagliata, della natura e dei motivi dell'accusa a lui rivolta". La lettera e) prevede poi che ogni accusato ha diritto di “farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza”.

Si tratta inoltre dell’identica disposizione contenuta nell'art. 14, terzo comma, lettera a), del Patto internazionale

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relativo ai diritti civili e politici, patto che è stato firmato

il 19 dicembre 1966 a New York ed è stato reso esecutivo in Italia con la legge 25 ottobre 1977, n. 881.

Inoltre, il codice di procedura penale, agli articoli 143-147, riconosce il diritto per l’imputato (e l’indagato) che non conosce la lingua italiana di «farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di potere comprendere l'accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa». Sarà l’autorità procedente a provvedere alla nomina dell’interprete – attraverso il ricorso ad appositi albi tenuti presso il tribunale – ed a conferirgli anche il compito di procedere a traduzione di atti.

L’art. 109 c.p.p. disciplina inoltre, a pena di nullità, la lingua degli atti e, in particolare, prevede alcune garanzie per il cittadino italiano appartenente a una minoranza linguistica riconosciuta il quale, a richiesta, è interrogato o esaminato nella madrelingua; anche il relativo verbale è redatto in tale lingua; nella stessa lingua sono poi tradotti gli atti del procedimento a lui indirizzati.

Il diritto all’interprete nell’ambito di un processo penale costituisce quindi una condizione indispensabile per porre in essere un diritto fondamentale dell’imputato, quello alla difesa e alla «parità fra le parti».

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